| ...Proposta di modificazione degli articoli 5, 13, 14,
118-bis, 119, 135-bis, 153-ter del regolamento
(modificazioni alla disciplina relativa alla costituzione
dell'Ufficio di Presidenza e alla costituzione dei gruppi ...
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| NICHI VENDOLA. Non intendo, quindi, animare alcuna
polemica retrospettiva, né sulla scelta fatta dalla Giunta per
il regolamento né su quella fatta precedentemente dall'ufficio
di Presidenza della Camera dei deputati a proposito
dell'interpretazione restrittiva del comma 2 dell'articolo 14,
che la mia parte politica ha sentito come uno schiaffo e una
ferita e che anche una parte considerevole della società
politica, culturale e giuridica italiana ha avvertito come
tale.
Ma oggi siamo qui, dinanzi al Parlamento e al paese e,
quindi, è giusto riprovare a tessere pazientemente da qui il
filo dell'ascolto reciproco, partendo - condivido quello che
diceva il collega Guerra in proposito - da un presupposto: la
lealtà di ciascuna parte.
Vorrei leggere ai colleghi una frase di un uomo della
democrazia italiana, non della mia parte politica, Mino
Martinazzoli: "Non capisco perché si debba ammainare dentro il
Parlamento la bandiera di un partito che esiste e che non è
una finzione". Penso che non esista e non ho ascoltato alcuna
argomentazione tecnico-giuridica o alcun arzigogolo
sofisticato dal
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punto di vista dialettico che riesca a rispondere a questa
obiezione fondamentale.
Sono molti i problemi e le questioni che dobbiamo
affrontare. Non sono tra coloro che sottovalutano i rischi di
frammentazione, frantumazione e polverizzazione della
rappresentanza politica e della vita istituzionale, in primo
luogo perché rappresento una parte politica che ha subito come
un danno pesante una frammentazione attiva della sua
rappresentanza istituzionale, a fronte dell'integrità
conclamata del suo corpo organizzato, del consenso e della sua
capacità di mobilitazione e di rappresentanza sedimentata su
tutto il territorio nazionale.
Capisco che forse dovremmo ragionare bene su tali rischi
di frammentazione, su quanto essi siano il frutto di quella
che tutti abbiamo nominato in quest'aula, cioè la transizione,
su cui forse bisognerebbe a volte spendere qualche parola più
nel merito, più analitica, altrimenti si tratta di una specie
di grande feticcio, di incognita su cui tutti concordiamo, ma
non capiamo mai di cosa si tratta.
Questa frammentazione spesso è il frutto di antiche
pulsioni trasformistiche e gattopardesche del ceto politico e
del maremoto che ha sconvolto la società italiana.
L'onorevole Calderisi ha pronunciato questa frase: "Per
risolvere i nostri problemi dobbiamo guardare avanti". Credo
che ciò non sia corretto: per risolvere i nostri problemi
dobbiamo guardare avanti ed anche indietro. Bisogna sempre
guardare indietro, anche correndo il rischio di essere
trasformati in una statua di sale.
Dobbiamo guardare indietro, a quel punto fondamentale che
è il luogo da cui sgorga la legittimazione del Parlamento e di
questa Assemblea, cioè il voto, il processo elettorale. In
questo caso, siamo legittimati da una vicenda che si è
consumata il 21 aprile 1996 e dobbiamo riferirci a quel fatto
della realtà, cancellando il quale le nostre parole sulla
democrazia e sulla rappresentanza rischiano di essere danze
macabre di formalismo: è rispetto a ciò che si determina la
ferita al principio di rappresentanza in quest'aula.
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