| Onorevoli Colleghi! - La legge 28 settembre 1998, n. 337,
nell'ambito dei princìpi cui informare la delega al Governo
per il riordino della disciplina relativa alla riscossione,
ha, tra l'altro, affidato alle esattorie il compito di
provvedere alla riscossione coattiva dei crediti vantati da
tutti gli enti pubblici, ivi compresi gli enti previdenziali
Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), Istituto
nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro
(INAIL), Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti
dell'amministrazione pubblica (INPDAP), eccetera.
E' opportuno ricordare che, nella fase precedente alla
data di entrata in vigore della novella, gli enti
previdenziali, per effetto del decreto-legge n. 338 del 1989,
convertito, con modificazioni, dalla legge n. 389 del 1989,
avevano la facoltà, ma non l'obbligo, di trasferire alle
esattorie i crediti contributivi, ai fini del loro recupero
coatto. Nel 1990 gli enti previdenziali - in particolare,
l'INPS - trasferirono alle esattorie crediti da recuperare per
migliaia di miliardi di lire, così avviando un'operazione che
si è rivelata assolutamente negativa per gli enti interessati
che, a tutt'oggi, poco o nulla hanno incassato di quei
crediti, dei quali spesso non si conosce neppure la sorte.
Proprio per tale ragione, l'INPS, dopo la ricordata
trasmissione all'ente concessionario avvenuta nel 1990, non ha
più assunto analoga iniziativa. Di converso, la scelta
dell'INPS di procedere direttamente al recupero dei crediti si
è dimostrata felice, nonostante abbia richiesto l'impiego di
enormi risorse umane e strumentali, reso necessario un
processo di potenziamento informatico e fatta sorgere
l'esigenza di assumere oltre 100 mila avvocati, assegnati in
prevalenza alle sedi del nord Italia, dove maggiori erano le
possibilità di recupero. Pur a fronte di tale situazione, il
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legislatore è intervenuto in materia con l'inopinata
statuizione contenuta nella legge n. 337 del 1998, e quindi
con il decreto legislativo n. 46 del 1999, le cui deleterie
conseguenze appaiono evidenti agli occhi di tutti. Si segnala,
in particolare, il probabile, notevole decremento dei crediti
recuperabili, vista l'esperienza del 1990. A tale riguardo, si
evidenzia che nel 1998 l'INPS ha recuperato circa 4.000
miliardi di lire, confermando il trend positivo degli
anni precedenti. L'INPS è quindi riuscito a dimostrare una
vitale e spiccata capacità nella gestione delle attività di
recupero dei crediti, a fronte della quale appare
inammissibile lo svuotamento di funzioni che non consentirebbe
all'Istituto di provvedere al recupero di crediti anche di
minimo valore. Da tale svuotamento, peraltro, deriverebbe un
grave colpo allo Stato sociale, per effetto della riduzione
delle risorse necessarie al suo mantenimento.
Un'ulteriore conseguenza dell'"esproprio" posto in essere
dalla nuova normativa ai danni degli istituti previdenziali è
legata ad una ingiustificata rigidità delle procedure di
recupero esattoriale, con il connesso accentuarsi delle
condizioni di difficoltà delle imprese, in particolare quelle
medio-piccole (artigiani e commercianti), che non godrebbero
più di quella sorta di "riguardo" da sempre riservato dagli
istituti stessi, in particolare dall'INPS, agli operatori del
mondo del lavoro, venendo incontro alle loro difficoltà.
Sulla base delle premesse esposte, la proposta di legge
prevede che, nei primi cinque anni a decorrere dalla data di
entrata in vigore della legge che si propone, in deroga a
quanto previsto dal decreto legislativo n. 46 del 1999, sia
attuato un sistema misto di recupero dei crediti
previdenziali, sia per non disperdere il patrimonio
professionale degli enti sia per consentire alle esattorie di
acquisire la necessaria esperienza che le stesse hanno
dimostrato di non possedere nel 1990.
Deve infatti essere sottolineato che il citato decreto
legislativo n. 46 del 1999 prevede che gli enti pubblici
diversi dallo Stato possono, quindi, non necessariamente
devono avvalersi del sistema esattoriale; non si comprende
pertanto la ragione per la quale il legislatore intenda di
fatto negare, con le disposizioni citate, questa facoltà.
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