| Onorevoli Colleghi! - Il principio di
autodeterminazione nel campo delle cure mediche e la
consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere
protagonista delle scelte riguardanti la sua salute, sia nel
senso di accettare sia nel senso di rifiutare l'intervento
medico, sono andati progressivamente affermandosi nella
cultura della nostra società. Tale principio ha trovato un
primo fondamentale riconoscimento già nell'articolo 32,
secondo comma, della nostra Carta costituzionale, che ha
sancito che "Nessuno può essere obbligato ad un determinato
trattamento sanitario se non per disposizione di legge".
Recentemente anche la Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina, approvata dal Consiglio d'Europa nell'aprile
1997, ha riaffermato - come già era affermato nella precedente
stesura del luglio 1994 - che qualsiasi intervento medico
effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi
illecito (articolo 5).
Anche il Codice di deontologia medica, nella sua ultima
versione del 1998, dopo aver precisato (articolo 30) il
diritto del malato a ricevere la più idonea informazione da
parte del medico, afferma (articolo 34) che il medico "deve
attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e
dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi,
liberamente espressa dalla persona".
Anche la giurisprudenza italiana ha avuto modo di chiarire
che il rifiuto di un trattamento da parte della persona
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interessata deve essere rispettato, indipendentemente dalla
valutazione dell'operatore sanitario in merito al "bene" del
paziente, precisando che "nel diritto di ciascuno di disporre
lui e lui solo, della propria salute ed integrità personale,
pur nei limiti previsti dall'ordinamento, non può che essere
ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando
che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme
conseguenze: il che non può essere considerato come il
riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è invece
la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere
imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o,
peggio, dall'arbitrio altrui, ma deve fondarsi esclusivamente
sulla volontà dell'avente diritto, trattandosi di una scelta
che (...) riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e
lui solo può legittimamente fare" (Corte d'assise di Firenze,
sentenza n. 13 del 18 ottobre 1990).
Appare evidente come il consenso o il rifiuto espresso
dalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia
diagnostico sia terapeutico, possa rappresentare un autentico
atto di autodeterminazione, libero e consapevole, solo se la
persona riceve un'informazione completa e corretta della
diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento che concerna
la scelta che la persona stessa è chiamata a effettuare
(cosiddetto "consenso informato").
La già citata Convenzione sui diritti umani e la
biomedicina afferma (articolo 5) che la persona deve ricevere
"preventivamente un'informazione adeguata in merito allo scopo
e alla natura dell'intervento nonchè alle sue conseguenze ed
ai suoi rischi". Anche il Codice di deontologia medica del
1998 specifica che "il medico deve fornire al paziente la più
idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle
prospettive e le eventuali alternative
diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle
scelte operate. (...) Ogni ulteriore richiesta di informazione
da parte del paziente deve essere soddisfatta" (articolo 30),
precisando quindi (articolo 32) che il medico "non deve
intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza il
consenso del paziente validamente informato (...)" e che "in
ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona
capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai
conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo
consentito alcun trattamento medico contro la volontà della
persona".
Tuttavia, nonostante il preciso dettato costituzionale e
l'affermazione del principio di autodeterminazione recata
dalle regole deontologiche mediche, la pratica clinica nel
nostro Paese continua ad essere permeata da una scarsa o
sporadica informazione del paziente e dalla frequente
violazione della richiesta di consenso alle procedure
diagnostiche o terapeutiche alle quali la persona malata è
sottoposta. Tale atteggiamento, che vede spesso una sorta di
complicità "a fin di bene" fra il medico curante e i familiari
come malintesa forma di protezione della persona malata,
determina di fatto la frequentissima esclusione della persona
stessa dalla possibilità di intervenire nei momenti
decisionali cruciali, spogliandola di un suo essenziale
diritto, e crea, sotto il profilo psicologico, un penoso stato
di isolamento del malato.
Il diritto di autodeterminazione della persona per quanto
attiene alle scelte relative alle cure incontra poi
limitazioni assolute nelle circostanze in cui la persona venga
a perdere la capacità di decidere ovvero di comunicare le
proprie decisioni. Per garantire il diritto
all'autodeterminazione anche in questi casi, si rende
necessario prevedere uno strumento nuovo - non contemplato dal
nostro ordinamento giuridico vigente - che consenta alla
persona, finchè si trova nel possesso delle sue facoltà
mentali, di dare disposizioni per l'eventualità e per il tempo
nel quale tali facoltà fossero gravemente scemate o scomparse,
disposizioni vincolanti per gli operatori sanitari e in
generale per ogni soggetto che si trovi implicato nelle scelte
mediche che riguarderanno la persona. A questo proposito, il
già citato Codice di deontologia medica del 1998 si è
pronunciato (articolo 34) a favore delle direttive anticipate,
disponendo che "il medico, se il paziente non è in grado di
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esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di
vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente
manifestato dallo stesso".
Dalla considerazione di queste problematiche trae origine
la presente proposta di legge sulle "volontà anticipate" la
quale mira ad offrire al cittadino-persona l'esplicita
fondazione giuridica del suo essenziale diritto
all'autodeterminazione, inteso non più come un dovere
dell'operatore sanitario, ma come un positivo riconoscimento,
nonchè gli strumenti giuridici sostanziali e procedurali per
vedere garantito tale diritto anche nel caso di perdita della
capacità di decidere o di esprimere la sua decisione,
consentendogli di disporre anticipatamente in merito al
trattamento medico desiderato.
Con gli articoli 1 e 2 la presente proposta di legge
propone di dare una compiuta regolazione al principio del
"consenso informato". In particolare, nell'articolo 1
l'informazione corretta, completa e comprensibile su tutti gli
aspetti diagnostici e terapeutici che possono riguardare la
persona è espressa come oggetto non solo e non tanto di un
obbligo del merito, quanto piuttosto di un diritto della
persona stessa, un diritto al quale la persona può ovviamente
rinunciare fermo restando che solo la rinuncia esplicita può
giustificare il venire meno dell'obbligo di informazione in
capo al medico, al quale è consentito solamente di adottare,
ove le circostante lo suggeriscono, le opportune cautele nella
comunicazione.
Nell'articolo 2 è ribadita, rispetto alle decisioni
relative ai trattamenti sanitari, la piena autonomia di scelta
del paziente, le dichiarazioni di volontà del quale, formulate
in stato di capacità di intendere e di volere ("capacità
naturale"), devono essere rispettate anche quando tale
capacità sia venuta meno. Poichè i problemi possono sorgere
soprattutto in conseguenza del rifiuto nei confronti dei
trattamenti suggeriti o prevedibili nello sviluppo della
patologia, si è ritenuto di precisare che il rifiuto deve
essere rispettato anche se dalla mancata effettuazione dei
trattamenti stessi derivi un pericolo per la salute o per la
vita, specificandosi che il medico è esentato da ogni
responsabilità conseguente al rispetto della volontà del
paziente, che per questa ragione si è ritenuto debba risultare
da atto scritto firmato da esso stesso, dalla cartella clinica
nel caso di ricovero ospedaliero del paziente capace ovvero
dalle "volontà anticipate" con le formalità previste negli
articoli successivi.
Su questa disposizione si fonda la validità giuridica
delle "volontà anticipate", alla formulazione e alla
applicazione delle quali sono dedicati gli articoli 3 e 4.
L'articolo 3 prevede che, oltre a formulare le "volontà
anticipate", la persona possa indicare un altro soggetto di
fiducia che, nel caso di perdita della capacità naturale,
eserciti in sostituzione i diritti e le facoltà relativi
all'esercizio del diritto al consenso informato, lasciando
libera la persona di nominare il sostituto e di determinare le
sue future decisioni mediante indicazioni o disposizioni di
carattere vincolante. La delicatezza dell'incarico e le
responsabilità che ne possono derivare hanno suggerito di
prevedere una forma specifica, peraltro semplificata, sia per
il conferimento sia per l'accettazione (articolo 3, comma
3).
E' previsto inoltre che, qualora una persona venutasi a
trovare in stato di incapacità naturale irreversibile, non
abbia preventivamente nominato il sostituto di cui
all'articolo 3, comma 2, il giudice tutelare provveda alla
nomina (articolo 3, comma 4).
L'articolo 4, infine, prevede le modalità per risolvere le
eventuali divergenze che dovessero intervenire tra le scelte
operate dal sostituto nominato dalla persona con le "volontà
anticipate", ovvero in mancanza dal giudice tutelare, e le
scelte dei curanti. Si è ritenuto di affidare la soluzione
della controversia al giudice (il pretore), con un
procedimento che si richiama, semplificandole, alle procedure
cautelari previste dal codice di procedura civile.
E' stato comunque previsto che, ove sia stata validamente
espressa, la volontà della persona debba in ogni caso
vincolare la decisione giurisdizionale (articolo 4, comma
3).
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