| GIUSEPPE GIULIETTI, Relatore. Signor Presidente, il
provvedimento all'esame dell'Assemblea si occupa, come recita
il titolo, della proroga delle concessioni
Pag. 3
alle emittenti televisive e radiofoniche, nazionali e locali
e dell'introduzione di norme antimonopolistiche - questo mi
pare l'aspetto importante - nel settore della nascente
piattaforma digitale, che è un tema largamente discusso in
Italia e in Europa.
E' un decreto-legge che è stato esaminato con grande
attenzione non solo al Senato ma anche dalla Commissione
cultura della Camera e sul quale si è svolto un dibattito, pur
nella diversità delle posizioni di consenso e di dissenso,
approfondito e rigoroso. Di ciò voglio dare atto in premessa a
tutte le forze politiche che, ancora una volta, su una materia
così delicata che riguarda l'assetto delle telecomunicazioni
e, in qualche modo, le regole del gioco, hanno dimostrato
ampia disponibilità al confronto e alla convergenza, quando
possibile.
Del resto - lo ricordo anche al Governo e al
sottosegretario Lauria - questo decreto segue ad un'intensa
attività legislativa che ha visto approvare in questi ultimi
due anni prima la legge n. 249 (che ha istituito, tra l'altro,
l'autorità per le telecomunicazioni) e, poi, la legge n. 122
che ha segnato una piena integrazione in Europa del nostro
sistema radiotelevisivo e delle telecomunicazioni abbandonando
quella posizione di retroguardia che tante critiche aveva
sollevato in sede europea.
In pratica, negli ultimi due anni, l'Italia, con il
concorso delle Assemblee parlamentari (questo spesso non è
stato sottolineato) in modo determinante e delle opposizioni,
ha lasciato la maglia nera nel settore delle telecomunicazioni
per ammissione della stessa Commissione europea, collocandosi
tra i paesi che più stabilmente hanno sperimentato la
liberalizzazione e le nuove regole in questo settore.
Il decreto al nostro esame si pone come un ponte in attesa
del completamento della riforma del sistema radiotelevisivo
che sarà segnata dalla ripresa della discussione e
dall'approvazione - ci auguriamo -, presso il Senato, del
provvedimento n. 1138. Del resto, tutte le forze politiche,
non solo della maggioranza ma anche dell'opposizione -
alleanza nazionale, lega e forza Italia -, nel corso del
dibattito hanno insistito sulla necessità che a questo decreto
segua l'approvazione in tempi brevi della complessiva riforma
del sistema radiotelevisivo, che ne rappresenterebbe il
completamento visto che nel provvedimento n. 1138 - fermo al
Senato - sono contenute le norme relative all'indice di
affollamento pubblicitario con quel che ne consegue per
l'armonia dell'intero sistema radiotelevisivo ma anche
dell'assetto della carta stampata, settore troppo spesso
trascurato o dimenticato nelle nostre riflessioni.
Esso riguarda anche la riforma della RAI e il pieno
riconoscimento del ruolo e della funzione dell'emittenza
locale.
Pur nella diversità delle posizioni, io ritengo che
sarebbe auspicabile - come è accaduto al Senato - la votazione
di un ordine del giorno unitario a sostegno della volontà
manifestata nella Commissione circa una rapida ripresa della
discussione ed una sollecita approvazione del disegno completo
di riforma del sistema.
D'altro canto la proroga delle concessioni contenute in
questo provvedimento ha bisogno di un rapido completamento
all'iter legislativo. Se noi arrivassimo entro la fine
dell'anno a completare il piano di assegnazione delle
frequenze ma non ad approvare le altre norme relative in primo
luogo all'emittenza radiotelevisiva locale, avremmo un disegno
di pianificazione senza le norme in grado di integrare
pienamente nel sistema industriale la piccola e media impresa
del nostro paese.
Il decreto proroga al luglio di quest'anno le concessioni
per le emittenti nazionali, al dicembre 1999 le concessioni
per le televisioni locali e al giugno 2000 quelle per le
emittenti radiofoniche; è poi contenuta nel decreto anche una
serie di altre scadenze. So bene che, quando si parla di
proroga - immagino che la questione emergerà anche domani in
Assemblea - tale termine suscita sempre un brutto ricordo in
quest'Assemblea nel settore radiotelevisivo, un settore nel
quale vi sono state troppe proroghe e
Pag. 4
troppi aggiramenti delle sentenze della Corte costituzionale.
E' una questione che suscita sempre grande preoccupazione che
è stata manifestata anche all'interno della Commissione.
Io ritengo, tuttavia, che non si tratti questa volta di
una proroga nel vuoto o nel deserto, bensì di una proroga che
cade nel pieno di una intensa attività svolta dall'autorità
per le telecomunicazioni e dal Ministero delle comunicazioni.
E' già stata svolta la pianificazione primaria in questo
settore che si attendeva da anni; è già stato elaborato il
conseguente regolamento da parte dell' authority e la
proroga dunque è necessaria per consentire un lavoro serio,
scientifico e rigoroso, capace di analizzare con attenzione
tutte le domande che saranno presentate. Vi ricordo che sono
centinaia le radio e le televisioni in Italia; in alcune
regioni esse sono presenti in maniera persino massiccia: penso
al nord-est e al nord-ovest ed anche alla Sicilia e alla
Campania, regioni dove sono molto numerose le radio e le
televisioni e nelle quali, dunque, l'attività di
pianificazione e di esame delle domande o è fatto con grande
serietà o con colpi di mano, o è fatto con la falce o per
eliminare senza un'analisi seria numerose radio e
televisioni.
Penso invece che sia meglio concedere questa proroga
perché è inserita in un percorso e purché si prosegua quel
positivo disegno di confronto che è già in atto presso il
ministero e presso l' authority. A questo proposito,
dobbiamo ricordare che, se si è registrato qualche ritardo
(intendo sottolinearlo perché questo ha rappresentato un tema
di grandi discussioni e di polemiche), esso non è imputabile
alla nuova autorità per le comunicazioni (lo dico sia al
Governo sia ai rappresentanti delle forze politiche). Noi
abbiamo istituito una autorità che ha dovuto assolvere ad una
serie di compiti molto delicati in questi mesi (ricordo il
ragionamento e la riflessione sul piano delle frequenze);
occorre però che tutti si operi affinché l'autorità abbia
pienezza di mezzi, di dotazioni tecniche e scientifiche e
affinché sia messa nelle condizioni di essere operativa.
Vorrei richiamare un solo esempio. Noi abbiamo molte regole
per gli indici di affollamento pubblicitario, per le
telepromozioni e per il problema dei cartoni animati rispetto
ai programmi dell'infanzia. Ho la sensazione, però, che
l'autorità non sia nelle condizioni in questa fase di
monitorare le trasmissioni! Vi è, quindi, il rischio che
numerose regole possano essere aggirate, non per cattiva
volontà, ma per assenza degli strumenti del controllo.
Anche sotto questo profilo, credo sarebbe necessario
colmare ogni ritardo dando vita ad una attività di
monitoraggio seria e completa perché questa rappresenterebbe a
mio avviso un elemento di legalità; questa sarebbe non solo un
elemento di tutela delle imprese, ma anche una garanzia del
rispetto di regole generali fissate per la collettività.
Infatti, accanto agli interessi delle imprese, vi è un
elemento legato all'interesse generale che deve essere
perseguito con grande attenzione.
Queste sono le ragioni per le quali ritengo che la proroga
che stiamo prevedendo con il provvedimento al nostro esame sia
positiva. Si tratta di un lavoro essenziale per dare ordine e
sviluppo all'intero settore, che per anni non ha conosciuto
alcuna pianificazione e che, per la radio, non ha conosciuto
neanche dei tentativi di pianificazione!
Questa situazione di disordine rischia oggi di essere un
blocco per l'ulteriore sviluppo di centinaia e centinaia di
imprese (sono migliaia nel settore radiofonico e 700 nel
settore televisivo) ed un handicap per tante imprese serie
che hanno voglia di investire e di creare lavoro in questo
settore.
Per queste ragioni - mi riferisco agli articoli 1 e 3 del
decreto-legge al nostro esame - non solo la proroga è
giustificata da un punto di vista tecnico - l'urgenza - ma è
anche necessario procedere alla approvazione del provvedimento
in esame in modo estremamente rapido, evitando il rischio -
anche teorico - che, a partire dal prossimo 30 marzo, le
emittenti radiofoniche e televisive siano prive di regolare
Pag. 5
concessione e che quindi possano essere teoricamente
oscurate. E' questo un motivo - lo dico in premessa - che mi
porterà a valutare con grande attenzione gli emendamenti
presentati, anche se si dovrà tenere in considerazione, non
per mancanza di rispetto nei confronti delle opposizioni, la
necessità di procedere ad una rapida e tempestiva approvazione
del provvedimento, che deve essere presente a tutti noi (siamo
infatti giunti sul filo dei tempi per quanto riguarda questo
decreto-legge). Ritengo prioritario garantire
l'"illuminazione" del territorio alle radio ed alle
televisioni, proprio per tutto il ragionamento fatto sul
lavoro di pianificazione e di approvazione della seconda parte
dell'atto Senato n. 1138, relativo al completamento della
riforma, che seguirà.
A tale riguardo, mi permetto di mettere in evidenza alcune
segnalazioni fatte da membri dell'opposizione - mi riferisco
ad alleanza nazionale - e della maggioranza (penso ai popolari
e all'intervento dell'onorevole Rogna per i
democratici-l'Ulivo): ricorrendo prima allo strumento
dell'ordine del giorno e poi ad un emendamento all'atto Senato
n. 1138, potrebbero essere recepiti i contenuti di quelle
segnalazioni in modo integrale o comunque dimostrando grande
attenzione a questo tipo di proposte. Tutto ciò riguarda il
testo del decreto-legge sia all'articolo 1 che all'articolo 3.
Sottolineo però che non esiste soltanto questa urgenza tecnica
e che agli articoli 1 e 3 - grazie anche agli emendamenti
apportati dal Senato, su suggerimento di diverse forze
politiche - è previsto non solo il differimento dei termini
delle concessioni, ma contestualmente viene delineata pure una
ridefinizione dei ruoli e della funzione delle emittenti che
trasmettono nelle zone delle minoranze linguistiche. Sono
previste inoltre una modulazione del pagamento degli arretrati
per le concessioni televisive (sottolineo che questo è un tema
di grande importanza per molte radio e per molte televisioni);
una migliore definizione delle televendite e dell'attività
delle televisioni che vivono prevalentemente della
televendita; uno stanziamento di un fondo per le emittenti
radiofoniche e televisive che intendono sospendere la loro
attività. A quest'ultimo riguardo, vorrei ricordare che è
prevista una forma di indennizzo da parte del Ministero: non
si tratta però di una forma di assistenza, ma - se ho capito
bene - rientra nella razionalizzazione e nella pianificazione
di un incentivo all'accorpamento, alla fusione e ad un più
ordinato sviluppo del settore.
Devo notare che alcune forze politiche hanno sottolineato
l'esiguità del fondo di 16 miliardi. La materia sarà infatti
oggetto di alcuni emendamenti: al riguardo, penso che
potrebbero essere utili un ordine del giorno ed una
particolare attenzione da parte del Ministero, perché in
effetti il fondo appare esiguo rispetto sia alla mole sia alla
complessità della questione. Ritengo comunque che la
conversione in legge del decreto, in particolare degli
articoli 1 e 3 (arriverò poi all'articolo 2), possa
rappresentare, in questo contesto, un'iniezione di fiducia e
di serenità. Attualmente, troppe imprese, non solo minori,
della radio e della televisione vivono in una grande tensione:
mi permetto di segnalare il caso di Telemontecarlo, che si
trova in una fase di grande difficoltà, segnalata anche dagli
organismi sindacali interni: vi è quindi bisogno di una
risposta che tenda a dare elementi di fiducia e l'idea che
questa volta si possa parlare delle concessioni in un clima
che esalti l'aspetto tecnico rispetto a quello politico.
Ecco perché a me pare importante dare un segnale rapido ed
il più unitario possibile, dato che questa proroga si colloca
nell'ambito del cammino che ho provato a delineare: mi auguro
che tale cammino possa proseguire - mi rivolgo al Governo -
attraverso un confronto che confermi il metro della
concertazione. E' peraltro necessario non solo un confronto
tra le forze politiche sull'atto Senato n. 1138, ma anche un
confronto serrato con tutte le associazioni del settore per
quanto riguarda la definizione e l'assegnazione finale delle
frequenze: ritengo infatti che le associazioni del settore
siano
Pag. 6
una ricchezza e possano rappresentare un contributo di
arricchimento del nostro lavoro.
In conclusione mi soffermo sull'articolo 2, relativo alla
piattaforma digitale: si tratta della norma, tradotta
rapidamente, che rende impossibile ad un solo operatore
acquistare più del 60 per cento dei diritti di trasmissione in
esclusiva in forma codificata del campionato di calcio di
serie A. Già nella sua indicazione, si nota la difficoltà di
questa norma, che non ha altri punti di riferimento in Europa:
è una norma che ha suscitato una grande e legittima
discussione, che non deve scandalizzare e che ha visto
partecipi membri del Governo, componenti della maggioranza e
delle opposizioni, tecnici e giuristi. Molte sono state le
domande: perché il tetto del 60 per cento? Perché soltanto la
serie A e non l'insieme delle manifestazioni calcistiche?
Perché solo il calcio e non anche il cinema? Come si calcola
il valore di una partita di calcio? Non vi è il rischio - è
un'altra domanda legittima che è stata posta - che, per
esempio, chi detiene, come Canal Plus, il controllo delle
partite di calcio delle squadre più forti possa avere una
posizione dominante rispetto a chi, invece, ha il controllo di
squadre di calcio, diciamo, meno apprezzate o apprezzabili sul
piano economico?
Sono domande a mio giudizio fondate e tutt'altro che
capziose: non si corre, quindi, il rischio di favorire questo
o quel gruppo introducendo una norma che prevede un tetto del
60 per cento? Al Senato questo dubbio è stato risolto
modificando in parte il testo del Governo, mantenendo il tetto
del 60 per cento, limitandolo alla sola serie A e non
estendendolo all'insieme delle manifestazioni sportive, non
introducendo - questo mi sembra un aspetto importante - una
norma rigida che definisca una volta per tutte il 60 per cento
ma esaltando, se ho ben compreso (sottosegretario Lauria, mi
sembra che fu anche oggetto di un suo intervento) il ruolo
delle autorità di garanzia ed una certa flessibilità. Si
prevede, cioè, un tetto del 60 per cento ma anche che spetti
all' authority verificare quel tetto e che, in assenza di
competizione fra più soggetti, la stessa authority possa
modificare la norma sul 60 per cento. Vi è quindi una capacità
di intervento in tempo reale: l'aver introdotto questo
elemento di flessibilità mi sembra un fatto positivo, perché
si crea così la possibilità di adeguare costantemente la norma
alle mutate condizioni di mercato.
Si è osservato: ma perché si introduce questo tetto ora,
ab origine, all'inizio del processo? Anche da ciò deriva
l'urgenza: perché in questi mesi si sta formando il mercato
della piattaforma digitale e si stanno formando le possibili
posizioni di cartello, di monopolio e dominanti. Non è un
caso: la vicenda della piattaforma digitale è non italiana ma
europea: gli stessi problemi che stiamo affrontando nelle
nostre aule parlamentari vengono affrontati in Spagna, Francia
e Germania. Non casualmente lo stesso gruppo che ha chiesto di
entrare in Italia - legittimamente: guai se demonizzassimo un
qualsiasi gruppo imprenditoriale in questa materia, perché
sarebbe contraddittorio rispetto al mercato -, il gruppo
Murdoch, uno dei soggetti concorrenti, in modo molto esplicito
ha subordinato l'entrata nel mercato italiano alla possibilità
di acquisto in blocco, cioè in forma monopolistica, di ciò che
riguarda l'intera lega calcio. Questa fu la richiesta, mi
sembra esplicita, che portò poi ad una rottura della
trattativa: tuttavia, tali questioni interessano non il
Parlamento ma le imprese italiane. Ora c'è un rischio di altra
natura e cioè che lo stesso Canal Plus, che già deteneva
diritti importanti nel settore calcistico, possa trovarsi ad
operare in una posizione di monopolio.
Dovremmo quindi porci la seguente domanda: se
paradossalmente oggi abrogassimo la norma relativa al 60 per
cento, avremmo un mercato più libero o si creerebbe
immediatamente il monopolio di un solo soggetto? In sostanza,
desidero sottolineare che la situazione di mercato che si
forma è per certi aspetti paradossale; la norma è stata
impugnata fin dall'inizio perché qualcuno disse che
Pag. 7
rischiava di essere una norma contro Murdoch; oggi nel corso
dell'audizione i colleghi hanno registrato una critica da
parte dei rappresentanti di Canal Plus alla stessa norma
perché ora il 60 per cento rischierebbe di diventare
limitativo per loro che rimarrebbero l'unico gruppo.
Ecco perché penso che il Governo abbia fatto bene a
mantenere il 60 per cento, ma con gli strumenti di
flessibilità introdotti, strumenti validi erga omnes. Ci
si è chiesti giustamente quale fosse il motivo dell'urgenza;
il provvedimento si sarebbe potuto fare successivamente? Penso
che sarebbe stato rischioso, intanto perché più volte la Corte
costituzionale ci ha segnalato, anche nel passato recente, che
le posizioni dominanti di monopolio o vengono intercettate
all'inizio, oppure attenderne la determinazione diventa una
finzione perché, in realtà, si fa solo finta di intervenire
successivamente.
Anche la nostra tradizione conferma che prima vi è stata
la formazione dei monopoli e dei cartelli, poi quella delle
authority. E' un rischio che nessuno di noi, credo,
volesse e potesse correre.
Ritengo, pertanto, che sia stata scelta una strada
corretta; si può discutere della norma, e credo che lo si farà
nei prossimi mesi, infatti nessuno può impedire al Governo o a
noi di ridefinirla, di verificare se non sia troppo rigida, se
sia necessaria la funzione dell'autorità, o anche di
accogliere una preoccupazione che è venuta dai colleghi
dell'opposizione: in prima istanza, si muove l'autorità del
mercato o l'autorità per le telecomunicazioni?
Proprio perché ho espresso preoccupazioni sugli
emendamenti, penso che il Governo, che mi pare abbia scelto la
via della flessibilità, possa rivedere il meccanismo come è
descritto e capire se funziona, oppure se non sia necessario
apportare alcune modifiche.
Penso si possa discutere della norma, ma sull'urgenza non
vi è dubbio. Essa, infatti, non solo risponde alla
giurisprudenza della Corte costituzionale, ossia la necessità
di colpire prima le posizioni dominanti, ma interrompe -
bisogna darne atto al Ministero delle comunicazioni, al
ministro Cardinale e ai sottosegretari Lauria e Vita che si
sono impegnati molto seriamente - quella pessima tradizione
che ci ha visti sempre intervenire a cose fatte, a monopoli
consolidati.
Non a caso, per la prima volta in Europa una norma
elaborata in Italia è oggetto di attenzione e di studio;
problemi analoghi, infatti, si stanno ponendo sul mercato di
riferimento europeo.
Penso sarebbe opportuno da parte del Governo italiano
assumere un'iniziativa oggi e dopo le elezioni, in sede di
Unione europea, affinché si cominci finalmente a valutare la
possibilità, non solo di avere un' authority europea in
materia di telecomunicazioni, ma almeno una direttiva comune,
un coordinamento fra le authority nazionali. La vicenda
della piattaforma digitale, infatti, ci insegna che con
operatori transnazionali che operano, come legittimo, con
grande durezza e spregiudicatezza, non può più essere la
dimensione dei bacini nazionali ad affrontare il tema delle
telecomunicazioni, ma occorre un forte coordinamento europeo,
al fine di evitare difformità, interventi diversi, mercati con
regole diverse e, quindi, il rischio di un'alterazione delle
regole della competizione e della concorrenza. Si tratta di
una critica che occorre tenere presente.
Signor Presidente, mi avvio alla conclusione e desidero
far rilevare che la critica che avremmo dovuto formulare con
maggiore attenzione - e che mi permetto di segnalare al
Governo - riguarda il contesto. Il punto vero che avrebbe
dovuto accompagnare il provvedimento in esame, infatti, non è
tanto la valutazione sull'urgenza, poiché essa caratterizza
tutto il provvedimento, in quanto necessario e d'avanguardia
soprattutto per il sistema delle imprese italiane grandi e
piccole, quanto proprio il contesto, al quale nei prossimi
giorni dovremmo prestare particolare attenzione. Mi rivolgo al
sottosegretario Lauria per chiedere, da parte del Governo,
alcune
Pag. 8
rassicurazioni sulle politiche industriali nel settore delle
telecomunicazioni. Perché lo dico?
Perché questo provvedimento non contiene soltanto quanto
ho riferito sulla piattaforma digitale, ma anche un'importante
norma sul decoder aperto. Credo, quindi, che dovremo
tornare a ragionare - mi permetto di porre la questione in
questo modo - con molta convinzione sulla possibilità di dar
vita in Italia - e ciò discende dal ragionamento fatto prima -
ad una piattaforma tecnologica comune. Si tratta di una strada
che ho visto percorrere...
| |