| Onorevoli Colleghi! - Nella XI legislatura la
Commissione agricoltura della Camera dei deputati si è
occupata a lungo del tema "usi civici" attraverso un esame
approfondito delle diverse proposte di legge presentate in
materia. La interruzione anticipata della legislatura ha
impedito una conclusione positiva di quel lavoro e
l'approvazione di una legge organica.
Con la presente proposta di legge, che tiene conto anche
del confronto svolto in sede parlamentare, intendiamo
riproporre l'esigenza di un adeguamento della normativa dei
beni civici e dei diritti di uso civico.
Dopo un lungo silenzio si torna a parlare, anche tra i non
specialisti, di diritti e di usi civici. Vi è chi li considera
dei residui feudali e degli inutili intralci allo sviluppo
dell'agricoltura e degli altri settori produttivi e ne
propone, quindi, l'abolizione e chi invece ritiene che bisogna
salvaguardarli al fine di tutelare e valorizzare il territorio
e l'ambiente, rilanciare la programmazione e sviluppare le
zone interne.
I diritti civici sono la potestà che una comunità di
cittadini ha di godere, in comune o come singoli, dell'uso di
determinati terreni: essi si esercitano in forme diverse a
seconda dei luoghi e della loro origine storica e possono
cambiare con il passare del tempo e il mutare dei bisogni
della collettività. Molti sono i diritti che le popolazioni
possono esercitare sui terreni gravati da uso civico, da
quello di pascere e legnare a quello di raccogliere ghiande,
fieno e foglie, da quello di cacciare, di pescare e di
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abbeverare, a quello di cavare sabbia, pietre e salgemma, a
quello di produrre calce e carbone o, addirittura, di
costruire ricoveri e case. In breve, le comunità possono
soddisfare i propri bisogni, elementari e non, attraverso
l'utilizzo di questi terreni di uso collettivo.
I diritti civici sono stati sempre esercitati dalle
comunità nelle forme compatibili con la natura dei terreni: il
pascolo nei prati, il legnatico nei boschi, e così via e si
sono sempre adeguati al cambiamento di destinazione dei
terreni stessi; il diritto di legnatico muta in quello di
semina se un terreno boschivo viene trasformato in
seminativo.
I terreni gravati da diritti civici possono essere gestiti
da privati o da enti pubblici. Si parla di gestione e non di
proprietà perché, in base ad una consolidata giurisprudenza, i
beni civici appartengono alle comunità; gli enti (di solito i
comuni), ne hanno solo la gestione, così come i terreni alieni
gravati da usi civici sono gestiti dai privati che li
posseggono in comproprietà con le comunità titolari dei
diritti.
Non è possibile conoscere l'effettiva estensione delle
terre private e pubbliche gravate da diritti civici. I dati
statistici di cui oggi disponiamo sono poco attendibili in
quanto si basano su verifiche incomplete ed effettuate, tra
l'altro, alcuni decenni fa e mai aggiornate. Comunque essi,
anche se approssimati per difetto, dimostrano che molto esteso
è il territorio, sia privato che pubblico, gravato da diritti
civici: i terreni alieni si estendono per circa 250 mila
ettari e per quasi 4 milioni quelli pubblici. E' questo un
patrimonio ingente, a cui vanno, inoltre, aggiunti circa 3
milioni di ettari di proprietà degli enti pubblici:
complessivamente, quindi, 7 milioni di ettari, più del 23 per
cento dell'intero territorio italiano e pari al 30 per cento
della superficie di proprietà privata. Nonostante in passato,
soprattutto dopo la Rivoluzione francese, le classi dirigenti
abbiano sempre teso alla privatizzazione di questi beni
collettivi a favore delle classi abbienti e a danno di quelle
più indigenti, una immensa ricchezza pubblica, dunque, è
giunta fino a noi. Questa grande risorsa ha avuto nei secoli
scorsi una funzione economica e sociale assai importante. Ha
permesso, infatti, ad intere comunità, soprattutto a quelle
più bisognose, di soddisfare i propri bisogni primari e di
esercitare attività imprenditoriali dirette a dare una
risposta positiva alle esigenze più complesse e non solo a
quelle dei membri delle comunità stesse, ma anche alle
esigenze di altre collettività.
I beni civici possono avere anche oggi una funzione di
grande importanza strategica, anche se diversa da quella avuta
in passato.
Negli ultimi decenni si sono verificate nel nostro Paese
rilevanti trasformazioni economiche, sociali e territoriali e
cambiamenti profondi si sono avuti anche a livello
istituzionale, legislativo e giurisdizionale. La legge 16
giugno 1927, n. 1766, è ormai superata e non più rispondente
alla nuova realtà: si impone, quindi, una nuova normativa di
indirizzo e di coordinamento per il governo dei diritti e dei
beni civici. Oggi che molti terreni di proprietà privata
vengono abbandonati perché la loro coltivazione non è più
remunerativa e la stessa Unione europea incentiva, attraverso
premi in denaro, la messa a riposo di terreni, anche di quelli
fertili, non è più attuale una legge, come quella del 1927,
che aveva come fine la liquidazione dei diritti e dei beni
civici per aumentare la produzione agricola.
Con la presente proposta di legge, che si sottopone
all'approvazione del Parlamento, si vogliono perseguire
quattro obiettivi fondamentali: la definizione di tutte quelle
situazioni pregresse che possono dare luogo a sterili
contenziosi; il rilancio della programmazione finalizzata allo
sviluppo delle zone interne; la tutela e la valorizzazione del
territorio e dell'ambiente; la conservazione e l'aumento, non
la liquidazione, del patrimonio civico.
Nel corso dei passati decenni, per la mancanza di
vigilanza, per la inadeguatezza delle strutture amministrative
e giurisdizionali a ciò preposte e, sopr attutto per la
mancanza della volontà politica di tutelare i diritti ed i
beni civici, si sono costituite molte situazioni di
illegalità, che oggi non possono essere rimosse se non
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attraverso una nuova legge. Ecco perché la presente proposta
di legge è finalizzata ad agevolare la liquidazione dei
diritti civici su terre aliene, anche perché nella maggior
parte dei casi essi non sono più esercitati e quindi
costituiscono inutili intralci all'attività produttiva; si
propone, inoltre, l'affrancazione di quote di beni civici,
assegnate ai sensi della legge n. 1766 del 1927, la
legittimazione o la reintegra di beni civici abusivamente
occupati, la convalida di atti nulli e lo scioglimento delle
promiscuità.
In seguito alla concentrazione delle attività produttive,
in primo luogo di quelle agricole ed industriali, nelle valli
e lungo le fasce costiere, le aree montane ed interne si sono
svuotate. Vi è stato un massiccio trasferimento delle
popolazioni da monte a valle e in tutto il territorio montano
si è avuto un progressivo venire meno delle attività
produttive e un quasi totale abbandono al degrado dei centri
abitati e delle strutture civili e sociali ivi esistenti. I
beni civici, costituiti da grandi appezzamenti, (quelli
superiori a 5 ettari rappresentano circa il 90 per cento
dell'intera superficie), e localizzati per più del 70 per
cento nelle zone montane, possono avere, se conservati e
ampliati, una funzione strategica per il rilancio economico,
sociale e civile delle aree interne.
In una società come quella attuale, altamente
industrializzata e fortemente urbanizzata, il problema
fondamentale che si pone è quello di migliorare la qualità
della vita e, di conseguenza, le condizioni ambientali. Con
una recente sentenza la Corte costituzionale ha stabilito che
la tutela dell'ambiente è preminente, per la collettività,
sull'interesse a produrre. I beni civici devono essere
finalizzati alla conservazione e alla valorizzazione del
paesaggio, del territorio e dell'ambiente. Solo se questo
immenso patrimonio collettivo avrà questa funzione preminente
esso tornerà ad imporsi all'attenzione di tutti i cittadini e,
quindi, sarà tutelato e protetto.
Nelle zone interne i terreni privati e pubblici spesso
sono stati abbandonati perché le coltivazioni tradizionali non
sono più remunerative e perché troppo parcellizzati. Se si
vuole tentare un rilancio dell'economia di queste aree ed
impedire una ulteriore disgregazione del tessuto civile e
sociale, bisogna pensare ad una destinazione diversa di questo
territorio e ad attività produttive che non siano più quelle
tradizionali. Questo discorso è possibile se in primo luogo si
attuano interventi strutturali tesi all'accorpamento dei
terreni. L'attuale patrimonio civico può costituire una base
di partenza in tale senso; è necessario, quindi, non solo la
sua conservazione, ma anche e soprattutto un suo ampliamento,
tale da avere vaste estensioni su cui siano possibili le
attività citate. Perché i beni civici possano assolvere a
questa funzione di pubblica utilità è necessario che essi
siano sottratti alla gestione individuale e privatistica ed
affidati a quella delle comunità.
Con la proposta di legge, che si propone alla vostra
attenzione si vuole, inoltre, adeguare la normativa sui
diritti ed i beni civici alla legislazione vigente ed alle
nuove istituzioni, nonché stabilire con chiarezza le
competenze degli organi giurisdizionali ed amministrativi.
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