| Onorevoli Colleghi! - Tra i fini del diritto penale
rientra certamente quello della prevenzione generale, in virtù
della quale il legislatore, sulla base delle concrete
situazioni e delle esigenze di difesa del corpo sociale e
dell'ordinamento dai fenomeni criminali, adotta le
disposizioni che, a seconda dei diversi momenti storici,
appaiono idonee a prevenire il compimento di fatti delittuosi
o a scoraggiarli rendendo più difficile il godimento dei
frutti del reato commesso. Su questa base, la dottrina ha
elaborato la categoria dei reati di pericolo, nella quale si
ricomprendono le fattispecie positivamente sanzionate
dall'ordinamento penale sulla base di una connessione
finalistica iuris tantum presunta, in presenza di
determinate condizioni, tra il compimento di specifici atti o
il verificarsi di talune situazioni, e il compimento di un
reato di danno rispetto al quale tali atti o situazioni
possano fondatamente ritenersi strumentali o
consequenziali.
Nello Stato di diritto, la sfera di efficacia di tali
fattispecie giuspenalistiche trova ovviamente il proprio
limite nell'esercizio delle libertà garantite ai cittadini o
in generale ai soggetti dell'ordinamento nella libera
esplicazione della loro personalità e nell'esercizio delle
attività lecite, assicurate in via generale dalle norme
costituzionali e legislative. In tale contesto, il sistema
penale deve contemperare le esigenze di tutela sociale con i
princìpi della libertà personale e dell'eguaglianza
imperativamente sanciti dalla Costituzione. Tale esigenza
assume un rilievo - se possibile - ancor più pregnante con
riguardo alle norme concernenti i reati di pericolo, in cui la
sanzione è riferita a una condotta vietata non già sulla base
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di conseguenze socialmente dannose già prodottesi e
positivamente accertate, ma in virtù della presupposta
connessione con il compimento di un reato futuro o della
probabile preesistenza di un reato, rispetto al quale non sia
stato tuttavia possibile accertare la sussistenza di un legame
effettuale. Ciò se da un lato non può indurre il legislatore
ad abdicare al proprio dovere di provvedere all'emanazione
delle norme necessarie alla tutela del corpo sociale dalle
forme di piccola o grande criminalità dalle quali è
minacciato, lo obbliga tuttavia a seguire una via di rigoroso
equilibrio, attuando una prudente ponderazione tra i valori e
gli interessi che in tale ambito concorrono.
Si tratta, infatti, di rispondere alle giuste istanze dei
cittadini, evitando che l'allarme sociale suscitato dal
compimento dei reati e dalla loro purtroppo frequente impunità
determini il sorgere di pericolose tendenze disgregatrici o di
reazioni incontrollate e incontrollabili, senza con ciò
derogare alla rigorosa osservanza dei princìpi di garanzia e
delle fondamentali regole di libertà. Sarebbe d'altronde
erroneo contrapporre tali esigenze come elementi di
un'inconciliabile dialettica tra libertà e autorità, giacché è
vero il contrario: la libertà dei cittadini e il suo effettivo
esercizio si realizzano soltanto in una società bene ordinata,
in cui il diritto di ciascuno sia garantito non solo contro
l'arbitrio degli organi pubblici, ma anche contro ogni forma
di violenza, di inganno e di prevaricazione proveniente da
singoli che, con dolosa preordinazione, si pongano al di fuori
del patto sociale infrangendone la regola prima: neminem
laedere.
A questo fine, risulta necessario fornire agli organi di
Polizia gli strumenti più idonei per esplicare una funzione il
cui mancato adempimento rischia altrimenti di determinare
discredito delle istituzioni o inammissibili fenomeni
traslativi o di supplenza in direzione di soggetti privi di
ogni legittimazione. Ciò è possibile sia operando sul piano
amministrativo e organizzativo, con un'opportuna dislocazione
delle forze disponibili sul territorio, il rafforzamento dei
presìdi, l'adozione di procedure d'intervento più efficaci, la
cooperazione tra i diversi Corpi e organi competenti,
l'incremento - ove necessario - degli organici e delle
dotazioni; sia predisponendo gli strumenti normativi affinché
l'attività amministrativa di prevenzione e di repressione dei
reati possa svolgersi efficacemente riposando su sicure basi
legislative, adeguate ai tipi e ai livelli dell'aggressione
criminale e al progressivo mutare delle forme in cui essa
viene esplicandosi. L'opera così svolta dalle Forze di polizia
giudiziaria e di sicurezza sarà tanto più sicuramente immune
da rischi di arbitrio o di sviamento, in quanto al termine di
essa si collocherà sempre il controllo indipendente
dell'autorità giurisdizionale, cui spetterà, a conclusione di
un processo assistito dalle garanzie per esso disposte dalla
Costituzione e dalla legge, irrogare le sanzioni
corrispondenti alla natura, alle circostanze e all'entità dei
reati accertati.
In questa prospettiva, assumono rilievo non solo l'azione
di contrasto verso la grande criminalità, ma anche il
controllo e la repressione di quella che viene definita
riduttivamente "micro-criminalità", che non minore
preoccupazione o addiritiura vera e propria esasperazione
determina presso i cittadini, ad essa più direttamente
esposti, qualora si sentano privi di difesa e quasi lasciati
in balia di violenti e prevaricatori. Si aggiunga che -
specialmente in condizioni di diffusa illegalità - la
cosiddetta "micro-criminalità" viene a rappresentare la porta
d'ingresso verso le più gravi forme di delinquenza, anche
organizzata; e che la facile disponibilità di strumenti atti
ad offendere, quando non di armi propriamente dette, fa sì che
atti criminali inizialmente corrispondenti a una più lieve
fattispecie assumano, durante il loro compimento, natura e
gravità maggiore, fino a condurre - in casi estremi - a esiti
esiziali.
Tra le norme dirette a consentire un'efficace prevenzione
dei reati minori, il codice penale prevedeva l'ingiustificato
possesso di valori, configurato quale reato contravvenzionale,
la cui sedes materiae era opportunamente individuata nel
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quadro delle norme concernenti la prevenzione dei delitti
contro il patrimonio. L'articolo 708 del codice penale
prevedeva infatti che chiunque, essendo stato condannato per
delitti determinati da motivi di lucro o per contravvenzioni
concernenti la prevenzione di delitti contro il patrimonio, o
per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di
sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, fosse
colto in possesso di denaro o di oggetti di valore, o di altre
cose non confacenti al proprio stato, dei quali non
giustificasse la provenienza, fosse punito con l'arresto da
tre mesi a un anno. Le condizioni personali previste per la
configurazione del reato erano riferite a quanto disposto
dall'articolo 707, concernente il possesso ingiustificato di
chiavi alterate o di grimaldelli. La formulazione delle due
norme si prestava indubbiamente a rilievi di costituzionalità;
e di fatto, già in anni lontani, la Corte costituzionale,
investita della questione, con la sentenza n. 110 del 19
luglio 1968, aveva dichiarato l'illegittimità delle condizioni
personali di condannato per mendicità, di ammonito, di
sottoposto a misura di sicurezza personale o a cauzione di
buona condotta. Infine, con la sentenza n. 370 del 2 novembre
1996, essa è pervenuta alla declaratoria di illegittimità
costituzionale dell'intero articolo 708 del codice penale,
alla stregua degli articoli 3 e 25 della Costituzione, in
ragione della mancanza di tassatività della fattispecie in
esso prevista. La Corte ha rilevato infatti l'irragionevolezza
di una discriminazione nei confronti di una categoria di
soggetti (pregiudicati per reati di varia natura o entità
contro il patrimonio), sulla base di un parametro normativo
non sufficientemente determinato (la sproporzione dei beni
posseduti rispetto alla condizione sociale abituale del reo),
per altro essenziale a conformare tipicamente quale reato un
fatto di per sé lecito, cioè il possesso di denaro o valori
mobiliari.
Un esame della giurisprudenza della Corte in materia
consente di rinvenire alcune indicazioni utili per riformulare
la norma così venuta meno, in termini rispettosi del dettato
costituzionale e compatibili con le esigenze affermate nella
richiamata sentenza.
La citata sentenza n. 370 del 1996, infatti, mentre
accoglie l'eccezione di costituzionalità sollevata con
riguardo all'articolo 708 del codice penale, respinge quella
analoga rivolta all'articolo 707, riguardante l'ingiustificato
possesso di chiavi alterate o di grimaldelli, osservando che
"la determinazione del fatto-reato circa questa ipotesi
criminosa è data infatti dalla tipologia stessa degli oggetti
detenuti (...) in ordine ai quali è pleonastica la mancata
giustificazione della loro attuale destinazione" in
riferimento al presupposto soggettivo indicato dalla norma.
D'altronde, la sentenza n. 48 del 9 febbraio 1994,
esplicitamente richiamando la giurisprudenza della Corte sugli
articoli 707 e 708 del codice penale, giunge a dichiarare
l'incostituzionalità dell'articolo 12- quinquies, comma
2, del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, conformato
proprio sull'articolo 708 del codice penale con gli specifici
adattamenti ritenuti opportuni per contrastare la criminalità
organizzata, sulla base della determinazione del presupposto
soggettivo per la configurabilità del reato, fatta dal
legislatore con riferimento alla condizione di indagato in
procedimenti penali per particolari reati. Osserva infatti il
giudice delle leggi che "la condizione di persona sottoposta a
procedimento penale assume connotazioni del tutto amorfe agli
effetti del diritto sostanziale", talché su di essa non è
consentito fondare sospetti o presunzioni atti a qualificare
sul piano penale una specifica condotta non altrimenti
discriminata. In questa circostanza, la Corte richiamò il
criterio interpretativo da essa stabilito, con riguardo agli
articoli 707 e 708 del codice penale, con le sentenze n. 14
del 1971 e n. 464 del 1992, ricordando come queste
disposizioni non possano determinare l'inversione dell'onere
della prova, non esigendo esse che il soggetto giustifichi la
legittimità della destinazione e della provenienza degli
oggetti o dei valori detenuti, ma limitandosi a pretendere
"un'attendibile e circostanziata spiegazione, da valutarsi in
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concreto nelle singole fattispecie, secondo i princìpi della
libertà delle prove e del libero convincimento".
Su questa base, si ritiene di proporre la reintroduzione
delle norme dell'articolo 708 del codice penale in una diversa
formulazione. Le condizioni soggettive in esso previste sono
determinate con riferimento a condanne penali definitive per
reati dai quali derivino proventi patrimoniali, mentre il
presupposto obiettivo è stabilito nell'ingiustificato possesso
di denaro, beni od oggetti di valore notevolmente
sproporzionato al reddito o all'attività economica del
soggetto, che il giudice potrà determinare sulla base di tutti
gli elementi disponibili e alla luce delle circostanze di
fatto affinché sia connotato il caso concreto sottoposto alla
sua cognizione. Il possesso non dovrà ovviamente intendersi
restrittivamente come la materiale detenzione dei beni da
parte del soggetto presso di sé, ma nel senso dell'accertata
disponibilità, comunque mantenuta, anche attraverso il
deposito presso altri o l'interposizione, a qualunque titolo,
da parte di terze persone.
Si precisa esplicitamente che sono esclusi dal novero dei
soggetti cui si applica la norma i condannati per i reati in
essa indicati, in favore dei quali sia intervenuta sentenza di
riabilitazione, non revocata. In tal caso, infatti, risulta
giudizialmente accertato il venire meno dei presupposti sulla
cui base appare legittima una presunzione iuris tantum
circa la provenienza illecita di beni ingenti posseduti, e che
giustifica quindi l'obbligo di fornire un'attendibile e
circostanziata spiegazione.
La norma proposta, nel prevedere che il giudice disponga,
con la condanna, la confisca del denaro, dei beni o degli
oggetti, rende obbligatoria tale misura, in analogia con
quanto previsto in altri casi dagli articoli 240 e 446 del
codice penale nonché da diverse leggi speciali, in quanto è
proprio il possesso dei valori citati a rappresentare
l'elemento obiettivo della fattispecie criminosa. Ciò
consente, inoltre, di conseguire un ulteriore obiettivo,
quello cioè di impedire che il reo continui a godere di beni
che, in ragione dell'impossibilità di giustificarne il
possesso, possono fondatamente ritenersi costituire il
prodotto o il profitto di altro reato commesso.
Nella determinazione della fattispecie si è avuto cura di
escludere i casi previsti dagli articoli 648 (ricettazione),
648- bis (riciclaggio), 648- ter (impiego di denaro,
beni o altre utilità di provenienza illecita) del codice
penale, nonché dall'articolo 12- quinquies, comma 1, del
decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306, convertito, con
modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, poiché
queste disposizioni identificano reati più gravi e più
gravemente sanzionati.
Si raccomanda pertanto all'attenzione della Camera dei
deputati la presente proposta di legge, che i presentatori
ritengono possa costituire un contributo utile per la
prevenzione e la dissuasione di comportamenti criminali e
rispettoso dei princìpi della legalità costituzionale.
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