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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


65310
DDL5522-0002
Progetto di legge Camera n. 5522 - testo presentato - (DDL13-5522)
(suddiviso in 5 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5522. TESTIPDL
...C5522.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5522 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - Numerose vicende giudiziarie di
  questi ultimi anni, tra loro differenti e varie nei contenuti
  e nei significati, evidenziano la necessità di una profonda
  riflessione e di un ridisegno complessivo della materia della
  prescrizione del reato e della pena.
     Da episodio eccezionale, come era stata concepita alle
  origini, la prescrizione del reato nel processo penale si è
  via via trasformata in conclusione normale, o almeno diffusa;
  questo soprattutto per alcuni tipi di reato.  Per reati quali
  contravvenzioni e delitti di limitata gravità, l'imputato che
  percorre tutti i gradi di giurisdizione, sa che la probabilità
  di estinzione per decorso del tempo è elevatissima.
     Non vi è dubbio circa la negatività di ciò principalmente
  per alcune ragioni prevedibili e collegate tra loro in un
  sorta di circolo vizioso:
         a)  il processo non viene ovviamente alleggerito da
  un ampio ricorso ai riti alternativi; sicuramente la
  prospettiva della prescrizione del reato e della pena è più
  allettante dello "sconto" di pena connesso ai citati riti
  alternativi;
         b)  la diretta conseguenza di questo è un
  intasamento del dibattimento e l'allungamento a dismisura dei
  tempi sortisce l'infelice effetto di rendere ancora più
  fondata la "speranza" di prescrizione.
     Come se non bastassero questi effetti già gravi vi sono
  altri risvolti e scenari a dir poco preoccupanti; basti
  pensare all'azzeramento dei risultati ed al grave danno nel
  campo di materie di competenza pretorile di notevole rilevanza
  sociale (edilizia, urbanistica, inquinamento, sicurezza ed
  igiene del lavoro, tutela del consumatore, eccetera).
     E che dire poi del principio di uguaglianza!  Il
  "beneficio" della quasi certa prescrizione favorisce
  essenzialmente alcuni imputati rispetto ad altri.  Difatti è
 
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  evidente l'alterazione di fatto del principio di uguaglianza,
  visto che solo imputati facoltosi possono permettersi di
  esperire tutti i gradi del processo con le risorse di una
  difesa agguerrita, fruendo così di un vantaggio precluso ad
  altri.
     Per quanto riguarda la prescrizione della pena, va
  sottolineato il fatto che la disciplina vigente consente
  l'esecuzione della stessa ad una distanza di tempo anche
  elevatissima dal fatto per cui è stata emessa la condanna.
  Questo produce l'effetto di assoggettare all'espiazione
  persone che possono essere anche mutate, maturate e divenute
  diverse dal lontano momento in cui commisero il reato.  Lo
  smisurato intervallo tra il reato e l'espiazione è dovuto al
  fatto che al termine necessario a prescrivere il reato (un
  massimo teorico di trent'anni) si somma un tempo ulteriore
  (anch'esso esteso sino a trent'anni).  Laddove tra l'epoca del
  reato e la sanzione si inserisce un periodo di tempo
  lunghissimo - quasi una vita - appare comprensibile che la
  funzione rieducativa della pena, sancita dall'articolo 27
  della Costituzione, risulta quantomeno problematica e
  difficoltosa, se non compromessa.
     Per le considerazioni sopra esposte, seppure illustrate
  brevemente, si rende pertanto necessaria una profonda
  rimeditazione sugli istituti della prescrizione del reato e
  della pena.
     Sulla prescrizione del reato vanno fatte doverosamente
  alcune considerazioni in merito alla disciplina vigente:
       1) il tempo necessario a far maturare la prescrizione è
  scaglionato in misura proporzionale alla gravità del reato e
  le varie misure temporali stanno ad indicare che il
  procedimento deve iniziare prima che esse siano interamente
  decorse;
       2) è prevista una serie di atti che hanno la funzione di
  interrompere la prescrizione facendola decorrere  ex
  novo;
       3) lo scorrimento del termine finale dovuto agli atti
  interruttivi incontra comunque un limite rigoroso, nel senso
  che tale termine, per quanti siano gli atti interruttivi, non
  può mai eccedere la metà del termine base.
     Questi tre fattori generano non pochi problemi e si
  prestano a svariate obiezioni.
     Il meccanismo progressivo secondo cui è determinato il
  termine di base comporta un tempo persino eccessivo per i
  reati più gravi mentre per i reati meno gravi questo tempo è
  sicuramente insufficiente.  Inoltre il fatto che lo slittamento
  dei termini, per effetto degli atti interruttivi, sia limitato
  al 50 per cento del termine di base penalizza ingiustamente
  l'esercizio dell'azione penale, anche quando questa si
  manifesta attraverso una serrata attività processuale.  Può
  accadere, infatti, che la polizia o l'autorità giudiziaria
  vengano a conoscenza del reato dopo un certo lasso di tempo.
  Considerato quindi che già incolpevolmente è stato consumato
  gran parte del termine di base e poiché il "tetto" della metà
  (coniugato ad un sistema nel quale le impugnazioni sono
  universali) impedisce di arrivare al giudicato in tempo utile
  l'impegno dello Stato risulta essere purtroppo inefficace.
     Questo fenomeno è esasperato nei reati contravvenzionali
  laddove la dilatazione è così contenuta (dodici o diciotto
  mesi) da rendere praticamente impossibile la conclusione del
  processo dentro il termine massimo.
     Il termine di base ampio, ma ristretto quanto
  all'estensione per effetto di atti interruttivi, è un fattore
  che può addirittura incentivare i vari soggetti processuali ad
  interpretare malamente i rispettivi ruoli.  In altri termini:
  da un lato la disciplina vigente potrebbe anche tendere a
  deresponsabilizzare l'autorità giudiziaria, nel senso che chi
  gestisce il primo segmento processuale potrebbe sentirsi per
  così dire "abilitato" a scaricare in quello successivo il
  rischio di prescrizione; dall'altro si incoraggiano le
  impugnazioni, anche pretestuose, che non tendono a correggere
  l'errore della prima sentenza, ancorché corretta, bensì
  divengono strumento per vanificarne gli effetti.
     Le proposte per una nuova disciplina riguardante la
  materia della prescrizione del reato e della pena non sono
  certo una novità; sulle possibili soluzioni propugnate vanno
  fatte alcune considerazioni.
 
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     Un puro e semplice allungamento o dilatazione dei termini,
  quanto meno a proposito delle contravvenzioni e dei delitti
  meno gravi, finirebbe con l'essere assorbito dalla cronica
  lunghezza dei processi, senza benefìci strutturali.
     All'idea di sterilizzare la prescrizione dopo la sentenza
  di primo grado, impedendone la declaratoria, si può replicare
  osservando che non si possono lasciare i giudizi di
  impugnazione sciolti da qualsiasi vincolo temporale mentre un
  allungamento considerevole dei termini nei gradi successivi al
  primo presenterebbe profili punitivi per l'esercizio del
  diritto di impugnazione.
     Risulta quindi preferibile optare per un tipo di riforma
  che si limiti a disciplinare la prescrizione penale sulla
  falsariga di quella operante da decenni in campo civile, con i
  dovuti correttivi che ovviamente esige il processo penale.  Ad
  esempio la ripresa del termine di prescrizione, alla sola
  condizione che l'atto interruttivo intervenga nell'arco del
  termine di base, porterebbe ad una dilatazione eccessiva.
     Sinteticamente, la materia in campo civile prevede che, in
  base agli articoli 2934, 2943 e 2945 del codice civile, i
  diritti si prescrivono in un certo tempo, determinato dalla
  legge.  Vengono elencati atti aventi efficacia interruttiva.
  Per effetto dell'atto interruttivo inizia un nuovo termine di
  prescrizione, senza tetto complessivo.  Ovviamente il legame
  temporale tra un atto interruttivo ed il seguente è dato
  appunto dal termine necessario a prescrivere.
     Per quanto riguarda il processo penale si può configurare
  una quantità tempo-base ragguagliata alla gravità del reato e
  si possono altresì configurare una serie di atti idonei ad
  interrompere la prescrizione.  Si può infine stabilire che lo
  "sforamento" del termine di base non sia delimitato da una
  misura fissa (cioè la metà del medesimo) ma dalla pretesa che
  gli atti interruttivi si leghino gli uni agli altri in
  sequenza ravvicinata, che rilevi l'effettivo dispiegarsi della
  pretesa punitiva senza ritardi e negligenze.
     Rimane comunque invalicabile la necessità di continuare a
  definire un termine massimo in tutti i casi poiché il processo
  penale non può avere mai una durata astrattamente indefinita.
  Questo termine massimo può essere individuato in quello più
  ampio di tutti, in base al meccanismo principale (cioè il
  termine di quindici anni maggiorato del 50 per cento).
  All'interno di questo, invece, la garanzia del "tempo
  ragionevole" entro il quale il processo si deve concludere è
  collocata nei termini intermedi, combinati con la successione
  ravvicinata degli atti interruttivi che ne giustificano la
  dilatazione.
     Quanto al legame temporale che deve connettere i vari atti
  interruttivi, nodo oltremodo difficoltoso, la formula più
  semplice, cioè quella di stabilire una misura di tempo (ad
  esempio un anno) entro la quale deve essere compiuto ciascuno
  di essi dopo il primo (che ovviamente deve collocarsi
  all'interno del termine base) sarebbe una soluzione troppo
  rigida e inadeguata per difetto e per eccesso.
     Appare opportuno, quindi, ridisegnare il sistema di
  connessione dei vari atti interruttivi come segue: all'interno
  del termine di base (semplificato in quattro fasce di
  quindici, dieci, cinque e tre anni) la disciplina non muta
  rispetto a quella vigente, e gli atti interruttivi continuano
  a produrre l'effetto di fare ridecorrere il termine (articolo
  160 del codice penale).  Una volta varcato questo termine esso
  continua a spostarsi in avanti solamente se gli atti
  interruttivi intervengono entro una determinata cornice,
  modellata su quanto già il codice prescrive; gli atti di
  indagine preliminare devono susseguirsi entro due anni
  (ex  articoli 405, 406 e 407 del codice di procedura
  penale).  La sentenza dibattimentale deve essere pronunciata
  entro due anni dal provvedimento che dispone il giudizio
  (articoli 303 e 304 del codice di procedura penale); gli altri
  atti interruttivi, diversi dai precedenti, devono succedersi
  ad intervalli non maggiori di un anno.  In tale modo si
  conciliano e si perseguono i due obiettivi fondamentali: è
  rispettata l'aspettativa dell'imputato, a non patire una
  indefinita soggezione processuale; è tutelata l'esigenza che
  l'attività giudiziaria inizi entro un tempo definito (che per
 
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  i delitti più gravi è più breve di quello attuale), e comunque
  si snodi senza ritardi tra un atto saliente ed il successivo.
  Unitamente a questo, lo scorrimento del termine, in
  conseguenza di una reale e tempestiva concatenazione degli
  atti espressivi della volontà di attivarsi, salva
  l'aspettativa dello Stato a non vedere vanificata la propria
  pretesa punitiva allorché esso è operoso.
     Unitamente a queste modifiche innovative, il provvedimento
  di riforma intende considerare anche un fenomeno distorsivo
  che si verifica oggi di frequente.  Il secondo comma
  dell'articolo 157 del codice penale prevede che "per
  determinare il tempo necessario a prescrivere sia ha riguardo
  al massimo della pena stabilito dalla legge per il reato (...)
  tenuto conto (...) della diminuzione minima stabilita per le
  circostanze attenuanti".  Questo sta a significare che la
  misura dell'aspettativa di prescrizione può ridursi
  sensibilmente quando, nella sentenza di condanna, vengano
  concesse delle attenuanti non oggettivamente legate alla
  qualificazione iniziale.  A questo proposito sono tipiche, ma
  non solo queste, le attenuanti generiche, la cui introduzione
  nel codice penale non a caso è successiva al varo del medesimo
  ed alla sua sistematica.  Inoltre questo si verifica a maggior
  ragione con il meccanismo del bilanciamento tra circostanze
  nella forma amplissima sancita dal decreto-legge 11 aprile
  1974, n. 99, convertito, con modificazioni, dalla legge 7
  giugno 1974, n. 220, cioè quando, in quanto successivo, le
  attenuanti, già dichiarate equivalenti alle aggravanti, siano
  ritenute prevalenti sulle stesse.  Ovviamente questo fenomeno
  dimezza, in modo per così dire imprevedibile, i tempi della
  prescrizione per effetto di valutazioni estranee alla
  struttura del reato e lega la prescrizione a valutazioni
  discrezionali del giudice, che finiscono con l'operare
  retroattivamente.
     Si ritiene, inoltre, che il "tempo ragionevole", di cui
  parla l'articolo 6, primo comma, della Convenzione europea per
  la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà
  fondamentali del 1950, resa esecutiva in Italia con legge 4
  agosto 1955, n. 848, deve essere salvaguardato e considerato
  anche come tempo sul quale si possa fare ragionevolmente
  affidamento; in questo modo l'attività giudiziaria, compiuta
  sulla base di un'aspettativa di legge, non viene vanificata a
  posteriori dalla dichiarazione di circostanze non valutabili
  né prevedibili nel momento in cui gli atti processuali sono
  compiuti.
     Va ricordato a proposito di queste considerazioni che
  l'articolo 157, secondo comma, del codice penale, è stato
  recentemente denunciato alla Corte costituzionale per
  violazione dell'articolo 112 della Costituzione.
     Concludendo, appare pertanto indispensabile intervenire su
  tale norma, aggiungendo al termine del secondo comma del
  citato articolo 157 una disposizione che neutralizzi gli
  effetti sulla prescrizione conseguenti all'applicazione di
  circostanze soggettive, che non siano obiettivamente
  valutabili all'atto del rinvio a giudizio.
     Coerentemente con quanto enunciato la prescrizione della
  pena può modellarsi nel seguente modo partendo dal sistema
  delineato dall'articolo 172 del codice penale:
         a)  la pena della reclusione si prescrive in un
  tempo proporzionale alla sua entità (il doppio della pena
  inflitta);
         b)  sono comunque previsti un minimo (dieci anni) e
  un massimo (trenta anni), oltreché una misura fissa per
  l'arresto e per le pene pecuniarie (cinque o dieci anni);
         c)  questo termine decorre dal giorno in cui la
  condanna è divenuta irrevocabile;
         d)  è prevista una causa di interruzione del
  termine, per il caso che il condannato si sottragga
  all'esecuzione della pena, ma solo nel caso in cui la stessa
  sia già iniziata.
     Vanno inoltre considerate alcune questioni.
     Occorre sancire l'interruzione e la ripresa del termine
  ogni qual volta il condannato si sottragga, sia prima sia dopo
  l'inizio dell'esecuzione; ed altresì quando intervenga un
  rinvio dell'esecuzione per cause processuali o per le ragioni
  di cui agli articoli 146 e 147 del codice penale.  Mentre una
 
                               Pag. 5
 
  volta che la sentenza sia passata in giudicato, non v'è motivo
  per prevedere un lungo termine di prescrizione della pena in
  generale.  Fatto questo, è illogico prevedere un termine
  massimo di trenta anni, che possono cumularsi ad altrettanti
  come termine di prescrizione del reato.  Più corretto appare
  ancorare il termine al passaggio in giudicato della sentenza
  (come già ora accade), ma anche al fatto-reato, per non dare
  luogo ad un'espiazione di pena che intervenga su una persona
  grandemente diversa da quella che ha commesso il reato.
     A questo proposito si ritiene di:
         a)  mantenere, in linea generale, il ragguaglio tra
  il tempo necessario per prescrivere e l'entità della pena
  inflitta (il doppio come attualmente).  In questo modo la
  "presunzione di interesse all'esecuzione" cresce con il
  crescere della sanzione inflitta;
         b)  mantenere la presenza di un termine minimo e
  massimo, ma diversamente modellati.  Il termine minimo può
  essere ridotto da dieci a cinque anni, ampiamente sufficienti
  per la messa in esecuzione, quando non vi siano fatti ostativi
  <per i quali si provvede come indicato nella lettera
  d)>.  Il termine massimo, anch'esso necessario affinché
  si ponga un limite alla soggezione, deve essere individuato
  con riferimento non solo al giudicato, bensì anche al reato
  commesso.  Ciò significa che, quale che sia l'entità della pena
  inflitta, e quale che sia il tempo richiesto per celebrare il
  processo, l'esecuzione non può avere inizio dopo un certo
  intervallo dal fatto;
         c)  continuare, in linea generale, a far decorrere
  il termine dal momento in cui la sentenza di condanna diviene
  irrevocabile, salvo un aggancio invalicabile con il fatto;
         d)  bilanciare la riduzione del termine con un
  sistema di cause di sospensione o di interruzione, ogni qual
  volta l'esecuzione non possa di fatto avere luogo.  Questo
  accade tipicamente quando il condannato si sottrae
  volontariamente all'esecuzione, durante la stessa (come già
  oggi è previsto), o anche prima del suo inizio.  Questo
  correttivo è evidentemente necessario per non favorire il
  callido ostruzionismo.
     Accanto a questa situazione, per altro, si deve
  considerare anche il rinvio dell'esecuzione ai sensi degli
  articoli 146 e 147 del codice penale; la sospensione per
  infermità psichica sopravvenuta (articolo 148 del codice
  penale), o per ragioni processuali (articolo 666, comma 7, del
  codice di procedura penale), o per qualsiasi causa.
     Quanto allo specifico istituto applicabile, mentre la
  norma vigente non definisce il meccanismo limitandosi ad
  ancorare il  dies a quo  alla condotta del condannato,
  sembra doversi ravvisare una causa di sospensione, poiché si
  tratta non di attività giudiziarie dimostrative di una volontà
  (sì che il termine debba ricominciare a decorrere), ma di
  situazioni di fatto impeditive o neutralizzative della
  pretesa.
     In coerenza con quanto stabilito in tema di prescrizione
  del reato, occorre individuare un termine massimo di
  prescrizione della pena che sia il meno possibile lontano dal
  fatto-reato e consentire preliminarmente che il processo si
  concluda nel tempo massimo che la legge gli ha assegnato.  E'
  del tutto illogico, infatti, che esso possa svolgersi in
  funzione della (eventuale) irrogazione di una pena che non
  potrebbe essere applicata poiché prescritta.  Dunque, la
  prescrizione della pena non potrà maturare prima dei ventidue
  anni e sei mesi che costituiscono il termine più lungo
  previsto per la prescrizione del reato, e dovrà collocarsi al
  di là del citato termine di una misura sufficiente alla messa
  ad esecuzione.  Tuttavia, se si vuole essere rispettosi della
  premessa di ordine costituzionale, il termine di prescrizione
  della pena dovrà valicare il meno possibile il termine massimo
  di prescrizione del reato.
     Considerando quindi un "tempo tecnico" contenuto per la
  messa in esecuzione della condanna (e considerando che gli
  eventuali impedimenti sono neutralizzati dalle cause di
  sospensione), si può stimare in sei mesi questo additivo
 
                               Pag. 6
 
  procedurale (ovviamente solo nella situazione estrema in cui
  il processo abbia consumato l'intero termine di prescrizione
  del reato), e di riflesso configurare un tempo totale di
  ventitré anni, al di là del quale la pena è comunque
  prescritta.
     Tre proposizioni scalari scandiscono quindi l'architettura
  complessiva della presente proposta di legge:
       1) il tempo di prescrizione della pena rimane
  ordinariamente legato al suo multiplo tipico cioè il doppio
  della quantità irrogata;
       2) esso si comprime progressivamente, nei valori alti,
  proporzionalmente al tempo impiegato per la celebrazione del
  processo e salvaguardando sempre il minimo (cinque anni),
  almeno sino a che la conclusione del processo avvenga entro il
  ragguardevole termine di diciotto anni; ciò offre una
  sufficiente tutela all'esigenza di mettere ad esecuzione
  qualsiasi pena, tenuto conto che ogni termine viene tutelato
  dai meccanismi di sospensione contro eventuali comportamenti
  elusivi del condannato o altri impedimenti;
       3) solo nel caso in cui il tempo richiesto per giungere
  alla condanna definitiva superi anche la soglia dei diciotto
  anni (ipotesi piuttosto eccezionale), anche il termine minimo
  viene progressivamente sacrificato, e tuttavia non mai al di
  sotto di sei mesi, che è misura comunque sufficiente per la
  messa ad esecuzione, se non vi è dolosa sottrazione o altro
  ostacolo.
     Per quanto riguarda il regime transitorio si fa
  riferimento ai princìpi generali non ritenendosi necessaria
  una apposita normativa.
 
DATA=981216 FASCID=DDL13-5522 TIPOSTA=DDL LEGISL=13 NCOMM= SEDE=PR NSTA=5522 TOTPAG=0009 TOTDOC=0005 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=007 PAGFIN=0006 RIGFIN=030 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=6 SORTRES= SORTDDL=552200 00 FASCIDC=13DDL5522 SORTNAV=0552200 000 00000 ZZDDLC5522 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002



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