| Onorevoli Colleghi! - Come spesso accade, già in sede
di prima applicazione qualche legge mostra repentinamente
qualche imperfezione, certo di importanza del tutto
secondaria, ma che rischia di "snaturare" l'intento del
legislatore creando, per così dire, effetti distorsivi, nonché
appigli per facili scappatoie. Ci si riferisce in questo caso
alla recente legge in materia di obiezione di coscienza (legge
8 luglio 1998, n. 230), che già dopo i primi mesi di
attuazione ha consentito di evidenziare una fastidiosa
questione relativa all'applicazione di quanto disposto
dall'articolo 14. Tale articolo individua nella figura del
pretore il giudice competente a giudicare gli obiettori
ammessi al servizio civile che rifiutino di prestarlo e coloro
che, non avendo chiesto o non avendo ottenuto l'ammissione al
servizio civile, rifiutino di prestare il servizio militare,
prima o dopo averlo assunto. Tali reati sono puniti entrambi
con la reclusione da sei mesi a due anni. Il medesimo articolo
14, al comma 4, prevede tuttavia che in caso di sentenza
penale di condanna per uno dei suddetti reati scatti l'esonero
dagli obblighi di leva. A questo proposito va rilevato che,
con una disposizione simile, l'imputato, dopo aver richiesto
il patteggiamento della pena ed essersi riconosciuto colpevole
del reato, potrebbe avere una condanna non superiore a tre
mesi. Questo gli permetterebbe di saldare il suo debito con la
giustizia pagando una multa e non scontando alcuna pena
detentiva. La legge prevede, infatti, questa possibilità,
peraltro nemmeno molto onerosa dato che si tratterebbe di
pagare 75 mila lire per ogni giorno di reclusione al quale si
è stati condannati. A conti fatti, per una condanna a tre mesi
la sanzione si risolverebbe nel pagamento della modica somma
di 6 milioni e 750 mila lire, somma questa che si ridurrebbe
ulteriormente qualora si tratti di giovani senza una propria
fonte di reddito.
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In questo modo si eviterebbe di prestare il servizio
militare. Non solo: con il patteggiamento della pena è anche
automatica la concessione del beneficio della non menzione
della condanna nel casellario giudiziario. Così non accade a
chi sceglie l'obiezione totale sin dall'inizio e, non
presentando neppure domanda di servizio civile sostitutivo, si
rifiuta di prestare il servizio militare. Questi giovani sono
destinati a svolgere il periodo di ferma obbligatoria di
servizio civile (dieci mesi) in una struttura carceraria
militare. Invece, chi dapprima chiede ed ottiene di poter
svolgere il servizio sostitutivo di quello militare e poi -
verrebbe da aggiungere - constatati il vantaggio e
l'inconsistenza della pena, si dichiara obiettore totale, se
la cava con una semplice multa. Non vi è dubbio circa la
negatività di ciò, e queste non sono solo supposizioni o
ipotesi teoriche dato che già qualche avvisaglia di
comportamenti di questo tipo si è presentata sulla stampa
locale.
Per le considerazioni suddette, seppur illustrate
brevemente, si rende pertanto necessaria una modifica alla
legge 8 luglio 1998 n. 230, nel senso di abrogare il comma 4
dell'articolo 14. In questo modo si eviterebbero indubbiamente
meschine strumentalizzazioni della disposizione e non si
correrebbe il rischio di mortificare l'importanza ed il
valore, etico, civile e religioso che per molti giovani
riveste la scelta dell'obiezione di coscienza. E che dire poi
del principio di uguaglianza! Il "beneficio" previsto dal
comma 4 dell'articolo 14 della legge n. 230 del 1998 favorisce
essenzialmente alcuni rispetto ad altri. Esso rappresenta una
evidente alterazione di fatto del principio di uguaglianza
visto che giovani facoltosi, forse un poco più smaliziati di
altri o solo meno convinti del valore della scelta di
obiezione di coscienza, potrebbero permettersi di evitare di
prestare sia il servizio militare che quello civile
sostitutivo.
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