| Onorevoli Colleghi! - La Costituzione precisa,
all'articolo 48, che i requisiti per poter esercitare il
diritto di voto sono la cittadinanza e la maggiore età.
Conseguentemente, gli italiani maggiorenni che vivono
stabilmente all'estero, e che non incorrano in une delle
disposizioni contenute nell'articolo 2 del testo unico delle
leggi per la disciplina dell'elettorato attivo e per la tutela
e la revisione delle liste elettorali, approvato con decreto
del Presidente della Repubblica 20 marzo 1967, n. 223, sono
titolari del diritto di elettorato attivo.
Come è noto, non vi è alcuna normativa che preveda la
possibilità per gli italiani di votare all'estero o di
esprimere il voto per corrispondenza; possono votare solamente
nel comune italiano di residenza.
Si ricorda inoltre che gli elettori di cui rimane traccia
nel comune italiano sono scritti d'ufficio nelle liste
elettorali del comune in base ai dati dell'anagrafe della
popolazione residente; al contempo gli italiani all'estero
possono richiedere in qualunque momento di essere iscritti
nelle liste elettorali del comune di nascita.
Per quanto riguarda l'iscrizione alle liste elettorali dei
cittadini italiani che vivono all'estero per un periodo
superiore ai dodici mesi, le modalità sono previste dalla
legge 27 ottobre 1988, n. 470, recante anagrafe e censimento
degli italiani all'estero, e dal suo regolamento di
attuazione, approvato con decreto del Presidente della
Repubblica 6 settembre 1989, n. 323.
La tradizione parlamentare occidentale riconosce, quale
principio generale, la rappresentanza parlamentare come
rappresentanza totalitaria della cittadinanza.
Nel corso dell'attuale e della precedente legislatura la
questione del voto degli italiani all'estero è stata
affrontata sotto il profilo costituzionale anziché di legge
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ordinaria, ovvero di rappresentanza dedicata, che introduce un
principio innovativo di non trascurabile portata e apre nuove
problematiche.
L'istituzione, infatti, con legge costituzionale, di una
"circoscrizione estero" affinché i residenti all'estero
possano eleggere i propri parlamentari determinerebbe una
irrimediabile rottura del principio generale, creando il
precedente per il quale qualsiasi categoria di cittadini
potrebbe richiedere di essere rappresentata.
La legge fondamentale sulla cittadinanza (legge 13 giugno
1912, n. 555, abrogata dall'articolo 26 della legge 5 febbraio
1992, n. 91) attribuiva automaticamente alla donna straniera
che sposava un cittadino italiano sia la cittadinanza italiana
che la possibilità di mantenere la cittadinanza originaria. In
tale modo un numero cospicuo di soggetti sono diventati
automaticamente cittadine italiane.
Con la legge 21 aprile 1983, n. 123, recante disposizioni
in materia di cittadinanza, abrogata dall'articolo 26 della
legge 5 febbraio 1992, n. 91, veniva mantenuto il principio di
acquisizione della cittadinanza, e lo si estendeva
all'uomo.
Questi sono gruppi consistenti di persone per le quali la
cittadinanza italiana è solamente una seconda cittadinanza,
generalmente priva di vincoli culturali profondi con il nostro
Paese, legami che, evidentemente, possono difficilmente
sorgere sulla base di un contratto matrimoniale.
Ricordiamo, inoltre, che la legge n. 123 del 1983
sopprimeva l'automaticità del procedimento di acquisizione
della cittadinanza, disponendo che vi fosse l'esplicita
richiesta del soggetto, disposizione rimasta invariata anche
dopo l'introduzione della legge 5 febbraio 1992, n. 91,
recante nuove norme sulla cittadinanza (vedi articolo 7). La
cittadinanza italiana si acquisisce ora con decreto del
Ministro dell'interno, su istanza dell'interessato presentata
al sindaco del comune italiano di residenza, ovvero al
prefetto competente per territorio, ovvero alla competente
autorità consolare.
Il diritto al voto per gli italiani all'estero si rivolge
innanzitutto agli italiani iscritti all'Anagrafe dei cittadini
italiani residenti all'estero (AIRE), con l'obiettivo di
allargare quanto più possibile il numero dei propri iscritti,
includendovi non solamente quanti sono provvisoriamente
all'estero, ad esempio per ragioni connesse all'attività
lavorativa, ma anche gli "italiani" di terza età o quarta
generazione.
Si pone ora la questione se gli italiani permanentemente
all'estero, ed i loro discendenti, siano da considerare un
interessante prolungamento internazionale dello Stato in
termini socio-economici e politici o cittadini ormai a tutti
gli effetti di altri Stati, anche se possono nutrire
sentimenti di simpatia e di affetto per l'Italia. Ovvero è da
chiedersi se la cittadinanza sia solamente un atto giuridico e
burocratico o debba anche indicare appartenenza e fedeltà ad
una comunità, e quindi se sia possibile esercitare il diritto
di voto quando si è anche cittadini di un altro o più
Stati.
L'orientamento più volte espresso nei progetti di legge di
iniziativa parlamentare per estendere il voto a cittadini
residenti all'estero è in contrasto con quello dell'Unione
europea tendente a collegare il diritto di voto alla residenza
effettiva su un territorio dell'Unione europea.
Un altro punto da affrontare è se la cittadinanza (che può
essere anche di fatto accidentale, per nascita casuale in
Italia da genitori stranieri temporaneamente presenti in
Italia per i motivi più diversi) possa ragionevolmente essere
tenuta nettamente distinta dal diritto di voto. Infatti,
qualora il voto sia espressione di una valutazione favorevole
o contraria compiuta dall'elettore sull'attività dei partiti
(ad esempio prelievi fiscali e servizi offerti alla
collettività), è giusto che chi non vive in Italia da anni, e
attinge informazioni in maniera indiretta sul Paese (giornali,
televisione) possa esercitare il diritto di voto in modo
responsabile?
Altro punto da valutare è se il diritto di voto, che
implica appartenenza attiva ad un determinato Stato, debba
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essere anche legato alle prestazioni contributive della
persona.
A fronte delle domande sopra esposte, con la presente
proposta di legge si intendono individuare alcuni "paletti"
nell'introduzione di norme per l'esercizio del diritto di voto
degli italiani all'estero:
a) introduzione del voto per corrispondenza presso
l'ambasciata italiana o la sede consolare nello Stato in cui
il cittadino residente all'estero vive, senza iscrizione
d'ufficio, con spoglio delle schede pervenute al comune di
ultima residenza con le modalità previste dalla legislazione
nazionale;
b) impossibilità di esercitare il diritto di voto
qualora la persona abbia altre cittadinanze oltre a quella
italiana, ovvero eserciti il diritto di voto in più di uno
Stato;
c) possibilità di esercitare il diritto di voto
per coloro che risiedono in uno Stato dell'Unione europea,
sempre che i soggetti non rientrino nella categoria di cui
alla lettera b);
d) possibilità di esercitare il diritto di voto
per coloro che risiedono da più di dieci anni in Stati non
appartenenti all'Unione europea, qualora abbiano trascorso nei
cinque anni precedenti a qualsiasi consultazione elettorale un
periodo continuativo in Italia di almeno sei mesi;
e) diritto di elettorato nel comune italiano nelle
cui liste elettorali il cittadino residente all'estero risulta
iscritto. A tale fine nell'articolato (articolo 1, comma 1),
si enunciano i criteri che devono regolare tale iscrizione. In
tale modo si consente altresì di superare le attuali
incongruenze nella disciplina vigente. Tale problema nasce
precisamente da una catena di ambiguità contenute nella legge:
in primo luogo, la definizione dei "cittadini nati e residenti
all'estero dei quali nessuno degli ascendenti è nato nel
territorio della Repubblica o vi ha mai risieduto", di cui
all'articolo 5 della legge 27 ottobre 1988, n. 470, recante
anagrafe e censimento degli italiani all'estero, è priva di
significato, a meno che per ascendenti non si intenda, con
dichiarata forzatura, i genitori; infatti, per essere italiano
è necessario che almeno uno degli antenati sia nato in Italia.
Pur ammettendo che la citata legge volesse riferirsi ai
genitori, ne consegue che i discendenti di emigrati dalla
seconda generazione in su devono (in realtà "possono", perché
nessuno li obbliga) trascrivere i loro dati anagrafici
solamente nel comune di Roma (in base ad altre disposizioni di
natura regolamentare mille volte smentite e confermate),
mentre i figli di emigrati (cioè coloro dei quali almeno uno
degli "ascendenti" è italiano) possono essere iscritti
nell'ultimo comune di residenza di quell'ascendente. Per
evitare inoltre inutili e dannose duplicazioni si propone
l'istituzione di un'unica banca dati dei cittadini italiani
residenti all'estero.
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