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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


435447
STA0509-0018
Somm. e Sten. d'Aula n. 509 del 22 marzo 1999 (STA13-509)
(suddiviso in 86 Unità Documento)
Unità Documento n.18 (che inizia a pag.10 dello stampato)
(il TITOLO si trova nell'Unità Documento n.8)
DISCUSSIONE: C5784. ...(Discussione sulle linee generali - A.C. 5784) LAVASS
...DISCUSSIONE: C5784. ...(Discussione sulle linee generali - A.C. 5784)
MARIO LANDOLFI.
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE PIERLUIGI PETRINI
ZZSTA ZZRES ZZSTA220399 ZZSTA990322 ZZSTA000399 ZZSTA000099 ZZSTA509 ZZ13 ZZDI ZZLL
    MARIO LANDOLFI.  Signor Presidente, onorevole
  rappresentante del Governo, onorevoli colleghi, l'intervento
  del relatore, onorevole Giulietti, ha rafforzato la nostra
  convinzione: il Governo ha sbagliato a voler intervenire con
  un decreto-legge in questioni che sarebbe stato più opportuno
  affrontare con un disegno di legge.
     Il relatore ha ricordato questioni importanti: il rapporto
  tra l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e
  l'Autorità garante della concorrenza e del mercato; il
  decoder  aperto; il limite del 60 per cento.  Questi sono
  tutti argomenti importanti, ma non possono essere oggetto di
  discussione parlamentare in quanto inseriti in un
  decreto-legge.  L'urgenza ha fatto sì che, di fatto, argomenti
  così importanti e delicati, nonché determinanti per lo
  sviluppo dell'industria nazionale nel settore delle
  telecomunicazioni, siano stati inseriti in un decreto-legge
  concernente la proroga delle concessioni televisive e
  radiofoniche, locali e nazionali.
     Pochi Governi di paesi normali - tanto per usare una
  terminologia cara al Presidente del Consiglio dei ministri -
  avrebbero emanato un decreto-legge, pur rischiando di essere
  censurati da chi è preposto alla tutela della Costituzione o
  alla tutela dell'autonomia della volontà del Parlamento.  In
  Italia, invece, si spacciano per urgenti norme che tali non
  sono: ciò è stato affermato anche dal Comitato per la
  legislazione.  Noi ci permettiamo, in modo sommesso e modesto,
  di ricordare all'Assemblea che contestiamo la necessità e
  l'urgenza in particolare dell'articolo 2 del decreto-legge al
  nostro esame.
     Nulla osta, invece, da parte nostra, per quanto riguarda
  la questione relativa alle proroghe, di cui parleremo nel
  corso dell'esame degli articoli del provvedimento.  Ci sembra,
  però, eccessivo considerare necessario ed urgente quanto
  previsto dall'articolo 2 del provvedimento per quanto dirò in
  seguito.
     Onorevole Lauria, con l'articolo 2 viene inaugurata in
  Italia, dal punto di vista legislativo, l'era del digitale
  senza, però, poterne parlare perché dobbiamo fare in fretta
  altrimenti scadono i termini per la conversione del
  decreto-legge e non vi sarebbe la possibilità di prorogare le
  concessioni.
     Quando si parla di era del digitale, non si parla di un
  qualcosa di astratto o che è noto solo a pochi iniziati, ma di
  una questione molto seria che riguarda la convergenza
  tecnologica.  Si tratta di un qualcosa, cioè, che, per le
  conseguenze che avrà, può essere paragonato alla
 
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  rivoluzione industriale, visto che inciderà nel rapporto tra
  cittadini e pubblica amministrazione, tra cittadini ed
  istituzioni, nonché tra cittadini e politica: sarà un modo,
  cioè, di rapportarsi alla politica attraverso un' agorà
  telematica.
     Si tratta, evidentemente, di una questione molto
  importante di cui non possiamo parlare, però, perché inserita
  in un decreto-legge.  Una questione, cioè, che porta anche ad
  un ampliamento delle frontiere del servizio pubblico
  radiotelevisivo perché la RAI, con questa norma, entra nella
  piattaforma digitale, in qualità di socio di minoranza, di un
  gruppo che si avvia a diventare monopolista, per effetto di
  questo decreto-legge, relativamente all'acquisto dei diritti
  televisivi per le partite di calcio.
     Vogliamo ricordare che il canone che pagano i cittadini in
  virtù di un contratto di servizio servirà anche a finanziare
  le nuove tecnologie?  I cittadini andranno quindi a finanziare
  anche il gruppo francese; diventeranno cioè soci di fatto
  senza averne alcun diritto.  Questi sono dunque argomenti dei
  quali e sui quali il Parlamento si deve interrogare ed avere
  la possibilità di esprimersi.
     Cosa ha fatto invece il Governo?  Mi viene in mente
  un'immagine, quella dello "scafista" albanese; ebbene con tale
  proroga il Governo ha preso, per così dire, in ostaggio le
  emittenti nazionali e locali ed ha "imbarcato" nel decreto
  anche la  pay- TV per farla "sbarcare" clandestinamente.
  E' stata questa l'azione del Governo!  Noi ci chiediamo e
  chiediamo: perché tanta fretta?  L'onorevole Giulietti ha
  cercato di dare una risposta a questo interrogativo, una
  risposta che però non ci sembra convincente.  Noi non diciamo
  di rinviare una normativa sulla  pay- TV, contestiamo però
  che essa sia contenuta in un decreto.  Avremmo potuto impiegare
  il tempo necessario per l'esame del disegno di legge di
  conversione di questo decreto per la trattazione di un
  provvedimento di legge su questa materia.  Lo si sarebbe potuto
  fare anche senza lo strumento della "concertazione", apprezzo
  tuttavia l'apertura fatta dall'onorevole Giulietti e lo
  spirito con cui l'ha fatta.
     Senatore Lauria, perché sulla legge istitutiva
  dell'autorità di garanzia per le comunicazioni (la n. 249) ci
  siamo confrontati, come maggioranza ed opposizione?  Perché nel
  varare la normativa n. 650, concernente la proroga delle
  concessioni, ci siamo confrontati seppur aspramente?  Perché
  abbiamo fatto la stessa cosa con la legge con la n. 122?  In
  Italia, siamo arrivati all'inaugurazione del sistema digitale
  e il Governo non solo non si confronta né parla con le
  opposizioni, ma addirittura inserisce tutto in un decreto
  legge; sembra quasi che voglia far passare queste cose,
  diciamo pure, in cavalleria.
     A mio avviso la risposta è contenuta proprio nella norma
  che fissa il tetto del 60 per cento nell'acquisizione dei
  diritti delle trasmissioni delle partite di calcio.
     Abbiamo già avuto modo di ascoltare, in sede di
  Commissione, dal sottosegretario Vita e dall'onorevole
  Giulietti, la giustificazione, il fondamento di questo limite
  del 60 per cento.  Il Governo e la maggioranza dicono di aver
  fissato tale tetto massimo per impedire che qualcuno diventi
  monopolista in un settore così delicato, importante e che
  promette una rapidissima evoluzione e quindi scenari futuri
  forse anche completamente diversi da quelli a cui oggi noi
  assistiamo.
     Vorrei fare alcune obiezioni.  La prima è che in nessuna
  legislazione europea esiste questo limite.  Vi sono tendenze in
  atto, discussioni aperte, riflessioni, si faranno tavole
  rotonde, verranno pubblicati dotti articoli sui giornali, ma
  se dobbiamo guardare oggi alla legislazione europea, ebbene
  l'Italia rappresenta un caso unico.  Molte volte noi diciamo di
  voler guardare all'Europa, per metterci al suo passo.  Ebbene,
  questa volta stiamo tentando di fare un passo che in Europa
  nessuno ancora si è sognato di fare.
     Vi sarà un motivo per il quale paesi come la Francia, la
  Germania, l'Inghilterra,
 
                              Pag. 12
 
  la Spagna e l'Olanda non hanno fissato un tetto
  massimo che invece tra qualche giorno ci sarà in Italia?
     La seconda obiezione è sul merito.  La tesi del Governo
  sarebbe in qualche modo condivisibile, potrebbe cioè anche
  essere giusta se il mercato italiano fosse sgombro, vergine,
  ma così non è.  Abbiamo infatti già un operatore presente in
  Italia, che è titolare in esclusiva, per l'anno in corso, dei
  diritti riguardanti il campionato di calcio.  Aggiungo che
  questi ha già acquistato fino al 2006 (in virtù di una legge
  vi sarà comunque una riduzione di tre anni) i diritti relativi
  alle partite delle squadre più importanti quali Inter,
  Juventus e Milan; nonché alle partite di importanti squadre a
  livello regionale quali Bari, Venezia e Cagliari.  Siamo forse
  già oltre il 60 per cento previsto da questo decreto-legge.
  Chi possiede conoscenze anche minime al riguardo, sa
  perfettamente che la realizzazione di una piattaforma digitale
  (strumento che serve a trasmettere un segnale in forma
  codificata che deve essere poi ricevuto in forma decodificata)
  non è uno scherzo.  Dal punto di vista finanziario è un bagno
  di sangue, prova ne sia quanto accaduto in Germania con un
  magnate del calibro di Kirch.
     Sappiamo che per realizzare una piattaforma digitale
  occorrono centinaia e centinaia di miliardi che tornano, in
  termini di investimento, dopo anni.
     Ripercorriamo brevemente quanto accaduto negli ultimi
  tempi.  Siamo partiti da un emendamento presentato dal Governo
  alla legge n. 249 che prevedeva la realizzazione di una
  piattaforma digitale comune.  E' intervenuta poi la Commissione
  europea con Van Miert che ha evidenziato la necessità di due
  piattaforme digitali perché, secondo le sue indicazioni, una
  sola non tutela la concorrenza.  Siamo, quindi, caduti
  nell'ipocrisia poiché stiamo facendo finta di gettare le
  premesse per realizzare una seconda piattaforma digitale.  Ma,
  con il pasticcio che stiamo combinando oggi con l'articolo 2
  di questo decreto-legge, possiamo pure stare tranquilli perché
  non ci sarà mai una seconda piattaforma digitale.  Nessuno
  sarà, infatti, così pazzo da investire centinaia di miliardi
  per vedere giocare club di serie B o che non esercitano presso
  i tifosi l' appeal  che hanno le squadre che prima ho
  citato.
     Ecco perché ci troviamo di fronte ad un decreto-legge che
  reca una norma ipocrita, così come è ipocrita il fatto che si
  sia ridotta, per le ragioni che esponevo prima, la durata dei
  contratti a tre anni, in situazioni come quella italiana in
  cui è presente un solo operatore.  Vi è, quindi, l'ammissione
  della presenza di un solo operatore nel mercato della
  pay- TV in Italia attraverso la riduzione a tre anni dei
  contratti già stipulati.
     Tralascio di citare alcuni fatti che pure sono accaduti, a
  sostegno di questa mia tesi.  Comunque, il travaglio che ha
  accompagnato questo decreto-legge, le voci che si sono
  inseguite circa le pressioni, per carità, legittime (in
  America le  lobby  sono addirittura iscritte in un
  apposito albo), dimostrano che vi è stata una concertazione
  extraparlamentare, sicuramente non con le opposizioni.
     Il quotidiano  Roma  il 3 febbraio scorso ha
  pubblicato, senza essere mai smentito, i tre testi
  dell'articolo 2 sfornati in pochissime ore da palazzo Chigi.
  Evidentemente non si è giocato con le opposizioni, ma con le
  lobby  si è fatta una partita notturna in differita senza
  spettatori.
     In un'intervista a Pierre Lescure - che il Governo ha
  dovuto fronteggiare chiedendo ed ottenendo, in qualche modo,
  una rettifica - il presidente del colosso francese rivendicava
  al proprio gruppo il merito di aver scoraggiato l'ingresso di
  Murdoch in Italia.  Non ci interessa nulla dei soggetti, siano
  essi Canal Plus o Murdoch.  Il problema è quello di realizzare
  le condizioni per fare in modo che in Italia vi sia, al passo
  con gli altri paesi europei, la possibilità di una concorrenza
  libera, seria e severa che, alla fine, deve tutelare il
  consumatore.  O entriamo realmente in una logica di mercato che
  serve soprattutto al cittadino utente e consumatore, o creiamo
  nicchie di privilegio così come stiamo facendo.  Quando,
  infatti, si
 
                              Pag. 13
 
  determinano per legge parametri e tetti prima o, meglio,
  falsamente prima, quando si è già in presenza di un operatore,
  si approva una norma che ingessa, immobilizza e crea nicchie
  di privilegio.  Tutto questo va a discapito di una competizione
  seria, dura, anche spietata, come è giusto vi sia in un paese
  che si regge su certi principi.
     Non è però solo questo il problema che ci induce a
  ritenere quella proposta (parlo limitatamente all'articolo 2)
  una soluzione pasticciata.  Un altro punto già affrontato nella
  VII Commissione, a cui peraltro ha fatto riferimento nel suo
  intervento l'onorevole Giulietti, riguarda il rapporto tra
  l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, la cosiddetta
  authority,  e l'antitrust.  Questo, a nostro avviso, è un
  fatto importantissimo.
     Il Governo nella stesura originaria aveva previsto che
  fosse l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, sentita
  l'antitrust, a valutare la possibilità di deroga rispetto al
  tetto del 60 per cento o, addirittura, a stabilirne di nuovi.
  Al Senato, però, vi è stato un ribaltone normativo, per cui
  adesso è l'antitrust a svolgere questa funzione, sentita
  l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni.  Ebbene, il
  fatto che l'autorità sia stata ridotta ad un mero organo
  consultivo, che sia stata sostanzialmente commissariata, ci
  induce a ritenere che questo ribaltone normativo del Senato
  abbia prodotto un'autentica rottura del sistema delineato
  dalla legge n. 249 del 1997.
     Noi tutti siamo stati in qualche modo protagonisti di
  quella legge.  L'autorità - si diceva - deve accompagnare il
  processo di liberalizzazione delle telecomunicazioni.  Si
  tratta di un atto fondamentale, necessario.  Non si può
  procedere alla liberalizzazione delle telecomunicazioni se non
  ci dotiamo, al pari degli altri paesi europei, di un'autorità
  che deve effettuare una promozione e, soprattutto,
  vigilare.
     A sostegno della mia tesi in ordine alla rottura del
  sistema delineato dalla legge n. 249 voglio citare alcuni
  commi dell'articolo 2 di quella legge.  Ciò per evidenziare
  come la modifica introdotta dal Senato sia stata dannosa. "I
  poteri di deroga sono attribuiti all'autorità per le
  telecomunicazioni nel settore radiofonico in materia di
  maggiore quota di raccolta delle risorse economiche da parte
  di un singolo soggetto, mentre con riguardo al settore
  dell'emittenza televisiva via cavo o via satellite la stessa
  autorità" - cito testualmente - "determina un periodo
  transitorio nel quale non vengono applicati limiti di
  concentrazione delle relative risorse".  Siamo cioè in presenza
  di un potere di deroga del tutto omogeneo a quello che prevede
  l'articolo 2 del decreto in esame.  Non si capisce quindi
  perché la legge n. 249 attribuisca queste competenze
  all'autorità di garanzia, mentre il decreto le trasferisce
  all'autorità antitrust.
     "Inoltre, all'autorità per le telecomunicazioni sono
  attribuite specifiche competenze di vigilanza e di promozione
  dei mercati del settore", come dimostra - è proprio il nostro
  caso - la previsione del potere di intervento, anche
  repressivo, volto a garantire l'osservanza dei principi di
  trasparenza, di concorrenza e di non discriminazione nella
  costituzione e gestione della piattaforma per trasmissioni
  digitali via satellite e via cavo.  Questo prevede
  l'emendamento presentato dal Governo alla legge n. 249, che
  oggi lo stesso Governo disattende in maniera plateale, perché
  ha rinnegato quello che aveva sostenuto nel varare la legge n.
  249.
     Peraltro, non serve obiettare che la deroga al limite di
  concentrazione dei diritti di trasmissione in questione
  dovrebbe essere di competenza dell'antitrust, perché riferita
  ai parametri della concorrenza, poiché in situazioni
  determinate - prima abbiamo ricordato quelle previste dai
  commi dell'articolo 2 e quella oggi alla nostra attenzione -
  la tutela della concorrenza è specificatamente funzionale alla
  tutela del pluralismo.  Il legislatore, cioè, non si è
  preoccupato dei diritti televisivi in se stessi, ma della
  idoneità dello sfruttamento di tali diritti a generare
  audience  e a "fidelizzare" il pubblico.  Ciò è
  strettamente correlato alla raccolta delle risorse
  pubblicitarie; quindi, la questione
 
                              Pag. 14
 
  è più complessa rispetto a come la si è voluta presentare
  dopo l'approvazione dell'emendamento al Senato.
     Sul piano dei principi, la tutela del pluralismo è
  attività tipica ed esclusiva dell'autorità per le garanzie
  nelle comunicazioni, che è stata istituita, oltre che per
  accompagnare il processo di liberalizzazione delle
  telecomunicazioni, anche per dare seguito e corpo alla
  giurisprudenza costituzionale in materia di tutela dei valori
  fondamentali dei cittadini in rapporto all'informazione.
     In definitiva, il combinato disposto dei due pasticci (il
  60 per cento e il rapporto tra l'autorità per le garanzie
  nelle comunicazioni e l'autorità antitrust) ci induce a
  ritenere che anche in quest'occasione il Governo stia
  percorrendo strade vecchie: quelle della contraddizione
  legislativa, delle proroghe e della fotografia dello stato di
  fatto.  Il tutto, però, in un contesto continentale e
  planetario completamente diverso.  Infatti, la legge Mammì,
  fotografando la situazione di fatto esistente, poteva avere un
  senso: si rimaneva nella nicchia circoscritta del mercato
  nazionale e, negli anni ottanta, la crescita era legata alla
  pubblicità, perché le imprese investivano e, quindi,
  l'espansione delle televisioni, soprattutto commerciali, era
  dovuta a un fatto congiunturale.  Oggi, invece, ci troviamo di
  fronte ad una rivoluzione, perché il dato esistente deriva
  dalla convergenza tecnologica; si tratta, pertanto, di un
  problema di politica industriale, di scelte e strategie
  industriali.
     Per tali ragioni, sottosegretario Lauria, non ci piace
  questo modo di approvare le leggi, che mortifica il
  Parlamento, il confronto, la possibilità di offrire
  contributi.
     Troppe volte e per troppo tempo, lo dico con molta
  pacatezza - a mio avviso si tratta di una colpa storica della
  sinistra -, in questo settore la politica ha dato prova di
  ostilità verso le imprese nazionali private.  Cito per tutte
  l'intervista al sottosegretario Vita pubblicata oggi su
  l'Unità,  nel corso della quale riecheggiano certi temi:
  un'impresa nazionale si affaccia in maniera forte in Europa e
  il Governo fa raccomandazioni, pone condizioni, prescrizioni e
  paletti.
     A mio avviso, tutto ciò non serve a potenziare e a rendere
  più libera e forte sul mercato europeo l'impresa nazionale.
  Penso che con il provvedimento in esame stiamo ripercorrendo
  la stessa strada al contrario: prima si era adottata una
  logica punitiva, oggi ci troviamo di fronte ad una logica
  criminale.
     Sottosegretario Lauria, le leggi non si approvano né a
  favore né contro qualcuno, ma per accompagnare i processi, in
  qualche modo per guidarli, mai per subirli.
 
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