| Onorevoli Colleghi! - Sappiamo che le leggi hanno
l'unico compito di organizzare i bisogni di un vivere
complesso, la società, garantendo/permettendo doveri e diritti
comuni, ovvero le libertà dei singoli cittadini, limitando e
sanzionando coloro i quali possono mettere in discussione
queste libertà, diritti e doveri all'interno delle comunità.
Tuttavia, è da evidenziare che, in generale, l'esame di un
testo di legge d'iniziativa parlamentare o del Governo
prescinde talvolta da un'analisi delle conseguenze pratiche
che le singole disposizioni sviluppano nella relazione
imprenscindibile di causa-effetto, ovvero di impatto sociale.
Conseguentemente, le leggi divengono unicamente lo strumento
indispensabile per realizzare un progetto, una propria idea, o
idee condivise da altri soggetti, a prescindere da una
valutazione dei benefìci o dei danni sociali che queste future
leggi provocheranno.
Considerazioni e valutazioni sul testo di legge di
disciplina dell'immigrazione, la legge n. 40 del 1998,
assorbita dal testo unico emanato con decreto legislativo n.
286 del 1998, comportano inevitabilmente un superamento della
valutazione meramente oggettiva dei contenuti legislativi e
della loro efficacia applicativa per assestarsi in un campo
soggettivo, emozionale, in cui i fatti si piegano a
motivazioni o a scelte che li prescindono.
Il citato testo unico sull'immigrazione emanato con
decreto legislativo n. 286 del 1998 determina quattro
situazioni relative all'ingresso ed al soggiorno degli
stranieri appartenenti a Paesi non facenti parte dell'Unione
europea:
1) autorizzare cittadini stranieri a fare ingresso e a
soggiornare in Italia anche con la propria famiglia e con i
propri parenti sino al terzo grado per garantire il
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diritto all'unità familiare e al ricongiungimento familiare;
accordare ai cittadini stranieri, anche se disoccupati o in
cerca di lavoro, la possibilità di soggiorno in Italia
attraverso la garanzia di enti pubblici o privati, cittadini
italiani o stranieri, organizzazioni di volontariato;
2) sanzionare eventuali atteggiamenti di soggetti
pubblici o privati che possono essere considerati
discriminanti nei confronti degli immigrati. L'iniziativa può
essere avanzata dallo straniero, da associazioni, da
sindacati;
3) sanzionare, con numerosi limiti, chi entra o
soggiorna in Italia in maniera irregolare con provvedimenti in
generale di natura amministrativa;
4) non scoraggiare l'immigrazione illegale attraverso:
a) disposizioni che non riconoscono la stessa come
reato; b) la non attuazione di un'espulsione immediata
per lo straniero che è in Italia senza i documenti richiesti,
dando la possibilità discrezionale al giudice e al prefetto di
valutare l'opportunità di emetterla; c) l'impedimento
sempre e comunque di espellere i minorenni e i cittadini
stranieri in possesso di carta di soggiorno (ottenuta dopo
cinque anni di soggiorno in Italia), degli stranieri
conviventi con parenti sino al quarto grado, delle donne in
stato di gravidanza o nei sei mesi successivi alla nascita del
figlio/a; d) la possibilità data allo straniero intimato
di espulsione di provvedervi autonomamente entro quindici
giorni; e) il divieto da parte delle strutture sanitarie
di denunciare alle Forze dell'ordine uno straniero che vi ha
avuto accesso senza essere in regola con le norme sul
soggiorno; f) il lasciare soggiornare in Italia lo
straniero irregolare del quale non sia stato possibile
accertare il Paese di origine o di provenienza.
Da quanto sopra esposto risulta che, con riferimento al
numero 4), risulta violata la Convenzione di applicazione
dell'Accordo di Schengen, reso esecutivo con legge 30
settembre 1993, n. 388 (per la quale straniero è chi "non è
cittadino di uno Stato membro delle Comunità europee", come
recita l'articolo 1 della citata Convenzione) per quanto
concerne non tanto i controlli alle frontiere da parte degli
organi preposti (articolo 6 della Convenzione), ma il non
impegno italiano ad ostacolare con fermezza flussi immigratori
illegali con disposizioni di legge che realmente abbiano
questo intento. Se infatti la Convenzione (articolo 3, comma
2) dà mandato ad ogni Stato membro di determinare le sanzioni
per ingressi non autorizzati, la stessa al contempo stabilisce
che i requisiti dettagliatamente elencati per fare ingresso in
uno degli Stati membri devono essere rispettati (articolo 5,
comma 1). Infatti, qualora non sussistano le condizioni,
l'ingresso nel territorio delle Parti contraenti deve essere
rifiutato. Anche nel caso in cui uno Stato decida, per motivi
umanitari o di interesse nazionale o in virtù di obblighi
internazionali, di concedere l'ammissione (limitata al proprio
territorio) ad una persona, lo stesso deve provvedere ad
avvertire le altre Parti contraenti (articolo 5, comma 2).
Alla luce di tali disposizioni pattizie si può anche prevedere
un'esposizione dell'Italia a sanzioni per violazione degli
obblighi comunitari. Si ricorda in particolare che la legge 6
marzo 1998, n. 40, recante "Disciplina dell'immigrazione e
norme sulla condizione dello straniero", ha introdotto un
istituto giuridico nuovo, la carta di soggiorno (articolo 9
del testo unico emanato con decreto legislativo n. 286 del
1998), che stravolge implicitamente il diritto di cittadinanza
italiana consentendo agli stranieri di beneficiare di diritti
connessi alla cittadinanza italiana o a quella europea. In
aggiunta, si ricorda che ai sensi della legge 10 aprile 1981,
n. 158, con riferimento alla ratifica ed esecuzione della
Convenzione dell'Organizzazione internazionale del lavoro (n.
143) sulle migrazioni in condizioni abusive e sulla promozione
della parità di opportunità e trattamento dei lavoratori
migranti, l'articolo 3, al comma 1, dispone che: "Ogni Stato
membro deve adottare tutte le disposizioni necessarie ed
opportune, sia che siano di sua competenza, sia che richiedano
una collaborazione con altri Stati membri:
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a) per sopprimere migrazioni clandestine e
l'occupazione illegale di lavoratori migranti;";
b) si obbliga lo Stato ad accettare situazioni di
diffusa illegalità anche attraverso i ripetuti ricorsi ai
provvedimenti di sanatoria, in base ai quali chi si trova in
una situazione di irregolarità antecedente alla data di
entrata in vigore della legge beneficia di una
regolarizzazione;
c) le disposizioni legislative non possono essere
considerate nel loro insieme una vera difesa della dignità
dell'Uomo, ma nel loro complesso demagogiche: siamo di fronte
ad una legge che, nel tentativo di fare apparire l'Italia un
Paese progressista e aperto al mondo, offre in definitiva allo
straniero di soggiornare in Italia anche con l'arte
dell'arrangiarsi e, qualora la situazione relativa
all'immigrazione diventi più complessa, impone allo Stato e
agli enti locali di affrontare e risolvere le situazioni di
emergenza con provvedimenti meramente assistenziali che non
offrono soluzioni ma hanno effetti solamente dilatori.
La citata legge n. 158 del 1981 è stata inoltre emanata in
difetto di un approfondimento di due aspetti non
trascurabili:
1) una valutazione dell'impatto sociale della legge
stessa negli anni a venire, ovvero quali sono gli aspetti
positivi e negativi di una società multietnica in termini di
convivenza pacifica e di rispetto delle reciproche identità.
Viene da chiedersi se i cittadini siano favorevoli a che sia
data possibilità alle culture d'immigrazione di apportare
profondi sovvertimenti di natura sociale e culturale a quella
autoctona. Ricordiamo che anche l'UNESCO, pur propugnando il
valore di una società multiculturale, si oppone fortemente
alla perdita di identità delle singole culture e dei singoli
popoli. Ciò è tanto più vero se si considera che le
immigrazioni che investono l'Italia provengono da Paesi nei
quali la democrazia è in fieri, e la cui affermazione è
talvolta avversata da contrasti religiosi che tendono ad
imporsi sulla laicità dello Stato, con azioni anche violente e
radicali. La legge sull'immigrazione avrebbe quindi dovuto
essere preceduta da una attenta valutazione e da uno studio su
quello che il fenomeno "immigrazione" nei suoi aspetti deviati
ha sino ad ora provocato ed anche per i riflessi religiosi e
culturali che potrebbero prodursi in futuro. La questione
immigrazione dovrebbe quindi essere oggetto di una
consultazione referendaria e non di una decisione assunta con
voto favorevole espresso da una non schiacciante e momentanea
maggioranza parlamentare;
2) il fatto che risultino esservi molte migliaia di
stranieri che delinquono, sono recidivi nel delinquere, e che
possono soggiornare liberamente nel territorio dello Stato in
virtù di leggi elaborate dal Parlamento o dal Governo. La
questione "immigrazione" è stata invece dibattuta dal
Parlamento, essenzialmente sotto il profilo di ricchezza
culturale aggiunta, di manodopera, di soluzione alla bassa
natalità, e solo in maniera assolutamente marginale di
sicurezza interna del Paese.
L'immigrazione irregolare o regolare ma deviata ha
prodotto indubbiamente un aumento della criminalità, poiché a
quella endogena si è associata quella di "importazione".
Ricordiamo alcuni dati che si riferiscono a reati o
provvedimenti ascrivibili a cittadini stranieri:
1) Direzione centrale dei servizi antidroga (DCSA): le
persone straniere differite alle autorità giudiziarie per
reati connessi al possesso o allo spaccio di sostanze
stupefacenti sono state 9.271, delle quali 1.011 provenienti
dall'Albania, 910 dall'Algeria, 3.311 del Marocco e 1.649
dalla Tunisia;
2) Ministero dell'interno: gli stranieri denunciati sono
stati più di 82.000, gli arrestati 23.518 (nel 1996 erano
34.000), gli intimati di espulsione 48.965 - non è reso noto
il dato di coloro che effettivamente hanno abbandonato il
territorio nazionale -, i segnalati di espulsione 8.444, i
denunciati-indagati 56.457, i detenuti 10.941, i condannati
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più di 32.296, gli entrati dallo stato di libertà negli
Istituti di prevenzione e pena più di 25.393;
3) Ministero di grazia e giustizia: 11.884 detenuti, dei
quali 1.539 dall'Albania, 1.105 dall'Algeria, 281 dalla
Colombia, 182 dall'Egitto, 985 dall'ex-Jugoslavia, 3.083 dal
Marocco, 262 dalla Nigeria, 1.946 dalla Tunisia. Dal 1997 vi è
stata un'evoluzione in negativo della delittuosità degli
stranieri non comunitari.
Procedendo nella lettura della relazione del Ministero
dell'interno " Sulla situazione della criminalità nelle
singole Regioni " è evidente che la criminalità di origine
straniera si mostri ora competitiva con quella autoctona e si
stia radicando in tutta la penisola, ma in special modo nelle
aree più ricche del Paese, le regioni del nord Italia.
Ad una situazione che investe anche l'ambito della
sicurezza del cittadino, il Governo e parte del Parlamento,
venendo meno ad un loro impegno fondamentale di salvaguardia e
difesa degli interessi e delle esigenze della collettività,
hanno infatti utilizzato lo strumento legislativo per evitare
di varare norme efficienti per un vero controllo e una vera
repressione dei reati, ed in questo senso il Parlamento ed il
Governo devono ammettere che hanno favorito e favoriscono il
diffondersi di forme malavitose nel Paese e ostacolano il
lavoro di contrasto alla criminalità operato dalle Forze
dell'ordine.
Che sia necessaria da parte del Parlamento una revisione
della normativa sull'immigrazione, modificando al contempo il
codice di procedura penale affinché attività gravi contro la
comunità non siano illeciti amministrativi ma penali, è
desumibile dalle periodiche relazioni del Ministero
dell'interno e della Presidenza del Consiglio dei ministri al
Parlamento, che sottolineano la gravità della situazione; ad
esempio la 41^ Relazione sulla politica informativa e della
sicurezza, primo semestre 1988:
"Molteplici segnali evidenziano la propensione della
diffusa criminalità presente in Puglia ad innalzare il livello
di aggressività (...) Proseguono intensi i contatti con
esponenti criminali dell'Albania e del Montenegro, soprattutto
per la gestione dell'immigrazione clandestina e del traffico
di armi e droga. (...)
I vari sodalizi delinquenziali stranieri hanno
gradualmente assunto dimensioni e capacità organizzative tali
da potersi affrancare da pregresse sudditanze rispetto alle
consorterie endogene, sino a conquistare posizioni egemoniche
in talune realtà territoriali ed in alcuni settori criminali,
quali lo sfruttamento della prostituzione ed il traffico di
droghe leggere e sintetiche. I clan albanesi, di cui sono
stati più volte evidenziati la pericolosità ed il sistematico
coinvolgimento in ogni sorta di attività illegali, vanno
acquisendo piena autonomia anche in regioni come la Campania,
tradizionalmente connotate dalla presenza di una forte
criminalità organizzata autoctona. (...)
La malavita cinese (...) Secondo recenti evidenze,
elementi legati alle Triadi starebbero investendo nel
Meridione ingenti capitali, anche a fini di riciclaggio,
avviando fabbriche, laboratori ed imprese commerciali. I
gruppi delinquenziali nigeriani, forti dei vincoli di natura
etnico-tribale (...) si confermano particolarmente attivi nel
narcotraffico e nel lenocinio" (pagine 19-20).
Sul piano europeo, le parti contraenti l'Accordo di
Schengen, con nota formale del Comitato esecutivo dell'Accordo
con sede a Vienna, hanno chiesto all'Italia di intensificare
"i controlli alle frontiere esterne", di "raccogliere le
impronte digitali di ogni straniero che entra clandestinamente
nel territorio di Schengen (sovente, come è a tutti noto,
l'identità del clandestino non può essere appurata con
certezza per mancanza di documenti di identificazione o in
quanto fornisce generalità false) ed archiviare tali impronte
ai fini degli scambi di informazione con le autorità delle
altre Parti contraenti". Le Parti contraenti hanno infatti
ribadita la necessità di potere trattenere "i cittadini
stranieri che entrano illegalmente nel territorio di Schengen,
la cui identità è incerta, fino a che essa sarà stata
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chiaramente accertata o fino a che saranno state disposte ed
eseguite le misure richieste dalla polizia degli
stranieri".
Molte sono inoltre le città italiane che non riescono a
far fronte ad un' escalation di microcriminalità
originata da cittadini extracomunitari, talvolta capace anche
di crimini o di azioni criminose di particolare violenza ed
efferatezza. Le periodiche leggi di sanatoria o la mancanza di
volontà politica di combattere con fermezza i flussi migratori
clandestini e le azioni criminose compiute da moltissimi
cittadini extracomunitari, producono una diffusione e un
radicamento sul territorio nazionale di nuovi soggetti
criminali, e qualora questi siano in possesso di un regolare
permesso di soggiorno, di una diffusione della criminalità
anche negli altri Paesi dell'Accordo.
Sul piano concreto, sono da registrare le cifre ufficiali
(fornite dai Ministeri dell'interno e del lavoro e della
previdenza sociale) che rivelano già alla fine del 1997 la
presenza di un milione e 200 mila stranieri regolarmente
soggiornanti, di cui 400 mila senza lavoro, in quanto iscritti
agli uffici del collocamento. Rientrano inoltre sempre più nel
quotidiano aumenti continui non solo degli sbarchi
clandestini, ma anche dell'impiego di manodopera irregolare,
del lenocinio e degli abusi sui minori.
Proponiamo quindi di abrogare tutte le disposizioni della
legge che assorbite dal testo unico emanato con decreto
legislativo n. 286 del 1998, contrastano con la possibilità di
garantire sicurezza alla collettività; che non permettono alle
Forze dell'ordine di operare in maniera efficiente nella lotta
alla criminalità; che non si basano su un rapporto di
reciprocità; che garantiscono privilegi garantiti
costituzionalmente a coloro che sono cittadini italiani o
europei; la cui applicazione in termini di erogazioni
rappresenta un danno alla collettività, che si accolla spese
per i cittadini clandestini, che aprono brecce, eccezioni e
deroghe alle espulsioni immediate di coloro che soggiornano
illegalmente sul nostro territorio; che permettono ai
cittadini stranieri di entrare nelle graduatorie per
l'edilizia residenziale pubblica; che impediscono alle
strutture ospedaliere di segnalare i cittadini stranieri
irregolarmente presenti sul territorio nazionale che giungono
nelle medesime strutture.
Una soluzione di carattere penale per scoraggiare e
reprimere attività illecite condotte da stranieri è stata
quindi, ribadiamo, nel complesso accuratamente evitata. Le
seguenti dichiarazioni rilasciate dal sottosegretario di Stato
onorevole Piero Fassino in occasione della sua audizione del
29 luglio 1997 richiesta dai componenti della III Commissione
affari esteri ed immigrazione della Camera dei deputati lo
dimostrano, rendendo superflue ulteriori considerazioni:
"(...) Il problema però è che la legge va applicata, e la
legge stabilisce che entro 30 giorni (facciamo tutto per
farlo) dobbiamo identificare una persona tenendola in un
centro di accoglienza ma, se non ci riusciamo entro questo
termine, purtroppo la persona diventa libera. (...) Non vi è
titolo per tenerla in prigione, perché non denunciare la
propria identità non è reato".
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