| Onorevoli Colleghi! - Molte province o singoli comuni
del nostro Paese sono noti non soltanto a livello provinciale,
ma regionale e spesso nazionale per la qualità del loro pane.
Ciò malgrado l'esportazione e la vendita dello stesso al di
fuori della provincia di origine sono sovente vietate sulla
base di un'interpretazione restrittiva dell'articolo 2 della
legge n. 1002 del 1956, che disciplina la panificazione. A
sfavore di tale interpretazione restrittiva si sono già
espressi i tribunali amministrattivi regionali del Piemonte e
del Lazio, sostenendo nelle loro sentenze l'illegittimità del
divieto di apertura di un nuovo panificio se tale diniego è
determinato soltanto da mere considerazioni di opportunità
attinenti la località dell'impianto o la situazione
dell'intera provincia; oppure se è giustificato in base alla
potenzialità degli impianti, senza che venga tenuto conto
delle possibili variazioni future dei consumi. In questo senso
si è anche espressa la Corte costituzionale con la sentenza n.
63 del 1991, con la quale ha ritenuto illegittimo il citato
articolo 2 nella parte relativa alla densità dei panificatori,
al volume della produzione e al fabbisogno della popolazione,
in quanto la norma può essere interpretata sia nell'ottica
della distinzione della produzione alla sola località del
panificio, sia nella distinzione al di fuori di quel
territorio.
Al di là delle questioni interpretative tale normativa
appare insufficiente sia perché si attribuisce alla
commissione consultiva nominata dalla camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, la discrezionalità di
accertare l'opportunità di insediare nuovi panifici in base
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alla densità dei panifici e al volume della produzione nella
località dove dovrebbe essere installato il nuovo panificio,
sia perché non viene riconosciuto alcun ruolo al
consumatore-utente, sia perché si prescinde da consuetudini
locali o da particolari località produttive che per le loro
caratteristiche potrebbero ottenere la denominazione di
origine controllata (DOC) per i propri prodotti.
La circolare n. 161 del 18 luglio 1997, emanata dal
Ministero dell'industria, del commercio e dell'artigianato,
riferendosi alla citata sentenza della Corte costituzionale,
propone uno schema di riferimento che dovrebbe essere adottato
dalle camere di commercio, industria, artigianato e
agricoltura e che riconosce in parte un'interpretazione più
estensiva del citato articolo 2 della legge n. 1002 del 1956.
Ma la decisione rispetto all'opportunità e alla concessione
dell'autorizzazione al nuovo impianto restano pur sempre
subordinate alle valutazioni di una commissione consultiva
composta da due rappresentanti della camera di commercio,
industria, artigianato e agricoltura, da un panificatore e da
un operaio panettiere.
Considerato che la composizione della predetta commissione
consultiva porta quasi sicuramente a situazioni
protezionistiche delle posizioni in essere, che non si tiene
conto di realtà locali che hanno capacità di produzioni
qualitativamente interessanti e sopratutto che non si consente
una reale concorrenza nella panificazione, si propone di
sostituire l'articolo 2 della legge n. 1002 del 1956
apportando in primo luogo delle modifiche sia alla
composizione che al ruolo della commissione (comma 2). I commi
1 e 3 individuano poi criteri innovativi atti a valutare le
richieste di panifici di nuovo impianto. In particolare
nell'ambito dell'acquisizione da parte della camera di
commercio, industria, artigianato e agricoltura di tutti i
dati necessari per fissare ogni tre anni la quantità di
panificazione, si deve tenere conto sia della domanda a
livello provinciale che di quella rivolta ad altre province,
con particolare attenzione verso le località di produzione che
garantiscono livelli qualitativi e gustativi di pregio. Il
comma 4 indica nel sindaco l'autorità preposta al rilascio
dell'autorizzazione per l'esercizio di nuovi panifici.
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