| Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge
costituzionale si pone l'obiettivo di sopprimere l'istituto
della provincia attribuendo le relative funzioni normative ed
amministrative alle regioni, ai comuni e agli altri enti
locali.
La storia amministrativa degli ultimi trent'anni ha
dimostrato come sia illusorio attribuire alle istituzioni
provinciali il compito di coordinare e di programmare
l'attività dei comuni che ricadono nel loro ambito. Questa
incapacità si è manifestata in particolare nell'ambito delle
province dei grandi capoluoghi come Milano, Torino, Roma e
Napoli, dove sembra ormai chiaro a tutti come esse non siano
in grado di svolgere un ruolo autonomo a fronte dei rispettivi
grandi comuni, un po' per sudditanza psicologica, un po' per
l'oggettivo dislivello di potere politico ed economico.
Le province sono lontane, in molti casi lontanissime, dal
cuore della collettività. Solo nell'istituzione comunale i
cittadini riescono a vedere un valido punto di riferimento,
mentre la regione, pur rappresentando un livello di governo
inefficace, risulta tuttavia identificabile. Le istituzioni
provinciali, di cui si sente ormai la presenza soltanto in
occasione di consultazioni elettorali, vivono una situazione
paradossale: mentre sono sempre più lontane dalla vita dei
cittadini e dalle altre istituzioni, non passa giorno che non
assumano nuove funzioni assorbendo di conseguenza preziose
risorse finanziarie. Lo dimostra il fatto che, in base ai dati
pubblicati recentemente dall'Unione delle province d'Italia
(UPI), relativi all'anno 1996, la spina dorsale
economico-finanziaria delle province risulterebbe così
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costituita: 9.300 miliardi di entrate correnti, oltre 5 mila
miliardi di trasferimenti erariali, 1.737 miliardi di entrate
tributarie (erano appena 625 nel 1991) ed oltre 3 mila
miliardi di spese per il personale (59.747 unità) con
un'incidenza percentuale sul totale delle entrate pari al 32
per cento. Come si vede, una mole gigantesca di risorse e di
personale che nella maggior parte dei casi non riesce a
tradursi in opere concrete a beneficio delle collettività
amministrate.
Il principale elemento che attualmente concorre a
giustificare l'esistenza delle province non è certo l'utilità
della loro azione amministrativa nei confronti delle comunità
interessate, bensì lo spirito di autoconservazione di uffici,
strutture, personale amministrativo e tecnico esistenti,
frammisto agli interessi costituiti di gran parte della classe
politica locale. Rilevanti sono soprattutto questi ultimi, in
quanto le province, recentemente aumentate di numero senza
nessun miglioramento particolare della qualità della vita dei
cittadini amministrati, ma con la moltiplicazione degli uffici
di ogni tipo, danno lavoro a folte schiere di personale
politico locale consentendo scambi non sempre trasparenti fra
partiti e coalizioni in occasione delle designazioni di
candidati sindaci e candidati presidenti di provincia. Non a
caso, nel corso degli ultimi decenni, le province sono
riuscite a sfuggire alla loro soppressione: la prima volta nei
primi anni settanta, in occasione dell'attuazione definitiva
dell'ordinamento regionale; nell'altra circostanza, meno nota
e più recente, quando si discusse e si decise in ordine alla
legge sul nuovo ordinamento delle autonomie locali nel
1989-1990; per arrivare ai giorni nostri, le ipotesi
"abolizioniste" maturate in seno alla Commissione parlamentare
per le riforme costituzionali nella XIII legislatura sono
naufragate insieme con tutta la nuova articolazione
istituzionale.
In ogni circostanza, i difensori delle province sono stati
sempre in grado di individuare qualche funzione di tipo
amministrativo-programmatorio che le province svolgerebbero
meglio di qualsiasi istituzione alternativa. Il risultato è
stato quello di aver costituito l'esempio più significativo di
come le istituzioni, una volta costituite, siano destinate a
durare molto al di là delle funzioni che vengono loro
attribuite.
In attesa che future riforme istituzionali ridisegnino una
forma di Stato autenticamente federale, la presente proposta
di legge costituzionale si propone così di eliminare questo
inutile anello intermedio dell'articolazione amministrativa
dello Stato, prevedendo, agli articoli da 1 a 8, la modifica
di tutti quegli articoli della Costituzione nella parte in cui
si fa esplicito riferimento alle province; all'articolo 9 si
prevede la delega al Governo per la disciplina del nuovo
assetto amministrativo dello Stato; all'articolo 10 si
stabilisce la possibilità per i comuni di associarsi tra loro
qualora ciò sia necessario per la realizzazione di opere e per
la gestione di servizi di interesse comune.
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