| Onorevoli Colleghi! - Quando si parla di presenza od
assenza dello Stato nella comunità è bene ricordare che si
parla di persone che con il loro incarico in organi
istituzionali lo rappresentano, o di leggi o regolamenti che
sono espressione della volontà di una maggioranza di
interessi, che non è detto siano necessariamente quelli dei
cittadini. La sovranità popolare delegata è anche questo, e
l'apatia verso l'esercizio del diritto di voto è esplicita
stanchezza della comunità verso un modo di rappresentare lo
Stato e le istituzioni.
La crisi che il cittadino attribuisce allo Stato e alle
istituzioni è dovuta infatti in gran parte ad un modo errato
di rappresentare nelle istituzioni lo Stato. Un errore che
sovente si concretizza in abuso di potere, illeciti, omissione
di obblighi derivanti dalla propria funzione. E' una crisi che
è la sintomatica conseguenza di quel palese disinteresse che
una larga parte del potere politico, economico od
amministrativo ha spesso mostrato verso le esigenze del
cittadino. Una classe dirigente politica, amministrativa ed
economica che spesso sembra essere essenzialmente interessata
ad autopreservarsi, attraverso una non dispersione, o
devoluzione, del potere all'esterno di comuni interessi
creati.
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Un esercizio del potere estraneo al riconoscimento o al
rafforzamento delle autonomie locali che dalla formazione del
Regno d'Italia, passando attraverso il fascismo, è proseguito
immutato dal secondo dopoguerra sino ai nostri giorni, ed ha
causato una non necessaria e pesante invadenza dello Stato e
dei suoi apparati nella società. Un sistema complesso di
controllo, esplicito od indiretto, che ha ostacolato la
varietà della società italiana che non ha potuto esprimere in
tutta la sua potenzialità le differenze e la ricchezza delle
sue espressioni ed articolazioni.
I dibattiti sulla questione relativa alla revisione della
Costituzione si succedono non solamente perché molti sono
coloro che sostengono la necessità di ripensare ad una nuova
forma statuale in quanto l'attuale viene vista come non più
funzionale ai tempi nuovi e alle esigenze della collettività,
ma anche perché i princìpi costituzionali in campo economico e
sociale sono stati o sovente disattesi, o utilizzati quale
strumento per modellare la società in un modo che sembra ora,
appunto, non essere più funzionale alle esigenze del
cittadino. Spesso, infatti, i dettami costituzionali sono
stati e sono puntualmente utilizzati quando sembrano
funzionali a supportare o ad affossare un progetto non
gradito, mentre altre volte sono stati e sono strumentalmente
e consciamente dimenticati. In generale uno dei diritti più
sistematicamente negato è stato ed è quello di decentramento
dei compiti e delle funzioni dello Stato a favore di una
maggiore autonomia delle comunità locali. Come è a tutti noto
la creazione delle Regioni e quindi la realizzazione del
decentramento sono avvenute nello Stato italiano molto tardi
rispetto ai dettami costituzionali, e con notevoli problemi
per chi era stato preposto ad adempiere tecnicamente a questo
compito.
Premesso quanto sopra, la presente proposta di legge
costituzionale, ispirandosi al principio di sussidiarietà,
intende riformulare alcuni articoli della Costituzione per
offrire una risposta alle complesse necessità della comunità,
partendo appunto dal riconoscimento di attribuzione di
maggiore autonomia, ovvero di maggiori competenze legislative,
regolamentari ed amministrative alle comunità locali, ovvero
alle Regioni, alle Province, ai Comuni.
Il principio di sussidiarietà è a nostro avviso quello
strumento che più di ogni altro ha in sé i princìpi di
democrazia e di antitotalitarismo, e che può fornire una
risposta alla crisi dello Stato-nazione. Il principio di
sussidiarietà offre, infatti, una soluzione democratica al
problema di quella sempre in progressione e pervasiva
espansione delle funzioni e dei compiti che lo Stato vuole
mantenere e che è causa di quella distanza dalle istituzioni
che il cittadino lamenta. In questo senso si afferma che è ora
d'obbligo infrangere la consolidata dicotomia all'interno
dell'amministrazione del Paese; ciò che è di interesse per lo
Stato, e ciò che è interesse per il pubblico. Se lo Stato
sociale è entrato in crisi, ed è attaccato come uno degli
elementi negativi che pregiudicano lo sviluppo del Paese, è
dovuto anche agli enormi e ingiustificati sprechi commessi
dallo Stato nel campo sociale ed economico, dovuti ad
interventi diffusi e non mirati. Per tale ragione il rapporto
dall'alto verso il basso dello Stato verso le comunità locali
è sempre più accolto in termini di concessione, mentre le
richieste formulate dalla periferia dello Stato continuano ad
essere recepite dal centro come un problema od un conflitto di
interessi, quasi mai in una dinamica di risposta sollecita e
migliore alle crescenti esigenze di una società sempre più
complessa.
Il principio di sussidiarietà è sicuramente anche lo
strumento più atto a responsabilizzare le varie componenti
della pubblica amministrazione e a risolvere i problemi di uno
Stato che è degenerato in forme gravi e inaccettabili di
assistenzialismo a soggetti che non ne hanno diritto, di
burocratizzazione e di spreco delle risorse pubbliche.
Alla scarsa attuazione del principio di sussidiarietà ha
contribuito lo stesso testo costituzionale che ha favorito
l'affermarsi, da un lato, di uno Stato impermeabile nella sua
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burocrazia e, dall'altro, di una società debole nei confronti
del potere centrale. Future volontà di cambiamento della
società, ovvero dello Stato, sono state anticipate e
delegittimate nella Costituzione, che ha provveduto a limitare
la sovranità popolare con disposizioni che proibiscono ciò che
non è gradito, affidando ad altri soggetti la capacità di
formulare decisioni, talvolta come problema di ordine
pubblico.
Il non ricambio della classe dirigente del Paese, basti
vedere la rotazione dei medesimi soggetti da decenni nelle
cariche di governo del Paese, e la gestione del potere
economico del Paese da parte di pochi e sempre uguali soggetti
economici, hanno certamente concorso ad inibire una
valorizzazione di tutte le potenzialità che i princìpi
fondamentali della Costituzione potrebbero esprimere.
La difesa ad oltranza di una forma statuale che non
favorisce le autonomie ma che le controlla ha creato quello
che è sotto gli occhi di tutti; impoverimento della società,
mancato sviluppo del sud del Paese, impedimento di un maggiore
sviluppo economico-sociale del nord, un sistema produttivo
italiano che premia le grandi aziende ed aggregazioni e
penalizza le piccole e medie imprese, mancata
razionalizzazione delle spese, crisi dello Stato sociale,
diffusione e radicamento della criminalità nello Stato,
sistema assistenziale diffuso anche dove, come si è già detto,
non vi è necessità, scelte strategiche per lo sviluppo del
Paese non assunte o non adeguate agli impegni finanziari.
In aggiunta, vi è la "questione Europa", ed una revisione
della Costituzione non può essere affrontata senza considerare
che l'Italia è sempre più una parte di un tutto. Oramai la
domanda non è più se si realizzeranno gli accordi, ma come si
intende realizzare l'Unione europea. Si sta osservando,
infatti, sempre più una devoluzione di competenze dai vari
centri di potere ad un centro unico di potere che a sua volta
impartisce disposizioni che coinvolgono oltre 300 milioni di
persone.
Una Costituzione italiana funzionale a realizzare, come si
propone nella presente proposta di legge costituzionale,
un'ampia autonomia legislativa, regolamentare, amministrativa
e finanziaria della Regione, prevedendo al contempo un fondo
di perequazione e solidarietà a favore di aree svantaggiate
del Paese, mantenendo in capo allo Stato la potestà
legislativa esclusiva solamente per alcuni settori della vita
del Paese, sarebbe anche un segnale esplicito su come
costruire negli anni a venire l'Europa, che al momento rimane
un'area dei federalismi annunciati e dei centralismi
praticati.
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