| FABRIZIO CESETTI, Relatore per la II Commissione.
Signor Presidente, colleghi, con questo atto il Parlamento è
chiamato a ratificare un complesso di strumenti internazionali
tra loro intimamente connessi, anche in considerazione della
parziale sovrapposizione delle materie regolate o delle
interazioni, più o meno immediate, tra le rispettive
discipline.
L'obiettivo fondamentale del primo degli atti
internazionali oggetto di ratifica (la convenzione PIF) è
quello di assicurare la repressione negli Stati membri
dell'Unione europea - normalmente con sanzioni di carattere
penale - delle frodi lesive degli interessi finanziari delle
Comunità europee, tanto in materia di spese che di entrate,
quali definite dall'articolo 1 della convenzione stessa.
Si legge nella relazione introduttiva del Governo che la
legislazione italiana risulta già in larga misura allineata ai
contenuti dello strumento, onde le norme di adeguamento si
esauriscono in limitati interventi volti ad eliminare
marginali profili di incompatibilità.
Quanto alle fattispecie incriminatrici, può rilevarsi, in
effetti, come sul versante delle frodi in materia di spese gli
articoli 316- bis e 640- bis del codice penale
rechino, in linea generale, disposizioni sanzionatorie
sicuramente idonee a soddisfare l'obbligazione stabilita dagli
articoli 1 e 2 della convenzione.
Per quanto attiene alle frodi in materia di entrate,
vengono in rilievo, per quanto riguarda il nostro ordinamento,
le norme incriminatrici relative al contrabbando doganale
contenute nel testo unico delle disposizioni legislative in
materia doganale, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43. Gli articoli da 282 a 294
del testo unico prevedono, in proposito, sanzioni pecuniarie,
come la multa, mentre solo nelle ipotesi aggravate è prevista
la reclusione. Sorge pertanto, in relazione alla "soglia
quantitativa" di cui all'articolo 2, paragrafo 1, della
convenzione, l'esigenza di aggiungere alle aggravanti
contemplate dall'articolo 295 del testo unico anche l'ipotesi
in cui i diritti di confine dovuti siano superiori
all'equivalente di 50 mila ECU. A ciò provvede l'articolo 4
del disegno di legge, stabilendo comunque, per la fattispecie
in discorso, un trattamento sanzionatorio distinto meno severo
(reclusione fino a tre anni, oltre la multa) rispetto a quello
previsto dall'attuale secondo comma del citato articolo 295
(che prevede una reclusione da tre a cinque anni, oltre la
multa).
Le restanti disposizioni della convenzione appaiono, di
contro, improduttive di impegni novativi per il nostro
ordinamento.
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Il primo protocollo della convenzione PIF e la convenzione
dell'Unione europea sulla corruzione presentano una reciproca
connessione. L'obbligo fondamentale scaturente dal primo
protocollo consiste infatti nell'incriminazione delle condotte
di corruzione che vedano coinvolti funzionari comunitari o
degli Stati membri dell'Unione europea e che risultino altresì
idonee a ledere gli interessi finanziari delle Comunità
europee. La convenzione sulla corruzione estende lo scopo del
primo protocollo, prescindendo dal collegamento tra i fatti di
corruzione che devono essere incriminati e la frode lesiva
degli interessi finanziari delle Comunità.
La convenzione OCSE sulla lotta alla corruzione di
pubblici funzionari stranieri ha, quale obiettivo
fondamentale, l'introduzione nella legislazione dei paesi
firmatari di norme incriminatrici della corruzione attiva dei
pubblici funzionari stranieri finalizzata ad ottenere o a
conservare un affare o un altro indebito vantaggio nell'ambito
del commercio internazionale (così recita l'articolo 1,
paragrafo 1, della convenzione).
Nel complesso, quindi, gli atti internazionali di cui
viene richiesta la ratifica sono diretti a combattere la
corruzione in ambito comunitario. Si tratta, dunque, in primo
luogo, per il Parlamento, di approfondire i contenuti dei
diversi atti internazionali sottoposti a ratifica, in modo da
estrarre dal complesso delle disposizioni in essi contenute
regole univoche e chiare.
In secondo luogo, si tratterà di verificare se le regole
contenute o comunque emergenti dal complesso di atti
internazionali possano considerarsi, almeno in parte, già
recepite nell'ordinamento italiano. Dovranno inoltre essere
inserite nel nostro ordinamento proprio quelle disposizioni
che presentano carattere innovativo rispetto al tessuto
normativo nazionale.
Quanto all'insieme delle disposizioni contenute negli atti
internazionali, occorre in primo luogo sottolineare che, per
la maggior parte di esse, vengono rimesse alle valutazioni dei
singoli Stati le modalità di trasferimento e di trasposizione
di tali disposizioni nei singoli ordinamenti.
In sintesi, l'insieme degli atti internazionali provvede
a: definire il concetto di frode comunitaria, sia per le spese
sia per le entrate; definire il concetto di funzionario
comunitario e nazionale; definire la corruzione attiva e
passiva; individuare la responsabilità penale dei dirigenti
delle imprese e delle persone giuridiche (così la Convenzione
OCSE); richiamare un apparato sanzionatorio, distinguendo tra
ipotesi più o meno gravi, in base al valore pecuniario della
frode; fissare meccanismi di competenza giurisdizionale, di
cooperazione tra gli Stati, anche con il ricorso
all'estradizione, in modo da assicurare un'efficace lotta alla
corruzione e, contemporaneamente, evitare che lo stesso
soggetto sia perseguito più volte per il medesimo fatto (ne
bis in idem); rimettere alla Corte di giustizia delle
Comunità europee la valutazione della pronuncia i via
pregiudiziale sulla interpretazione della Convenzione sulla
tutela degli interessi finanziari delle Comunità europee.
Come precisato anche dall'articolo 9 della Convenzione
PIF, ogni Stato potrà adottare ulteriori disposizioni di
diritto interno, che vadano eventualmente anche oltre gli
obblighi derivanti dalla Convenzione, che dovrebbe pertanto
costituire il minimo comune denominatore degli Stati
contraenti.
La contestualità della ratifica di una pluralità di atti
internazionali richiede, peraltro, un approfondimento dei
rapporti tra tali atti, specialmente laddove essi intervengano
sulle medesime materie.
Occorre sottolineare, ad esempio, che il protocollo della
Convenzione sulla tutela degli interessi finanziari delle
Comunità europee reca una definizione di corruzione passiva e
di corruzione attiva che non corrisponde completamente alla
definizione della Convenzione relativa alla lotta contro la
corruzione nella quale sono coinvolti funzionari comunitari o
nazionali.
Nel primo caso, infatti, la corruzione passiva si ha
quando il funzionario deliberatamente, direttamente o tramite
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un terzo, sollecita o riceve vantaggi di qualsiasi natura, per
sé o per un terzo, o ne accetta la promessa, per compiere o
per omettere un atto proprio delle sue funzioni o
nell'esercizio di queste, in violazione dei suoi doveri di
ufficio, che leda o potrebbe ledere gli interessi finanziari
delle Comunità europee.
La seconda delle convenzioni richiamate fa invece
riferimento ad un intermediario, anziché ad un terzo, e non fa
riferimento alla lesione degli interessi finanziari
comunitari. Analoga distinzione riguarda anche la corruzione
attiva.
In modo corrispondente l'articolo 3 della convenzione PIF
richiama la responsabilità penale dei dirigenti delle imprese,
mentre la convenzione OCSE, all'articolo 2, richiama la
responsabilità delle persone giuridiche. Se è vero che viene
permesso a ciascuna parte contraente di adottare le misure
necessarie, pur tuttavia si costituisce un obbligo, quello di
individuare misure per stabilire la responsabilità delle
persone giuridiche per la corruzione di pubblico ufficiale. Si
dovrà valutare in quale misura una disposizione del genere sia
compatibile con l'ordinamento italiano, in particolare con il
principio sintetizzato dal brocardo societas delinquere non
potest.
Di tali aspetti, relativi alla potenziale sovrapposizione
di alcune disposizioni dei diversi atti internazionali, si fa
carico la stessa relazione introduttiva del Governo, che
sottolinea - ad esempio - circa i rapporti tra il primo
protocollo della convenzione PIF e la Convenzione relativa
alla lotta alla corruzione, che "la convenzione sulla
corruzione, dal canto suo, non reca disposizioni
sostanzialmente innovative rispetto al primo protocollo, ma ne
allarga lo scopo".
Il testo del disegno di legge, oltre agli articoli
relativi alla ratifica ed all'entrata in vigore sul piano
internazionale, introduce, all'articolo 3, una disposizione
sulla concussione e corruzione di funzionari delle Comunità
europee e di Stati esteri; all'articolo 4 modifica in testo
unico in materia di reati doganali; all'articolo 5 modifica la
legge n. 898 del 1986 in materia di frode ai danni del Fondo
europeo agricolo di orientamento e garanzia; l'articolo 6
riguarda la responsabilità delle persone giuridiche;
l'articolo 7 l'autorità responsabile per le finalità della
convenzione OCSE; infine, l'articolo 8 reca la clausola di
entrata in vigore.
L'articolo 3 introduce l'articolo 322- bis del codice
penale. In base ad esso, le disposizioni sulla concussione e
relative pene accessorie, sulla corruzione per un atto
d'ufficio o contrario ai doveri d'ufficio, e relative
circostanze aggravanti, sulla corruzione in atti giudiziari e
sulla corruzione di persona incaricata di un pubblico
servizio, oltre che sull'istigazione alla corruzione, si
applicano anche ad una serie di ulteriori soggetti.
Le indicate disposizioni verrebbero applicate anche ai
membri della Commissione, del Parlamento europeo, della Corte
di giustizia e della Corte dei conti delle Comunità; ai
funzionari e agli agenti comunitari; alle persone comandate
dagli Stati membri o da qualsiasi ente pubblico o privato
presso le Comunità, che esercitino funzioni corrispondenti ai
funzionari o agenti; ai membri e agli addetti degli enti
costituiti sulla base dei trattati; a coloro che, nell'ambito
di altri Stati membri dell'Unione europea, svolgono funzioni o
attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e
degli incaricati di un pubblico servizio. Proprio quest'ultima
categoria sembra potersi interpretare in modo più o meno
discrezionale, in quanto la nozione di corrispondenza alla
funzione di pubblici ufficiali o incaricati di pubblico
servizio potrebbe ricevere diversa estensione e, in ultima
analisi, confliggere con la stessa tassatività della norma
penale.
Il secondo comma prevede, invece, l'applicazione delle
pene per il corruttore (articolo 321 del codice penale) e dei
soli primi due commi, relativi all'istigazione alla
corruzione, dell'articolo 322 del codice penale ai medesimi
soggetti indicati, nonché a persone che esercitino funzioni o
attività corrispondenti a quelle di pubblico ufficiale o di
incaricato di un pubblico servizio, qualora il fatto sia
commesso
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per procurare a sé o ad altri un indebito vantaggio in
operazioni economiche internazionali.
E' poi previsto un comma che assimila le persone indicate
nel primo comma ai pubblici ufficiali, qualora esercitino
funzioni corrispondenti, e agli incaricati di un pubblico
servizio negli altri casi.
E' poi prevista l'introduzione dell'articolo 322- ter
del codice penale in base al quale, in caso di condanna o di
patteggiamento, per alcuni dei reati richiamati, è sempre
ordinata la confisca dei beni che ne costituiscono il profitto
o il prezzo, salvo che appartengano a persona estranea al
reato, ovvero, quando essa non è possibile, la confisca di
beni, di cui il reo ha la disponibilità, per un valore
corrispondente a tale profitto o prezzo.
Occorre ricordare che, in base all'articolo 240 del codice
penale, è già prevista la possibilità di confisca delle cose
che costituiscono il prezzo del reato. L'innovazione della
disposizione speciale recata dall'articolo 322- ter
riguarderebbe pertanto il carattere obbligatorio della
confisca, in caso di reati di corruzione o concussione, per i
beni che costituiscono il profitto del reato. Tale ipotesi è,
invece, facoltativa per la disposizione generale dell'articolo
240.
Costituisce poi innovazione speciale rispetto all'articolo
240 la confisca di beni, di cui il reo abbia la disponibilità,
per il valore corrispondente al profitto o al prezzo. E'
evidente che, in questa formulazione, tale ipotesi speciale di
confisca si applicherebbe non solo ai funzionari comunitari,
ma anche ai pubblici ufficiali o incaricati di pubblico
servizio in genere.
Occorre ricordare che la II e la III Commissione, dando
seguito al parere della I Commissione, hanno esplicitato,
anche nella rubrica dell'articolo 3, che esso riguarda anche i
membri di organi dell'Unione europea.
L'articolo 4 reca una modifica del testo unico in materia
di reati doganali: si prevede un aggravamento di pena per i
reati ivi previsti, per cui, alla multa già prevista per le
infrazioni commesse, si aggiungerebbe la reclusione fino a tre
anni quando l'ammontare dei diritti di confine dovuti sia
maggiore di lire 90 milioni. Analoghe fattispecie di maggiore
gravità, che aggiungono la reclusione alla multa, sono già
previste dall'articolo 295, ma sono connesse alla maggiore
gravità del comportamento soggettivo: presenza o utilizzo di
armi, pluralità di soggetti puniti o ostacolo agli organi di
polizia, concorso di reati, associazione per la commissione di
contrabbando.
L'articolo 5 modifica la legge concernente le frodi ai
danni del Fondo europeo agricolo di orientamento e
garanzia.
L'articolo 6, sicuramente il più importante, riguarda la
responsabilità delle persone giuridiche. E' in primo luogo
necessario richiamare quanto già sottolineato circa la
compatibilità con il nostro ordinamento della responsabilità
penale delle persone giuridiche. Si consideri che l'articolo 6
del disegno di legge originario prevedeva che la legge
stabilisse i casi nei quali le persone giuridiche sono
autonomamente responsabili dei reati di corruzione attiva e di
istigazione alla corruzione, nonché le sanzioni ad esse
applicabili.
Trattandosi di una legge ordinaria, ovviamente, la
disposizione non introduceva una riserva di legge, bensì una
sorta di norma "manifesto" che, senza innovare sostanzialmente
nell'ordinamento, rinviava a sua volta ad un successivo
intervento del legislatore.
Le Commissioni hanno, quindi, inteso dare una risposta più
adeguata alla questione della responsabilità delle persone
giuridiche, muovendo in primo luogo dal testo dell'articolo 2
della convenzione OCSE. In base ad esso, ciascuna parte deve
adottare le misure necessarie, secondo i propri principi
giuridici, per stabilire la responsabilità delle persone
giuridiche per la corruzione di pubblico ufficiale straniero.
Tale articolo, dunque, non impone al nostro ordinamento di
introdurre il principio della responsabilità penale delle
persone giuridiche che, com'è noto, pone non pochi problemi di
conformità alla Costituzione (in primis alla personalità
della responsabilità
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penale, di cui all'articolo 27 della Carta costituzionale
inteso in un'accezione sostanzialistica).
L'articolo 6 del provvedimento qui sottoposto
all'attenzione dell'Assemblea costituisce una soluzione che
individua una forma di illecito amministrativo a carico delle
persone giuridiche. Si è cercato di definire linee guida
efficaci per una nuova disciplina della responsabilità delle
persone giuridiche in connessione con la commissione dei reati
di corruzione interessati dal provvedimento in esame.
Come evidenziato, il testo prende atto delle difficoltà
teoriche e pratiche, oltre che di ordine costituzionale,
legate all'individuazione di una responsabilità penale delle
persone giuridiche. Per questo motivo, in connessione con la
responsabilità penale personale dei responsabili delle persone
giuridiche, viene individuata una responsabilità di queste
ultime. La sanzione di carattere amministrativo risulterebbe
pecuniaria, se il reato è commesso a vantaggio della persona
giuridica; interdittiva in aggiunta a quella pecuniaria, se
l'illecito è strumentale all'attività della persona giuridica.
Spetta all'autorità amministrativa competente per territorio
applicare la sanzione. L'autorità amministrativa riceve la
sentenza che attesta il nesso di strumentalità o vantaggio
della persona giuridica ed esercita un potere discrezionale
nell'individuazione della sanzione più idonea. Avverso il
provvedimento sanzionatorio è ammesso ricorso all'autorità
giudiziaria ordinaria, in base al rinvio operato dalla legge
n. 689 del 1981.
L'articolo 6 è dunque diretto a delegare al Governo
l'emanazione della disciplina della responsabilità delle
persone giuridiche, in relazione a reati previsti nel
provvedimento in esame, e recepisce il contenuto di una
proposta del deputato Meloni in ordine alla responsabilità
delle persone giuridiche, nonostante che tale proposta non sia
stata formulata nei termini di delega legislativa.
Lo strumento della delega è apparso, invece, il mezzo più
idoneo per ottemperare veramente agli obblighi assunti in sede
internazionale e contestualmente disporre di un congruo e
determinato periodo di tempo (sei mesi) per l'elaborazione di
una disciplina compiuta in materia. Inoltre, i principi e i
criteri di delega sono sufficientemente determinati ed
efficaci nella realizzazione dell'obiettivo del provvedimento.
Non a caso, ad esempio, è stata prevista l'esclusione del
pagamento in misura ridotta, di cui all'articolo 16 della
citata legge n. 689, nonché il ricorso alla confisca, alla
chiusura dello stabilimento, alla sospensione dell'attività,
alla revoca dell'eventuale concessione.
E' da ritenere infine, conformemente a quanto emerge dal
disegno di legge in esame, che le disposizioni già vigenti nel
nostro ordinamento siano più che sufficienti ad assicurare il
rispetto delle norme pattizie sulla competenza e sulla
connessa cooperazione fra gli Stati per il perseguimento dei
reati in questione.
In conclusione, è necessario che anche nel nostro
ordinamento non rimangano lacune che impediscano nei fatti di
perseguire gravi forme di illecito per attività di soggetti in
passato senz'altro residuali ma ormai, e purtroppo, sempre più
rilevanti anche nell'ambito del processo di integrazione
comunitaria. Per queste ragioni il relatore raccomanda la
ratifica di questo provvedimento.
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