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Onorevoli Colleghi! - Il provvedimento in esame è
diretto a predisporre degli strumenti rapidi di tutela della
persona in ordine al fenomeno della violenza nelle relazioni
familiari. Si tratta di un fenomeno estremamente grave, al
quale, oltre a non essere data l'opportuna pubblicità dalle
stesse vittime, rimanendo celato nelle mura domestiche,
l'ordinamento non offre una risposta adeguata. Le statistiche
più recenti dimostrano che il fenomeno non è più limitato alle
situazioni di degrado e disgregazione, ma è in aumento in
tutti i Paesi industrializzati, senza distinzione tra ceti e
classi sociali. Non si può non sottolineare, pertanto, il
valore del provvedimento in esame, il quale è diretto a
fornire strumenti di tutela in ordine a fenomeni drammatici,
che determinano un rilevante allarme sociale. E' tuttavia, in
primo luogo, necessario attivare una cultura adeguata ed una
attenzione costante sul problema degli abusi familiari, i
quali, come si è detto, solo in minima parte sono denunciati
dalle vittime, generando situazioni che si prolungano nel
tempo e che non possono più essere tollerate. E' assicurata la
rapidità dell'adozione delle misure previste a tutela delle
violenze familiari, in quanto nel campo degli abusi familiari
la tempestività della tutela appare una esigenza
imprescindibile.
Ambito di intervento normativo e rapporto con la
legislazione vigente. - Il provvedimento ha l'obiettivo di
colmare una lacuna normativa, in quanto attualmente sono
previste per tale fenomeno solamente misure estreme, quali la
separazione tra coniugi e la denuncia del reato di
maltrattamenti in famiglia o comunque di reati in danno alla
persona. Queste misure, che non sempre sembrano essere
adeguate alle esigenze delle vittime delle violenze, in quanto
determinano una interruzione traumatica del vincolo familiare.
In assenza di una adeguata tutela, la reazione della donna
maltrattata si è ridotta di fatto nell'abbandono della casa
familiare, che, pur liberandola dalla violenza, la penalizza
nuovamente. Il provvedimento in esame, invece, dà una risposta
all'esigenza di garantire misure giudiziarie rapide ed
efficaci, che portino all'allontanamento dalla casa familiare
dell'autore del comportamento violento. E' poi da rilevare che
in alcuni casi la privazione della libertà personale del
marito o convivente violento è spesso temuta dalla vittima,
specialmente quando l'autore dei maltrattamenti sia l'unica
fonte di reddito della famiglia.
Il testo, pertanto, prevede delle misure cautelari a
tutela della persona che non pregiudichino la possibilità di
un recupero delle stesse relazioni familiari. Appare, infatti,
evidente che tanto l'istituto civilistico della separazione
quanto la tutela penale della vittima sono strumenti che
impediscono il proseguimento del rapporto tra l'autore del
fatto violento e la vittima. Mentre in molti casi
l'interruzione del vincolo è l'unico rimedio valido per
salvaguardare la vittima, in altri casi - si tratta di quelli
meno gravi - potrebbe essere sufficiente una sospensione
temporanea del rapporto. Spetta naturalmente alla vittima
delle violenze, salvo che si tratti di reati perseguibili
d'ufficio, stabilire quando non è necessaria l'interruzione
del vincolo. L'obiettivo del testo è rendere possibile
l'adozione di una misura rapida, di carattere cautelare e
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provvisorio, da parte del giudice sia penale che civile. La
donna dunque potrà scegliere comunque di far valere una vera e
propria pretesa punitiva denunciando l'autore della violenza
in sede penale e sollecitando al pubblico ministero l'adozione
di una misura cautelare tipica. Tuttavia, se - come spesso
accade - il suo obiettivo è piuttosto quello di conseguire
un'utilità pratica, cioè l'allontanamento del marito o del
convivente, ed eventualmente il pagamento di un assegno, il
provvedimento in esame consente di ottenere le stesse utilità
anche con strumenti civilistici. La possibilità di configurare
una misura intermedia appare indispensabile per tutta una
serie di situazioni nelle quali la custodia in carcere appare
eccessivamente gravosa (per esempio perché la persona è
incensurata), e tuttavia si rileva l'urgenza di un intervento
di contenimento.
L'articolo 1 introduce l'istituto della misura cautelare
dell'allontanamento dalla casa familiare, che comunque non
esclude l'applicabilità delle altre misure cautelari vigenti.
La nuova misura cautelare è soggetta ai presupposti generali
di applicabilità delle misure cautelari di cui agli articoli
272-279 del codice di procedura penale - quali, in
particolare, l'esistenza di gravi indizi di colpevolezza e di
esigenze cautelari qualificate, il pericolo di reiterazione di
delitti della stessa specie, il criterio della proporzionalità
tra gravità del fatto e misura prescelta - nonché le
condizioni di applicabilità delle misure coercitive, per cui
la misura è applicabile ai procedimenti per delitti puniti con
pena superiore nel massimo a tre anni. Si è preferito non
prevedere una misura cautelare specifica per quei delitti
attraverso i quali si realizzano le condotte violente nelle
relazioni familiari, poiché si sarebbe trattato dell'unico
caso di una misura cautelare specifica. Il contenuto della
misura, comunque, rende questa di fatto idonea solo per i
delitti commessi nel contesto delle relazioni domestiche.
Considerati i presupposti e le condizioni di applicabilità, la
misura può essere disposta, oltre che per la violenza
sessuale, se commessa in famiglia, anche per i delitti di
maltrattamenti, di lesioni personali gravi e gravissime.
Restano escluse dal campo applicativo le lesioni lievi, se non
reiterate fino a configurare il delitto di maltrattamenti.
L'allontanamento dalla casa familiare, quale misura
intermedia da applicare quando la restrizione della libertà
appare eccessiva, è diretto pertanto a tutelare la persona
vittima dell'abuso senza interferire in maniera troppo pesante
sulle sue relazioni familiari, per cui non determina quegli
effetti pregiudizievoli causati dalle misure di tutela
attualmente previste dall'ordinamento.
Il contenuto della misura cautelare consiste nell'obbligo
di lasciare immediatamente la casa familiare o nel divieto di
farvi rientro se l'imputato si trova in stato di arresto o
comunque in luogo diverso dal domicilio domestico. A tale
obbligo si accompagna il divieto di accedere alla casa
familiare senza l'autorizzazione del giudice. Il rientro
temporaneo potrebbe infatti essere necessario allo scopo, per
esempio, di recuperare gli effetti personali, attrezzi o
strumentazioni necessarie allo svolgimento dell'attività di
lavoro o professionale. Le autorizzazioni periodiche
potrebbero essere finalizzate alla ricostruzione delle
relazioni familiari, con particolare riferimento ai figli,
quando nel corso del procedimento l'indagato abbia tenuto un
comportamento tale da far ritenere attenuate le esigenze
cautelari. In questo caso il giudice potrebbe disporre che le
visite siano regolate da particolari modalità, ad esempio la
presenza necessaria della madre o di altri familiari.
Con lo stesso provvedimento il giudice può prescrivere
all'imputato di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente
frequentati dalla persona offesa, tra cui vengono
espressamente indicati il luogo di lavoro e il domicilio della
famiglia d'origine o di prossimi congiunti. L'unica deroga a
tale divieto è costituita dalla necessità per l'imputato di
frequentare gli stessi luoghi per esigenze di lavoro.
Il giudice può anche ordinare il pagamento di un assegno
di mantenimento, eventualmente disponendo la trattenuta sullo
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stipendio e il versamento diretto da parte del datore di
lavoro. I beneficiari saranno gli aventi diritto al
mantenimento in via ordinaria, cioè il coniuge e i figli,
legittimi, adottati, o naturali riconosciuti, minorenni ovvero
maggiorenni non autosufficienti. In ogni caso i figli devono
convivere con il nucleo familiare.
L'articolo 2 modifica il codice civile. Nel libro primo,
che ha per oggetto le persone e la famiglia, è inserito il
titolo IX- bis, recante la disciplina degli ordini di
protezione contro gli abusi familiari. I presupposti di tali
ordini sono individuati dall'articolo 342- bis del codice
civile, mentre l'articolo 342- ter ne specifica il
contenuto. Le disposizioni processuali sono invece previste
all'articolo 3 del testo, che introduce nel codice di
procedura civile, dopo il capo V del Titolo II del Libro
quarto, il Capo V- bis sugli ordini di protezione contro
gli abusi familiari. La novità principale rispetto al testo
approvato dal Senato non è sostanziale, ma di ordine
sistematico, in quanto quel testo già prevedeva gli ordini di
protezione, senza tuttavia dare loro una disciplina
codicistica. Pertanto, si è inteso lanciare un preciso segnale
sulla portata della misura cautelare, al fine di farla
considerare non come un momento episodico, bensì come una
misura ordinaria fornita dall'ordinamento alle vittime di un
fatto tanto grave quanto la violenza familiare. Si tratta di
uno dei primi casi in cui il codice civile, che si ispira ad
un modello proprietario, prevede una misura cautelare a tutela
di beni attinenti alla persona.
Il presupposto dell'istituto, infatti, è il grave
pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà
determinato dalla condotta del coniuge o del convivente. Non è
pertanto necessaria la sussistenza del reato, accogliendosi
così le istanze di coloro che si sono occupati di tale
fenomeno, i quali hanno denunciato una serie di gravi e
persistenti situazioni di pregiudizio alla persona od alla sua
dignità nell'ambito familiare, che tuttavia non si traducono
in reati. Rispetto al testo approvato dal Senato, si è inoltre
specificato che non si deve trattare di reati perseguibili
d'ufficio. La Commissione - in quanto è stato rilevato che
l'attribuzione di tale strumento anche al giudice civile
significherebbe stravolgere il sistema, venendo assegnati a
tale giudice compiti che spettano naturalmente al giudice
penale, senza peraltro prevedere quelle garanzie proprie del
processo penale - ha preferito escludere il rimedio
civilistico per le ipotesi più gravi, quali sono quelle in cui
il fatto si concretizza in un reato perseguibile d'ufficio.
Il contenuto degli ordini di protezione contro gli abusi
familiari coincide in massima parte con quello delle misure
che possono essere adottate dal giudice penale, in quanto si
tratta di misure che incidono sulla libertà personale.
Tuttavia, la tutela in sede civilistica può essere - ed è
questo il pregio di questa forma di difesa - ancor più
tempestiva.
Si è confermata la scelta del Senato secondo cui l'istanza
può essere proposta solo se la vittima della violenza
domestica sia il coniuge, il convivente limitatamente ai casi
previsti, o, in base all'equiparazione contenuta nell'articolo
5, un altro familiare adulto. Nel caso in cui vittime della
violenza siano figli o figlie minori, in ragione della
rilevanza dell'interesse protetto, è opportuno affidare
comunque il vaglio al giudice penale. Invece, se vittima della
violenza è una persona adulta, quest'ultima avrà la
possibilità di scegliere in prima istanza una soluzione meno
traumatica, anche se più a rischio di inadempimento.
I presupposti, che legittimano l'adozione dell'ordine in
sede civile, sono stati individuati con riferimento al grave
pregiudizio all'integrità fisica o morale ovvero alla libertà
dell'altro coniuge o convivente. La gravità del pregiudizio è
determinata dalla gravità del singolo comportamento violento o
dalla sua reiterazione.
Con l'adozione dell'ordine di protezione, il giudice
ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta
pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone
l'allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del
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convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole
prescrivendogli altresì, ove occorra, alcune limitazioni, come
quelle di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati
dall'istante. Ai luoghi già previsti per la tutela penalistica
si aggiungono quelli del domicilio di altre persone, rispetto
a quelle della famiglia d'origine o altri prossimi congiunti,
ed i luoghi in prossimità a quelli di istruzione dei figli
della coppia. E' fatta salva l'ipotesi in cui i luoghi vietati
debbano essere frequentati dal soggetto destinatario
dell'inibizione per esigenze di lavoro.
Anche in questo caso all'ordine di allontanamento può
accompagnarsi la prescrizione del pagamento di un assegno di
mantenimento, con le stesse modalità previste in sede penale.
Il giudice può disporre, altresì, ove occorra, l'intervento
dei servizi sociali del territorio o di un centro di
mediazione familiare.
Con il medesimo decreto il giudice stabilisce la durata
dell'ordine di protezione, che decorre dal giorno
dell'avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere
superiore a sei mesi e può essere prorogata, su istanza di
parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo
strettamente necessario.
Per quanto attiene al profilo procedurale, disciplinato
dall'articolo 3, si tratta di un istituto simile alla
volontaria giurisdizione caratterizzato dalla rapidità di
adozione e temporaneità degli effetti e strutturato in maniera
tale da prevedere un immediato contraddittorio tra le parti,
salvo i casi di urgenza, ricorrendo i quali il giudice può
adottare immediatamente l'ordine di protezione.
L'istanza si propone, anche dalla parte personalmente e,
quindi senza la necessaria assistenza di un avvocato, con
ricorso al tribunale del luogo di residenza o di domicilio
dell'istante. Il tribunale, in composizione monocratica,
provvede in camera di consiglio.
Il giudice, sentite le parti, procede nel modo che ritiene
più opportuno agli atti di istruzione necessari, disponendo,
ove occorra, anche per mezzo della polizia tributaria,
indagini sui redditi e sul patrimonio personale e comune delle
parti. Il decreto, che deve essere motivato, è immediatamente
esecutivo. Nei casi di urgenza, il giudice, assunte ove
occorra sommarie informazioni, può adottare immediatamente
l'ordine di protezione.
Si tratta, come si vede, di una procedura particolarmente
agile e snella nella quale la rapidità d'intervento appare in
ogni caso determinante, attese le situazioni di base che
possono indurre alla sua attivazione.
Contro la decisione è ammesso reclamo al tribunale, in
composizione collegiale.
E' poi prevista una clausola di riserva, in base alla
quale si applicano al procedimento, in quanto compatibili, gli
articoli 737 e seguenti del codice di procedura civile.
L'articolo 4 modifica l'articolo 92, primo comma,
dell'ordinamento giudiziario, relativo alla trattazione degli
affari civili nel periodo feriale dei magistrati. Tale
articolo inserisce la materia dell'adozione di ordini di
protezione contro gli abusi familiari tra quelle da trattarsi
durante il periodo feriale predetto.
L'articolo 5 estende le norme previste dal provvedimento,
salva la clausola di compatibilità, ai casi in cui la condotta
pregiudizievole sia stata tenuta da altro componente del
nucleo familiare (introducendo nozione distinta da quella di
persone conviventi) diverso dal coniuge o dal convivente,
ovvero nei confronti di altro componente del nucleo familiare
diverso dal coniuge o dal convivente. In tal caso l'istanza è
proposta dal componente del nucleo familiare in danno del
quale è tenuta la condotta pregiudizievole.
L'articolo 6 è diretto a rendere concretamente operativo
di taluni contenuti l'ordine di protezione, prevedendo
l'incriminazione dei comportamenti assunti in sua violazione.
La disposizione, con una norma di chiusura, punisce comunque
qualsiasi violazione di provvedimenti di eguale contenuto
assunti nel procedimento di separazione personale dei coniugi
o nel procedimento di scioglimento o di cessazione degli
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effetti civili del matrimonio. Tali violazioni sono punite con
la pena stabilita dall'articolo 388, primo e quarto comma, del
codice penale. Il richiamo di questo articolo del codice
penale sottopone gli ordini di protezione alla stessa tutela
penale prevista in caso di mancata esecuzione dei
provvedimenti del giudice. In particolare, il primo comma
dell'articolo 388 punisce con la reclusione fino a tre anni o
con la multa da lire duecentomila a due milioni chiunque, per
sottrarsi all'adempimento di obblighi civili nascenti da una
sentenza di condanna, o dei quali è in corso l'accertamento
presso l'autorità giudiziaria, compie, sui propri beni e sugli
altrui beni, atti simulati o fraudolenti, o commette allo
stesso scopo altri fatti fraudolenti, qualora non ottemperi
all'ingiunzione di eseguire la sentenza. Il quarto comma del
medesimo articolo 388 dispone che si applicano la reclusione
da due mesi a due anni se il fatto è commesso dal proprietario
su una cosa affidata alla sua custodia e la reclusione da
quattro mesi a tre anni e la multa da lire centomila a un
milione se il fatto è commesso dal custode al solo scopo di
favorire il proprietario della cosa.
In entrambe le ipotesi l'elemento soggettivo si struttura
quindi secondo il modello del dolo specifico, in quanto è
richiesto il perseguimento di un particolare fine. La
consumazione del reato, invece, afferisce a momenti distinti
nelle due ipotesi in esame, in quanto nel primo comma esso
coincide con quello dell'inottemperanza all'ingiunzione,
mentre nel quarto comma la consumazione si realizza quando sia
compiuto il danneggiamento o la sottrazione.
L'articolo 7, che reca disposizioni fiscali, esenta
dall'imposta di bollo e da ogni altra tassa e imposta, dai
diritti di notifica, di cancelleria e di copia nonché
dall'obbligo della richiesta di registrazione tutti gli atti,
i documenti e i provvedimenti relativi all'azione civile
contro la violenza nelle relazioni familiari, nonché i
procedimenti, anche esecutivi e cautelari, diretti a ottenere
la corresponsione dell'assegno di mantenimento di cui al
citato comma 3 dell'articolo 282- bis del codice di
procedura penale e dal secondo comma dell'articolo
342- ter del codice di procedura civile provvedimento
(introdotti, rispettivamente, dagli articoli 1 e 2 del disegno
di legge in esame). La Commissione ha confermato, pertanto, la
scelta operata dal Senato di rendere effettivamente
accessibili gli istituti introdotti dal provvedimento,
abbattendone i costi. Si è tuttavia ritenuto opportuno
rinviare all'articolo 9 della legge 23 dicembre 1999, n. 488
(Legge finanziaria 2000), che istituisce il contributo
unificato per le spese degli atti giudiziari in luogo delle
spese giudiziarie previste dalla normativa vigente. E' stato
richiamato, in particolare, il comma 8 di tale articolo,
secondo il quale non sono soggetti al contributo unificato i
procedimenti già esenti, senza limiti di competenza o di
valore, dall'imposta di bollo, di registro, e da ogni spesa,
tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, in quanto gli
strumenti introdotti dal provvedimento in esame rientrano
nell'ambito del diritto di famiglia, il quale è già esente da
spese giudiziarie. La Commissione non ha ritenuto di dar
seguito al parere della Commissione Bilancio nella parte in
cui si specifica che la norma è priva di specifica clausola di
copertura finanziaria, trattandosi di disposizione che
determina minori entrate. Secondo la Commissione Bilancio,
infatti, nel caso di specie si tratterebbe di procedimenti di
nuova introduzione, che, non determinando attualmente gettito
alcuno per l'erario, dovrebbero essere dotati di apposita e
specifica clausola di copertura.
L'articolo 8 definisce l'ambito di applicazione delle
norme di cui agli articoli 2 (ordini di protezione) e 3
(disposizioni processuali).
E' previsto che tali articoli non si applicano quando la
condotta pregiudizievole è tenuta dal coniuge che ha proposto
o nei confronti del quale è stata proposta domanda di
separazione personale ovvero di scioglimento o di cessazione
degli effetti civili del matrimonio se nel relativo
procedimento si è svolta l'udienza di comparizione dei
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coniugi. In tal caso si applicano le disposizioni previste in
via ordinaria per i procedimenti di separazione e divorzio.
Tale previsione si giustifica in base al principio
dell'attrazione processuale e dell'economia dei relativi
mezzi, salvo restando l'opportunità di ricorrere agli istituti
come sopra introdotti dagli articoli 2 e 3 anche nel corso dei
procedimenti di separazione e divorzio.
Ai sensi del comma 2 dell'articolo 8, inoltre, l'ordine di
protezione perde efficacia qualora sia successivamente
pronunciata, nel procedimento di separazione o divorzio
promosso dal coniuge istante o nei suoi confronti, l'ordinanza
con la quale il giudice, dopo l'inutile esperimento del
tentativo di conciliazione, dà i provvedimenti temporanei ed
urgenti.
Marcella LUCIDI, Relatore.
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