| Onorevoli Colleghi! - La legislazione antimafia è
andata progressivamente costituendosi come un sottosistema
penale, processuale e penitenziario, che in diversi punti
deroga rispetto al sistema generale. Tale sottosistema trova
una propria legittimazione nella inderogabile esigenza di
rispondere con strumenti efficaci alle sfide di una
criminalità che, come quella mafiosa, attenta alle radici
stesse della convivenza democratica. Tale legittimazione,
però, non può e non deve impedire di procedere ad una
sistematica razionalizzazione del quadro normativo, o di una
parte di esso, in materia di criminalità organizzata: è questo
il caso dell'articolo 416- bis del codice penale.
La dottrina di matrice accademica, in alcune sue prese di
posizione, si è preoccupata di evidenziare alcuni difetti
nella struttura dell'articolo in esame, difetti ravvisati
soprattutto in un eccesso di elementi generici di derivazione
sociologica e nel rischio di una ricostruzione del reato in
chiave di "tipo d'autore". Tuttavia, la lacuna più grave sta
nel fatto che l'articolo 416- bis ignora, di fatto,
l'istituto del "concorso esterno" nel reato associativo. In
tempi recenti, per sopperire a questa lacuna, la
giurisprudenza ha ritenuto possibile applicare, anche al reato
di cui all'articolo 416- bis del codice penale, la
disciplina prevista dall'articolo 110 del medesimo codice
penale e ciò in contrasto sia con la dottrina prevalente sia
con la giurisprudenza di legittimità.
La possibilità di applicare al reato di cui all'articolo
416- bis del codice penale la disciplina dell'articolo
110 del medesimo codice ha lo scopo di punire chi, pur non
appartenendo in modo stabile ed incardinato all'associazione
mafiosa, con la propria condotta facilita l'opera ed i fini
della stessa.
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La Corte di cassazione (Sezioni unite, 5 ottobre 1994,
deposito della sentenza 28 dicembre 1994, n. 16) ha
identificato il concorrente eventuale nel reato associativo in
colui che fornisce un "apporto staccato, avulso, indipendente
dalla stabilità dell'organizzazione", ma consapevole che con
la propria azione "contribuisce all'ulteriore realizzazione
degli scopi della societas sceleris ". E ancora, la
medesima giurisprudenza definisce il sostegno esterno in
maniera puntuale, costituendo quel sottosistema cui si
accennava sopra, e il concorrente come colui che è chiamato in
momenti di emergenza per "colmare temporanei vuoti in un
determinato ruolo", o agire per "l'aggiustamento di un
processo" o per consentire all'associazione "di mantenersi in
vita, anche solo in un determinato settore, onde poter
perseguire i propri scopi".
In definitiva, se il reato associativo è un reato a
concorso necessario la citata interpretazione
giurisprudenziale va oltre ed individua non solo i concorrenti
necessari (coloro che sono effettivamente affiliati
all'associazione), ma anche i concorrenti eventuali (chi non
fa parte dell'associazione, ma la favorisce, la fiancheggia e
contribuisce alla sua attività).
Applicando l'articolo 416- bis del codice penale, per
effetto del richiamo alle norme sul concorso di persone nel
reato, tanto i primi quanto gli altri sono assoggettati alla
stessa sanzione penale. Tutto questo anche se la
giurisprudenza di legittimità ha chiaramente evidenziato che
esiste una netta differenza tra i due comportamenti.
Nella fattispecie l'istituto del "concorso esterno" è
diventato uno strumento di comodo impiego giudiziario che,
grazie alla sua duttilità, bene si presta a ricomprendere le
forme di "contiguità" penalmente rilevanti. Ma proprio questa
duttilità implica come costo una incertezza di confini della
figura e il conseguente rischio di una sua espansione
incontrollata: basti considerare che è accaduto che una
medesima condotta è stata in giurisprudenza qualificata ora
concorso esterno nell'associazione mafiosa, ora partecipazione
interna nell'associazione stessa, ora assistenza agli
associati ai sensi dell'articolo 418 del codice penale.
La vera ragione della difficoltà di chiarire il carattere
controverso del concorso esterno nell'ambito della dottrina
penalistica sta nel fatto che, come studi recenti hanno
evidenziato, i princìpi del concorso criminoso sono stati
storicamente elaborati all'ombra dei reati monosoggettivi, per
cui una loro estensibilità al reato associativo è tutt'altro
che scontata sul piano sia logico che politico-criminale.
Da qui nasce una duplice possibilità in una prospettiva di
riforma: o elaborare una specifica parte generale dei reati
associativi, o (soluzione preferibile per la sua minore
problematicità) creare una nuova fattispecie incriminatrice di
parte speciale.
In ognuno dei due casi è il legislatore ad assumersi la
responsabilità di indicare i presupposti e i limiti della
contiguità penalmente rilevante.
La presente proposta di legge intende seguire la seconda
ipotesi prevedendo, con un articolo unico, l'introduzione
dell'articolo 379- bis del codice penale, che punisce con
la pena della reclusione da due a cinque anni chi, non facendo
parte dell'associazione mafiosa, favorisce il perseguimento
dei suoi scopi illeciti o ne agevola l'attività.
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