| Onorevoli Colleghi! - La nostra Costituzione
repubblicana detta norme diverse in tema di validità dei
referendum. Difatti l'articolo 75, dedicato al
referendum abrogativo, contempla al quarto comma sia un
numero legale, o quorum strutturale che dir si voglia,
sia un quorum funzionale. Stabilisce così che "La
proposta soggetta a referendum è approvata se ha
partecipato alla votazione la maggioranza degli aventi
diritto, e se è raggiunta la maggioranza dei voti validamente
espressi". Il successivo articolo 138, dedicato al
referendum costituzionale, al contrario non contempla al
secondo comma un numero legale ma semplicemente un quorum
funzionale. Dice infatti: "La legge sottoposta a
referendum non è promulgata se non è approvata dalla
maggioranza dei voti validi".
E' scarsamente credibile la tesi che la lacuna sia frutto
di una distrazione da parte dei padri fondatori della
Costituzione. Basti considerare il fatto che la nostra suprema
legge della Repubblica, a differenza di quelle francesi
dell'immediato secondo dopoguerra, non venne sottoposta a
referendum confermativo, per giungere alla conclusione
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che allora - a dimostrazione che la prudenza non è mai troppa
- si preferì privilegiare la sovranità parlamentare rispetto
alla sovranità popolare. Non è difficile, del resto, provare
questa affermazione.
Con il suo linguaggio immaginifico all'Assemblea
costituente Pietro Nenni disse che se i tre maggiori partiti -
la Dc, il Pci e il Psi - si fossero trovati d'accordo, nulla
sarebbe stato impossibile. In certo qual modo tali parole
spiegano i quorum funzionali previsti dall'articolo 138
della Costituzione. Se nella seconda deliberazione i due rami
del Parlamento approvano una legge costituzionale con la
maggioranza dei due terzi dei componenti, non si dà luogo a
referendum. Il ricorso al referendum confermativo
è possibile solo se la maggioranza è più bassa, e precisamente
la metà più uno dei componenti. Non basta. Qualora fosse stato
contemplato per il referendum, come previsto
dall'articolo 75 della Costituzione, oltre a un quorum
funzionale anche un quorum strutturale, o numero
legale che dir si voglia, si sarebbe corso il rischio di far
colare a picco una legge costituzionale approvata dai due rami
del Parlamento. Evidentemente si volle evitare un simile
pericolo.
Un criterio diametralmente opposto ispirò i padri
fondatori della Costituzione a proposito del referendum
abrogativo codificato nell'articolo 75. Valga la ricostruzione
di Falzone, Palermo e Cosentino (La Costituzione della
Repubblica italiana illustrata con i lavori preparatori,
Milano, Mondadori, 1976, pagina 218): "Propose l'onorevole
Paolo Rossi al quarto comma di elevare il quorum -
previsto nel progetto in due quinti degli aventi diritto - per
evitare il pericolo che una legge, magari approvata a
larghissima maggioranza dai due rami del Parlamento, possa
essere abrogata con il sedici o anche con il quindici per
cento degli elettori iscritti. Questa ipotesi, seppur rara,
potrebbe verificarsi perché, secondo il proponente, può
accadere che in un momento di stanchezza, quando si siano
verificate più elezioni in un anno e talora anche nello stesso
mese, o addirittura i cittadini siano stati chiamati alle urne
per un altro referendum, vi sia una certa indifferenza
pubblica per una determinata legge che non investa interessi
abbastanza sentiti e i votanti si riducano a cifre minime". E
ancora: "Il mio emendamento - concluse il proponente - ha
anche un altro scopo. Il referendum abrogativo è un'arma
assai delicata. Se i partiti sapranno che una legge non può
essere abrogata senza la partecipazione alle urne di un
considerevole numero di elettori iscritti, sarà più difficile
che essi ricorrano alla consultazione popolare senza avere una
fondata speranza di riuscire". Queste preoccupazioni furono
condivise dalla Commissione, e l'Assemblea finì poi con
l'accettare la formula (maggioranza degli aventi diritto)
proposta dall'onorevole Perassi".
Nonostante la Costituzione dica all'articolo 48 che
l'esercizio del voto è dovere civico, l'affluenza alle urne si
è ridotta con il passare degli anni e negli ultimi tempi ha
assunto proporzioni preoccupanti. Non è questa la sede per
accertarne le cause, che sono complesse. Fatto sta che in
tutti i sistemi politici che hanno un basso tasso di
polarizzazione si registra, in misura più o meno marcata, un
simile fenomeno. E di tutto questo in tempi recenti hanno
fatto le spese anche diversi referendum abrogativi, che
non sono risultati validi in quanto meno della metà più uno
degli iscritti nelle liste elettorali è andata a votare.
Il quorum non è stato raggiunto nel 1987 sulla
caccia (43,4), nel 1990 sull'accesso dei cacciatori nei fondi
privati (42,9) e sull'uso dei pesticidi (43,1), nel 1997 sulle
privatizzazioni (30,2), sull'obiezione di coscienza (30,3),
sulla caccia (30,2), sulle carriere dei magistrati (30,2),
sull'ordine dei giornalisti (30), sugli incarichi
extragiudiziari dei magistrati (30,2) e sul Ministero per le
Politiche agricole (30,1), infine il 18 aprile di quest'anno
sull'abolizione della quota proporzionale della legge per
l'elezione della Camera dei deputati (49,8). Si noti che nella
maggior parte dei casi citati i "sì" hanno di gran lunga
prevalso sui "no". Ciò nondimeno, le leggi non sono state
abrogate.
A questo punto ci domandiamo se sia equo che i cittadini
politicamente attivi siano sconfitti non già da coloro che la
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pensano in maniera diversa, ma da una massa amorfa di
indifferenti che, per il fatto stesso di non recarsi alle
urne, dimostra di non voler prendere partito su nessuna delle
questioni sul tappeto. A nostro sommesso avviso, tutto ciò non
è equo. Perciò proponiamo una modifica all'articolo 75 della
Costituzione in guisa tale da allinearlo con il successivo
articolo 138 per quanto concerne la validità del
referendum, e confidiamo che questa iniziativa
legislativa sia coronata da successo al fine di dare maggiore
spessore all'articolo 1 della Costituzione, a norma del quale
la sovranità appartiene al popolo.
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