| Onorevoli Colleghi! - I partiti politici sono
attualmente in Italia associazioni private senza alcuna
sostanziale disciplina legale.
Si può anzi osservare che mentre è assai intensa la
disciplina legale di diritti "fondamentali" - si pensi
all'iniziativa economica o alla proprietà privata - e
parimenti disciplinate risultano essere le facoltà dei
soggetti privati che esercitano funzioni pubbliche o di
interesse generale (formazioni sociali, ordini professionali,
associazioni di categoria, eccetera), viceversa ben scarna, se
non del tutto insussistente, risulta essere la disciplina dei
o "sui" partiti politici che appaiono essere legibus soluti
nonostante le rilevantissime funzioni pubblicistiche che
essi svolgono, anche di rango costituzionale. Anzi, secondo la
migliore dottrina, i partiti politici sono veri e propri
pubblici poteri sicché, a maggior ragione, essi dovrebbero
essere regolati dal diritto.
Ovviamente non sfugge che la ragione storica del godimento
di tale particolare status libertatis, risiede nella
necessità di non comprimere le libertà politiche e le sue
forme di espressione.
E' anche noto che nell'Assemblea Costituente prevalse
infine il cosiddetto "complesso del tiranno" sicché il
dibattito, che pure non mancò, con il contributo di alte
personalità, si concluse con lo scarno testo dell'attuale
articolo 49 della Costituzione che riconosce che "Tutti i
cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti
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per concorrere con metodo democratico a determinare la
politica nazionale". Secondo l'interpretazione prevalente per
"metodo democratico" deve intendersi quello a "rilevanza
esterna" e non già il profilo attinente al sistema di
organizzazione interna dei partiti, fermo restando che "quelle
associazioni che con organizzazione antidemocratica
perseguissero fini non leciti verrebbero colpite a norma del
Codice penale nel momento stesso in cui l'azione
anti-democratica da interna divenisse esterna" (queste le
conclusioni del relatore onorevole Merlin).
La scelta fatta dalla Costituente è, come noto, il frutto
di un compromesso, oggi da rivedere, tra il progetto Mortati,
che postulava la necessità del metodo democratico anche
nell'organizzazione "interna" con un controllo dei partiti
politici da parte di un alto organismo - secondo Mortati
composto da esponenti del Parlamento, del potere giudiziario e
dell'università - e la posizione degli onorevoli Togliatti e
Marchesi, i quali strenuamente si opposero a questa
impostazione. Affermò Togliatti: "Domani potrebbe svilupparsi
un movimento nuovo, anarchico, per esempio. Io mi domando su
quali basi si dovrebbe combatterlo. Sono del parere che
bisognerebbe combatterlo sul terreno della competizione
democratica, convincendo gli aderenti al movimento della
falsità delle loro idee. Ora non si potrà negargli il diritto
di esistere e di svilupparsi, solo perché rinuncia al metodo
democratico". E' ben ovvio che tali ragioni, comprensibili ma
non giustificabili neppure nel contesto storico dell'epoca,
sono oggi inaccettabili e prive di qualsivoglia fondamento
anche perché è agevole ammettere che un movimento politico
privo di regole democratiche interne tenderà a trasferire tale
"metodo" anche nelle istituzioni. D'altronde fu lo stesso
relatore alla Costituente onorevole Merlin (vedi Atti
Assemblea Costituente, Roma, pagina 4162) a concludere il
dibattito sull'articolo 49 della Costituzione nel modo
seguente: "Osservo che ognuno di questi articoli esige una
legge particolare". Di una tale legge, annunciata già in sede
di Costituente e mai emanata, vi è dunque bisogno. Allo stato
attuale, è infatti innegabile che permanga una profonda
tensione tra la natura formale, privatistica, dei partiti
politici e la sostanziale loro realtà di pubblici poteri con
rilevanti funzioni. Tale tensione si manifesta in più
occasioni e momenti: nella disciplina del finanziamento, nei
rimborsi delle spese per la campagna elettorale, nell'accesso
ai mass media di Stato, ma anche nella selezione delle
candidature alle cariche pubbliche, nelle garanzie interne per
gli iscritti, nella disciplina dei bilanci, del patrimonio e
dell'uso dei simboli, nei rapporti con la pubblica
amministrazione, nella formazione dei patti di coalizione.
Questi temi, e le ragioni stesse di una nuova e più
sistematica riflessione sulla disciplina dei partiti politici,
sono divenuti acutissimi nella fase della crisi della
partitocrazia, evidenziata e resa drammatica dai processi di
Tangentopoli, ma certamente preesistente.
E' da più parti avvertita l'esigenza di una "nuova
legalità" non solo dei partiti politici, ossia dei
comportamenti dei soggetti, ma anche "sui" partiti politici
attraverso princìpi, regole, indirizzi e forme di controllo in
grado di offrire un contesto più trasparente e responsabile
all'azione politica di rilievo pubblicistico.
Se si vuole un "nuovo patto" tra politica e società civile
questo passaggio è indispensabile anche per rilanciare la
funzione costituzionale e sociale dei partiti politici.
A queste conclusioni era peraltro pervenuta la
"Commissione Bozzi" che aveva approvato il seguente nuovo
testo dell'articolo 49 della Costituzione: "Tutti i cittadini
hanno diritto ad associarsi liberamente in partiti per
concorrere con strutture e metodi democratici, a determinare
la politica nazionale. La legge disciplina il finanziamento
dei partiti, con riguardo alle loro organizzazioni centrali e
periferiche e prevede le procedure atte ad assicurare la
trasparenza e il pubblico controllo del loro stato
patrimoniale e delle loro fonti di finanziamento. La legge
detta altresì disposizioni dirette a garantire la
partecipazione degli iscritti a tutte le fasi di formazione
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della volontà politica dei partiti, compresa la designazione
dei candidati alle elezioni, il rispetto delle norme
statutarie, la tutela delle minoranze".
Ma il problema della disciplina dei partiti è stato
oggetto anche di varie proposte di legge (si pensi al progetto
presentato da Sturzo al Senato della Repubblica il 16
settembre 1958) che però non sono state mai approvate dal
Parlamento.
Vi sono ora sensibilità nuove e condizioni più favorevoli
affinché il tema sia ripreso e risolto.
Già con la proposta di legge presentata il 12 maggio 1998
(Atto Camera n. 4861), da alcuni parlamentari aderenti al
Movimento "L'Italia dei Valori", sono stati proposti alcuni
princìpi per la regolamentazione giuridica dei partiti
politici.
Più di recente è stata presentata una più organica
proposta di legge (Atto Camera n. 5326, d'iniziativa
dell'onorevole Claudia Mancina) recante "Norme sulla
democrazia interna dei partiti, sulla selezione delle
candidature e sul finanziamento". Ritengono gli attuali
proponenti che, ai fini di una più agevole e sollecita
discussione e approvazione del testo di legge, sia possibile
assumere come riferimento la proposta di legge citata,
limitando ad essenziali punti le modifiche innovative del
testo.
In sintesi la presente proposta di legge è strutturata nel
modo seguente:
l'articolo 1 definisce i requisiti minimi dei partiti
politici;
l'articolo 2 disciplina le modalità di registrazione
degli statuti prevedendo il divieto di partecipazione alle
competizioni elettorali per i partiti non registrati;
l'articolo 3 stabilisce i contenuti degli statuti, tra
cui il rispetto della Costituzione italiana, e i princìpi di
garanzia per gli iscritti;
l'articolo 4 disciplina le elezioni primarie;
gli articoli 5 e 6 prevedono norme sulla stabilità delle
coalizioni e nuove regole per la presentazione dei partiti
alle elezioni: i partiti devono depositare, con il simbolo, il
programma e devono indicare il loro candidato premier e
la coalizione di appartenenza;
l'articolo 7 riforma la disciplina delle contribuzioni
ai partiti: è abrogata la legge recante la disposizione che
prevede la destinazione del 4 per mille ai partiti politici
(legge 2 gennaio 1997, n. 2); è prevista la deducibilità piena
del contributo volontario fino a 20 milioni di lire; è
stabilito un tetto massimo di contributo individuale; sono
vietate le donazioni ai partiti da parte di società a scopo di
lucro;
gli articoli da 8 a 15 prevedono una serie di
agevolazioni pubbliche ai partiti con esenzioni o riduzioni di
imposte legate alle attività;
l'articolo 16 stabilisce la soppressione dei
finanziamenti a fondo perduto all'editoria di partito
consentendo invece l'estensione dei mutui agevolati;
l'articolo 17 individua nella corte d'appello l'organo
deputato al controllo degli statuti e disciplina le condizioni
di rendicontazione e di trasparenza per l'accesso alle
agevolazioni pubbliche;
l'articolo 18 detta norme sulla corretta tenuta e
certificazione dei bilanci;
l'articolo 19 prevede la copertura finanziaria e la
redazione di un testo unico in materia.
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