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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


65771
DDL5555-0002
Progetto di legge Camera n. 5555 - testo presentato - (DDL13-5555)
(suddiviso in 42 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5555. TESTIPDL
...C5555.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5555 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - L'attuazione della cosiddetta
  "legge Galasso", decreto legge n. 312 del 1985, convertito,
  con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985 a tredici anni
  dalla sua approvazione, ha messo a nudo tutta una serie di
  problemi oggettivi di interpretazione e di applicazione della
  sua normativa, che rendono ormai urgente ed indifferibile la
  necessità di un suo riesame complessivo, se si vuole evitare
  di svuotarla del tutto dei suoi contenuti e di esautorarla
  della sua stessa efficacia giuridica, come di fatto sta
  avvenendo: l'urgenza di far approvare i piani territoriali
  paesistici che le regioni devono ancora redigere offre
  l'occasione giusta per operare un tale riesame attraverso una
  specifica legge nazionale che disciplini l'intera materia
  della tutela paesistica.
      Dallo studio dei diversi problemi della tutela paesistica
  sono derivate risposte che hanno suggerito di non apportare
  modifiche ed integrazioni direttamente al decreto legge n. 312
  del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431
  del 1985, ma di redigere una proposta di legge organica per
  disciplinare con una "normativa quadro" l'intera materia.
  L'esigenza di redigere una "normativa quadro" è scaturita
  anzitutto da una serie di osservazioni riguardo allo strumento
  di pianificazione adottato, ed alla differenza poi che esiste
  tra le modalità di pianificare da una parte i cosiddetti
  "vincoli diffusi" e dall'altra i vincoli paesistici imposti
  invece con provvedimento specifico.
  Osservazioni sullo strumento di pianificazione
  adottato.
     L'articolo 1- bis  del decreto legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni,
 
                               Pag. 2
 
  dalla legge n. 431 del 1985 prevede due distinti strumenti di
  pianificazione paesistica:
       1) i piani territoriali paesistici (PTP);
       2) i piani urbanistico-territoriali con particolare
  attenzione ai valori paesistici ed ambientali.
     I due strumenti non sono equivalenti e vanno pertanto
  analizzati separatamente.
       Piani territoriali paesistici  - Il primo strumento è
  adottato ai sensi della legge n. 1497 del 1939 ed è riferito
  esclusivamente a due tipi di vincoli:
         a)  aree vincolate  ope legis  ai sensi
  dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 24
  luglio 1977, n. 616, e successive modificazioni, (i cosiddetti
  "beni ambientali diffusi");
         b)  aree sottoposte a specifici vincoli paesistici
  ("dichiarazioni di notevole interesse pubblico") imposti con
  decreti ministeriali e/o delibere regionali ai sensi della
  legge n. 1497 del 1939 e degli articoli 82, quinto comma,
  lettera  m),  del decreto del Presidente della Repubblica
  n. 616 del 1977 e successive modificazioni, 1- ter  e
  1- quinquies  del decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985.
     Per quanto riguarda i "beni diffusi", lo strumento dei
  piani paesistici consente soltanto una pianificazione
  "puntuale", che si distribuisce conseguentemente a "macchia di
  leopardo" sul territorio, senza i caratteri della continuità e
  della omogeneità dei territori contermini ad essi: solo le
  aree vincolate con decreti ministeriali e/o delibere regionali
  presentano una continuità ed una omogeneità all'interno delle
  rispettive perimetrazioni.
       Piani urbanistico-territoriali  - Il secondo
  strumento ha valenza di piano territoriale di coordinamento
  (PTC) e viene pertanto adottato ai sensi degli articoli 5 e 6
  della legge urbanistica n. 1150 del 1942: come tale esso è
  riferito ai subambiti territoriali predefiniti con cui ogni
  regione ha eventualmente ritenuto di suddividere l'intero
  territorio regionale e ricomprende quindi al suo interno,
  oltre ai due tipi di aree vincolate sopra ricordate, anche le
  aree di interconnessione non soggette a vincolo alcuno, ma
  sottoposte ugualmente a pianificazione
  paesistico-ambientale.
     La "legge Galasso" dava dunque facoltà alle regioni di
  scegliere e di adottare uno dei due strumenti di
  pianificazione.
     Riguardo alla scelta possibile tra lo strumento paesistico
  e quello urbanistico, alcune regioni (tra cui la regione
  Lazio) hanno messo in atto un metodo di pianificazione mista,
  perchè nella "forma" hanno adottato dei PTP che hanno però
  esteso nella sostanza agli stessi subambiti territoriali
  omogenei già definiti per i PTC (di cui la regione Lazio dal
  1982 aveva avviato la redazione, prima quindi della data di
  entrata in vigore della legge "Galasso") e che ricomprendono
  pertanto al loro interno vaste aree non soggette ad alcun
  vincolo paesistico ex legge n. 1497 del 1939 e del
  decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni,
  dalla legge n. 431 del 1985: la scelta operata ha così creato
  confusioni sul piano operativo ed ha determinato problemi di
  interpretazione riguardo alla "cogenza" o meno delle norme di
  attuazione dei PTP, che è necessariamente circoscritta alle
  sole aree perimetrate con vincolo ex legge n. 1497 del 1939 ed
  a quelle identificate ai sensi dell'articolo 82 del decreto
  del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, e successive
  modificazioni.
     L'adozione di piani paesistici estesi agli ambiti più
  vasti dei PTC ha comunque determinato e continua a determinare
  problemi di omogeneità e di coerenza in sede di
  pianificazione, a cui può essere data soluzione implicita con
  lo stesso "metodo" che si sarebbe dovuto seguire per la
  pianificazione delle aree continue ed omogenee vincolate con
  decreti ministeriali e/o delibere regionali, di cui si dirà
  più avanti.  Prima è necessario mettere in risalto le
  differenze sostanziali che esistono tra la pianificazione dei
  vincoli diffusi  ope legis  e quella dei vincoli imposti
  invece con specifici provvedimenti, per rilevarne poi le
 
                               Pag. 3
 
  modalità di un coordinamento ed una integrazione tra loro, ai
  fini di una necessaria ed uniforme unificazione, nonchè la
  possibile estensione anche a tutti gli ambiti non
  ulteriormente vincolati.
     Analizziamo separatamente i due diversi tipi di
  pianificazione, che sono sostanzialmente riferiti da una parte
  alla tutela dei beni individui e dall'altra alla tutela dei
  paesaggi.
  Osservazioni sulla pianificazione dei beni diffusi.
     L'elenco riportato all'articolo 82 del decreto del
  Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, come modificato
  dalla legge "Galasso", riferito tanto a beni a se stanti
  quanto ad aree o zone che, pur nella specificità della loro
  categoria, ricomprendono o possono ricomprendere al loro
  interno uno o più degli altri beni a se stanti: è il caso
  sicuramente dei parchi e delle riserve (che possono
  ricomprendere corsi d'acqua, boschi, fiumi, zone umide e zone
  di interesse archeologico), dei territori superiori sia ai
  1.600 che ai 1.200 metri sul livello del mare (che possono
  ricomprendere boschi e foreste, laghi, corsi d'acqua,
  eccetera), delle aree gravate da uso civico (che possono
  ricomprendere boschi, corsi d'acqua, eccetera), dei vulcani
  (che possono essere più o meno boscati), delle zone umide (pur
  esse più o meno boscate), ma anche talora delle coste marine
  (se presentano foci di fiumi) e dei laghi e degli stessi corsi
  d'acqua (che possono essere boscati) e delle zone di interesse
  archeologico (che se estese possono ricomprendere anche boschi
  o corsi d'acqua).
     La sovrapposizione di uno o più vincoli  ope legis
  all'interno di una stessa categoria di beni comporta risposte
  coordinate in termini di pianificazione paesistica e di
  definizione della relativa normativa d'uso e di valorizzazione
  ambientale, che invece non sempre c'è stata nei PTP fin qui
  adottati.
     Va ricordato che in generale la pianificazione paesistica
  si deve concretizzare con la individuazione di "zone di
  rispetto", così come prescritte dall'articolo 23 del
  regolamento per l'applicazione della legge n. 1497 del 1939,
  emanato con regio decreto n. 1357 del 1940.
     Per applicare correttamente tali "zone di rispetto", ed
  evitare confusioni in caso di sovrapposizione di uno o più
  vincoli  ope legis,  è opportuno differenziare
  preliminarmente la pianificazione specifica dei beni individui
  a se stanti da quella di ambito più vasto, procedendo quindi
  dal particolare al generale: si dovrebbe cioè partire prima
  dai beni individui a se stanti e passare subito dopo a quelli
  con vincoli sovrapposti, fissando contestualmente soluzioni e
  scelte coordinate e non difformi fra loro.
     Una volta individuati dunque sugli elaborati grafici i
  singoli beni in assoluto a se stanti (coste marine, laghi,
  corsi d'acqua pubblici, boschi e foreste, zone d'interesse
  archeologico, zone gravate da usi civici, vulcani e zone
  umide) e stabilite per ognuno di essi le "zone di rispetto" e
  le relative normative d'uso e di valorizzazione ambientale, la
  pianificazione dovrebbe prendere in esame i beni diffusi
  relativi ad aree o zone ricomprendenti eventualmente anche i
  suddetti beni a se stanti, dando risposte pianificatorie in
  termini di sommatoria delle normative nel caso di beni
  separati (come ad esempio un bosco ed un torrente interni ad
  una zona gravata da uso civico) oppure di sovrapposizione
  delle normative medesime (nel caso ad esempio di un bosco
  interno alla "zona di rispetto" della costa dei mari o dei
  laghi), dettando comunque una normativa generale d'uso per
  ognuno di tali beni diffusi e fissando come regola che quando
  si dovesse verificare la sovrapposizione di vincoli, in caso
  di contrasto o di difformità delle loro relative prescrizioni,
  debba prevalere sempre la norma più restrittiva.
     Tutta la casistica sopra elencata è riferita a beni
  diffusi per la cui tutela la pianificazione prevede
  semplicemente l'individuazione dei vincoli  ope legis
  tramite "zone di rispetto" (che si identificano con i relativi
  perimetri) e la definizione della corrispondente normativa
  d'uso al loro interno: fa eccezione la categoria relativa ai
 
                               Pag. 4
 
  parchi ed alle riserve naturali, entro i cui perimetri sono
  per lo più ricompresi non solo quasi tutti gli altri beni
  diffusi vincolati  ope legis,  ma anche aree non
  interessate da essi.
     Per la pianificazione paesistica di questa particolare
  categoria è necessaria una "zonizzazione" più vasta che
  ricomprende anche le "zone di rispetto" (singolarmente
  distinte e separate, oppure sovrapposte) degli altri beni
  individui diffusi e la cui normativa - oltre a ribadire la
  regola della prescrizione più restrittiva in caso di
  difformità o di contrasto con quelle dei singoli beni a se
  stanti eventualmente in essa ricompresi - deve coordinarsi con
  la normativa dei piani di assetto dei parchi: il vincolo
  imposto  ope legis  per i parchi e le riserve è pressochè
  corrispondente a quello emesso con specifico provvedimento
  ministeriale e/o regionale per ambiti territoriali più vasti,
  non ulteriormente definiti come categoria, al di là delle loro
  caratteristiche di "bellezze naturali e panoramiche" o di
  "zone di interesse archeologico", per cui le osservazioni
  relative ad esso, ed ai problemi della "zonizzazione"
  occorrente per pianificarne la tutela, sono fatte nel
  successivo paragrafo.
  Osservazioni sulla pianificazione delle aree vincolate con
  specifico provvedimento.
     Le aree sottoposte a vincolo mediante decreti ministeriali
  e/o delibere regionali riguardano ambiti territoriali più o
  meno vasti, che ricomprendono al loro interno uno o più beni
  diffusi e richiedono pertanto una pianificazione diversa da
  quella adottata a tutela dei vincoli imposti  ope
  legis.
     Per tali motivi sarebbe opportuno distinguere dai beni
  diffusi i territori vincolati con specifici provvedimenti,
  chiamando ed individuando questi ultimi come "sub-ambiti di
  pianificazione paesistica" (SAPP).
     All'interno di tali subambiti la pianificazione deve
  comunque rispettare sempre i criteri dettati per essa
  dall'articolo 23 del regolamento per l'applicazione della
  legge n. 1497 del 1939, emanato con regio decreto n. 1357 del
  1940, che come già detto impone l'applicazione di "zone di
  rispetto": tali zone di rispetto non possono però essere
  uguali a quelle individuate per i singoli beni diffusi, perchè
  in funzione di esse la pianificazione andrà comunque
  articolata in diversi livelli o gradi di tutela, che si
  possono e si devono applicare con l'uso di una "zonizzazione"
  proporzionale al maggiore o minore grado di antropizzazione
  del territorio.
     Questa diversa "zonizzazione" è riconducibile alle
  seguenti quattro zone di tutela:
       1) tutela integrale;
       2) tutela orientata;
       3) tutela paesaggistica;
       4) tutela limitata.
     Negli elaborati grafici dei PTP le quattro zone di tutela
  citate sono di dimensioni molto più grandi e si sovrappongono
  in genere alle zone di rispetto individuate e definite per
  ognuno dei beni diffusi elencati all'articolo 82 del decreto
  del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, e successive
  modificazioni.  Così, ad esempio, la fascia dei 150 metri da
  ogni sponda dei corsi d'acqua pubblici coincide per lo più
  anche con la zona di tutela integrale, estesa caso mai oltre i
  150 metri se c'è presenza di bosco o necessità di proteggere
  un maggiore bacino di esondazione.  Qualora questo non avvenga
  e le normative corrispondenti alle "zone di rispetto" dei beni
  diffusi da una parte ed alle "zone di tutela" dei territori
  vincolati dall'altra risultino difformi e in contrasto fra
  loro, deve prevalere sempre la norma più restrittiva.  Come
  caso particolare, nel rapporto-confronto tra "zone di
  rispetto" e "zone di tutela", deve essere precisata e definita
  (ai fini della pianificazione) la differenza sostanziale che
  esiste tra le "zone di interesse archeologico" vincolate
  ope legis  e quelle assoggettate invece con specifico
  decreto ministeriale al vincolo di cui all'articolo 82, quinto
  comma, lettera  m),  del decreto del Presidente della
  Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni,
 
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  mentre le prime sono riferite per lo più a beni puntiformi
  (nel caso del singolo rudere) areali (nel caso di un complesso
  monumentale) o lineari (nel caso di antichi percorsi
  archeologici), le seconde riguardano invece "comprensori" e
  "sistemi archeologici" di estensione territoriale ben più
  vasta, che non può essere certamente tutelata con una
  generalizzata "zona di rispetto" estesa all'intero
  perimetro.
     Le "zone d'interesse archeologico" individuate dai decreti
  ministeriali devono essere quindi pianificate con "zone di
  tutela" opportune ed appropriate, che per lo più sono di
  tutela orientata e/o integrale (in quest'ultimo caso
  sovrapposta o comunque comprensiva delle "zone di rispetto"
  dei singoli beni).
     La normativa d'uso relativa ad ognuna delle quattro "zone
  di tutela" stabilisce ad ogni modo soprattutto il rapporto tra
  le aree libere e le aree fabbricabili (cioè il grado di
  trasformazione in superficie), le altezze degli edifici (e
  quindi l'impatto ambientale dei volumi edilizi), il rispetto
  delle visuali panoramiche, eccetera, secondo quanto prescritto
  dal regolamento emanato nel 1940: per coerenza, tale "metodo"
  può e deve essere estensibile quindi anche alla pianificazione
  dei territori non vincolati, ma ricompresi non solo nei PTP
  adottati dalle regioni, ma anche nei PTC in sede di
  approvazione, per una equilibrata ed uniforme pianificazione
  di tutto il territorio regionale.  In tale modo si sarebbe in
  grado di disciplinare:
         a)  gli interventi urbanistici e territoriali in
  stretta connessione con la valorizzazione e con l'uso ottimale
  delle risorse ambientali, paesaggistiche e culturali
  dell'intera regione, e non soltanto di una sua parte;
         b)  la tutela paesistica con una normativa generale
  uniforme e coerente, alla quale dovranno essere adeguati tutti
  gli strumenti urbanistici comunali.
     Una pianificazione urbanistico-territoriale, con
  particolare attenzione a tutti i valori paesistici ed
  ambientali, indipendentemente dalla presenza o meno di vincoli
  imposti con specifici provvedimenti, consentirebbe di evitare
  i problemi che sono invece legati allo strumento dei piani
  paesistici, specie per quanto riguarda la necessità di doverli
  aggiornare in caso di imposizione di nuovi vincoli, perché la
  "cogenza" urbanistica di uno strumento equiparato a piano
  territoriale di coordinamento esteso a tutto il territorio
  regionale assicura automaticamente la tutela di un eventuale
  nuovo vincolo, fino al punto di renderne forse inutile
  l'imposizione con specifico decreto e/o delibera regionale.
     Per un PTC le componenti ambientali e paesistiche devono
  essere considerate punti fermi ed irrinunciabili (o
  "invarianti", o "certezze"), ivi comprese le aree agricole e
  con esse la normativa generale di tutela paesaggistica.
     Le aree agricole sono infatti ricomprese per lo più anche
  tra i beni elencati all'articolo 82 del decreto del Presidente
  della Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni,
  come i parchi e le riserve naturali, i territori superiori sia
  ai 1.600 che ai 1.200 metri, le zone di uso civico e gli
  stessi corsi d'acqua pubblici, relativamente alle loro sponde:
  quand'anche così non fosse, le zone agricole costituiscono
  quasi sempre la maggior parte dei territori sottoposti a
  "dichiarazioni di notevole interesse pubblico" e come tali
  vincolati con specifici provvedimenti, che devono essere
  quindi tutelati con una pianificazione mirata al controllo ed
  al rispetto delle visuali e dell'impatto ambientale,
  perseguibili soprattutto attraverso il giusto rapporto tra
  aree libere ed aree fabbricabili prescritto dall'articolo 23
  del regolamento per l'applicazione della legge n. 1497 del
  1939, emanata con regio decreto n. 1357 del 1940.
     Non è altresì accettabile come "giustificazione" che le
  aree agricole si possono far rientrare nelle zone di tutela
  orientata, perchè queste ultime sono riferite ad aree
  caratterizzate dalla presenza di beni di particolare interesse
  naturalistico e/o storico, culturale e paesaggistico, che sono
  meritevoli di conservazione e che quindi impedirebbero
  fortemente le attività agro-silvo-pastorali.
 
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     Un caso a sè è quello costituito dai parchi e dalle
  riserve naturali: prima di entrare nel merito della
  pianificazione di tale vincolo, è necessario soffermarsi un
  attimo a considerare da quale momento scatti la vigenza del
  vincolo medesimo, perchè uno specifico problema di
  interpretazione è sorto circa l'estensione o meno di tale
  vincolo anche alle aree protette non ancora istituite, ma solo
  provvisoriamente perimetrate.
     Dal testo dell'articolo 82 del decreto del Presidente
  della Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni,
  così come redatto, non si capisce se i parchi e le riserve di
  cui parla la lettera  f)  del quinto comma debbano essere
  riferiti esclusivamente ad aree protette già istituite.  Alla
  lacuna lasciata dalla citata legge ha dato risposta la III
  sezione penale della Corte di cassazione che con la sentenza
  n. 438 del 19 gennaio 1994 ha sancito che la legge n. 431 del
  1985 è applicabile non solo ai parchi nazionali esistenti, ma
  anche a quelli  in itinere:  in precedenza una circolare
  del Ministero dell'ambiente del 4 dicembre 1992 (pubblicata
  nella  Gazzetta Ufficiale  n. 300 del 22 dicembre 1992),
  benchè riferita al parco nazionale del Gran Sasso-Monti della
  Laga, aveva già chiarito in modo esauriente e generalizzato
  che la perimetrazione di un'area protetta, ancorchè
  provvisoria, equivale ad una dichiarazione di notevole
  interesse pubblico ed assoggetta automaticamente il territorio
  provvisoriamente perimetrato al vincolo di cui all'articolo
  82, quinto comma, del decreto del Presidente della Repubblica
  n. 616 del 1977, e successive modificazioni.
     Sul piano del "metodo" l'importanza di stabilire la
  presenza o meno del vincolo riguarda la "cogenza paesistica" o
  meno delle prescrizioni dei piani paesistici e quindi una
  tutela anche preventiva delle aree protette, fin dalla loro
  perimetrazione provvisoria: lo stesso discorso non vale invece
  se si approva un piano urbanistico-territoriale, perchè la
  "cogenza urbanistica" in tale caso è estesa all'intero piano
  territoriale di coordinamento territoriale della regione.
     Sempre sul piano del "metodo", dal momento che anche nel
  caso di un'area protetta già istituita, ma per la quale non si
  è ancora approvato il relativo piano di assetto, la tutela
  deve nel frattempo essere assicurata dalle misure di
  salvaguardia stabilite nella legge regionale istitutiva del
  parco, che per lo più fanno riferimento anche e soprattutto
  alle prescrizioni dei piani paesistici, un problema ulteriore
  è quello di fissare un coordinamento di questi ultimi con il
  futuro piano di assetto: la questione si sposta così dal piano
  del "metodo" a quello del "merito".
     Sul piano del "merito", quello cioè del "tipo" di
  pianificazione che andrebbe adottata per le aree protette,
  nell'un caso come nell'altro tanto il piano paesistico quanto
  il piano urbanistico dovrebbero in teoria contenere una
  attenzione maggiore ai valori paesistici ed ambientali: ma
  nella pratica gli ambiti territoriali scelti per essere
  destinati a diventare aree protette hanno di per sè maggiori
  valori paesistici ed ambientali, per cui non c'è bisogno nella
  sostanza di una maggiore attenzione, ma semplicemente di una
  pianificazione attenta e correttamente applicata a seconda
  della valenza delle diverse parti del territorio.
     Riguardo al coordinamento e ad una eventuale
  corrispondenza tra piani paesistici e piani di assetto, va
  precisato anzitutto che tanto l'articolo 10 quanto l'articolo
  25 della legge quadro sulle aree protette n. 394 del 1991
  stabiliscono che il "piano per il parco" ha valore di piano
  paesistico e di piano urbanistico e sostituisce i piani
  paesistici e i piani territoriali o urbanistici e ogni altro
  strumento di pianificazione di qualsiasi livello: il piano di
  assetto di un parco è dunque uno strumento sovraordinato tanto
  ai piani paesistici quanto ai piani
  urbanistico-territoriali.
      Non sarebbe pertanto accettabile una "normativa quadro"
  che subordinasse di fatto il piano di assetto al piano
  paesistico, obbligandolo a recepire integralmente le norme di
  tutela stabilite dal piano paesistico medesimo.
 
                               Pag. 7
 
     Il "piano per il parco", così come previsto dall'articolo
  10 della legge n. 394 del 1991, deve suddividere il territorio
  dell'area protetta in base al diverso grado di protezione,
  prevedendo le seguenti quattro zone:
       1) zone di riserva integrale;
       2) zone di riserva orientata;
       3) zone di protezione;
       4) zone di promozione economica e sociale.
     Un confronto tra queste quattro zone, con la relativa
  disciplina così come prevista in generale dalla legge quadro
  n. 394 del 1991, e le quattro "zone di tutela" dei piani
  paesistici consente di registrare una sostanziale equivalenza
  tra le prime tre prescritte per i parchi, che sono in pratica
  corrispondenti alle zone di tutela rispettivamente integrale,
  orientata o paesaggistica, con la differenza che le "aree di
  riserva" individuate nei parchi dai piani di assetto sono più
  omogenee e vaste delle "zone di tutela integrale" e delle
  "zone di tutela orientata", individuate invece dai piani
  paesistici, mentre le "zone di protezione" e le "zone di
  tutela paesaggistica" si possono considerare paritetiche, dal
  momento che entrambe disciplinano le zone agricole.
     Una differenza ancora maggiore c'è invece tra le "zone di
  promozione economica e sociale" e le "zone di tutela limitata"
  perché mentre nelle prime possono essere consentite dal piano
  di assetto solo attività compatibili con le finalità del
  parco, nelle seconde sono spesso autorizzate dal piano
  paesistico prescrizioni analoghe a quelle fissate dagli
  strumenti urbanistici, che non sempre risultano compatibili in
  un'area protetta.
     Se ne trae la conclusione che sul piano del "metodo"
  possono continuare ad essere adottate ugualmente le quattro
  "zone di tutela" previste in generale per tutti i piani
  paesistici, mentre sul piano del "merito" va sicuramente posta
  una maggiore attenzione alle singole zone, con particolare
  riguardo più per quelle di "tutela limitata" che per quelle di
  "tutela integrale" o di "tutela orientata", da prevedere ad
  ogni modo in misura possibilmente più omogenea ed estesa.
     L'importanza di approvare piani paesistici con "zone di
  tutela limitata" interne alle aree protette, che siano
  particolarmente attente alle loro finalità, vale soprattutto
  per i parchi provvisoriamente perimetrati e non ancora
  istituiti e serve a garantirne una effettiva e preventiva
  tutela da compromissioni irreversibili.
     Analizziamo a questo punto la problematica legata ai
  diversi aspetti della pianificazione dei vincoli dei beni
  diffusi, suddividendola per blocchi logici.
     A. 1 -  Sussistenza ed efficacia dei vincoli  ope
  legis  ai fini della loro operatività e tutela  - Oggetto
  della tutela che si prefigge la legge Galasso sono i
  cosiddetti "beni ambientali diffusi" elencati all'articolo 1
  della legge, che, come detto, modifica l'articolo 82 del
  decreto del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, su
  tali beni dovrebbero agire vincoli paesistici, imposti
  automaticamente ai sensi della legge n. 1497 del 1939, che per
  loro natura non richiedono nessun provvedimento di notifica
  dell'interesse pubblico, dal momento che quest'ultimo è
  ipso iure  tutelato dal decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985.  Ma
  per stabilire il campo di applicazione entro cui tali vincoli
  dovrebbero sviluppare la loro efficacia giuridica, è
  necessaria la loro definizione sul territorio, per individuare
  quegli elementi di certezza su cui si fonda sempre il diritto:
  senza l'individuazione delle presenze ambientali da tutelare e
  delle esatte dimensioni di ognuno dei perimetri dei rispettivi
  vincoli, rimane equivoco o comunque incerto quando si debba
  attivare il "regime tutorio tradizionale", che riguarda i
  provvedimenti di autorizzazione o di diniego degli eventuali
  interventi di trasformazione edilizia e/o territoriale
  previsti sulle aree in cui ricadono tali "beni ambientali
  diffusi", da rilasciare ai sensi dell'articolo 7 della legge
  n. 1497 del 1939 da parte dell'amministrazione regionale prima
  e statale poi
 
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  (ai sensi del quinto comma dell'articolo 82 del decreto del
  Presidente della Repubblica n. 616 del 1997, e successive
  modificazioni).
     In assenza di certezza del diritto, cioè di definizioni
  giuridiche inequivoche delle esatte "dimensioni" dei vincoli,
  oltre che di strumenti di riferimento come i piani paesistici
  o i piani urbanistico-territoriali, c'è il rischio che per
  ignoranza (o peggio ancora per dolo) tanto il privato quanto
  le pubbliche amministrazioni (comuni, ma anche regioni) non
  ritengano nemmeno di acquisire il "parere"  ex  articolo 7
  della legge n. 1497 del 1939 riguardo a sicuri "beni
  ambientali diffusi", per il semplice fatto che non li
  considerano vincolati: situazioni di questo tipo si sono già
  verificate e continuano a verificarsi fino al paradosso di non
  considerare vincolate (e quindi esenti dal "controllo" tramite
  autorizzazione paesistica) le stesse "zone di rispetto" dei
  beni di interesse archeologico individuati nei piani
  paesistici già adottati.
     A. 2 -  Vincoli senza titolo di accertamento  - Per i
  "beni ambientali diffusi", così come indicati nella generica
  elencazione che ne ha fatto il legislatore all'articolo 1
  della legge n. 431 del 1985, è indispensabile la
  determinazione fisica, ossia spaziale delle loro "presenze",
  senza la quale il vincolo non si manifesta e non se ne può
  garantire la tutela secondo il regime tutorio tradizionale
  delle autorizzazioni paesistiche, di cui si è detto al
  paragrafo A.1: ma se per "definire" i confini di tali vincoli
  ipso iure  tutelati si facesse ricorso a specifici
  "titoli di accertamento" (decreti ministeriali o delibere
  regionali), emanati a posteriori dopo l'entrata in vigore
  della legge Galasso, non si avrebbero più vincoli automatici
  ope legis.
     Alla lacuna legislativa che ne è derivata può ovviare solo
  una legge nazionale di riforma della legge Galasso, che ancora
  non c'è stata: ma la soluzione migliore, più che in modifiche
  ed integrazioni del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito,
  con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985, può essere
  trovata proprio in una "normativa quadro in materia di tutela
  paesistica", che deve provvedere a dare, dopo l'elenco puro e
  semplice di ognuno dei beni di cui alle lettere da  a)  ad
  m);  del quinto comma dell'articolo 82 del decreto del
  Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, introdotto
  dall'articolo 1 del decreto-legge n. 312 del 1985, convertito,
  con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985, una
  "definizione giuridica" dei rispettivi vincoli che ne
  specifichi le "dimensioni" e ne permetta, pur senza bisogno di
  farlo materialmente su elaborati grafici, una loro diretta
  trasposizione sul territorio: in tale modo si assicura la
  certezza del diritto, almeno sul piano delle procedure delle
  autorizzazioni paesistiche, anche nell'ambito di quei
  territori per i quali deve essere ancora adottato il relativo
  piano paesistico.
     In caso di perdurante incertezza giuridica, fino alla
  adozione degli strumenti di pianificazione paesistica, ai fini
  della sussistenza o meno di vincoli ambientali, e quindi
  dell'eventuale obbligo di richiedere l'autorizzazione
  paesistica in caso di progetti di trasformazione edilizia e/o
  territoriale, la "normativa quadro" deve prevedere il ricorso
  ad un "certificato di destinazione paesistica" attestante la
  presenza o meno di eventuali vincoli e dei relativi perimetri,
  redatto a cura delle regioni e/o delle soprintendenze
  competenti per territorio.
     A. 2. 1 -  Vincoli predefiniti  - Per alcuni di questi
  beni la "definizione" che ne ha fatto il legislatore sembra
  consentire la loro automatica e corrispondente "definizione"
  (in termini di trasposizione) sul territorio dei relativi
  vincoli.
     Per i territori costieri, per i territori contermini ai
  laghi, per i fiumi, i torrenti ed i corsi d'acqua pubblici,
  per le montagne, per i parchi e le riserve nazionali o
  regionali, nonché per i territori di protezione esterna ai
  parchi, e per le zone umide la definizione delle "dimensioni"
  delle fasce di rispetto (300 metri per fasce costiere marine e
  per coste dei laghi, 150 metri per i corsi delle acque
  pubbliche) e delle altezze sul livello del mare (1.600 metri
  per la catena alpina e 1.200 per quella appenninica e per le
  isole), oppure
 
                               Pag. 9
 
  il riferimento a "perimetrazioni" comunque prefissate da atti
  amministrativi (aree protette e zone umide) sembrerebbe
  permettere l'automatica trasposizione sul territorio della
  determinazione fisico-spaziale dei relativi vincoli: il
  potenziale usato è d'obbligo, perché nella applicazione
  pratica della legge si è poi accertato che non sempre c'è
  questa certezza del diritto.
     L'incertezza della norma è stata riscontrata soprattutto
  laddove essa fa riferimento ad elementi naturali per nulla
  statici, e quindi certi, bensì quanto mai "dinamici" e come
  tali soggetti a cambiamento, quali la linea di battigia delle
  coste dei mari e dei laghi o le sponde dei corsi d'acqua, che
  hanno determinato e continuano a creare oggettivi problemi di
  interpretazione ed applicazione della legge Galasso.
     Di fronte al carattere "dinamico" del limite effettivo da
  cui misurare con certezza le fasce di tutela sopra dette,
  occorre una "normativa quadro" che integri e specifichi con un
  testo più duttile ed elastico la definizione fornita alle
  lettere  a),   b)  e  c)  del quinto comma
  dell'articolo 82, del decreto del Presidente della Repubblica
  n. 616 del 1997, e successive modificazioni, spostando le
  misure delle "fasce di rispetto" nell'ambito della
  "definizione giuridica", che verrebbe data in modo distinto e
  separato dall'elenco dei beni, così come si è detto al
  paragrafo A. 2.  In tale "definizione giuridica" l'applicazione
  delle "fasce di rispetto" verrebbe ad essere rimandata in
  prima istanza al riferimento cartografico delle carte tecniche
  regionali in scala 1:10.000: qualora non risulti sufficiente
  lo strumento cartografico regionale, dovrebbero valere in
  seconda istanza i rilievi aerofotogrammetrici di maggior
  dettaglio al momento esistenti, oppure - come estremo rimedio
  - mappe catastali con l'aggiornamento reale dello stato dei
  luoghi, redatto se necessario a cura e spese dell'interessato,
  sotto la diretta responsabilità di un tecnico abilitato, ma
  riferito ad elementi comunque "fissi" (come case già
  esistenti, alberature, eccetera).  In tal modo le fasce di
  rispetto mantengono comunque le distanze fissate nella legge
  dalla linea di battigia e dalle sponde, indipendentemente
  dagli spostamenti di tale linea a causa dell'erosione.
     Il problema della definizione normativa di fasce di
  rispetto sempre uguali ma per cosi dire "mobili" è importante,
  perché è strettamente connesso poi agli elaborati grafici dei
  piani territoriali paesistici o dei piani
  urbanistico-territoriali con specifica considerazione dei
  valori paesistici ed ambientali, i quali invece sono comunque
  costretti a "fissare" su carte tecniche (o elaborati grafici
  destinati ad essere prima o poi non più attendibili) fasce di
  rispetto che la "normativa quadro" deve espressamente
  dichiarare come puramente "indicative", in quanto relative e
  non assolute.
     A. 2. 2 -  Vincoli non meglio definiti  - Per i
  ghiacciai ed i circhi glaciali, per le foreste ed i boschi,
  per le aree assegnate alle università agrarie e le zone
  gravate da usi civici, per i vulcani, ed infine per le zone di
  interesse archeologico, il legislatore non dà una definizione
  ulteriore, salvo che per la precisazione relativa alla
  estensione del vincolo anche a foreste e boschi percorsi o
  danneggiati dal fuoco, o sottoposti a vincolo di
  rimboschimento: per tali beni si pone quindi il serio problema
  di definire in modo inequivoco l'ambito di applicazione dei
  relativi vincoli, per far sì che la loro vigenza non sia
  puramente "declaratoria", rimanga cioè solo formalmente
  espressa nel testo della legge Galasso, senza nessuna
  possibilità nella "sostanza" di essere immediatamente
  applicabile sul territorio.
     Riguardo ai problemi di interpretazione e di applicazione
  della legge, che ne sono derivati, ai fini di una loro
  possibile soluzione va anzitutto detto che proprio dalla
  "definizione" data nella stessa legge Galasso dei vincoli
  relativi a beni come le coste dei mari e dei laghi, nonché dei
  corsi d'acqua pubblici, si deduce che non si è inteso
  vincolare il bene in sé e per sé, ma il suo "ambiente",
  individuato come "fascia di rispetto" variamente dimensionata
  a seconda del tipo di bene cui è riferita
 
                              Pag. 10
 
  (300 metri dalla linea di battigia per mari e coste, 150
  metri dalle sponde o dal piede degli argini per i corsi
  d'acqua): per analogia, se ne ricava l'indicazione che anche
  per alcuni dei beni in questione (non meglio definiti) - come
  i territori coperti da foreste e da boschi, i vulcani e le
  zone di interesse archeologico - il vincolo  ope legis
  non può e non deve essere certamente identificato con il solo
  ambito territoriale occupato da tali beni (cioè la loro area
  di sedime), ma va allargato ad una "fascia di rispetto" che
  sarebbe quanto meno opportuno stabilire per ognuno dei beni
  stessi nella loro "definizione giuridica".  Una siffatta
  definizione, oltre che a fugare ogni equivoco per il futuro,
  dovrebbe funzionare anche da norma-quadro per ogni categoria
  dei "beni ambientali diffusi" ed avrebbe la finalità di
  uniformare una tutela-base a livello nazionale, anche come
  indicazione funzionale alle singole pianificazioni
  paesistiche, ferma restando la potestà per ognuna di queste
  ultime di imporre "vincoli" (cioè "fasce di rispetto") più
  restrittivi, proprio mediante l'approvazione di strumenti come
  i piani paesistici o i piani urbanistico-territoriali previsti
  dall'articolo 1- bis  del decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985.
     Analizziamo singolarmente i "beni ambientali diffusi" di
  cui non sono stati meglio definiti i vincoli, per dare la
  soluzione adottata nelle rispettive "definizioni giuridiche"
  poi inserita nella "normativa quadro".
     A. 2. 2. 1 -  Foreste e boschi  - La mancata
  "definizione giuridica" dei "territori coperti da foreste e da
  boschi" è una lacuna che ha prodotto posizioni di principio
  spesso sconvolgenti.
     In forza di quanto detto al paragrafo A.2.2., ai fini
  della estensione del vincolo si propone anzitutto di
  precisare, nella "definizione giuridica" dei beni di cui alla
  lettera  g)  del quinto comma dell'articolo 82 del decreto
  del Presidente della Repubblica n. 616 del 1977, e successive
  modificazioni, che tali territori siano sottoposti a vincolo
  "per una fascia di 50 metri dai loro margini esterni": in tale
  modo se ne tutelano i bordi da compromissioni edificatorie che
  ne altererebbero, tra l'altro, le visuali minime.
     Riguardo al problema della "definizione giuridica",
  Maurizio Santoloci, Patrizia Fantilli e Stefano Leoni, del WWF
  Italia, hanno già proposto di differenziare il territorio
  coperto da alberi (che formano pertanto un bosco o una
  foresta) dal territorio coperto da elementi minori quali
  arbusti, seppur di notevole rilievo costitutivo e visivo.
     Un albero è una pianta legnosa con un fusto perenne ben
  definito che a pieno sviluppo presenta un asse principale
  prevalente sulla massa delle ramificazioni, il cui diametro
  raggiunga almeno i 5 centimetri ad altezza di petto e la cui
  altezza sia di almeno 5 metri, con i rami che si sviluppano in
  alto sul tronco.
     Sono invece da considerare arbusti quelle piante legnose
  che si presentano ramificate per lo più sin dalla base e
  assumono un aspetto cespuglioso, nelle quali comunque la massa
  dei rami predomina sull'asse principale e il fusto principale
  non può superare in dimensioni i fusti secondari.
     Per territori coperti da boschi e foreste devono
  intendersi dunque tutte le aree formate da soprassuoli di
  formazioni vegetali di piante soprattutto arboree, ma anche
  arbustive ed erbacee, in equilibrio dinamico evolutivo tra
  loro, costituenti un ecosistema completo che comprenda in via
  principale alberi di una sola o più specie, foglie morte e
  altri detriti vegetali ed animali, nonché la fauna e la
  microfauna che trovano condizioni di vita nel territorio
  stesso.  Si considerano tali i terreni coperti da vegetazione
  rappresentata da essenze di origine naturale o artificiale,
  costituente a maturità un soprassuolo continuo, con grado di
  copertura delle chiome non inferiore al 50 per cento della
  superficie boscata: si considerano altresì boschi gli
  appezzamenti alberati isolati da qualunque superficie, situati
  ad una distanza, misurata fra i margini più vicini, non
  superiore a 50 metri dai boschi come sopra definiti, e con
  densità di copertura delle chiome a
 
                              Pag. 11
 
  maturità non inferiore al 20 per cento della superficie
  boscata.  Nella presente categoria di beni paesistici sono
  compresi i terreni percorsi o danneggiati dal fuoco, i terreni
  soggetti a vincolo di rimboschimento, anche se temporaneamente
  nudi, nonché quelli che per interventi illegittimi dell'uomo
  sono temporaneamente privi della preesistente vegetazione
  forestale arborea.
     Sono esclusi dalla presente categoria:
         a)  gli impianti di colture legnose a rapido
  accrescimento di origine esclusivamente artificiale e
  realizzati con finalità esclusivamente produttive;
         b)  le piante sparse, i filari e le fasce alberate
  fatta eccezione per quelle che assolvono a funzioni
  frangivento in comprensori di bonifica, o di schermatura
  igienico-sanitaria nelle pertinenze di insediamenti produttivi
  o servizi, ovvero situati nelle pertinenze idrauliche;
         c)  le piantagioni arboree dei giardini;
         d)  i prati ed i pascoli arborati, il cui grado di
  copertura arborea a maturità non superi il 50 per cento della
  superficie e sui quali non siano in atto progetti di
  rimboschimento.
     Un problema a sé è quello del "taglio colturale" dei
  boschi: per esso va considerato il rapporto tra la legge n.
  431 del 1985 e le " Prescrizioni di massima e di polizia
  forestale ", che ha creato attriti a volte violenti in sede
  di applicazione sovrapposta di queste due normative, con
  riflessi spesso anche di tipo istituzionale.  Su quest'ultimo
  punto va evidenziato che il "taglio colturale" è esente dal
  regime vincolistico della legge Galasso, purché tuttavia, si
  badi, siano interventi "previsti ed autorizzati in base alle
  norme vigenti in materia".  Tradotto in termini pratici, il
  concetto è chiaro ed anche logico: esistono normative
  specifiche in materia forestale (vedi in primissimo luogo le
  suddette " Prescrizioni di massima e di polizia
  forestale " derivate dagli articoli 9 e 10 del regio
  decreto-legge n. 3267 del 1923) che disciplinano, tra l'altro,
  la materia del taglio dei boschi e dettano regole di controllo
  preventivo.  Ove tali regole siano rispettate appare
  conseguente che il territorio boscato potrà subire alterazioni
  di tipo stridente con le finalità del "vincolo-Galasso" perché
  trattasi di attività operate sotto il preventivo esame del
  Corpo forestale dello Stato (vedi "martellata") che è un
  gruppo specificatamente tecnico e dunque in grado di inibire a
  priori danni antitetici alla buona conservazione ambientale:
  conseguentemente, tali attività sono state lasciate esenti dal
  regime vincolistico.
     Tuttavia va evidenziato che le " Prescrizioni di massima
  e di polizia forestale " e la legge Galasso non sono due
  normative che possono integrarsi perfettamente ed essere
  applicate in totale sintonia, perché trattasi di due norme
  varate in tempi storico-ambientali differenti e soprattutto
  con finalità ben diverse se non addirittura opposte.  Le
  " Prescrizioni " appartengono, infatti, ad un concetto
  giuridico che vede il bosco come entità produttiva legnosa o
  comunque commerciabile e prevedono una gestione del territorio
  boscato sotto l'ottica precipua che tali finalità ed ogni
  dettato siano coerenti con tale modulazione di fondo:
  conservare sì il bosco, quindi, ma come realtà produttiva e
  commerciale senza risvolti pregiudiziali di carattere
  territoriale-ambientale, a parte la tutela da un punto di
  vista idrogeologico per la stabilità dei versanti.
     Il decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con
  modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985 nasce invece con
  finalità antitetiche: i territori coperti da boschi e foreste
  (come del resto tutti gli altri territori vincolati) sono
  tutelati non nel loro aspetto produttivo, bensì nel loro
  aspetto paesaggistico-ambientale ed ecologico in senso lato.
  In altri termini, si vuole tutelare il bosco non in quanto
  fonte di produzione di legno e di legname, ma al contrario in
  quanto bellezza paesaggistica e panoramica da un lato e bene
  biologico ambientale dall'altro.  Per il decreto-legge n. 312
  1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del
  1985 il bosco non è dunque legname, ma natura, ecosistemi
  integrati
 
                              Pag. 12
 
  complessi, componente primaria del paesaggio.
     Ed ecco che dunque le due normative corrono parallele fino
  ad un punto di rottura nel quale le concezioni di fondo
  prendono strade radicalmente diverse: per le " Prescrizioni
  di massima e di Polizia forestale " un albero troppo vecchio
  è inutile sotto il profilo della produzione dell'azienda-bosco
  e dunque è possibile abbatterlo, mentre per il decreto-legge
  citato n. 312 del 1985 lo stesso albero è un bene prezioso
  tanto sotto il profilo paesaggistico quanto soprattutto sotto
  il profilo biologico-ambientale (perché, ad esempio, è proprio
  nel vecchio tronco centenario che trovano albergo ecosistemi
  di molteplice natura, tra cui nidi e tane di volatili e
  mammiferi di varie specie), cosicché l'abbattimento del
  vecchio tronco possibile per le " Prescrizioni di
  massima ", diventa palesemente antitetico per il citato
  decreto-legge.  Così il taglio del bosco ai fini colturali
  diventa il terreno di potenziale maggior frizione tra le due
  normative.
     Ora si possono conciliare i due testi di legge con le
  rispettive finalità solo quando il "taglio colturale" è
  realmente e modestamente tale.  Con questo tipo di taglio
  infatti parte del verde non scompare del tutto e l'aspetto
  biologico-ambientale è salvo perché il bosco è destinato a
  rigenerarsi e dunque non si crea un danno relativo: benché in
  modo indubbio il territorio dopo il taglio muti
  sostanzialmente aspetto, perché il bosco non è più folto,
  l'aspetto paesaggistico-visivo seppur sofferente al primo
  impatto tende ad essere mitigato nella prospettiva della
  rigenerazione del manto verde che non è poi del tutto
  sradicato come componente territoriale.
     Ma vi è un punto oltre il quale un taglio eccessivo
  stravolge troppo drasticamente sia il paesaggio (come aspetto
  visivo) che l'ambiente (come catena biologica degli ecosistemi
  interconnessi nei loro delicati equilibri) e da questo limite
  in poi, seppur tutto è regolare secondo le " Prescrizioni di
  massima ", l'intervento stride con le finalità della legge
  Galasso ed allora si ritiene che tale taglio, oltre che alle
  " Prescrizioni di massima " che vivono in settore proprio
  ed autonomo rispetto al decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985,
  sia soggetto anche al regime vincolistico e quindi al
  nulla-osta regionale.  Il punto di dibattito concettuale è
  naturalmente l'individuazione di questo limite di confine.  La
  Corte di cassazione ha già fornito un utile e logico parametro
  interpretativo con una importante sentenza: "I territori
  coperti da foreste e da boschi, ancorché danneggiati dal
  fuoco, e quelli sottomessi a vincolo di rimboschimento, sono
  assoggettati a vincolo paesaggistico a norma dell'articolo 1
  della legge 8 agosto 1985, n. 431 e su di essi è consentito
  soltanto il taglio colturale, la forestazione ed altre opere
  conservate, sempreché autorizzati preventivamente.
     In base all'articolo predetto, commi 1, lettera  g),
  e 8, l'esercizio dell'attività agro-silvo-pastorale sui
  terreni sopra indicati deve essere specificatamente
  autorizzato, con nulla-osta regionale, ex articolo 7 della
  legge n. 497 del 1939, allorché comporti un'alterazione
  permanente dello stato dei luoghi o dell'aspetto idrogeologico
  del territorio, a prescindere dall'esistenza o meno di
  costruzioni edilizie o di altre opere, come avviene allorché
  venga effettuato il taglio a raso delle piante, che non
  rientra nell'ordinario taglio colturale in quanto interessa
  tutte le piante e non una parte di esse ed è idoneo per le sue
  caratteristiche ad esporre a pericolo il sistema ambientale
  interessato nelle sue molteplici componenti estetiche e
  naturalistiche" (Cassazione penale sezione III - 30 novembre
  1988 - relatore Postiglione - imputato Poletto).
     Il concetto sancito dalla Suprema corte è chiaro: il
  taglio a raso è soggetto a vincolo proprio perché stravolge
  completamente il territorio sia nell'aspetto
  paesaggistico-visivo che in quello biologico-ambientale.
     Realisticamente, un taglio a raso - seppur autorizzato
  dalle " Prescrizioni di massima e di Polizia forestale " -
  fa sì che laddove ieri c'era un manto verde (che si apprezzava
  coma tale già alla vista e svolgeva precise funzioni
  biologiche) oggi non vi è di fatto più nulla, se non un
  territorio
 
                              Pag. 13
 
  del tutto disboscato.  E' vero che le " Prescrizioni di
  massima " impongono di lasciare sul posto un certo numero di
  matricine per ettaro, ma in termini pratici significa che
  laddove ieri si apprezzava visivamente un folto bosco compatto
  oggi si notano a malapena alcuni isolati piccoli fusti di ben
  modesto valore estetico ed ambientale.  E dunque ecco uno dei
  casi in cui con certezza, stante la citata pronuncia della
  Suprema corte, il dissidio fra " Prescrizioni di massima "
  e decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con
  modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985 è ufficializzato e
  pertanto per operare un taglio a raso sarà necessario il
  nulla-osta regionale e non soltanto l'autorizzazione del Corpo
  forestale dello Stato sulla base delle citate
  " Prescrizioni ".
     Come concetto tecnico di taglio a raso (che in senso lato
  può essere interpretato come "taglio colturale") va intesa in
  tale contesto l'asportazione complessiva o totale di tutti i
  fusti incidenti sull'area.  Vi sono tuttavia altri casi in cui,
  di fronte ad un taglio apparentemente "colturale", in realtà
  l'attività deve essere considerata soggetta al regime
  vincolistico.  Se il "taglio colturale" è infatti autorizzato
  "in base alle norme vigenti in materia", come richiede il
  quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della
  Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni, e
  quindi gode della autorizzazione del Corpo forestale dello
  Stato, l'attività deve essere considerata esente dal regime
  vincolistico: ma se tale attività non è autorizzata "in base
  alle norme vigenti in materia" o se invece, dopo aver ottenuto
  l'autorizzazione, il taglio viene eseguito in maniera difforme
  e più estesa in modo sostanziale e di fondo (al di là
  dell'abbattimento errato di poche ed isolate piante che darà
  origine soltanto ad una infrazione amministrativa) allora si
  deve dedurre che i parametri stretti delineati dal citato
  quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della
  Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni, sono
  stati superati e pertanto decade l'eccezione della esenzione
  dal regime vincolistico e tale taglio rientra nel regime
  autorizzatorio e se manca il nulla-osta regionale configura il
  reato di cui all'articolo 1- sexies  del decreto-legge n.
  312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
  431 del 1985.
     La normativa quadro propone pertanto una disciplina
  articolata sulla seguente base:
     "Il taglio colturale consentito in deroga al regime
  vincolistico stabilito dalla legge 8 agosto 1985, n. 431, nei
  boschi e nelle foreste, di cui alla lettera  g)  del
  quinto comma dell'articolo 1 della medesima legge, si intende
  sottratto alla necessità della procedura autorizzatoria per il
  vincolo stesso limitatamente al caso in cui l'esecuzione
  avvenga in modo perfettamente conforme, a livello sia
  quantitativo che qualitativo, rispetto a quanto stabilito
  preventivamente in sede di "martellata" redatta dal personale
  del Corpo forestale dello Stato.
     Ove il predetto taglio, invece, fosse eseguito violando i
  parametri così stabiliti, e dunque venissero tagliate piante
  in esubero come qualità e/o quantità, la violazione deve
  essere in ogni caso perseguita a livello amministrativo sulla
  base delle  "Prescrizioni di massima e di Polizia
  forestale".
     Il taglio a raso è sempre soggetto invece al regime
  vincolistico della legge 8 agosto 1985, n. 431".
     A. 2. 2. 2 -  Aree assegnate alle università agrarie e
  zone gravate da usi civici  - I problemi legati ai "confini"
  dei vincoli di tale categoria di beni paesistici sono così
  complessi, a causa per lo più delle mancate perimetrazioni da
  parte delle amministrazioni che vi erano preposte, da
  costringere quasi tutte le regioni - nell'impossibilità di
  cartografarli - a darne una "definizione giuridica" unificata
  sulle norme di attuazione dei piani paesistici o
  urbanistico-territoriali.
     La "normativa quadro", dopo l'elenco dei soli "beni
  ambientali diffusi", riporta la "definizione giuridica"
  comunemente data dalle regioni nei piani paesistici fin qui
  adottati, risultante la più omnicomprensiva di tutta la
  possibile casistica che solitamente si verifica.
 
                              Pag. 14
 
     Un problema specifico si è verificato con la permuta dei
  terreni di uso civico, totalmente inedificati, quando è stata
  fatta appositamente per scavalcare l'ostacolo della normativa
  d'uso di tali beni, che non consente di realizzare determinate
  opere edilizie o stradali: con lo strumento della "permuta" si
  è in pratica ritenuto di poter spostare contestualmente, ma
  illecitamente, anche il vincolo paesistico, senza avere più
  ostacoli alla realizzazione di trasformazioni edificatorie.
     In modo opportuno la "normativa quadro" precisa, nella
  "definizione giuridica" di tali vincoli, che la permuta di
  terreni d'uso civico non comporta affatto la conseguente
  decadenza del vincolo: esso permane non solo sui terreni
  medesimi ma si estende anche su quelli fatti oggetto della
  permuta medesima.
     A. 2. 2. 3 -  Vulcani  - Nella "definizione giuridica"
  di tale categoria di vincoli è stato chiarito anzitutto che ci
  si riferisce anche e soprattutto ai vulcani spenti, fissando
  poi nel testo elementi certi di riferimento (come i crinali
  dei crateri vulcanici, caldere, eccetera).
     A. 2. 2. 4 -  Zone di interesse archeologico  - La
  tutela di tali zone non si attiva tanto per il valore
  particolare che ognuna delle presenze archeologiche possiede,
  in modo da garantire comunque la loro conservazione fisica
  (compito questo più specifico della legge n. 1089 del 1939),
  quanto per il loro valore nel contesto territoriale: per cui
  "fasce e ambiti di rispetto" costituiscono un tutt'uno
  integrato con il bene e definiscono complessivamente un'area
  regolamentata (cioè una "zona"), che come "ambiente del bene"
  deve dunque identificare il corrispondente vincolo  ope
  legis.
     La fisionomia giuridica di tali beni soggetti a tutela è
  stata data dalla VI sezione del Consiglio di Stato con la
  sentenza n. 951 del 13 novembre 1990, la quale precisa che le
  zone di interesse archeologico sono categorie che trovano
  causa non già nell'elemento morfologico, bensì in quello
  ubicazionale: per tali zone l'interesse archeologico è una
  qualità sufficiente a connotare l'"ambito territoriale" (e non
  la "presenza" territoriale) come zona e pertanto meritevole di
  tutela, anche se tale ambito non abbia un intrinseco pregio
  paesistico o morfologico.
     Il tipo di zona in questione deve essere protetto quindi
  non per la sua  facies  e la tutela è comunque distinta da
  quella di cui alla legge n. 1089 del 1939, perché non ha come
  oggetto i singoli beni riconosciuti di interesse archeologico,
  ma piuttosto il loro territorio.
     Secondo il Consiglio di Stato per l'individuazione di tali
  zone (cioè del relativo vincolo) è sufficiente dunque la
  relazione ubicazionale con valori archeologici, per i quali
  non ha rilievo se siano o non siano stati accertati e che
  quindi possono essere anche sepolti o addirittura presunti.
  Malgrado tale chiara pronuncia, il Ministero per i beni
  culturali e ambientali, con nota-circolare n. 8373/IIG del 26
  aprile 1994, inviata a tutte le regioni, ha definito "zona di
  interesse archeologico" un'area interessata solo da resti
  archeologici "emergenti", entrati a fare parte del paesaggio,
  caratterizzandolo come elementi qualificati di preminenza
  visiva: secondo la nota, per garantire la certezza del diritto
  è indispensabile una precisa individuazione di tali zone
  tramite decreti ministeriali e/o delibere regionali che ne
  perimetrino con esattezza i confini.  La nota-circolare viene
  implicitamente a negare la natura di vincolo  ope legis  a
  tale categoria di beni, perché non sono più oggetto di una
  tutela  ipso iure  garantita, dal momento che è demandata
  a specifico titolo di accertamento, da emanare con successivi
  atti amministrativi, in assenza dei quali non si tutela
  alcunché, con il rischio di una pressoché totale ed
  irreversibile compromissione della maggior parte delle "zone
  di interesse archeologico" in attesa di essere accertate come
  tali.
     Ad "ulteriore precisazione" della nota suddetta, anche a
  seguito delle proteste del WWF, lo stesso Ministero con
  nota-circolare n. 27548/IIG del 6 dicembre 1995 ha esteso la
  qualificazione delle "aree di interesse archeologico" anche ai
  beni non
 
                              Pag. 15
 
  emergenti riattestandosi sulle posizioni del Consiglio di
  Stato, ma ribadendo l'esigenza di istituire un gruppo di
  studio misto fra regioni e soprintendenze che elabori un
  documento cartografico in cui sia chiaramente indicata la
  "perimetrazione" delle zone di interesse archeologico: il
  documento in questione dovrebbe costituire la base di un
  "provvedimento ricognitivo" specifico, che rimanda in pratica
  alla nota del 1994, senza accorgersi di continuare ad
  esautorare tale tipo di vincolo, di fatto non più
  "automatico".
     Le conseguenze sul territorio di tali due note-circolari
  sono state e sono tuttora devastanti: basti dire che il
  sottogruppo incaricato dalla regione Lazio di elaborare una
  "normativa-quadro" dei piani territoriali paesistici, per una
  istruttoria unificata di quelli finora adottati, all'articolo
  14 (relativo a tali zone) rimanda l'applicazione della
  normativa d'uso dei PTP alle sole aree perimetrate con
  specifici decreti ministeriali o delibere della giunta
  regionale.
     La gravità della situazione che si è venuta a determinare
  per tale specifica categoria di beni paesistici giustifica
  ancora più l'urgenza e l'indifferibilità di una proposta
  organica di legge nazionale che chiarisca e risolva tutti i
  problemi di interpretazione e di applicazione della legge
  Galasso.  Occorre anzitutto stabilire in modo inequivoco un
  testo che dia una "definizione giuridica" precisa di quali
  siano le "zone di interesse archeologico", da distinguere
  sostanzialmente in "beni certi" e "beni incerti" al fine di
  assegnare ad essi vincoli differenziati di rispetto assoluto e
  preventivo, secondo corrispondenti "fasce e ambiti di
  rispetto" di 50 metri (per i beni certi) e di 100 metri (per
  quelli incerti): per le "zone di rispetto" dei beni incerti va
  precisato che tale vincolo è di inedificabilità assoluta
  temporanea, fino cioè all'esecuzione dei saggi di scavo ad
  opera delle soprintendenze archeologiche competenti per
  territorio, che ne decideranno il destino con l'abolizione del
  vincolo per assenza di resti oppure con l'assegnazione di un
  perimetro definitivo del vincolo in base alle risultanze degli
  scavi.  Nella presente categoria di beni sono comprese:
         a)  aree già scavate, ruderi anche isolati e
  complessi monumentali conosciuti, per una fascia di 50 metri
  estesa tutta intorno al perimetro delle rispettive aree di
  sedime;
         b)  aree archeologiche composte di parti scavate e
  parti non scavate o con attività progressive di scavo, per una
  fascia di 50 metri estesa tutta intorno al perimetro delle
  rispettive aree di sedime;
         c)  aree archeologiche di frammenti fittili e/o di
  consistenza ed estensione comprovate da fonti
  bibliograficamente documentate, o accertate dalle
  soprintendenze competenti per territorio, per una fascia di
  100 metri estesa tutta intorno al loro centro presunto.
     Nella presente categoria si intendono ricompresi tutti i
  beni di origine italica, etrusca, greca, romana e medievale,
  nonché quelli di interesse paleontologico.
     In assenza di pianificazione paesistica, ai fini della
  sussistenza o meno di vincoli ambientali, e quindi
  dell'eventuale obbligo di richiedere l'autorizzazione
  paesistica in caso di progetti di trasformazione edilizia e/o
  territoriale, la "normativa quadro" prevede il ricorso ad un
  "certificato di destinazione paesistica" attestante la
  presenza o meno di eventuali vincoli e dei relativi perimetri,
  redatto a cura della regione e/o delle soprintendenze
  archeologiche competenti per territorio.
     B. -  Definizione cartografica dei vincoli  ope legis.
  - La "definizione giuridica" per ogni categoria dei vincoli
  dei "beni ambientali diffusi", così come sopra proposta, deve
  essere considerata norma "transitoria", perché predisposta per
  "fissare" comunque senza equivoci la trasposizione sul
  territorio dei "confini" di vincoli per così dire "relativi",
  dal momento che sono desunti dalla sola enunciazione della
  norma o da "certificati di destinazione paesistica"
  altrettanto provvisori, in quanto sostitutivi dei riferimenti
  definitivi
 
                              Pag. 16
 
  della pianificazione paesistica: occorre pertanto che le
  perimetrazioni di tutti i vincoli ambientali siano
  materialmente riportate su piante secondo una scala opportuna
  che dia certezza del diritto riguardo ai loro esatti confini e
  che deve essere pertanto la stessa dei piani regolatori
  generali (1:10.000) che consente così anche un immediato
  confronto con gli strumenti urbanistici generali dei comuni.
  Tali piante, una volta redatte dalle regioni, devono entrare a
  far parte di un "sistema informativo territoriale" (SIT), che
  funga da riferimento per tutte le province ed i comuni, nonché
  per le future città metropolitane, ai fini della sussistenza
  dei vincoli  ope legis:  sulle medesime piante devono
  essere riportate anche tutte le perimetrazioni dei vincoli
  emessi con decreti ministeriali o delibere regionali ai sensi
  della legge n. 1497 del 1939 e del decreto-legge n. 312 del
  1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del
  1985, nonché di quelli emanati ai sensi della legge n. 1089
  del 1939.  Ma tale definizione cartografica a sé stante può
  essere compiuta "a regime", cioè solo dopo l'approvazione
  definitiva dei piani paesistici o di quelli
  urbanistico-territoriali, perché è da tali strumenti che deve
  essere ufficialmente desunta.
     Nelle more di adozione dei piani citati, si continua a
  rischiare di avere trasformazioni del territorio su zone
  sicuramente vincolate  ope legis  senza nessun "controllo"
  attraverso le autorizzazioni paesistiche, perché in assenza di
  certezza del diritto non si ritiene - come già detto - di
  dover acquisire il "parere"  ex  articolo 7 della legge n.
  1497 del 1939: è indispensabile quindi stabilire nella
  "normativa quadro" che per tutte le aree interessate da
  progetti di trasformazione del territorio, in assenza di
  definizione cartografica dei vincoli  ope legis,  ma sulla
  base della "definizione giuridica" data per ogni categoria dei
  vincoli ambientali, sia obbligatorio richiedere
  preventivamente alla regione e/o alle soprintendenze ai beni
  ambientali e architettonici il rilascio di un apposito
  "certificato di destinazione paesistica", di cui si è detto al
  paragrafo A.2, attestante l'esistenza o meno di vincoli
  automatici e l'eventuale obbligo di acquisire l'autorizzazione
  paesistica, da richiedere comunque prima della presentazione
  al comune della domanda di concessione edilizia.  Tale ultima
  precisazione serve anche a sancire un corretto ordine
  temporale dei procedimenti istruttori relativi ai progetti di
  trasformazione in zone vincolate, per i quali la
  giurisprudenza ha contribuito a creare equivoci, confusioni e
  spesso compromissioni del territorio, ammettendo
  l'acquisizione delle autorizzazioni paesistiche di regioni e
  Ministero anche dopo il rilascio delle concessioni edilizie,
  purché prima dell'inizio dei lavori: in tale senso si è
  pronunciata anche la pretura di Como con la sentenza n. 233
  del 2 maggio 1995.  In tale modo si evitano annullamenti o
  revoche di concessioni edilizie già rilasciate, ma rese
  illegittime da successivi "pareri" negativi o che comunque
  costringano a rivedere i progetti già approvati.
     C. -  Tutela dei vincoli  ope legis  attraverso la
  pianificazione paesistica. -  Per l'esercizio del
  diritto-dovere di tutela dei vincoli  ope legis
  attraverso i provvedimenti di autorizzazione,  ex
  articolo 7 della legge n. 1497 del 1939, è indispensabile
  una sussistenza universalmente riconosciuta dei vincoli
  medesimi, che come già detto non si desume certo dalla
  elencazione generica che ne ha fatto il legislatore
  all'articolo 1 della legge Galasso, senza una "definizione
  giuridica" dei vincoli medesimi.  La "tutela" prescritta dalla
  legge, così come vigente, è pertanto "derubricata" o
  "delegificata" (se così si può dire) a successivi "interventi
  amministrativi", che avrebbero dovuto individuare e definire
  la "perimetrazione" dei vincoli in questione, specie di quelli
  non individuabili sul territorio.
     Nello spirito della legge Galasso, ai fini della
  individuazione dei vincoli  ope legis,  l'elenco dei beni
  riportati all'articolo 1 andrebbe correlato necessariamente
  con l'articolo 1- bis  che a tale elenco espressamente
  rimanda come "riferimento" e che specifica quali siano i
  citati "interventi amministrativi": spetterebbe dunque ai
 
                              Pag. 17
 
  "piani territoriali paesistici" oppure ai "piani
  urbanistico-territoriali" il compito di "definire"
  materialmente (nei relativi elaborati grafici) l'ambito esatto
  entro cui si devono applicare i vincoli per ognuno dei "beni
  ambientali diffusi", affinché acquistino validità giuridica
  ope legis.
     Anche e soprattutto per tali motivi, il decreto-legge n.
  312 del 1985, convertito, con modificazioni, dalla legge n.
  431 del 1985, ha reso obbligatoria la redazione dei piani
  paesistici (che l'articolo 5 della legge n. 1497 del 1939 dava
  invece come facoltativa) ed ha fissato il termine ravvicinato
  del 31 dicembre 1986 per la loro approvazione, finalizzata
  evidentemente a ridurre al minimo il vuoto legislativo che si
  veniva a creare dalla data di entrata in vigore della legge
  Galasso fino alla effettiva valenza giuridica di tali vincoli
  ope legis.  Sotto tale aspetto appare grave che a
  distanza di quindici anni siano ancora molte le regioni senza
  pianificazione paesistica, perché l'inadempienza non consente
  l'esercizio del diritto-dovere di tutela su beni  ipso iure
  tutelati, ma in pratica non ancora individuati e forse
  compromessi ormai da edificazioni per le quali non è stata
  acquisita nessuna autorizzazione paesistica.
     E' quanto meno opportuno quindi che la "normativa quadro"
  stabilisca anche una scadenza "perentoria" entro cui portare a
  compimento almeno l'adozione di tutti i piani ancora mancanti
  (entro un anno dalla data di entrata in vigore della
  "normativa quadro"), sancendo - nelle more di tale adozione -
  l'esercizio del diritto-dovere di tutela mediante il
  procedimento di cui si è detto ai paragrafi A.2 e B
  (certificato di destinazione paesistica).
     C. 1. -  Piani territoriali paesistici. -  L'articolo
  1- bis  della legge Galasso ha reso obbligatoria la
  redazione, prima facoltativa, di tale strumento di
  pianificazione esclusiva delle aree vincolate che si traduce
  visivamente sul territorio con una distribuzione "a macchia di
  leopardo" dei vincoli oggetto di disciplina: laddove è stata
  fatta, la redazione ha seguito le prescrizioni impartite dagli
  articoli 5 e 16 della legge n. 1497 del 1939 e soprattutto
  dall'articolo 23 del suo regolamento per l'applicazione,
  emanato con regio decreto 3 giugno 1940, n. 1357, ed ha
  comportato quindi l'applicazione delle "zone di rispetto"
  (articolo 23, primo comma, numero 1), del regio decreto n.
  1357 del 1940), da stabilire per ognuno dei "beni ambientali
  diffusi" elencati dal decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985: le
  "fasce di rispetto" individuate, fatta eccezione per quelle
  prefissate dalla legge stessa (coste dei mari e dei laghi e
  corsi d'acqua), dovrebbero identificare i vincoli  ope
  legis  che non appaiono affatto uniformi e risultano diversi
  non solo da regione a regione, ma addirittura tra piani
  paesistici di una stessa regione.
     Assieme alla "definizione giuridica" dei vincoli  ope
  legis,  di cui si è detto al paragrafo A.2, la presente
  proposta di legge stabilisce anche una normativa quadro delle
  fasce di rispetto che uniforma uno " standard  paesistico"
  minimo, che le regioni devono rispettare nella redazione dei
  piani paesistici, con facoltà di migliorarlo adottando "fasce
  di rispetto" più estese di quelle minime.
     C. 2. -  Piani urbanistico-territoriali. -  In
  alternativa ai piani paesistici, l'articolo 1- bis  del
  decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni,
  dalla legge n. 431 del 1985, consente di adottare piani con
  specifica considerazione dei valori paesistici e ambientali,
  che presuppongono il passaggio dal sistema di PTP, "a macchia
  di leopardo", a piani territoriali "unitari", comprensivi al
  loro interno anche dei PTP, nonché dei vincoli emanati con
  decreti ministeriali e/o delibere regionali, ma redatti con
  valenza urbanistica di (PTC) settoriali, ai sensi degli
  articoli 5 e 6 della legge n. 1150 del 1942.  Dal momento che
  gli ambiti "unitari" di tali piani vanno ad abbracciare parti
  non vincolate di territorio, la "normativa quadro" specifica
  meglio la distinzione che esiste fra i due strumenti di
  pianificazione, precisando almeno per questi ultimi che sul
  piano delle procedure l'autorizzazione paesistica deve essere
  richiesta solo per le zone vincolate,
 
                              Pag. 18
 
  mentre la disciplina urbanistica impartita per essi si
  applica in modo uniforme su tutto l'ambito interessato da tali
  piani, ivi comprese le parti vincolate: in pratica, la
  normativa d'uso e di valorizzazione ambientale prescritta
  dall'articolo 1- bis  del decreto-legge n. 312 del 1985,
  convertito, con modificazioni, dalla legge n. 431 del 1985,
  assolve alla doppia funzione di disciplina paesistica (di
  compatibilità e conformità per i singoli progetti di
  trasformazione, ai fini dei pareri  ex  articolo 7 della
  legge n. 1497 del 1939) e di disciplina urbanistica (di
  compatibilità e di conformità anche e soprattutto per gli
  strumenti urbanistici generali sia territoriali che operativi
  subregionali sottordinati, che dovranno essere adeguati ad
  essa).
     C. 3. -  Normativa d'uso e di valorizzazione ambientale.
  -  La tutela dei vincoli  ope legis  si attua mediante
  il "controllo" operato con le autorizzazioni paesistiche, ma
  si concretizza solo ed esclusivamente con le "disposizioni
  precettive" delle trasformazioni possibili all'interno dei
  vincoli medesimi, che costituiscono le norme di attuazione dei
  piani paesistici e di quelli urbanistico-territoriali: senza
  di esse, il parere rilasciato ai sensi dell'articolo 7 della
  legge n. 1497 del 1939 è comunque discrezionale e rischia di
  essere diverso per una stessa categoria di beni, anche quando
  siano identiche le richieste di trasformazione in zone
  parimenti vincolate.
     Togliere discrezionalità ai funzionari regionali e statali
  preposti alla tutela di tali vincoli, oltre a garantire una
  applicazione uniforme di tutela, significa anche assicurare ai
  medesimi funzionari minori responsabilità civili e penali in
  tema di accesso di potere e/o omissioni d'atti d'ufficio: ciò
  è possibile solo con una normativa d'uso vigente, allegata
  agli elaborati grafici dei piani citati, che riduce i "pareri"
  ex  articolo 7 della legge n. 1407 del 1939, ad un mero
  esame di conformità dei progetti edilizi presentati con la
  disciplina impartita da uno dei due piani citati e si traduce
  anche in uno snellimento delle procedure, nel rispetto dei
  sessanta giorni prescritti ma di solito ampiamente superati
  tanto dalle regioni quanto dal Ministero.  In assenza di tale
  disciplina, ma anche in funzione di una uniformità di quelle
  che verranno approvate dalle regioni, la "normativa quadro"
  specifica, come introdotta all'articolo 1- bis,  del
  decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni,
  dalla legge n. 431 del 1985, le norme-quadro che valgono come
  princìpi di pianificazione cui si devono attenere e conformare
  tutti i piani territoriali paesistici o i piani
  urbanistico-territoriali, facendo salva la loro autonomia di
  impartire prescrizioni più restrittive: in tale modo ai
  funzionari preposti alla tutela di tali vincoli è lasciata una
  discrezionalità "regolamentata", quando c'è assenza di
  strumenti di pianificazione.
     Come situazione particolare a se stante, ma da non
  trascurare, la normativa quadro disciplina anche i casi delle
  opere "provvisorie" (in genere di cantiere), necessarie per la
  realizzazione di trasformazioni fisse e durature sul
  territorio, che per la loro natura comportano comunque una
  modifica dell'assetto territoriale ed il conseguente
  ripristino dello stato precedente dei luoghi: è precisato che
  anche per esse è obbligatorio il rilascio dell'autorizzazione
  ex  articolo 7 della legge n. 1497 del 1939.
     Al fine di uniformare la pianificazione paesistica, oltre
  che di evitare applicazioni distorte della stessa, sono
  impartite norme-quadro non solo per i vincoli  ope legis
  ma anche per quelli imposti con decreti ministeriali e/o
  delibere regionali ("dichiarazioni di notevole interesse
  pubblico"), che abbracciano territori più vasti entro cui sono
  inevitabilmente ricompresi "beni ambientali diffusi",
  sovrapponendosi ai relativi vincoli: in tali casi si hanno
  vincoli "morfologici" inclusi all'interno di più ampi vincoli
  paesistici, che devono essere diversamente "pianificati".
  Mentre per i primi si applica una normativa d'uso relativa
  alle "zone di rispetto" (fasce e ambiti), per i secondi deve
  essere impartita invece una normativa per "zone di tutela" più
  o meno accentuata a seconda del differente grado di
  antropizzazione: la "normativa quadro" indica le quattro "zone
  di tutela" solitamente più usate nei piani fin qui redatti
  (tutela integrale, paesistica,
 
                              Pag. 19
 
  orientata e limitata), in modo abbastanza simile a quanto
  peraltro prescrive la legge n. 394 del 1991 per i piani di
  assetto delle aree protette, con una "zonizzazione" che deve
  essere fatta  ope legis  salvo all'interno dei parchi
  istituiti, ferma restando solo la normativa d'uso dei vincoli
  o disposizioni più restrittive che il piano di assetto ritenga
  di adottare.
     C. 4. -  Misure di salvaguardia. -  Alla mancata
  pianificazione paesistica di diversi ambiti territoriali,
  malgrado i tredici anni trascorsi, si é aggiunta la mancata
  "cogenza" degli stessi PTP redatti, in quanto adottati dalle
  giunte regionali: tutti i nulla-osta rilasciati per essi dai
  commissari di Governo precisano che le delibere di adozione
  assumono la valenza di atti "interni" alle amministrazioni
  regionali, senza il potere di incidere giuridicamente
  all'esterno, imponendo limitazioni alla proprietà privata,
  perché il potere "regolamentare" è attribuito dall'articolo
  121 della Costituzione solo ai consigli regionali e non anche
  alle giunte.  Così le prescrizioni di tutti i piani paesistici
  fin qui adottati dalle giunte regionali, benché riferiti a
  zone vincolate, non dovrebbero essere immediatamente "cogenti"
  fin tanto che non verranno definitivamente approvati dal
  consiglio regionale: la stessa legge n. 1497 del 1939 in tale
  senso è equivoca perché non dice nulla riguardo alla "vigenza"
  delle norme dei PTP, ma attribuisce un certo potere
  regolamentare di imporre limitazioni ai funzionari preposti
  alla tutela del vincolo in modo indiretto, attraverso la
  stessa autorizzazione paesistica.
     Per non vanificare del tutto le norme di attuazione dei
  PTP solo adottati, che rischiano di non essere più applicabili
  quando saranno approvate per tutte quelle zone nel frattempo
  irreversibilmente compromesse, la "normativa quadro" prescrive
  quanto meno un termine "perentorio" per l'adozione da parte
  dei consigli regionali sia dei piani già adottati che di
  quelli ancora da redigere: per quelli fin qui adottati dispone
  che, fino alla loro adozione e/o approvazione definitiva da
  parte del consiglio regionale, ai fini del rilascio o del
  diniego delle autorizzazioni paesistiche valgano come norme di
  riferimento obbligatorio quelle più restrittive fra le
  norme-quadro (di cui si è detto al paragrafo C.3) e le norme
  di attuazione dei medesimi piani paesistici già adottati.  Tali
  disposizioni "transitorie" colmano la lacuna legislativa
  determinata dalla legge Galasso.
     D. -  Gestione del vincolo ambientale: autorizzazioni
  paesistiche dei piani di lottizzazione. -  Il testo del
  quinto comma dell'articolo 82 del decreto del Presidente della
  Repubblica n. 616 del 1977, e successive modificazioni, non
  specifica a quale tipo di progetto edilizio siano riferite le
  autorizzazioni paesistiche e determina problemi di
  interpretazione riguardo ai piani di lottizzazione pubblica
  (edilizia economica e popolare) e privata (convenzioni
  urbanistiche), che sono cosa ben diversa - sotto l'aspetto
  dell'impatto ambientale - dai progetti di realizzazione di
  singole opere edilizie: secondo una interpretazione distorta
  della normativa le autorizzazioni paesistiche devono essere
  relative esclusivamente alle singole opere edilizie, per cui
  nel caso dei piani di lottizzazione esse andrebbero rilasciate
  dapprima sulle opere di urbanizzazione primaria e poi sui
  singoli fabbricati.  Ma il procedimento urbanistico di
  approvazione di un piano di lottizzazione è contraddistinto da
  due livelli di progressiva istruzione: da una parte il
  progetto planovolumetrico di massima, che è dall'altra
  propedeutico al progetto esecutivo vero e proprio.  Quando tali
  progetti ricadono in zona vincolata, la prassi consolidata che
  è applicata dalle regioni è quella di rilasciare, ai sensi
  dell'articolo 7 della legge n. 1497 del 1939, un "parere"
  preventivo sui progetti planovolumetrici e la vera
  autorizzazione paesistica sulle domande di concessione
  relative alle opere di urbanizzazione primaria e ai singoli
  comparti edificatori.  Ai fini della tutela delle zone
  vincolate interessate da tali piani di lottizzazione,
  fondamentale è il rapporto tra aree libere ed aree edificabili
  riferito all'intera zona coinvolta dal piano di trasformazione
  ed al
 
                              Pag. 20
 
  contesto territoriale in cui si inserisce, perché consente di
  controllare l'impatto ambientale complessivo: il "parere"
  preventivo rilasciato sui progetti planovolumetrici viene
  invece per lo più considerato "di massima" ed assume, specie
  in assenza di pianificazione paesistica di riferimento, il
  carattere di atto istruttorio consultivo e non cogente, sul
  presupposto erroneo che il vero "controllo" di compatibilità
  paesistica avvenga comunque con le autorizzazioni rilasciate
  successivamente.  Ma con tale procedura, dal momento che le
  autorizzazioni paesistiche sono rilasciate solo ed
  esclusivamente su "parti" del progetto complessivo (le sole
  opere di urbanizzazione primaria o i singoli comparti
  edificatori), senza poter valutare quindi la loro eventuale
  incidenza negativa rispetto alla totalità delle trasformazioni
  previste, se al "parere di massima" espresso in prima istanza
  proprio sul progetto planovolumetrico complessivo non viene
  data l'importanza (che gli spetta) di vera e propria
  autorizzazione paesistica alla totalità della trasformazione
  edilizia, così come progettata, il meccanismo che è stato
  predisposto rischia di diventare (come spesso è stato) un
  espediente per scavalcare il vincolo ambientale, con il
  presupposto del tutto errato che la somma dei singoli
  "controlli" comunque corrisponda alla tutela complessiva e
  quindi la assicuri ugualmente.
     Mentre il nulla-osta al progetto planovolumetrico è
  relativo ad una valutazione "generale" ed unitaria che deve
  badare anche e soprattutto al rapporto "esterno" con la zona
  circostante in cui si inserisce la trasformazione progettata,
  le autorizzazioni paesistiche alle opere di urbanizzazione e
  alle singole costruzioni - proprio perché derivanti da una
  valutazione "particolare" riguardano i rapporti "interni" alle
  stesse trasformazioni (particolari costruttivi, finiture di
  tetti e facciate, colori, eccetera) e non possono certo
  consentire, per semplice loro sommatoria, un esame contestuale
  dei volumi dell'intero progetto.
     La "normativa quadro" stabilisce pertanto che nel caso di
  piani di lottizzazione sia obbligatorio un doppio e distinto
  procedimento autorizzatorio ai sensi della legge n. 1497 del
  1939, specificando che il primo nulla-osta deve essere
  relativo al rapporto tra aree libere ed aree edificabili, da
  valutare sull'intero progetto planovolumetrico rispetto al
  contesto territoriale, mentre il secondo nulla-osta deve
  riguardare nel particolare i progetti esecutivi relativi
  dapprima alle opere di urbanizzazione primaria e poi ai
  singoli fabbricati.
     D. 1 -  Motivazione delle autorizzazioni paesistiche
  - La legge n. 241 del 1990 ha innovato i procedimenti
  amministrativi, prescrivendo all'articolo 3 provvedimenti
  motivati che indichino i presupposti di fatto e le ragioni
  giuridiche che hanno determinato la decisione, in relazione
  alle risultanze dell'istruttoria: l'applicazione corretta di
  tale disposto normativo eviterebbe per il futuro il rilascio
  dei tanti nulla-osta dati senza nessuna motivazione, quando
  invece non avrebbero dovuto essere mai concessi.
     La "normativa quadro" prevede quindi che il rilascio o il
  diniego dei nulla-osta sia regionali che ministeriali sia
  sufficientemente motivato, premettendo le ragioni tanto
  dell'assenso quanto del rifiuto con riferimento specifico (e
  non discrezionale) alla conformità con le norme-quadro
  regionali e le norme di attuazione e gli elaborati grafici
  degli strumenti di pianificazione paesistica.
     D. 2 -  Deleghe  - Con propria legge 19 dicembre 1995,
  n. 59, la regione Lazio ha conferito ai comuni una sub-delega
  di funzioni in materia di tutela ambientale, limitata però
  solo a determinati settori: dopo l'approvazione della legge
  regionale sul decentramento del 20 dicembre 1996 sono previste
  ulteriori deleghe a comuni e province.
     La "normativa quadro" sancisce, come principio
  inderogabile ai fini della tutela, che "controllori" e
  "controllati" non possano identificarsi in uno stesso soggetto
  istituzionale, per cui le regioni possono tutt'al più - per
  sottrazione delle proprie attribuzioni - delegare le funzioni
  di controllo ad esse assegnate esclusivamente alle
 
                              Pag. 21
 
  province e solo in casi particolari ai comuni.
     Il testo della "normativa quadro" funge così da
  "regolamento" delle leggi regionali.
     Tenendo conto di tutta la problematica sopra evidenziata,
  è stata redatta la presente proposta di legge che traduce in
  soluzioni inequivoche i diversi casi di interpretazione e di
  applicazione della legge Galasso sopra esaminati.
     Anziché modificare ed integrare direttamente il
  decreto-legge n. 312 del 1985, convertito, con modificazioni,
  dalla legge n. 431 del 1985, la presente proposta di legge è
  stata impostata come "normativa quadro in materia di tutela
  paesistica" e dà un maggior rilievo alla distinzione tra
  tutela dei beni individui (estesi, oltre che a quelli
  ambientali diffusi, anche alle sorgenti ed alle singolarità
  geomorfologiche e ricompresi nel capo II) e tutela dei
  paesaggi (estesi, oltre che ai territori vincolati con
  provvedimenti specifici, anche agli ambiti non altrimenti
  vincolati e ricompresi nel capo VI).
     Per ognuna delle categorie dei "beni ambientali diffusi",
  vincolati  ope legis,  viene data separatamente, come
  disposizione generale, una definizione "giuridica" che ne
  consente l'individuazione ai fini della richiesta o meno di
  autorizzazione paesistica, anche senza il ricorso agli
  elaborati su cui sono graficizzati i loro perimetri: la tutela
  dei vincoli  ope legis  si attua mediante la normativa
  quadro stabilita per ognuno di essi.
     Per la tutela dei paesaggi è stata predisposta una
  classificazione ai fini della tutela che riconferma anche la
  "zona di tutela paesaggistica": per ognuna delle quattro "zone
  di tutela" (integrale, orientata, paesaggistica e limitata) è
  stata elaborata una apposita normativa quadro, prevedendo
  anche delle specifiche sottozone.
 
DATA=990114 FASCID=DDL13-5555 TIPOSTA=DDL LEGISL=13 NCOMM= SEDE=PR NSTA=5555 TOTPAG=0082 TOTDOC=0042 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=006 PAGFIN=0021 RIGFIN=033 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=21 SORTRES= SORTDDL=555500 00 FASCIDC=13DDL5555 SORTNAV=0555500 000 00000 ZZDDLC5555 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002



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