| Onorevoli Colleghi! - La riforma introdotta dalla legge
6 ottobre 1995, n. 425, che ha modificato il quarto e il
quinto comma dell'articolo 110 del testo unico delle leggi di
pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno
1931, n. 773, ha rappresentato un dato giuridico di rilievo
per il settore degli apparecchi e congegni automatici,
semiautomatici ed elettronici da intrattenimento e da gioco di
abilità. Con l'innovazione introdotta, infatti, il legislatore
italiano ha dimostrato di voler superare le obsolete categorie
concettuali che avevano - fino a quel momento - improntato la
regolamentazione relativa all'utilizzazione degli apparecchi
elettronici, esprimendo così una prospettiva più articolata
dei termini e dei parametri distintivi della liceità/illiceità
delle tipologie degli apparecchi stessi.
Con la legge n. 425 del 1995, finalmente, i due
tradizionali elementi antagonisti dell'abilità e dell'alea,
ovvero i referenti giuridici (e giuridico-culturali) che
fungono da indice "storico" per l'attribuzione o l'esclusione
della natura del gioco d'azzardo a qualsivoglia competizione o
meccanismo ludico, hanno acquisito una maggiore certezza, in
sintonia, fra l'altro, con un clima culturale nazionale e
soprattutto europeo, ormai insensibile ai divieti ed agli
stereotipati proibizionismi del passato. Di questo "clima",
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peraltro, si è resa testimone anche la Corte di cassazione, la
quale, in una recente pronuncia (sentenza n. 1625 del 6 maggio
1998), ha fortemente ridimensionato la stessa nozione di "fine
di lucro" (essenziale per la connotazione tecnica del gioco
d'azzardo), che è così esclusa ove la "posta sia talmente
esigua da non configurare un guadagno economicamente
apprezzabile". Il vecchio impianto dell'articolo 110 del testo
unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con regio
decreto 18 giugno 1931, n. 773, ne risulta, in base agli
interventi del legislatore ed alla giurisprudenza di
legittimità, trasformato su due linee fondamentali: a)
una più precisa individuazione dei rapporti intercorrenti tra
le qualità ludiche del giocatore (abilità) e l'aleatorietà
della procedura e del meccanismo di gioco, sulla scorta di
un'accertata preponderanza delle prime sulla seconda; b)
la determinazione di un "tetto" di valore inerente la posta in
gioco e la sua effettiva e concreta entità, al di sotto del
quale la scommessa resta lecita.
Nondimeno, a più di tre anni dalla data di entrata in
vigore della legge n. 425 del 1995 non sono mancate numerose
incertezze interpretative ed applicative della nuova
normativa, anche in relazione all'esistenza di molti retaggi e
di molte resistenze, in senso restrittivo e sanzionatorio,
peculiari di una materia, quale il gioco d'azzardo, che
continua, per diversi profili, ad essere "incandescente". Non
può negarsi che proprio la nozione di "preponderanza" o,
meglio, il corrispondente aggettivo impiegato al quinto comma
dell'articolo 110 del testo unico delle leggi di pubblica
sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773,
per discriminare l'elemento abilità e trattenimento rispetto
all'elemento aleatorio abbia provocato, e continui a
provocare, interventi di polizia, sequestri e provvedimenti
amministrativi a danno di apparecchi la cui natura (cioè
conformazione tecnica, procedimentale, eccetera) sia (o possa
essere) suscettibile di attribuzioni controverse, quanto a
liceità o meno. Ciò, del resto, poteva già essere prevedibile
al varo della riforma: una doviziosa esperienza giuridica (e
giurisprudenziale) insegna, ormai senza riserve, come e in
quale misura la sussistenza e la centralità di definizioni o
aggettivazioni eccessivamente "aperte" sul piano concettuale
determinino, prima o poi, discrasie interpretative e vizi
logici che sfociano poi, immancabilmente, in discriminazioni
applicative e violazioni della par condicio a seconda
dell'indirizzo o del mero convincimento del singolo operatore,
funzionario di polizia o giudice che possa essere. Se è stato
un merito incontestabile della legge n. 425 del 1995 aver
consentito, per la prima volta, l'introduzione di un parametro
(la "preponderanza", di cui sopra) indispensabile a gettare un
ponte verso una diversa concezione (e consapevolezza)
dell'aleatorietà e dell'azzardo, depurandoli dalle
incrostazioni più inique della vecchia regolamentazione del
gioco, è egualmente necessario, attualmente, affrontare queste
problematiche con criteri di maggiore certezza, in nome di
quella tassatività della norma che rappresenta il pilastro
fondamentale dello stesso ordinamento giuridico. Certezza e
tassatività corrispondono all'ulteriore superamento di nozioni
"aperte" e, tutto sommato, a rischio di abusi di
discrezionalità interpretativa, con conseguente introduzione
di parametri oggettivi, quali il costo massimo della giocata
(valore massimo della moneta metallica corrente nel territorio
della Repubblica italiana) e la fissazione del valore massimo
(tetto) del premio conseguibile ("10 volte il costo della
giocata e comunque di 10 monete metalliche correnti o un
premio equivalente erogato al termine di ogni vincita
massima") devono considerarsi l'unica, autentica ed efficace
soluzione per dipanare ogni possibile controversia in merito.
Parallelamente, con il conforto della citata sentenza della
Corte di cassazione sui livelli di ammissibilità del lucro
legittimo, può ben abbandonarsi ogni disputa sulla
"preponderanza" o meno dell'abilità sull'alea e viceversa
giacché, con precise e certe delimitazioni dell'entità della
giocata e del premio, anche la pura aleatorietà del gioco e
del relativo apparecchio non è più in grado di suscitare alcun
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allarme sociale, ovvero pericolo di turbative dell'ordine
pubblico e di depauperamenti economici del giocatore. Ne
risultano pertanto disinnescati tutti quei pericoli che il
legislatore ha costantemente voluto combattere con la
proibizione dell'"azzardo" più o meno integrale.
Ad integrazione delle innovazioni, peraltro suggerite
insistentemente dalle associazioni di categoria, giustamente
preoccupate dalla situazione di incertezza provocata dal testo
dei commi quarto e quinto dell'articolo 110 del testo unico
approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, si dovrà
infine stabilire, che per "vincite aleatorie" vanno intese
quelle esclusivamente tali (insufficiente sarebbe dire
"puramente" o, peggio, ripristinare il "preponderante") dove,
cioè, l'abilità del giocatore sia realmente ed assolutamente
mancante, senza possibilità di equivoci, commistioni o
ipotetici rapporti di prevalenza.
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