Banche dati professionali (ex 3270)
Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


67225
DDL5699-0002
Progetto di legge Camera n. 5699 - testo presentato - (DDL13-5699)
(suddiviso in 24 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C5699. TESTIPDL
...C5699.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC5699 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - La presente proposta di legge
  mira a riformare l'insieme del "sistema difesa" del nostro
  Paese, a renderlo più attinente al nuovo scenario
  internazionale e a quel ripudio della guerra sancito
  dall'articolo 11 della Costituzione che rimane - alle soglie
  del terzo millennio - il faro che deve ispirare la politica
  estera della Repubblica italiana.
     Trattandosi di una riforma istituzionale tra le più
  delicate (alle Forze armate la Costituzione delega l'uso delle
  armi e della forza) che ha ripercussioni sia sull'ordinamento
  interno sia sulla politica internazionale del nostro Paese,
  appare necessario precisare qual è il quadro internazionale
  complessivo nel quale il nuovo strumento di difesa deve
  agire.
     Questa visione globale è particolarmente necessaria in un
  pianeta sempre di più attraversato da ingiustizie colossali e
  da disparità crescenti tra aree ricche e aree povere.  Senza
  questa analisi si può cadere - come propongono gli assertori
  del Nuovo modello di difesa (NMD) - nella tentazione di
  affrontare la sfera militare come un qualcosa a se stante dal
  resto delle dinamiche mondiali.  Questa impostazione, dominante
  nelle posizioni espresse in materia dal Governo, porta
  inevitabilmente a soluzioni di "contenimento" militare della
  instabilità planetaria, dando - in questo crescente disordine
  mondiale - per scontati ed immutabili gli scenari di
  ingiustizia e di impoverimento progressivi di settori sempre
  più vasti dell'umanità.
 
                               Pag. 2
 
     La prima questione essenziale è dare priorità alla
  politica: la sfera militare deve essere subordinata ad essa,
  non può esserne una variante indipendente.
     Nel processo di globalizzazione capitalista gli Stati
  nazionali sono messi fortemente in discussione alla radice
  dalla libertà di mercato senza regole e confini.  Si tratta di
  un esproprio dei poteri e di una loro concentrazione verso il
  vertice della piramide (sempre più ristretto se è vero che 358
  persone detengono nelle loro mani private ricchezze pari a
  quelle di 2 miliardi e mezzo di persone) che esautorando gli
  Stati nazionali dalle loro tradizionali politiche di
  protezione (lo Stato sociale, la politica ridistributiva,
  eccetera) rischia di delegare loro solo l'uso della forza (di
  polizia e militare).
     Questo scenario è pericolosissimo sotto il profilo
  democratico e foriero di una involuzione autoritaria di
  dimensioni inimmaginabili.
     Se si accetta questo quadro, con la conseguente
  parcellizzazione del tema militare, allora il NMD come ci è
  stato prospettato ne è una obbligatoria conseguenza.  Se invece
  si opera per modificare questo quadro allora ne discende un
  sistema di difesa altro, più compatibile con le politiche di
  pace che, in questa fase storica, significano in primo luogo
  rimozione delle violentissime ingiustizie prodotte dal sistema
  economico dominante.
     Da questa scelta politica discende la nostra proposta di
  organizzazione della difesa che per le sue caratteristiche
  dovrà essere doppiamente innovativa sia rispetto al vecchio
  sistema basato sull'esercito di massa sia nei confronti di chi
  vorrebbe delegare a degli specialisti della guerra (esercito
  professionale) il sacro dovere della difesa della Patria
  stabilito dall'articolo 52 della Costituzione.
  Interessi nazionali ed interessi della collettività
  umana.
     In questi decenni è andato modificandosi lo stesso
  concetto di difesa.  Un tempo esso era organizzato intorno alla
  tutela dell'integrità territoriale del Paese (i confini della
  Patria), oggi, vuoi per il processo di costruzione europea e
  per la globalizzazione dei mercati, vuoi per l'improbabilità
  di una aggressione diretta ed armata nei confronti della
  Nazione, la difesa necessariamente deve tutelare interessi
  collettivi del Paese e dell'insieme dell'umanità.
     Gli assertori del NMD hanno tentato in questi anni
  (riuscendoci con atti concreti mai discussi ed approvati dal
  Parlamento) di spostare il concetto di difesa da quello dei
  confini a quello degli interessi nazionali, addirittura
  definendo le aree di intervento strategico a tutela degli
  stessi (area balcanica e mediterranea, corno d'Africa, le
  rotte del petrolio).
     Nelle missioni in Somalia ed in Albania si è assistito al
  riproporsi di un nazionalismo vecchia maniera (l'idea dei
  protettorati, anche se chiamati in altro modo) dove
  l'interesse nazionale all'intervento militare sovrastava lo
  stesso interesse di appartenenza al mondo occidentale (ed al
  suo modo di produrre e di consumare).  Nella guerra del Golfo
  del 1991, invece, gli interessi nazionali venivano fatti
  coincidere con quelli più generali dei Paesi industrializzati
  in una crociata per il possesso della vena giugulare del
  petrolio.
     Gli interessi nazionali non dovrebbero essere tali quando
  non coincidono (anzi ledono) gli interessi collettivi della
  comunità umana.  Poiché non crediamo all'esistenza di due
  categorie tra il genere umano (una degli eletti, quella dei
  Paesi ricchi che devono detenere l'80 per cento della
  ricchezza mondiale; l'altra quella dei derelitti, condannati a
  contendersi le briciole o addirittura cancellati da ogni
  futuro dalle politiche degli "aggiustamenti strutturali" della
  Banca mondiale) è bene che la definizione degli "interessi
  nazionali" ritorni a tenere conto di questo presupposto.
     Il fondamentalismo del mercato sta producendo
  fondamentalismi di risposta che stanno portando indietro
  l'umanità.  Si può fingere di arginare il fondamentalismo
  islamico per esempio con le forze d'intervento rapido, il
  sostegno al massacratore Zerual, tenere in vita la comoda
 
                               Pag. 3
 
  figura di Saddam Hussein, consentire alla Turchia ogni
  impunità e ad Israele di stracciare gli accordi siglati (ma è
  appunto una finzione perché in questa impostazione si ha
  "l'effetto colabrodo": tappi un buco da una parte e ne
  riesplodono due da un'altra).  O si può, come si dovrebbe,
  rimettere in discussione il fondamentalismo generatore di
  altri, quello che innesta l'effetto "vortice".  Di nuovo si
  tratta d'intervenire sulle cause e non sulle conseguenze.  Di
  nuovo spetta alla politica indicare altre strade che
  ridistribuiscano ricchezza verso il basso disarmando alla
  radice gli argomenti dei terroristi, rilanciando la
  cooperazione allo sviluppo, sviluppando un concetto di
  sicurezza includente e rinunciando a quello escludente.
  Meno Forze armate e più civili nel nuovo concetto di
  difesa allargata.
     In questa concezione nuova della "difesa allargata"
  occorre comprendere che l'elemento militare - pur rimanendo
  importante - non può più essere concepito come esclusivo.  Non
  solo la Corte costituzionale ha precisato che si può servire
  l'articolo 52 della Costituzione anche senza le armi, ma la
  stessa nuova legge sull'obiezione di coscienza (legge 8 luglio
  1998, n. 230) ha reso parte integrante della nostra
  giurisprudenza il concetto che la difesa appartiene
  all'insieme della collettività.  Per questo la salvaguardia e
  la modernizzazione del carattere popolare della difesa non
  sono una questione - come asseriscono i fautori dell'esercito
  esclusivamente professionale - di nostalgici della rivoluzione
  francese.  Esse acquisiscono una moderna centralità democratica
  nel momento in cui i poteri vengono sempre di più concentrati
  verso l'alto e alla crisi degli Stati nazionali non fa seguito
  - al contrario delle leggi di mercato libere di invadere ogni
  spazio della vita umana - un riposizionamento in una sede
  democratica sovranazionale della volontà e della
  partecipazione popolari.  Per decenni l'impostazione
  sostanzialmente sabauda della coscrizione obbligatoria si è
  approcciata nei confronti del cittadino maschio come se il
  servizio di leva fosse una sorta di servitù, una sottrazione
  della libertà dell'individuo da parte dello Stato.  I fenomeni
  di spersonalizzazione dei militari di leva derivano anche e
  soprattutto da questa concezione punitiva della leva
  obbligatoria e della sua incapacità di farla vivere secondo i
  valori fondanti della nostra Costituzione.  L'ostinata
  separazione tra mondo militare e mondo civile non è solo
  dovuta ad una supposta e sbagliata indipendenza del primo dal
  secondo ma anche dall'incapacità di adeguare i valori delle
  Forze armate al comune sentire della società nel suo
  complesso.
     Di fronte a questa innegabile difficoltà la scappatoia di
  occultare il problema passando a Forze armate di
  professionisti, pronti ad "uccidere e morire" come ebbe a dire
  alcuni anni fa il generale Canino, è al contempo pericolosa e
  sbagliata.  Si vuole impedire alla società di rompere la
  separatezza tra mondo militare e civile attraverso il perverso
  strumento della delega a poche persone di una funzione
  delicatissima espropriando i cittadini non solo di un dovere,
  ma anche di un diritto democratico.
     Sempre più sovente l'invasione di campo avviene
  all'opposto: è il mondo militare, proprio perché separato dal
  resto della società, a cercare d'invadere spazi propri del
  mondo civile.  Si pensi all'impiego delle Forze armate in
  funzione di ordine pubblico (proprio quando si tagliano gli
  ausiliari di leva nei Carabinieri e nella Polizia di Stato),
  alla distribuzione di aiuti umanitari, alla costruzione di
  scuole ed ospedali nei Paesi bisognosi.
     Con la presente proposta di legge pensiamo che non siano
  percorribili scorciatoie di Forze armate mercenarie ma che sia
  necessaria l'assunzione da parte della collettività del
  problema difesa.  Per questo vediamo nel sistema difesa del
  futuro una riduzione del peso numerico delle Forze armate
  (anche se con una riqualificazione delle funzioni) ed una
  maggiore presenza della componente civile.
 
                               Pag. 4
 
     Per questo proponiamo di passare dai 296.269 militari
  attuali tra Aeronautica, Marina ed Esercito, a 180 mila unità
  delle Forze armate di cui per metà professionisti (ufficiali,
  sottufficiali e volontari in servizio permanente) e per metà
  militari di leva.  La componente di leva (che attualmente è
  circa il 60 per cento delle tre armi) passerebbe dagli attuali
  170 mila soldati a 90 mila, includendo i militari a ferma
  prolungata.  Questa riduzione del contingente di leva
  consentirà la riduzione del periodo di ferma nei prossimi anni
  fino ad otto mesi, mentre il personale professionistico
  eccedente dovrebbe essere dislocato sia nel costituendo Corpo
  della protezione civile (smilitarizzato) sia nelle altre
  amministrazioni dello Stato, sia messo a riposo con una
  politica oculata di prepensionamenti.  Tutte le mansioni non
  militari che oggi vedono invece impiegato personale militare
  (cucine, pulizie, gestione spacci, amministrazione, eccetera)
  dovrebbero passare ai civili.
     Il cittadino davanti alla leva obbligatoria troverebbe a
  dover scegliere tra quattro possibilità:
         a)  fare il servizio militare di leva normale o a
  ferma prolungata;
         b)  richiedere di fare parte del contingente di
  leva impegnato nella protezione civile;
         c)  fare l'ausiliare nei Corpi di polizia e nella
  Guardia di finanza;
         d)  dichiararsi obiettore di coscienza ed entrare a
  fare parte della difesa popolare nonviolenta (DPN).
     L'articolo 9 della presente proposta di legge istituisce
  il Dipartimento della difesa popolare nonviolenta con il
  compito di coordinare, pianificare ed organizzare le forme non
  militari di difesa dell'unità della Repubblica, della
  sovranità, dell'indipendenza e dell'integrità dello Stato, del
  libero esercizio dei poteri costituzionali, della protezione
  della vita e dell'incolumità dei cittadini.  La DPN è la
  concretizzazione dei valori che fondano l'obiezione di
  coscienza, la consapevolezza che si può agire nei luoghi del
  conflitto (anche in forma preventiva) senza ricorrere alla
  violenza delle armi.  La sua istituzione darebbe valore alla
  scelta di obiezione in piena sintonia con la sentenza della
  Corte costituzionale già citata, evitando che gli obiettori si
  trasformino - come tristemente sta avvenendo - in massa di
  mano d'opera sostitutiva a basso costo della forza lavoro.  La
  DPN è una risposta anche ai tanti obiettori che si sono recati
  all'estero in luoghi di guerra per ricostruire ponti di
  dialogo e di pace.  Con l'istituzione del Dipartimento e della
  Scuola di formazione alla DPN lo Stato assume questa forma di
  difesa come legittima e propria ed inserisce i quadri
  dirigenti della stessa nel dispositivo difensivo della
  Nazione.
     Di grande rilievo sono inoltre le disposizioni inerenti a
  superare, nella forma possibile, la concezione di esercito "da
  caserma" con l'obbligo fatto ai comandi di mettere in permesso
  e/o in licenza il personale non impegnato in servizio,
  l'istituzione di un telefono verde e di un difensore civico
  per i militari di leva.
     Si prevede, inoltre, l'accesso delle donne nei Corpi di
  polizia militare (Carabinieri, Guardia di finanza e
  Capitaneria di porto) oltre che nella protezione civile e nel
  corpo della DPN.  Una scelta, questa, per rispondere
  all'ipocrisia portata avanti da chi propone le donne soldato.
  Del tutto strumentale è infatti il discorso sulla democrazia e
  sulla parità sviluppato riguardo all'introduzione del servizio
  militare per le donne.  Esso è funzionale al tentativo di
  accreditare una immagine dell'esercito più moderna e
  all'altezza dei tempi, più accattivante sia rispetto
  all'opinione pubblica, senza il cui consenso risultano
  impraticabili le missioni militari all'estero, sia rispetto ai
  potenziali volontari.  La presenza delle donne nelle Forze
  armate può contribuire ad occultare le reali finalità del NMD
  e ad avallare propagandisticamente presso l'opinione pubblica
  la pretesa delle Forze armate di porsi come tutrici della pace
  e dei diritti umani violati.  Destinatari della campagna
  pubblicitaria a cui il servizio volontario femminile è
  funzionale sono probabilmente anche giovani che le Forze
 
                               Pag. 5
 
  armate aspirano ad arruolare come professionisti nelle loro
  fila.  Forse è il tentativo di rassicurare questi ultimi
  proponendo loro un esercito che per composizione è meno
  difforme dall'ambiente sociale esterno.  Forse è il tentativo
  di suscitare nei giovani maschi una sorta di orgoglio di
  genere che li sproni a porsi in competizione con le donne
  nell'esercizio di quel ruolo che tradizionalmente solletica in
  misura maggiore certi istinti virilisti, la professione
  bellica.  Ed è questa probabilmente la funzione principale
  dell'accesso delle donne all'esercito: il tentativo di
  presentare quella del soldato come una professione qualsiasi.
  E tutto allora si concatena logicamente: infatti se il
  militare è solo un lavoro ne consegue che, per pari
  opportunità, anche le donne debbano averne diritto; ovvero
  viene loro concesso questo diritto per dimostrare che il
  militare è solo un lavoro.  Ancora una volta, la parità che
  viene riconosciuta alle donne è quella di fare come gli
  uomini.  Noi pensiamo che si debba cominciare invece da quei
  Corpi che per loro natura - compiti di polizia - agiscono tra
  la società civile contribuendone a demilitarizzare gli
  stessi.
     In sintesi dunque la presente proposta di legge:
       1) riduce il numero degli appartenenti alle Forze armate
  (Aeronautica, Marina ed Esercito) dalle attuali 300 mila unità
  a 180 mila militari, dei quali per metà professionisti
  (ufficiali, sottufficiali, volontari in servizio permanente) e
  per l'altra metà di leva.  Si ottiene:
           a)  il rispetto dell'articolo 52 della
  Costituzione, relativo al carattere popolare della difesa (al
  contrario di quanto asserito dai fautori dell'esercito
  professionale, la cancellazione della leva non può avvenire
  per legge ordinaria ma deve essere modificata la
  Costituzione);
           b)  la riduzione ad otto mesi della ferma
  (arrivando a sei mesi entro tre anni);
           c)  Forze armate snelle ed efficienti, con un
  forte risparmio sulle strutture e sugli uomini, limitando il
  ricorso agli incentivi (posti riservati nella pubblica
  amministrazione per i volontari) che avrebbero fatto lievitare
  tantissimo i costi e militarizzato il pubblico impiego;
           d)  di rendere più umana la leva, prevedendo un
  orario massimo di servizio (40 ore settimanali), la libertà
  nelle giornate di sabato e domenica (limitabili solo per
  ragioni di servizio), un innalzamento proporzionale alla
  distanza da casa della paga per i militari di leva verso i
  quali non è possibile soddisfare l'esigenza di effettuare la
  ferma in caserme distanti al massimo 100 chilometri dalla
  residenza; un accesso facilitato alle licenze (non più
  concessione ma diritto); l'istituzione di un difensore civico
  e di un numero verde per combattere il nonnismo ed eventuali
  soprusi dei superiori nei confronti della truppa;
           e)  di affidare a personale civile gli incarichi
  burocratici, amministrativi e logistici non di specifico
  interesse militare (non più militari di leva usati come
  sguatteri nei circoli ufficiali);
       2) istituisce una leva della protezione civile, con un
  proprio Ministero e strutture territoriali (in rapporto con le
  regioni e gli enti locali e potenziando i vigili del fuoco) in
  grado di impegnare i giovani nella prevenzione dei cataclismi
  naturali o derivanti da responsabilità umana, lottando contro
  gli incendi boschivi, le alluvioni, i terremoti e valorizzando
  il volontariato civile.
     Si riconvertono risorse umane e finanziarie dal settore
  militare al settore civile, impiegando nella nuova struttura
  della protezione civile il personale militare (smilitarizzato)
  proveniente dalla riduzione degli organici delle Forze armate
  nonché le risorse liberate dalla contrazione delle spese
  militari;
       3) istituisce la difesa popolare nonviolenta, con una
  propria scuola di formazione ed un Dipartimento che si avvale
  di personale permanente e dei giovani che hanno scelto
  l'obiezione di coscienza.  Si valorizzano, concretizzandoli, i
  valori dell'obiezione di coscienza (ripudio della guerra e
 
                               Pag. 6
 
  della violenza delle armi) con un servizio che abbia pari
  dignità con quello militare e serva alla difesa della Nazione
  e degli interessi di pace del nostro Paese, evitando l'uso
  improprio degli obiettori come manodopera sostitutiva a scarso
  costo da parte di enti pubblici e privati;
       4) istituisce regole certe e democratiche per l'impiego
  dei militari e degli obiettori di coscienza all'estero,
  evitando che importanti missioni possano attuarsi senza il
  voto ed il controllo del Parlamento.  Si istituisce un Comitato
  parlamentare di controllo e di indirizzo che vigilerà per
  tutta la durata delle missioni;
       5) mette a disposizione del Segretariato generale
  dell'ONU un contingente permanente di militari (caschi blu) ed
  uno equivalente di obiettori di coscienza (caschi bianchi) per
  missione di interposizione, di ristabilimento della pace, di
  aiuto alle popolazioni colpite dalla guerra o da
  cataclismi.
 
DATA=990217 FASCID=DDL13-5699 TIPOSTA=DDL LEGISL=13 NCOMM= SEDE=PR NSTA=5699 TOTPAG=0018 TOTDOC=0024 NDOC=0002 TIPDOC=L DOCTIT=0000 COMM= FRL PAGINIZ=0001 RIGINIZ=011 PAGFIN=0006 RIGFIN=018 UPAG=NO PAGEIN=1 PAGEFIN=6 SORTRES= SORTDDL=569900 00 FASCIDC=13DDL5699 SORTNAV=0569900 000 00000 ZZDDLC5699 NDOC0002 TIPDOCL DOCTIT0002 NDOC0002



Ritorna al menu della banca dati