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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


66972
DDL5673-0002
Progetto di legge Camera n. 5673 - testo presentato - (DDL13-5673)
(suddiviso in 6 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5673. TESTIPDL
...C5673.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5673 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - Il principio di
  autodeterminazione nel campo delle cure mediche e la
  consapevolezza che ogni persona ha il diritto di essere
  protagonista delle scelte riguardanti la sua salute, sia nel
  senso di accettare sia nel senso di rifiutare l'intervento
  medico, sono andati progressivamente affermandosi nella
  cultura della nostra società.  Tale principio ha trovato un
  primo fondamentale riconoscimento già nell'articolo 32,
  secondo comma, della nostra Carta costituzionale, che ha
  sancito che "Nessuno può essere obbligato ad un determinato
  trattamento sanitario se non per disposizione di legge".
     Recentemente anche la Convenzione sui diritti umani e la
  biomedicina, approvata dal Consiglio d'Europa nell'aprile
  1997, ha riaffermato - come già era affermato nella precedente
  stesura del luglio 1994 - che qualsiasi intervento medico
  effettuato senza il consenso della persona deve ritenersi
  illecito (articolo 5).
     Anche il Codice di deontologia medica, nella sua ultima
  versione del 1998, dopo aver precisato (articolo 30) il
  diritto del malato a ricevere la più idonea informazione da
  parte del medico, afferma (articolo 34) che il medico "deve
  attenersi, nel rispetto della dignità, della libertà e
  dell'indipendenza professionale, alla volontà di curarsi,
  liberamente espressa dalla persona".
     Anche la giurisprudenza italiana ha avuto modo di chiarire
  che il rifiuto di un trattamento da parte della persona
 
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  interessata deve essere rispettato, indipendentemente dalla
  valutazione dell'operatore sanitario in merito al "bene" del
  paziente, precisando che "nel diritto di ciascuno di disporre
  lui e lui solo, della propria salute ed integrità personale,
  pur nei limiti previsti dall'ordinamento, non può che essere
  ricompreso il diritto di rifiutare le cure mediche lasciando
  che la malattia segua il suo corso anche fino alle estreme
  conseguenze: il che non può essere considerato come il
  riconoscimento positivo di un diritto al suicidio, ma è invece
  la riaffermazione che la salute non è un bene che possa essere
  imposto coattivamente al soggetto interessato dal volere o,
  peggio, dall'arbitrio altrui, ma deve fondarsi esclusivamente
  sulla volontà dell'avente diritto, trattandosi di una scelta
  che (...) riguarda la qualità della vita e che pertanto lui e
  lui solo può legittimamente fare" (Corte d'assise di Firenze,
  sentenza n. 13 del 18 ottobre 1990).
     Appare evidente come il consenso o il rifiuto espresso
  dalla persona nei confronti di un qualsiasi trattamento, sia
  diagnostico sia terapeutico, possa rappresentare un autentico
  atto di autodeterminazione, libero e consapevole, solo se la
  persona riceve un'informazione completa e corretta della
  diagnosi, della prognosi e di ogni altro elemento che concerna
  la scelta che la persona stessa è chiamata a effettuare
  (cosiddetto "consenso informato").
     La già citata Convenzione sui diritti umani e la
  biomedicina afferma (articolo 5) che la persona deve ricevere
  "preventivamente un'informazione adeguata in merito allo scopo
  e alla natura dell'intervento nonchè alle sue conseguenze ed
  ai suoi rischi".  Anche il Codice di deontologia medica del
  1998 specifica che "il medico deve fornire al paziente la più
  idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle
  prospettive e le eventuali alternative
  diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle
  scelte operate.  (...) Ogni ulteriore richiesta di informazione
  da parte del paziente deve essere soddisfatta" (articolo 30),
  precisando quindi (articolo 32) che il medico "non deve
  intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza il
  consenso del paziente validamente informato (...)" e che "in
  ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona
  capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai
  conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo
  consentito alcun trattamento medico contro la volontà della
  persona".
     Tuttavia, nonostante il preciso dettato costituzionale e
  l'affermazione del principio di autodeterminazione recata
  dalle regole deontologiche mediche, la pratica clinica nel
  nostro Paese continua ad essere permeata da una scarsa o
  sporadica informazione del paziente e dalla frequente
  violazione della richiesta di consenso alle procedure
  diagnostiche o terapeutiche alle quali la persona malata è
  sottoposta.  Tale atteggiamento, che vede spesso una sorta di
  complicità "a fin di bene" fra il medico curante e i familiari
  come malintesa forma di protezione della persona malata,
  determina di fatto la frequentissima esclusione della persona
  stessa dalla possibilità di intervenire nei momenti
  decisionali cruciali, spogliandola di un suo essenziale
  diritto, e crea, sotto il profilo psicologico, un penoso stato
  di isolamento del malato.
     Il diritto di autodeterminazione della persona per quanto
  attiene alle scelte relative alle cure incontra poi
  limitazioni assolute nelle circostanze in cui la persona venga
  a perdere la capacità di decidere ovvero di comunicare le
  proprie decisioni.  Per garantire il diritto
  all'autodeterminazione anche in questi casi, si rende
  necessario prevedere uno strumento nuovo - non contemplato dal
  nostro ordinamento giuridico vigente - che consenta alla
  persona, finchè si trova nel possesso delle sue facoltà
  mentali, di dare disposizioni per l'eventualità e per il tempo
  nel quale tali facoltà fossero gravemente scemate o scomparse,
  disposizioni vincolanti per gli operatori sanitari e in
  generale per ogni soggetto che si trovi implicato nelle scelte
  mediche che riguarderanno la persona.  A questo proposito, il
  già citato Codice di deontologia medica del 1998 si è
  pronunciato (articolo 34) a favore delle direttive anticipate,
  disponendo che "il medico, se il paziente non è in grado di
 
                               Pag. 3
 
  esprimere la propria volontà in caso di grave pericolo di
  vita, non può non tenere conto di quanto precedentemente
  manifestato dallo stesso".
     Dalla considerazione di queste problematiche trae origine
  la presente proposta di legge sulle "volontà anticipate" la
  quale mira ad offrire al cittadino-persona l'esplicita
  fondazione giuridica del suo essenziale diritto
  all'autodeterminazione, inteso non più come un dovere
  dell'operatore sanitario, ma come un positivo riconoscimento,
  nonchè gli strumenti giuridici sostanziali e procedurali per
  vedere garantito tale diritto anche nel caso di perdita della
  capacità di decidere o di esprimere la sua decisione,
  consentendogli di disporre anticipatamente in merito al
  trattamento medico desiderato.
     Con gli articoli 1 e 2 la presente proposta di legge
  propone di dare una compiuta regolazione al principio del
  "consenso informato".  In particolare, nell'articolo 1
  l'informazione corretta, completa e comprensibile su tutti gli
  aspetti diagnostici e terapeutici che possono riguardare la
  persona è espressa come oggetto non solo e non tanto di un
  obbligo del merito, quanto piuttosto di un diritto della
  persona stessa, un diritto al quale la persona può ovviamente
  rinunciare fermo restando che solo la rinuncia esplicita può
  giustificare il venire meno dell'obbligo di informazione in
  capo al medico, al quale è consentito solamente di adottare,
  ove le circostante lo suggeriscono, le opportune cautele nella
  comunicazione.
     Nell'articolo 2 è ribadita, rispetto alle decisioni
  relative ai trattamenti sanitari, la piena autonomia di scelta
  del paziente, le dichiarazioni di volontà del quale, formulate
  in stato di capacità di intendere e di volere ("capacità
  naturale"), devono essere rispettate anche quando tale
  capacità sia venuta meno.  Poichè i problemi possono sorgere
  soprattutto in conseguenza del rifiuto nei confronti dei
  trattamenti suggeriti o prevedibili nello sviluppo della
  patologia, si è ritenuto di precisare che il rifiuto deve
  essere rispettato anche se dalla mancata effettuazione dei
  trattamenti stessi derivi un pericolo per la salute o per la
  vita, specificandosi che il medico è esentato da ogni
  responsabilità conseguente al rispetto della volontà del
  paziente, che per questa ragione si è ritenuto debba risultare
  da atto scritto firmato da esso stesso, dalla cartella clinica
  nel caso di ricovero ospedaliero del paziente capace ovvero
  dalle "volontà anticipate" con le formalità previste negli
  articoli successivi.
     Su questa disposizione si fonda la validità giuridica
  delle "volontà anticipate", alla formulazione e alla
  applicazione delle quali sono dedicati gli articoli 3 e 4.
     L'articolo 3 prevede che, oltre a formulare le "volontà
  anticipate", la persona possa indicare un altro soggetto di
  fiducia che, nel caso di perdita della capacità naturale,
  eserciti in sostituzione i diritti e le facoltà relativi
  all'esercizio del diritto al consenso informato, lasciando
  libera la persona di nominare il sostituto e di determinare le
  sue future decisioni mediante indicazioni o disposizioni di
  carattere vincolante.  La delicatezza dell'incarico e le
  responsabilità che ne possono derivare hanno suggerito di
  prevedere una forma specifica, peraltro semplificata, sia per
  il conferimento sia per l'accettazione (articolo 3, comma
  3).
     E' previsto inoltre che, qualora una persona venutasi a
  trovare in stato di incapacità naturale irreversibile, non
  abbia preventivamente nominato il sostituto di cui
  all'articolo 3, comma 2, il giudice tutelare provveda alla
  nomina (articolo 3, comma 4).
     L'articolo 4, infine, prevede le modalità per risolvere le
  eventuali divergenze che dovessero intervenire tra le scelte
  operate dal sostituto nominato dalla persona con le "volontà
  anticipate", ovvero in mancanza dal giudice tutelare, e le
  scelte dei curanti.  Si è ritenuto di affidare la soluzione
  della controversia al giudice (il pretore), con un
  procedimento che si richiama, semplificandole, alle procedure
  cautelari previste dal codice di procedura civile.
     E' stato comunque previsto che, ove sia stata validamente
  espressa, la volontà della persona debba in ogni caso
  vincolare la decisione giurisdizionale (articolo 4, comma
  3).
 
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