| Onorevoli Colleghi! - La mancata conclusione del
processo di revisione della parte seconda della Costituzione,
affidata alla Commissione bicamerale per le riforme
costituzionali, presieduta dall'onorevole Massimo D'Alema, ha
dimostrato per la terza volta - dopo analoghe esperienze della
Commissione Bozzi e della Commissione De Mita-Iotti -
l'impossibilità o comunque l'estrema improbabilità di
riscrivere e, in sostanza, cambiare la Costituzione, in tempi
di relativa normalità per il Paese e per le sue popolazioni.
Nondimeno, alcuni se non tutti i problemi di riforma delle
regole, che le citate Commissioni non sono riuscite a
risolvere, restano aperti. Essi possono essere affrontati dal
Parlamento con la normale procedura di revisione
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costituzionale, indicata dalla Costituzione stessa
all'articolo 138. E' parere di numerosi studiosi di scienza
politica e di diritto costituzionale, oltre che di numerosi
gruppi e singoli politici, che attraverso l'articolo 138 non
sarà comunque possibile riscrivere né l'intera Costituzione,
né la sua parte seconda, né capitoli complessi relativi alle
istituzioni. Sarà invece possibile ricorrere alla procedura
dell'articolo 138 per la modifica di singoli articoli della
Costituzione o di commi di essi. E' quel che già, ad esempio,
propone in questi giorni il presidente della Commissione
affari costituzionali della Camera dei deputati, onorevole
Antonio Maccanico, con l'elezione popolare diretta del
Presidente della Regione. Si tratta dunque - come scrive
Angelo Panebianco (Corriere della sera, 3 gennaio 1999)
- "di operare all'interno del sistema costituzionale vigente".
In questo ambito, e senza nemmeno prospettarci un possibile
diverso rapporto tra Presidente della Repubblica, Parlamento e
Governo, noi proponiamo con la presente proposta di legge una
prima modifica al sistema vigente, sopprimendo la possibilità
di rielezione del Presidente della Repubblica.
Come i colleghi sanno, l'articolo 85, primo comma, della
Costituzione detta: "Il Presidente della Repubblica è eletto
per sette anni". Questo periodo di tempo, sarebbe, secondo una
parte della dottrina costituzionalista, non abbastanza esteso
per consentire al Capo dello Stato di costituirsi un potere
personale "pericolosamente irresistibile e indipendente"
(Rescigno, Mortati, eccetera); ma abbastanza esteso da rendere
improbabile la rielezione, assicurando tuttavia la dovuta
continuità dell'ufficio (Paladin). E' tuttavia noto che
Presidenti succedutisi al Quirinale non abbiano mancato, in
qualche occasione, di ipotizzare una propria disponibilità ad
un secondo settennato; e che tale disponibilità sia stata
sollecitata o strumentalizzata da forze politiche.
A noi sembra che la sola ipotesi della rieleggibilità
autorizzi o induca a temere che nel Capo dello Stato possa
attenuarsi il senso della sua funzione costituzionale, che nel
nostro ordinamento non è né di arbitraggio né (come sarebbe
nella Repubblica presidenziale) di governo, ma è di garanzia.
E' per questo che la non rieleggibilità del Presidente della
Repubblica è da tempo aspirazione diffusa tra i cittadini e
oggetto di proposte di legge costituzionale: la si trova,
infatti, esplorando le 111 proposte di legge costituzionale
passate al vaglio della Commissione bicamerale per le riforme
costituzionali, sia in quelle "presidenzialiste" (fondate
sull'elezione popolare diretta del Capo della Stato) sia in
quelle "neoparlamentari" (fondate sulla razionalizzazione
dell'attuale sistema, che affida l'elezione del Capo dello
Stato ai deputati, ai senatori e ai rappresentanti delle
Regioni). Fra le proposte di legge costituzionale
"neoparlamentariste" presentate alla Commissione bicamerale,
ci limitiamo a citare, come più rilevanti, quella
dell'onorevole Mussi e altri ("il Presidente della Repubblica
è eletto per sette anni e non è rieleggibile"), e quella
dell'onorevole Mattarella ed altri ("il Presidente della
Repubblica dura in carica sei anni e non può essere
rieletto"). E' questo il principio che, con la presente
proposta di legge costituzionale, intendiamo riproporre al
Parlamento.
Riteniamo inoltre che, a ulteriore garanzia della
sovranità e della libertà di decisione del Parlamento, non
vada riformato l'articolo 88 della Costituzione, che al
secondo comma vieta al Capo dello Stato di sciogliere le
Camere negli ultimi sei mesi del suo mandato. L'impossibilità
di un secondo settennato, infatti, non esclude di per sé che
il Presidente uscente possa influenzare indebitamente
l'elezione del successore, orientando il Parlamento.
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