| Onorevoli Colleghi! - La nostra comunità nazionale,
sensibile alle grandi questioni della pace nella sicurezza, ha
maturato nella coscienza collettiva la consapevolezza della
necessità che l'Italia partecipi alle iniziative che l'ONU, la
NATO, l'Unione europea ed altre organizzazioni internazionali
intraprendono per assicurare il mantenimento della convivenza
tra i popoli.
Nello scenario geo-politico internazionale si manifestano
frequentamente contrapposizioni etniche, scontri per motivi
religiosi ed ideologici e per condizioni di indigenza
economico-sociale di talune popolazioni; non di rado fattori
di instabilità traggono origine dall'egemonia di alcuni Paesi
su altri. Basterà tenere presente, ad esempio, il sanguinoso
recente conflitto interetnico tra le popolazioni della vicina
ex Jugoslavia e le sommosse popolari in Albania, solo per
considerare alcune situazioni in aree di crisi geograficamente
a noi vicine; ma anche in Paesi più lontani quali il Libano,
il Sudan, il Kurdistan, il Mozambico, la Somalia, ed in altre
regioni, le situazioni di conflittualità hanno indotto l'ONU
ad intervenire più volte con il proposito di riportare la pace
o di mantenere le condizioni di stabilità minacciate dai
fattori cui si è fatto cenno. Ciò è avvenuto con interventi
militari multinazionali di " peace-keeping " e di
" peace e forcing ".
Sono state citate alcune delle aree geografiche e dei
Paesi in cui l'Italia ha inviato propri militari per
concorrere all'impiego di forze multinazionali, aderendo ad
esplicite richieste dell'ONU o dell'Unione europea, avanzate
in tale senso, ed a cui i nostri Governo ed il Parlamento
italiano hanno dato adesione per onorare concretamente la
nostra presenza nelle iniziative internazionali volte a
favorire la pace tra i popoli.
Ricordiamo la partecipazione della Forza militare italiana
in Libano dal 1982 al 1984, di nostri contingenti militari
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impiegati in Somalia dapprima negli anni 1950-1960, quale
Corpo di sicurezza, al termine del mandato fiduciario, e
successivamente nell'"operazione Somalia" negli anni dal 1992
al 1995 nel contesto della " Restore Hope " e delle
missioni " Uniso II " e " United Shield "; così come è
avvenuto in Mozambico dal 1992 al 1994, ove reparti militari
italiani hanno partecipato alla missione ONUMOZ ed in
Kurdistan nel contesto dell'operazione Airone avvenuta nel
1991.
Anche altri interventi sono avvenuti prima e dopo tali
periodi con operazioni denominate "GOLFO 2", "LOCUSTA",
eccetera, che hanno visto la presenza di personale delle
nostre Forze armate in Iraq e nell'operazione "SALAM" in
Pakistan dal 1989 al 1990.
Lungo sarebbe l'elenco completo delle missioni e delle
operazioni di pace cui hanno preso parte militari appartenenti
all'Esercito, alla Marina ed all'Aeronautica militare
italiani.
Ci limiteremo a citare solo alcuni altri Paesi siti in
diversi continenti di cui forse si è persa memoria anche
perché sono stati eventi che i nostri organi di informazione
hanno trascurato, e nei quali vi è stata la presenza dei
nostri militari: Albania, Angola, Cambogia, Cipro, Congo, el
Salvador, Guatemala, Yemen, Kuwait, eccetera.
Ma per concludere questa sommaria e parziale rassegna di
citazioni in cui i nostri soldati sono stati protagonisti ed
operatori di pace, ricordiamo quale esempio eclatante
dell'impegno a favore della convivenza tra popolazioni
diverse, gli ufficiali e i sottufficiali che, disarmati, con
indosso solo la tuta bianca ed il bracciale blu a 12 stelle
d'oro, simbolo dell'Unione europea, hanno operato dal 1991 al
1995 in varie zone della ex Jugoslavia in qualità di
"osservatori". Trattasi infatti di componenti della
" European Community Monitor Mission " (ECMM) che
vigilavano sulle fragili, momentanee tregue locali tra le
fazioni in lotta, ispezionavano i depositi di materiali ed
armamenti dei contendenti, guidavano le colonne di soccorso
umanitario, eccetera. Ad essi, come agli altri, nessun
riconoscimento concreto è stato concesso per la loro
silenziosa e meritoria opera, piena di rischi, così come era
loro richiesto.
Sono attività di intervento per la pace che, come è
avvenuto nel passato, saranno ragionevolmente, altrettanto
necessarie anche nel futuro.
E' questo anche il proposito dell'Unione europea a cui
apparteniamo: assicurare la pace e la sicurezza nelle varie
aree geografiche, almeno in quelle a noi più vicine, senza le
quali anche lo sviluppo economico e sociale delle nazioni
aderenti all'Unione risulterebbe minacciato.
E' questo il senso della costituzione del Comando EUROFOR,
forza militare integrata europea di intervento rapido
costituita da uno stato maggiore multinazionale con una
riserva di forze "su chiamata". Vi hanno aderito l'Italia, la
Francia, la Spagna ed il Portogallo al fine di assolvere a
missioni umanitarie, di mantenimento della pace od anche, se
necessario, di imposizione della pace nel quadro della
gestione delle crisi.
L'ampia casistica di impieghi di militari delle nostre
Forze armate in varie "zone di intervento", tutti
riconducibili al medesimo fine di salvaguardia della pace e
della sicurezza, ha indotto il Ministero della difesa a
raggruppare le varie missioni e le molteplici utilizzazioni di
contingenti militari italiani all'estero in una unica
determinazione ministeriale finalizzata alla concessione per
essi dei benefìci combattentistici (la n. 111/00609/1208 del
15 marzo 1996 del Capo di stato maggiore della difesa,
richiamata dalla circolare n. 00/2/2685 del 28 maggio 1996 il
cui oggetto è l'"estensione al personale militare in servizio
per conto dell'ONU in zone di intervento dei benefìci
combattentistici"). In essa si sono fatti ricadere sia i casi
di impiego avvenuti sotto l'egida dell'ONU, come recita il
titolo della determinazione, sia altri, come è il caso della
missione ECMM nella ex Jugoslavia, già ricordata, realizzata
per volere dell'Unione europea in modo indipendente
dall'ONU.
Ciò comporta, in questo secondo caso, sul piano pratico,
che agli interessati non sia possibile attribuire una corretta
variazione matricolare che faccia esplicito riferimento
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all'impiego avvenuto in zone di intervento nella ex Jugoslavia
per conto dell'Unione europea, in quanto il titolo della
determinazione adottata fa riferimento solo ad interventi
ONU.
Occorre quindi porre ordine nella materia in esame con una
norma che non sia vincolata all'unico caso previsto di impiego
all'estero per conto dell'ONU, perché la casistica, come
ricordato prima, è certamente più ampia e in virtù di una
politica unitaria europea lo sarà ancor più in futuro.
E' necessaria quindi una formulazione di legge che sia di
portata generale, quale quella che viene proposta con la
presente proposta di legge all'approvazione del Parlamento,
tale da sanare le incongruenze illustrate.
Inoltre occorre dare sostanza alla concessione dei
benefìci combattentistici, richiamati dalla citata
determinazione ministeriale, mediante l'aumento, ai soli fini
pensionistici, di due terzi del tempo trascorso nelle "zone di
intervento" definite dalla competenti autorità ministeriali.
Ciò, è bene sottolinearlo, non comporta aggravio di spesa di
bilancio, non essendovi esborsi immediati, anzi chi ha titolo
al beneficio e convenienza a richiederlo deve versare in
proprio, all'Istituto nazionale di previdenza per i dipendenti
dell'amministazione pubblica (INPDAP) somme di danaro in
misura proporzionale al tempo riscattabile.
E' opportuno evidenziare che analoghi benefìci vengano già
corrisposti al personale dell'Amministrazione degli affari
esteri che presta servizio in "sedi disagiate" e
"particolarmente disagiate" con aumento, ai fini
pensionistici, di metà e di due terzi rispettivamente dei
periodi trascorsi in tali sedi, e che il provvedimento è stato
esteso in questi casi anche ai dipendenti militari dello Stato
che prestano analoghi servizi nelle sedi disagiate, così come
prevede l'articolo 20 del testo unico approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 29 dicembre 1973, n. 1092.
Altresì gli stessi benefìci sono goduti da chi ha
partecipato ad attività di "cooperazione tecnica con i Paesi
in via di sviluppo" in ottemperanza all'articolo 20, secondo
comma, della legge 15 dicembre 1971, n. 1222.
Con questi riferimenti a benefìci già da tempo concessi ad
altre categorie di pubblici dipendenti, non si intende porre a
raffronto tra loro impegni che sono diversi per natura, durata
e portata per coloro che già ne godono, con quelli per i quali
se ne chiede l'estensione; si pone solo in evidenza che il
provvedimento proposto a favore dei militari destinati ad
operare momentaneamente in "zone di intervento" ha
significative analogie con altri casi già positivamente
ridotti in precedenza e che esso si colloca, pertanto, in
linea con quanto il legislatore ha già riconosciuto valido e
che ha già conferito.
Concedere modesti benefìci ai militari, che peraltro se ne
accollano gli oneri economici mediante riscatto, è un giusto
atto di riconoscimento ad essi che, privi di rappresentanze
sindacali, non possono avere che giuste considerazioni in
ambito politico.
Ricordiamoci, onorevoli Colleghi, che i militari, a
richiesta delle autorità, pongono a repentaglio la propria
vita con prontezza operativa, lontano dalla Patria, in nome di
una solidarietà che trova la motivazione più nobile nella
difesa del bene prezioso della pace a cui tutti siamo
interessati.
Pertanto si chiede agli onorevoli Colleghi di accogliere
positivamente la presente proposta di legge.
Ci pare, questa misura, nei drammatici frangenti della
guerra dei Balcani, la migliore riprova dell'attenzione e
della vocazione per la pace che il popolo italiano esprime,
tramite l'opera civile e meritoria dei propri volontari e dei
militari, mirabilmente operosi nei campi di raccolta dei
rifugiati dal Kosovo.
Se proprio in queste ore, il Presidente degli Stati Uniti
Clinton ha promesso ai propri militari un piano di organiche
iniziative di detassazione a riconoscimento dei loro meriti
verso la Nazione, crediamo che la proposta di legge sia
urgente e doverosa come riconoscimento verso i nostri militari
impegnati "in prima linea" per la pace.
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