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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


66193
DDL5605-0002
Progetto di legge Camera n. 5605 - testo presentato - (DDL13-5605)
(suddiviso in 3 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5605. TESTIPDL
...C5605.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5605 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - Tra i fini del diritto penale
  rientra certamente quello della prevenzione generale, in virtù
  della quale il legislatore, sulla base delle concrete
  situazioni e delle esigenze di difesa del corpo sociale e
  dell'ordinamento dai fenomeni criminali, adotta le
  disposizioni che, a seconda dei diversi momenti storici,
  appaiono idonee a prevenire il compimento di fatti delittuosi
  o a scoraggiarli rendendo più difficile il godimento dei
  frutti del reato commesso.  Su questa base, la dottrina ha
  elaborato la categoria dei reati di pericolo, nella quale si
  ricomprendono le fattispecie positivamente sanzionate
  dall'ordinamento penale sulla base di una connessione
  finalistica  iuris tantum  presunta, in presenza di
  determinate condizioni, tra il compimento di specifici atti o
  il verificarsi di talune situazioni, e il compimento di un
  reato di danno rispetto al quale tali atti o situazioni
  possano fondatamente ritenersi strumentali o
  consequenziali.
     Nello Stato di diritto, la sfera di efficacia di tali
  fattispecie giuspenalistiche trova ovviamente il proprio
  limite nell'esercizio delle libertà garantite ai cittadini o
  in generale ai soggetti dell'ordinamento nella libera
  esplicazione della loro personalità e nell'esercizio delle
  attività lecite, assicurate in via generale dalle norme
  costituzionali e legislative.  In tale contesto, il sistema
  penale deve contemperare le esigenze di tutela sociale con i
  princìpi della libertà personale e dell'eguaglianza
  imperativamente sanciti dalla Costituzione.  Tale esigenza
  assume un rilievo - se possibile - ancor più pregnante con
  riguardo alle norme concernenti i reati di pericolo, in cui la
  sanzione è riferita a una condotta vietata non già sulla base
 
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  di conseguenze socialmente dannose già prodottesi e
  positivamente accertate, ma in virtù della presupposta
  connessione con il compimento di un reato futuro o della
  probabile preesistenza di un reato, rispetto al quale non sia
  stato tuttavia possibile accertare la sussistenza di un legame
  effettuale.  Ciò se da un lato non può indurre il legislatore
  ad abdicare al proprio dovere di provvedere all'emanazione
  delle norme necessarie alla tutela del corpo sociale dalle
  forme di piccola o grande criminalità dalle quali è
  minacciato, lo obbliga tuttavia a seguire una via di rigoroso
  equilibrio, attuando una prudente ponderazione tra i valori e
  gli interessi che in tale ambito concorrono.
     Si tratta, infatti, di rispondere alle giuste istanze dei
  cittadini, evitando che l'allarme sociale suscitato dal
  compimento dei reati e dalla loro purtroppo frequente impunità
  determini il sorgere di pericolose tendenze disgregatrici o di
  reazioni incontrollate e incontrollabili, senza con ciò
  derogare alla rigorosa osservanza dei princìpi di garanzia e
  delle fondamentali regole di libertà.  Sarebbe d'altronde
  erroneo contrapporre tali esigenze come elementi di
  un'inconciliabile dialettica tra libertà e autorità, giacché è
  vero il contrario: la libertà dei cittadini e il suo effettivo
  esercizio si realizzano soltanto in una società bene ordinata,
  in cui il diritto di ciascuno sia garantito non solo contro
  l'arbitrio degli organi pubblici, ma anche contro ogni forma
  di violenza, di inganno e di prevaricazione proveniente da
  singoli che, con dolosa preordinazione, si pongano al di fuori
  del patto sociale infrangendone la regola prima:  neminem
  laedere.
     A questo fine, risulta necessario fornire agli organi di
  Polizia gli strumenti più idonei per esplicare una funzione il
  cui mancato adempimento rischia altrimenti di determinare
  discredito delle istituzioni o inammissibili fenomeni
  traslativi o di supplenza in direzione di soggetti privi di
  ogni legittimazione.  Ciò è possibile sia operando sul piano
  amministrativo e organizzativo, con un'opportuna dislocazione
  delle forze disponibili sul territorio, il rafforzamento dei
  presìdi, l'adozione di procedure d'intervento più efficaci, la
  cooperazione tra i diversi Corpi e organi competenti,
  l'incremento - ove necessario - degli organici e delle
  dotazioni; sia predisponendo gli strumenti normativi affinché
  l'attività amministrativa di prevenzione e di repressione dei
  reati possa svolgersi efficacemente riposando su sicure basi
  legislative, adeguate ai tipi e ai livelli dell'aggressione
  criminale e al progressivo mutare delle forme in cui essa
  viene esplicandosi.  L'opera così svolta dalle Forze di polizia
  giudiziaria e di sicurezza sarà tanto più sicuramente immune
  da rischi di arbitrio o di sviamento, in quanto al termine di
  essa si collocherà sempre il controllo indipendente
  dell'autorità giurisdizionale, cui spetterà, a conclusione di
  un processo assistito dalle garanzie per esso disposte dalla
  Costituzione e dalla legge, irrogare le sanzioni
  corrispondenti alla natura, alle circostanze e all'entità dei
  reati accertati.
     In questa prospettiva, assumono rilievo non solo l'azione
  di contrasto verso la grande criminalità, ma anche il
  controllo e la repressione di quella che viene definita
  riduttivamente "micro-criminalità", che non minore
  preoccupazione o addiritiura vera e propria esasperazione
  determina presso i cittadini, ad essa più direttamente
  esposti, qualora si sentano privi di difesa e quasi lasciati
  in balia di violenti e prevaricatori.  Si aggiunga che -
  specialmente in condizioni di diffusa illegalità - la
  cosiddetta "micro-criminalità" viene a rappresentare la porta
  d'ingresso verso le più gravi forme di delinquenza, anche
  organizzata; e che la facile disponibilità di strumenti atti
  ad offendere, quando non di armi propriamente dette, fa sì che
  atti criminali inizialmente corrispondenti a una più lieve
  fattispecie assumano, durante il loro compimento, natura e
  gravità maggiore, fino a condurre - in casi estremi - a esiti
  esiziali.
     Tra le norme dirette a consentire un'efficace prevenzione
  dei reati minori, il codice penale prevedeva l'ingiustificato
  possesso di valori, configurato quale reato contravvenzionale,
  la cui  sedes materiae  era opportunamente individuata nel
 
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  quadro delle norme concernenti la prevenzione dei delitti
  contro il patrimonio.  L'articolo 708 del codice penale
  prevedeva infatti che chiunque, essendo stato condannato per
  delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni
  concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, o
  per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di
  sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, fosse
  colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre
  cose non confacenti al proprio stato, dei quali non
  giustificasse la provenienza, fosse punito con l'arresto da
  tre mesi a un anno.  Le condizioni personali previste per la
  configurazione del reato erano riferite a quanto disposto
  dall'articolo 707, concernente il possesso ingiustificato di
  chiavi alterate o di grimaldelli.  La formulazione delle due
  norme si prestava indubbiamente a rilievi di costituzionalità;
  e di fatto, già in anni lontani, la Corte costituzionale,
  investita della questione, con la sentenza n. 110 del 19
  luglio 1968, aveva dichiarato l'illegittimità delle condizioni
  personali di condannato per mendicità, di ammonito, di
  sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di
  buona condotta.  Infine, con la sentenza n. 370 del 2 novembre
  1996, essa è pervenuta alla declaratoria di illegittimità
  costituzionale dell'intero articolo 708 del codice penale,
  alla stregua degli articoli 3 e 25 della Costituzione, in
  ragione della mancanza di tassatività della fattispecie in
  esso prevista.  La Corte ha rilevato infatti l'irragionevolezza
  di una discriminazione nei confronti di una categoria di
  soggetti (pregiudicati per reati di varia natura o entità
  contro il patrimonio), sulla base di un parametro normativo
  non sufficientemente determinato (la sproporzione dei beni
  posseduti rispetto alla condizione sociale abituale del reo),
  per altro essenziale a conformare tipicamente quale reato un
  fatto di per sé lecito, cioè il possesso di denaro o valori
  mobiliari.
     Un esame della giurisprudenza della Corte in materia
  consente di rinvenire alcune indicazioni utili per riformulare
  la norma così venuta meno, in termini rispettosi del dettato
  costituzionale e compatibili con le esigenze affermate nella
  richiamata sentenza.
     La citata sentenza n. 370 del 1996, infatti, mentre
  accoglie l'eccezione di costituzionalità sollevata con
  riguardo all'articolo 708 del codice penale, respinge quella
  analoga rivolta all'articolo 707, riguardante l'ingiustificato
  possesso di chiavi alterate o di grimaldelli, osservando che
  "la determinazione del fatto-reato circa questa ipotesi
  criminosa è data infatti dalla tipologia stessa degli oggetti
  detenuti (...) in ordine ai quali è pleonastica la mancata
  giustificazione della loro attuale destinazione" in
  riferimento al presupposto soggettivo indicato dalla norma.
     D'altronde, la sentenza n. 48 del 9 febbraio 1994,
  esplicitamente richiamando la giurisprudenza della Corte sugli
  articoli 707 e 708 del codice penale, giunge a dichiarare
  l'incostituzionalità dell'articolo 12- quinquies,  comma
  2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
  modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, conformato
  proprio sull'articolo 708 del codice penale con gli specifici
  adattamenti ritenuti opportuni per contrastare la criminalità
  organizzata, sulla base della determinazione del presupposto
  soggettivo per la configurabilità del reato, fatta dal
  legislatore con riferimento alla condizione di indagato in
  procedimenti penali per particolari reati.  Osserva infatti il
  giudice delle leggi che "la condizione di persona sottoposta a
  procedimento penale assume connotazioni del tutto amorfe agli
  effetti del diritto sostanziale", talché su di essa non è
  consentito fondare sospetti o presunzioni atti a qualificare
  sul piano penale una specifica condotta non altrimenti
  discriminata.  In questa circostanza, la Corte richiamò il
  criterio interpretativo da essa stabilito, con riguardo agli
  articoli 707 e 708 del codice penale, con le sentenze n. 14
  del 1971 e n. 464 del 1992, ricordando come queste
  disposizioni non possano determinare l'inversione dell'onere
  della prova, non esigendo esse che il soggetto giustifichi la
  legittimità della destinazione e della provenienza degli
  oggetti o dei valori detenuti, ma limitandosi a pretendere
  "un'attendibile e circostanziata spiegazione, da valutarsi in
 
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  concreto nelle singole fattispecie, secondo i princìpi della
  libertà delle prove e del libero convincimento".
     Su questa base, si ritiene di proporre la reintroduzione
  delle norme dell'articolo 708 del codice penale in una diversa
  formulazione.  Le condizioni soggettive in esso previste sono
  determinate con riferimento a condanne penali definitive per
  reati dai quali derivino proventi patrimoniali, mentre il
  presupposto obiettivo è stabilito nell'ingiustificato possesso
  di denaro, beni od oggetti di valore notevolmente
  sproporzionato al reddito o all'attività economica del
  soggetto, che il giudice potrà determinare sulla base di tutti
  gli elementi disponibili e alla luce delle circostanze di
  fatto affinché sia connotato il caso concreto sottoposto alla
  sua cognizione.  Il possesso non dovrà ovviamente intendersi
  restrittivamente come la materiale detenzione dei beni da
  parte del soggetto presso di sé, ma nel senso dell'accertata
  disponibilità, comunque mantenuta, anche attraverso il
  deposito presso altri o l'interposizione, a qualunque titolo,
  da parte di terze persone.
     Si precisa esplicitamente che sono esclusi dal novero dei
  soggetti cui si applica la norma i condannati per i reati in
  essa indicati, in favore dei quali sia intervenuta sentenza di
  riabilitazione, non revocata.  In tal caso, infatti, risulta
  giudizialmente accertato il venire meno dei presupposti sulla
  cui base appare legittima una presunzione  iuris tantum
  circa la provenienza illecita di beni ingenti posseduti, e che
  giustifica quindi l'obbligo di fornire un'attendibile e
  circostanziata spiegazione.
     La norma proposta, nel prevedere che il giudice disponga,
  con la condanna, la confisca del denaro, dei beni o degli
  oggetti, rende obbligatoria tale misura, in analogia con
  quanto previsto in altri casi dagli articoli 240 e 446 del
  codice penale nonché da diverse leggi speciali, in quanto è
  proprio il possesso dei valori citati a rappresentare
  l'elemento obiettivo della fattispecie criminosa.  Ciò
  consente, inoltre, di conseguire un ulteriore obiettivo,
  quello cioè di impedire che il reo continui a godere di beni
  che, in ragione dell'impossibilità di giustificarne il
  possesso, possono fondatamente ritenersi costituire il
  prodotto o il profitto di altro reato commesso.
     Nella determinazione della fattispecie si è avuto cura di
  escludere i casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione),
  648- bis  (riciclaggio), 648- ter  (impiego di denaro,
  beni o altre utilità di provenienza illecita) del codice
  penale, nonché dall'articolo 12- quinquies,  comma 1, del
  decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
  modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, poiché
  queste disposizioni identificano reati più gravi e più
  gravemente sanzionati.
     Si raccomanda pertanto all'attenzione della Camera dei
  deputati la presente proposta di legge, che i presentatori
  ritengono possa costituire un contributo utile per la
  prevenzione e la dissuasione di comportamenti criminali e
  rispettoso dei princìpi della legalità costituzionale.
 
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