Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


65564
DDL5538-0002
Progetto di legge Camera n. 5538 - testo presentato - (DDL13-5538)
(suddiviso in 9 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5538. TESTIPDL
...C5538.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5538 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - Sono note le gravi difficoltà per
  la ripresa del dialogo costituente a seguito dell'interruzione
  del processo riformatore avviato, in questa legislatura, dalla
  Commissione bicamerale per le riforme costituzionali.
     Non è questa la sede per l'analisi, che pure andrà
  compiutamente fatta, sui costi per il Paese della rottura di
  quel processo, sia per la mancata costruzione organica delle
  regole della casa comune sia per i ritardi accumulati a fronte
  dell'urgenza di alcune specifiche riforme, già delineate e
  sulle quali si era formato in Parlamento e nell'opinione
  pubblica un largo consenso.
     E' tempo comunque di agire positivamente affinché proprio
  sugli aspetti più condivisi del disegno riformatore, emerso
  dai lavori della Commissione bicamerale, non si attenda
  ulteriormente, ma si proceda invece in modo rapido ed incisivo
  per rispondere alle esigenze del Paese.  Tra di essi assume
  rilevanza la scelta dell'elezione diretta del Presidente della
  Repubblica.  Si tratta della innovazione istituzionale di più
  immediata rispondenza alle aspettative popolari e maggiormente
  compresa, nella sua finalità, dall'opinione pubblica durante
  il percorso riformatore.
     A questa scelta, qualche critico ha riproposto una prima
  obiezione pregiudiziale, una censura basata su motivi
 
                               Pag. 2
 
  contingenti, legati alla maggioranza con la quale si pervenne
  alla votazione in Commissione bicamerale dell'elezione diretta
  del Presidente della Repubblica, a causa dell'improvviso
  cambiamento di posizione e della incursione della Lega nord,
  fino a quel momento rimasta estranea ai lavori della
  Commissione.
     A ben vedere, però, senza bisogno di tornare all'Assemblea
  costituente, alle proposte di Calamandrei e di Tosato, fino
  agli anni '80, per respingere questa obiezione è sufficiente
  segnalare che, sia durante il tentativo di realizzare un
  governo da parte di Antonio Maccanico sia negli stessi
  programmi elettorali per le elezioni politiche del 1996, a
  cominciare da quello dell'Ulivo, l'elezione diretta del
  Presidente della Repubblica è sempre stata proposta come uno
  dei punti di snodo più significativi di un nuovo rapporto tra
  cittadini ed istituzioni e dentro le istituzioni stesse.
  L'obiezione si rivela perciò, ad un attento esame, alquanto
  superficiale e scarsamente fondata.  Anche una soluzione che
  emerge in modo apparentemente inaspettato e confuso può ciò
  nonostante essere sorretta da solide motivazioni e affondare
  le sue radici in una profonda e meditata valutazione, che
  tiene conto del nostro sistema politico e della sua possibile
  evoluzione.  I dispositivi costituzionali, sanciti nella Carta,
  le prassi e le convenzioni che di fatto si creano nelle
  relazioni fra i poteri, il sistema elettorale prescelto per la
  rappresentanza e il governo concorrono, infatti, a delineare
  quella Costituzione materiale che modella, al di là
  dell'astrattezza delle norme e delle volontà e aspirazioni dei
  costituenti e dei revisori costituzionali, l'ordinamento
  statuale e le forme che assume la sua democrazia.  Perciò
  occorre rivisitare anche il procedimento di elezione indiretta
  del Presidente della Repubblica alla luce del sistema politico
  nel quale esso si colloca.  Orbene la permanente debolezza del
  bipolarismo italiano, tuttora frantumato in una complessa
  molteplicità di partiti e di movimenti e rappresentanze
  parlamentari, sollecita ancora a ritenere la ragionevole
  previsione di conservazione e, per certi versi, di
  accentuazione, nel sistema, delle denunciate prassi di
  mercanteggiamento e di machiavellismo che contraddistinguono
  il procedimento dell'elezione indiretta del Capo dello Stato.
  Inoltre, la possibile e auspicabile futura ristrutturazione
  del sistema politico italiano nel senso della bipolarizzazione
  in coalizioni più compatte e coese prospetta, d'altra parte,
  il pericolo di una totalizzante occupazione di tutte le
  cariche, anche quelle a potere prevalente di controllo e di
  garanzia, ad opera della maggioranza di governo.
     La previsione di maggioranze qualificate per l'elezione
  parlamentare del Presidente nei primi tre scrutini, voluta
  allo scopo di conferire al Capo dello Stato maggiore
  rappresentatività e prestigio per le sue funzioni  super
  partes,  adottata dai costituenti come soluzione idonea a
  risolvere e sanare il dissidio insorto fra i propugnatori
  dell'elezione popolare a suffragio universale e diretto e i
  sostenitori dell'elezione parlamentare, non ha prodotto, come
  è noto, i risultati sperati.  I numerosi scrutini, in cui nelle
  elezioni presidenziali, in epoche di accentuati conflitti
  politici, si logora il Parlamento nel suo rapporto di fiducia
  con il popolo, hanno reso del tutto inutile lo strumento della
  maggioranza rafforzata programmato dai costituenti.  Di modo
  che il procedimento di elezione parlamentare non appare
  adeguatamente consono a sorreggere il ruolo e la funzione del
  Presidente della Repubblica come Capo dello Stato,
  rappresentante dell'unità nazionale, arbitro  super
  partes  della dialettica politica, custode e garante della
  Costituzione.
     Più argomentata si presenta una seconda critica
  pregiudiziale, quella che nega legittimità a questa soluzione
  sulla base delle asserite caratteristiche speciali,
  emergenziali della nostra democrazia, che non tollererebbe,
  per questa natura, forme dirette di scelta popolare della
  suprema carica della Repubblica.  E tuttavia, una lettura più
  aperta della storia politica del nostro Paese rivela la
  fragilità di questa osservazione.  Il 18 aprile 1993 il corpo
  elettorale a larga maggioranza ha decretato con il
 
                               Pag. 3
 
  referendum  sul Senato della Repubblica il passaggio da
  un modello proporzionale di formazione della rappresentanza
  politica ad un sistema a dominante maggioritaria.  La volontà
  popolare ha quindi chiuso il periodo storico in cui, a causa
  delle gravi fratture ideologiche legate alla divisione
  internazionale dei blocchi ideologici, il nostro sistema si
  svolgeva secondo una logica vetero-parlamentare con una delega
  piena dei cittadini ai rispettivi partiti per la formazione
  dei governi e delle principali divisioni politiche.  Da allora
  il ricorso alle scelte dirette e immediate dei cittadini,
  prima considerato impossibile o comunque ritenuto non
  opportuno, è divenuto un pilastro fondamentale nel nostro
  ordinamento, così come accade prevalentemente nelle altre
  democrazie delle società complesse.  Si pensi all'elezione
  diretta del sindaco e del presidente della provincia,
  all'indicazione popolare dei presidenti delle regioni, alle
  spinte popolari profonde alla bipolarizzazione del sistema
  politico, per definire una democrazia partecipata e governante
  insieme.
     Vi è certo un versante dottrinario e politico, ricco di
  tradizione, fondato su una visione assemblearistica della
  democrazia, che continua ad opporsi a queste caratteristiche
  evolutive di fondo della dimensione democratica moderna.
  Questa concezione però rifiuta di vedere che la nuova
  impostazione non annulla il carattere rappresentativo della
  democrazia, ma lo integra con un più puntuale raccordo delle
  istituzioni con il corpo elettorale.  E del resto, lo strumento
  referendario, a partire da quello istituzionale del 1946,
  unico correttivo della rappresentanza prima di questo periodo
  di espansione del concorso popolare diretto alla scelta dei
  propri governanti, con i suoi concreti verdetti ha chiaramente
  smentito la tesi di una presunta immaturità del corpo
  elettorale nell'assumere direttamente alcune grandi decisioni.
  La storia dunque si è incaricata di contrastare la premessa
  teorica delle posizioni assemblearistiche.
     Vi è poi una terza obiezione che invece non si presenta
  come pregiudiziale ma che si riferisce specificamente alla
  concreta soluzione qui prospettata, cioè l'elezione diretta a
  poteri invariati del Capo dello Stato.  Si obietta che tale
  scelta potrebbe avere senso solo all'interno di una
  complessiva riformulazione della forma di governo e del ruolo
  del Presidente.  Al riguardo va preliminarmente osservato che,
  dopo la premessa comune, i propugnatori di questa obiezione
  tendono a suddividersi in due distinti filoni: quello che
  prospetta esiti catastrofici dell'innovazione così introdotta,
  con rischi di concentrazione personalistica del potere e di
  scontro con il Parlamento, e quello di chi prospetta una sua
  sostanziale irrilevanza negli esiti concreti rispetto
  all'elezione parlamentare.  In altri termini l'elezione diretta
  a poteri invariati, ovvero con i poteri definiti nella
  Costituzione vigente, andrebbe respinta o perché fonte di
  insidia e di pericoli per la democrazia o perché inutile e
  superflua ai fini della "razionalizzazione" in chiave moderna
  del sistema.
     Sfugge però a questi critici una serie di osservazioni.
     In primo luogo essi non considerano i problemi che pone la
  stessa elezione parlamentare per molti aspetti niente affatto
  minori di quelli che comporta l'elezione diretta.  La celebre
  voce sulle "Forme di governo", pur curata da un autore che
  sostiene la preferibilità dell'elezione parlamentare come è
  Leopoldo Elia per l' Enciclopedia del Diritto,  ci dice
  con grande rigore teorico e senza infingimenti che "l'elezione
  del Capo dello Stato rappresenta nella nostra Repubblica il
  momento della massima dislocazione e dissociazione delle forze
  politiche" e che "l'accanimento e la durata di talune elezioni
  presidenziali (e, soprattutto, il fatto che esse abbiano
  coinvolto uomini politici in piena attività) costituiscono di
  per sé un segno negativo", una "tendenza in qualche misura
  contrastante con le esigenze di "imparzialità" nella carica
  suprema fatte valere da molti giuristi".  Rispetto a questa
  fibrillazione da noi ben conosciuta anche in questo periodo,
  l'elezione diretta comporta certo una mobilitazione diretta di
  tutto il corpo elettorale, che di per sé si presta ad una
 
                               Pag. 4
 
  maggiore politicizzazione, ma d'altra parte consente una
  rapidità e certezza dei tempi che riduce considerevolmente i
  costi politici della procedura.
     Il problema non sarebbe comunque minore nel caso in cui le
  maggioranze parlamentari  pro tempore  fossero
  maggiormente coese giacché in tale caso, come si è già
  rilevato, sarebbe giocoforza assistere ad una rigida
  predeterminazione da parte della maggioranza della scelta di
  un proprio esponente, come accade regolarmente nella
  Repubblica federale tedesca.  Sia che l'eletto fosse così
  espresso sia che derivasse nel caso opposto da maggioranze
  trasversali al riparo del voto segreto, il problema della
  conciliazione di questa procedura con il dovere di
  imparzialità si pone in modo del tutto analogo rispetto al
  Presidente espressione di una maggioranza del corpo
  elettorale.  La scelta non è infatti tra una modalità in cui
  viene scelto un capo dello Stato strutturalmente neutro (come
  può accadere con il criterio di successione dinastica nelle
  monarchie, se si vuole astrarre dal fatto che anche i monarchi
  hanno e talora esprimono le loro preferenze politiche) ed una
  in cui è eletto a maggioranza, ma tra due modalità in cui in
  entrambe va combinata una scelta maggioritaria (parlamentare o
  diretta) con un ruolo imparziale.  Si tratta quindi di una via
  potenzialmente più rapida di quella parlamentare (e questo
  dovrebbe essere considerato soprattutto da quelli che
  ritengono l'elezione diretta inutile) e che evita anche i
  rischi di una maggioranza parlamentare "pigliatutto" ove essa
  sia sufficientemente coesa (e questo dovrebbe essere compreso
  soprattutto da coloro che temono un'eccessiva concentrazione
  dei poteri).
     In secondo luogo è ormai riconosciuto da tutti che nella
  storia repubblicana, come ha plasticamente segnalato Giuliano
  Amato, i poteri del Capo dello Stato sono stati legittimamente
  interpretati "a fisarmonica", cioè che hanno rivelato una
  notevole capacità espansiva in presenza di maggioranze deboli
  e inefficienti, di una rilevante instabilità di sistema.  Di
  conseguenza esistono situazioni nelle quali il Capo dello
  Stato finisce con l'esercitare un insieme così rilevante di
  poteri che è in obiettiva contraddizione con la sua elezione
  parlamentare, situazioni che aprono la porta all'opportunità
  di una base maggiore di legittimazione.  E' evidente che nel
  contempo occorre agire perché tali eventualità, di cui c'è
  bisogno come risorsa estrema per un sistema flessibile, siano
  meno frequenti possibile: ma ciò impone un intervento sul
  versante della legislazione elettorale, non uno sbarramento
  ideologico all'elezione diretta che non crea il problema, ma
  che caso mai cerca di risolverne alcuni inconvenienti.  Non
  vogliamo svalutare l'ulteriore obiezione secondo cui
  l'elezione diretta di per sé spinge a interpretazioni
  estensive dei vari poteri presidenziali in tutti i casi dubbi
  interpretativi, ma sta di fatto che anche laddove i Capi dello
  Stato direttamente eletti godono di un arsenale di poteri
  espliciti ben più ampi, non solo come in Francia di fronte a
  maggioranze parlamentari coese, scaturite anche da leggi
  elettorali adeguate, non c'è estensione di poteri indebita che
  possa durare più di tanto.
     Una volta superate queste obiezioni, che certo meritano
  anche ulteriori repliche ma che nondimeno appaiono superabili
  se si voglia fare una proposta seria anche se limitata e
  dotata di uno spessore riformatore comprensibile al Paese, è
  opportuna qualche precisazione di merito della presente
  proposta di legge costituzionale.
     Le norme relative all'elezione diretta, dalla
  presentazione delle candidature, alla maggioranza assoluta
  richiesta anche con la previsione dell'eventuale ballottaggio,
  il regime delle incompatibilità e del conflitto di interessi,
  sono mutuate dal testo della Commissione bicamerale e sono
  state ampiamente motivate nel corso dei lavori della stessa in
  varie puntualizzazioni da parte del relatore sulla forma di
  governo, senatore Cesare Salvi, a cui quindi si rinvia per
  completezza.  Accanto a questo nucleo si sono inseriti due
  interventi minimi di sistema, ossia un maggior ruolo del
  Governo e una maggiore difesa da emendamenti demagogici
  approvati da maggioranze limitate ed improvvisate sulla legge
 
                               Pag. 5
 
  di approvazione del bilancio e sulle leggi di spesa nonché il
  potere del Presidente del Consiglio dei ministri di proporre
  al Capo dello Stato la revoca dei singoli ministri.  Non si
  tratta di una scelta casuale di priorità tra i vari strumenti
  di tal genere presenti nel testo della Commissione bicamerale.
  Questa scelta deriva dalla concreta esperienza di questo
  periodo di transizione.  Non a caso queste due riforme erano
  già contenute nella replica al Senato della Repubblica del
  Governo Prodi in occasione del voto iniziale di fiducia il 24
  maggio 1996, assieme ad altre due tra loro connesse che invece
  hanno avuto altre sia pur parziali soluzioni, cioè
  l'inemendabilità dei decreti-legge e il varo di una corsia
  preferenziale del Governo, a cui si è risposto con
  l'intervento della Corte costituzionale e con la recente
  riforma del regolamento della Camera dei deputati.
     Onorevoli colleghi, se pensiamo quindi che una moderna
  forma di governo parlamentare, da non confondere con
  l'assemblearismo, peraltro fondata all'articolo 1 della nostra
  Costituzione su una valorizzazione molto forte della sovranità
  popolare, possa rispondere alle attese del nostro tempo, è
  opportuno il passaggio ad un'elezione diretta del Presidente
  della Repubblica che, senza sconvolgere il quadro dei poteri,
  è comunque in grado di segnare una tappa decisiva di una
  transizione che altrimenti rischia di deperire tra riforme
  annunciate senza reali conseguenze.
 
DATA=981220 FASCID=DDL13-5538 TIPOSTA=DDL LEGISL=13 NCOMM= SEDE=PR NSTA=5538 TOTPAG=0008 TOTDOC=0009 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=009 PAGFIN=0005 RIGFIN=026 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=5 SORTRES= SORTDDL=553800 00 FASCIDC=13DDL5538 SORTNAV=0553800 000 00000 ZZDDLC5538 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002



Ritorna al menu della banca dati