| Onorevoli Colleghi! - Sin dall'inizio del reinserimento
dell'Albania nella comunità dei Paesi democratici, il nostro
Governo ha fatto della stabilità albanese una priorità della
propria politica estera. Dapprima, servendosi di attori
istituzionali, non governativi ed umanitari, il nostro Paese
ha subito intrapreso una politica volta a porre fine
all'emergenza attraverso un programma creditizio teso a
sostenere le importazioni albanesi e, in un secondo momento,
attraverso l'invio della nota missione "Pellicano", iniziata
nel settembre del 1991 e conclusasi nel 1993. Tra le
iniziative più significative per facilitare il ritorno
all'ordine in Albania, ricordiamo, inoltre, la consistente
partecipazione alla Forza multinazionale di protezione (FMP),
sotto direzione italiana, conosciuta come "Operazione Alba",
che ha avuto l'avallo dell'Unione europea, dell'Organizzazione
per la cooperazione e lo sviluppo economico (OCSE) e delle
Nazioni Unite, il cui onere ammontava ad oltre 130 miliardi di
lire.
Principale scopo della Operazione Alba, alla quale hanno
partecipato nel momento di maggior presenza oltre 7000 uomini
appartenenti ad 11 Paesi, tra i quali il contingente più forte
era quello italiano con oltre 3700 uomini, è stato quello di
contribuire a creare le premesse di sicurezza in grado di
garantire la distribuzione degli aiuti umanitari di emergenza,
nonché l'attuazione delle opere di assistenza
internazionale.
Il clima temporaneo più disteso che ne è risultato ha
permesso di tenere le elezioni generali del 29 giugno 1997, ma
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non è stato però sufficiente a gettare le basi per la ripresa
della coesistenza civile e della vita democratica albanese,
come dimostrato dalla massiccia - ed a tutt'oggi interminabile
- ripresa dei flussi migratori verso le coste della Puglia,
rendendo così necessaria l'adozione di una serie di interventi
(tra cui il decreto-legge 20 marzo 1997, n. 60, convertito,
con modificazioni, dalla legge 19 maggio l997, n. 128) per
garantire l'ordine pubblico nel nostro Paese.
Come noto, oltre a queste misure di ordine interno ed alla
promozione di iniziative diplomatiche (per un intervento di
carattere internazionale volto alla soluzione dell'emergenza),
il nostro Paese ha elaborato un programma finalizzato a porre
le basi per la ripresa sociale ed economica dell'Albania e per
la riorganizzazione della convivenza civile.
Per l'Italia e per la comunità internazionale si è,
dunque, aperto un nuovo capitolo dell'aiuto all'Albania,
inteso a sostenere lo sforzo cui il Paese doveva sottoporsi
per riprendere la via della ricostruzione. L'azione
dell'Italia, sia sul piano bilaterale che attraverso le
istituzioni finanziarie internazionali, è stata destinata ai
più significativi settori della vita di tale Paese, come
quello dell'ordine pubblico, delle strutture giudiziarie,
della sanità della pubblica istruzione e dello sviluppo del
commercio e dell'artigianato. Nel corso di questi ultimi anni,
quindi, l'Italia e l'Albania hanno firmato più accordi
bilaterali di collaborazione. Tra questi ricordiamo l'Accordo
di cooperazione culturale, fatto a Tirana il 12 settembre
1994, reso esecutivo con legge 2 marzo 1998, n. 49, il
Trattato di amicizia e collaborazione, fatto a Roma il 13
ottobre 1995 (reso esecutivo con legge 21 maggio 1998, n.
170), l'Accordo di cooperazione scientifica e tecnologica,
fatto a Tirana il 18 dicembre 1997 (la cui ratifica ed
esecuzione è stata approvata dalla Camera dei deputati, come
documento AC. n. 5162) ed, infine, quello triennale di
cooperazione del 6 agosto 1998. Solo per l'ultimo Accordo è
stato previsto uno stanziamento di 210 miliardi di lire,
suddiviso in 180 miliardi di credito d'aiuto ventennale e 30
miliardi a dono. I progetti contemplati in quest'ultimo
accordo riguardano, in particolare, la ricostruzione della
pubblica amministrazione e delle infrastrutture, nonché lo
sviluppo industriale delle piccole e medie imprese.
L'impostazione di fondo emersa all'interno del Parlamento
italiano, nel corso del susseguirsi delle vicende relative
alla "crisi albanese", è stata quella di un aiuto
condizionato: è stato infatti chiesto all'Albania di procedere
verso riforme che garantiscano la solidità del sistema
politico e finanziario del Paese, in cambio dei consistenti
impegni che l'Italia ha assunto, investendo per altro svariati
miliardi di lire incidenti sul bilancio dello Stato italiano.
Di fatto, però, sino ad oggi non si sono registrati
miglioramenti significativi nella realtà politica ed economica
albanese e - di riflesso - tantomeno in quella italiana,
considerato il notevole ed incontenibile flusso di albanesi
sulle nostre coste che provoca forti disagi soprattutto a
livello della sicurezza pubblica, in Puglia ed in tutta
l'Italia.
Siamo dunque, in una grave situazione di stallo che corre
il rischio di compromettere l'efficacia dell'impegno
internazionale a sostegno dell'Albania in una fase
delicatissima quale è la attuale, della ripresa della vita
economica e sociale del Paese, così come denunciato dalle
autorità locali delle coste pugliesi che - più di tutte -
toccano con mano gli effetti allarmanti conseguenti all'esodo
di massa degli albanesi verso l'Italia.
E' evidente che da tale disordine generale non può che
trarre vantaggio la criminalità (organizzata e non)
"bilaterale" con i suoi traffici illeciti e speculazioni di
ogni tipo; è una situazione che ha inevitabilmente portato ad
una sorta di diffidenza e quasi di ritrosia nei confronti
degli albanesi, profughi o clandestini che siano, accomunati
in un giudizio sommariamente, e forse ingiustamente,
negativo.
Siamo fermamente convinti che soltanto un'attenta analisi
di tale situazione ed un programma di controllo mirato alle
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procedure adottate per l'attuazione degli accordi di
collaborazione bilaterale, tra Italia ed Albania, comprese le
modalità di gestione dei fondi elargiti in tale senso,
potrebbero portare ad una visione chiarificatrice e permettere
la stesura di un preciso programma di pianificazione degli
obiettivi alla base di tali accordi.
Alla luce di quanto sopra evidenziato, è chiaro come non
si possa prescindere da una seria verifica dello stato di
attuazione dei progetti sino ad ora approvati e dei connessi
risultati ottenuti, nonché della ripartizione delle
responsabilità organizzative rispetto ai finanziamenti
stanziati ed erogati.
Con la legge 17 gennaio 1994, n. 46, fu, infatti,
istituita nella XI legislatura una Commissione bicamerale di
inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione con i
Paesi in via di sviluppo. L'avvio di un'inchiesta parlamentare
ai sensi dell'articolo 82 della Costituzione era stato
richiesto a gran voce da numerose forze politiche e da
importanti settori della società civile, a seguito di
deviazioni avvenute nel mondo della cooperazione italiana, al
fine di accertare le modalità di gestione dei fondi pubblici
destinati alla cooperazione per la crescita dei Paesi in via
di sviluppo.
La complessità della materia trattata, unitamente alla
gravità della situazione relativa alla migrazione di massa
degli albanesi verso le nostre coste, e la necessità di un
confronto tra tutte le forze politiche e gli operatori
(soprattutto locali) del settore, inducono inevitabilmente a
ritenere urgente l'istituzione di una Commissione parlamentare
di inchiesta sull'attuazione della politica di cooperazione
affinché i lavori svolti sino ad oggi possano avere riscontro
oggettivo attraverso una migliore e serena lettura dei dati
acquisiti e, quindi, si giunga a formulare una nuova linea di
indirizzo.
In definitiva, riteniamo che l'istituzione di una
Commissione di inchiesta sull'attuazione della politica di
cooperazione tra l'Italia e l'Albania possa essere intesa come
un esame di coscienza a cui il nostro Parlamento ha il dovere
di sottoporsi; esame imposto non solo dalle circostanze e dal
vivace dibattito politico apertosi nel nostro Paese ma anche
dalla necessità di argomentare solidamente in favore di un
rinnovato intervento sia in Albania che presso gli altri
partner internazionali, in varia misura riluttanti ad un
pieno impegno nei confronti di una complessa crisi
politico-economica non ancora conclusa, di cui a tutt'oggi
sfuggono alcuni aspetti di fondo ed effetti non prevedibili,
anche in quanto non compiutamente analizzati.
In effetti, come emerso da dossier di documentazione
sul tema in questione, è largamente condivisa l'ipotesi di
aver commesso un sostanziale errore di valutazione, per aver
minimizzato la gravità dei problemi connessi alla realtà
albanese e sottovalutato a priori la precarietà
dell'equilibrio politico-economico dell'Albania.
In ultimo, va sottolineato che, l'Italia, per far fronte
all'impegno a favore dell'Albania, ha dovuto dotarsi di
strumenti nuovi o adeguare quelli esistenti, di seguito
elencati:
a) per la parte di supporto istituzionale è stato
nominato un Commissario straordinario del Governo che
organizza e coordina l'assistenza fornita dalla Presidenza del
Consiglio dei ministri e dai Ministeri italiani alle loro
controparti istituzionali albanesi. A Tirana tali forme di
assistenza sono coordinate da una delegazione diplomatica
speciale, istituita direttamente dal Ministero degli affari
esteri;
b) per l'assistenza economica e allo sviluppo che
fa capo al Ministero degli affari esteri, sono state create
apposite unità nell'ambito delle strutture esistenti, al fine
di gestire la parte più cospicua dei finanziamenti destinati
all'Albania. Il Ministero dispone, inoltre, a Tirana di una
unità tecnica locale per interventi nel campo della
cooperazione allo sviluppo;
c) i Ministeri dell'interno e della difesa hanno
dovuto creare apposite strutture in Albania per portare a
termine compiti di addestramento e di riorganizzazione.
In definitiva, con la presente proposta di legge,
riteniamo opportuno che la istituenda Commissione di inchiesta
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si occupi anche di valutare la funzionalità e l'efficacia dei
suddetti strumenti (la cui messa a punto ha comportato costi
considerevoli allo Stato italiano, anch'essi da accertare) e
dei risultati raggiunti, in considerazione del delicato
momento della vita economica italiana (e soprattutto della
situazione socio-economica meridionale) che non consente
impegno di denaro pubblico, se non in termini assoluti di
razionalità e di efficacia negli interventi.
Per concludere, crediamo che un serio lavoro d'indagine
svolto da una Commissione di inchiesta sull'attuazione della
politica di cooperazione con l'Albania potrebbe finalmente
portarci ad una attenta disamina di tutti gli aspetti della
questione, sia positivi che negativi, tale poi da consentirci
di legiferare con ampia e documentata cognizione di tutti i
problemi annessi e connessi. Infine, riteniamo indispensabile
che la Commissione si avvalga anche della collaborazione delle
autorità locali ed in particolare di quelle pugliesi,
acquisendo eventuali dati, documenti ed atti necessari ad
avere un quadro completo della questione.
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