| Onorevoli Colleghi! - La Convenzione sulla messa al
bando delle mine antipersona è stata caratterizzata da un
processo negoziale atipico, ispirato e sostenuto dalla forte
volontà popolare e dalle organizzazioni della società civile,
ed a cui ha dato un ulteriore impulso l'attribuzione del
Premio Nobel per la pace alla Campagna internazionale per la
messa al bando delle mine.
Il Parlamento italiano ha colto con tempestività la
richiesta di mettere fine alla produzione ed al commercio di
questo strumento di morte, di cui a lungo il nostro Paese è
stato tra i principali responsabili. La legge 29 ottobre 1997,
n. 374, recante norme per la messa al bando delle mine
antipersona, è stata elaborata mentre era in corso il
cosiddetto processo di Ottawa, dal quale ha tratto preziose
indicazioni e nei confronti del quale ha contribuito a
rafforzare il sostegno del Governo italiano. Il nostro Paese
ha potuto così presentarsi alla Conferenza di Ottawa del 2-4
dicembre 1997, con la legislazione nazionale più avanzata del
mondo, che già in buona parte dà attuazione agli impegni
assunti con la firma della Convenzione. Le autorità del
Canada, paese leader del processo di Ottawa, hanno
comunicato ufficialmente al nostro Governo di essersi ispirate
alla legge italiana nell'elaborare il disegno di legge
presentato dal Governo in Parlamento.
Il ruolo sin qui svolto dal Parlamento italiano
costituisce già di per sé una motivazione della presentazione
di una proposta di legge di iniziativa parlamentare
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finalizzata alla autorizzazione alla ratifica della
Convenzione. Inoltre, questa insolita, ma non nuova, procedura
rappresenta un tentativo di accorciare i tempi della
autorizzazione parlamentare. In attesa che si svolga il
concerto tra i Ministeri interessati e che il Consiglio dei
ministri approvi il disegno di legge, il Parlamento potrà
intanto avviare l'esame della proposta di legge, nella
sintonia istituzionale che ha caratterizzato il percorso sin
qui svolto. A testimonianza di quanto appena affermato,
vorremmo ricordare l'alto valore simbolico del gesto compiuto
dal Ministro Dini, che al momento della firma della
Convenzione ha voluto che fossero presenti accanto a lui i
deputati che facevano parte della delegazione italiana.
Crediamo sia la prima volta che un fatto del genere si è
verificato.
Questa proposta di legge rappresenta inoltre il segnale
della forte ed unanime volontà politica che ha sostenuto e
continua a sostenere gli strumenti della messa al bando delle
mine. E' un segnale che vorremmo fosse colto soprattutto da
quanti nutrissero ancora dubbi sull'intenzione del nostro
Paese di dare attuazione piena e radicale alle norme della
legge n. 374 del 1997 ed a quelle della Convenzione.
A nostro avviso le considerazioni sin qui svolte
giustificano pienamente la irritualità dell'iniziativa
parlamentare e possono consentire il superamento degli aspetti
formali: così come Canada, Irlanda e Mauritius hanno
presentato i propri strumenti di ratifica al momento stesso
della firma, riteniamo che anche l'Italia possa, con il pieno
consenso delle parti politiche e delle istituzioni coinvolte,
accedere rapidamente al deposito dello strumento di ratifica,
accelerando le procedure parlamentari di autorizzazione.
La prima disciplina internazionale in materia di mine
antipersona era contenuta nel II Protocollo alla Convenzione
sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi
convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi
effetti indiscriminati. L'Italia ha ratificato la Convenzione
ed i suoi Protocolli, firmati nel 1980, solo nel 1994 con la
legge n. 715, dopo che il Parlamento aveva approvato diversi
atti di indirizzo che impegnavano il Governo ad una moratoria
unilaterale sulle mine antipersona nonché alla presentazione
del disegno di legge di ratifica della Convenzione del
1980.
Il II Protocollo, peraltro, poneva una disciplina
piuttosto limitata dell'uso delle mine, si riferiva soltanto
ai conflitti armati tra Stati, e non ai conflitti civili, e
non prevedeva alcun regime di verifica o sanzione. In seguito
alle pressioni dell'opinione pubblica internazionale,
l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione
48/79 del 16 dicembre 1993, ha stabilito di avviare una
Conferenza di revisione del II Protocollo. Questa si è svolta
tra il settembre del 1995 ed il maggio del 1996, concludendosi
con l'adozione di una versione riveduta del II Protocollo.
Tale documento stabilisce l'estensione della validità del
Protocollo anche ai conflitti civili, e vieta tutte le mine
prive di meccanismi che non consentano l'autodistruzione o
l'autodisattivazione, assicurando così la liceità delle
cosiddette mine intelligenti.
Alcuni Paesi partecipanti alla Conferenza, delusi dal
risultato raggiunto, hanno deciso di rilanciare il processo
negoziale in vista di uno strumento convenzionale di
interdizione totale delle mine antipersona. Si è così giunti
alla Conferenza internazionale di strategia "Verso un bando
globale delle mine antipersona", svolta ad Ottawa dal 3 al 5
ottobre 1996 con la partecipazione dei rappresentanti di 50
Stati, numerosi osservatori, organizzazioni umanitarie e non
governative. Al termine della Conferenza il Ministro degli
esteri canadese, Lloyd Axworthy, ha invitato tutti i Paesi
interessati a tornare in Canada nel dicembre 1997 per firmare
un Trattato sul bando delle mine antipersona.
Il processo di Ottawa è poi proseguito a Bruxelles, nel
giugno 1997, e ad Oslo nel settembre dello stesso anno. In
quest'ultima occasione, è stato elaborato il testo della
Convenzione poi sottoposta alla firma nel dicembre 1997 ad
Ottawa. Nel corso della Conferenza, è stato inoltre adottato
un documento (An Agenda for mine action) che delinea una
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serie di iniziative finalizzate ad una globale soluzione del
problema delle mine. Tra queste, vi è in particolare
l'obiettivo dell'entrata in vigore della Convenzione entro il
1998: l'entrata in vigore, ai sensi dell'articolo 17, avverrà
soltanto sei mesi dopo il deposito del quarantesimo strumento
di ratifica. Di qui la necessità che 40 Paesi ratifichino la
Convenzione entro il giugno 1998. L'Italia, che legittimamente
rivendica un ruolo leader in questo campo, non può non
essere tra i primi 40 Paesi.
Un altro tema molto dibattuto nel corso della Conferenza
di Ottawa è quello della universalizzazione della Convenzione.
L'inaspettato successo rappresentato dal numero di Paesi
firmatari, ad oggi 124, è stato infatti temperato dalla
mancata firma di tre Paesi che ancora figurano tra i
principali produttori di mine: Cina, Russia e Stati Uniti.
Occorre sviluppare una azione di politica internazionale che
sfrutti tutte le sedi, bilaterali e multilaterali, per
convincere gli Stati che non hanno aderito alla Convenzione a
farlo quanto prima.
Per quanto riguarda il contenuto della Convenzione, questa
prevede la messa al bando totale dell'uso, dello stoccaggio,
della produzione e del commercio di tutti i tipi di mina
antipersona, senza distinguere tra quelle "stupide" o
"intelligenti", nonché la distruzione delle scorte esistenti.
Dalla definizione di mina antipersona sono esplicitamente
escluse le mine progettate per detonare alla presenza,
prossimità o contatto di veicoli, dotate di meccanismi
antimaneggiamento (articolo 2). Questi ultimi congegni sono
invece inclusi nella definizione di mine contenuta
all'articolo 2 della legge n. 374 del 1997. Tale ampia
definizione, che connota la legge italiana come fortemente
innovativa, è stata prevista con il fine di proibire anche
quegli ordigni che, con un semplice trucco, possono essere
trasformati da mine anticarro a mine antibambino.
La Convenzione autorizza il mantenimento o trasferimento
di un numero di mine antipersona per lo sviluppo di tecniche e
per l'addestramento nelle attività di sminamento e di
distruzione. La quantità delle suddette mine, secondo il
disposto dell'articolo 3 della Convenzione, "non supererà il
numero minimo assolutamente necessario per gli scopi citati".
In merito, la legge n. 374 del 1997, all'articolo 5, comma 1,
prevede la possibilità che le Forze armate possano mantenere
una quantità di mine non superiore alle 10 mila unità,
rinnovabile tramite esportazione. Ai fini di una corretta
applicazione della Convenzione, i proponenti ritengono di
dover proporre una modifica in senso restrittivo della
previsione della legge n. 374 del 1997, riducendo a 3 mila il
numero delle mine che potranno essere mantenute, rinnovabili
tramite importazione in un numero non superiore alle 500 unità
all'anno.
L'articolo 4 della Convenzione impegna gli Stati alla
distruzione di tutte le mine che si trovino nella loro
giurisdizione, non oltre i quattro anni dall'entrata in vigore
della Convenzione. In merito, la legge n. 374 del 1997 dà già
attuazione a questo impegno, prevedendo la distruzione delle
scorte entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della
legge.
E' quindi prevista, all'articolo 5, la distruzione delle
aree minate che rientrino nella giurisdizione o controllo di
ciascuna Parte entro dieci anni, salvo richieste motivate di
estensione.
Con l'articolo 6 viene delineato il principio della
cooperazione ed assistenza internazionale, attraverso scambi
di attrezzature, materiali ed informazioni tecnologiche, ed
attraverso il sostegno di programmi di riabilitazione e
reintegrazione delle vittime e programmi di sminamento.
L'articolo 7 tratta delle misure di trasparenza, che si
sostanziano in una relazione annuale al Segretario generale
dell'ONU sullo stato di attuazione della Convenzione
intrapreso in ciascun Paese.
L'articolo 8, dopo aver stabilito il principio della
consultazione e cooperazione tra le Parti in merito
all'attuazione della Convenzione, delinea le procedure da
seguire nel caso in cui uno o più Stati Parte richiedano
chiarimenti sul rispetto della Convenzione da parte di un
altro Stato. Tali procedure possono giungere fino all'invio di
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una missione d'inchiesta nello Stato che non fornisse
sufficienti chiarimenti.
L'articolo 9 reca l'obbligo, per gli Stati Parte, di
adottare misure nazionali, che comprendano sanzioni penali,
finalizzate a prevenire e reprimere le attività proibite dalla
Convenzione. Questa norma, come si è detto, è già stata
attuata dall'Italia con la legge n. 374 del 1997 che, oltre a
porre divieti che superano anche quelli previsti dalla
Convenzione, prevede aspre sanzioni penali per i
trasgressori.
L'articolo 10 tratta della risoluzione dei contenziosi;
mentre l'articolo 11 disciplina la Assemblea degli Stati
membri, la prima delle quali sarà convocata dal Segretario
generale delle Nazioni Unite entro un anno dalla data di
entrata in vigore della Convenzione E' altresì prevista,
all'articolo 12, una Conferenza di revisione della
Convenzione, che si riunirà cinque anni dopo l'entrata in
vigore.
Le procedure di modifica della Convenzione sono definite
dall'articolo 13.
L'articolo 14 prevede che i costi delle Assemblee e delle
Conferenze saranno ripartiti tra gli Stati Parte in base alla
scala dei contributi delle Nazioni Unite, opportunamente
adeguata. Questa norma rende evidente la necessità che,
accanto alla proposta di legge, sia presentato quanto prima un
disegno di legge di ratifica della Convenzione: solo il
Governo, infatti, ha gli strumenti per procedere alla
quantificazione e copertura degli oneri per il bilancio dello
Stato derivanti dall'applicazione della Convenzione.
Gli articoli da 15 a 22 contengono le rituali clausole
finali. In particolare si segnala l'articolo 17 sull'entrata
in vigore, il quale prevede che questa avvenga sei mesi dopo
il deposito del quarantesimo strumento di ratifica; e
l'articolo 18, che prevede la possibilità per gli Stati di
dichiarare, al momento della ratifica, di voler applicare
provvisoriamente il comma 1 dell'articolo 1 (obblighi
generali) della Convenzione, in attesa della sua entrata in
vigore. E' auspicabile che il Governo italiano voglia
dichiarare la propria volontà in tal senso, dal momento che
gli stessi obblighi sono già stabiliti dalla legislazione
interna.
La proposta di legge di ratifica non si limita a contenere
le norme rituali di autorizzazione alla ratifica e l'ordine di
esecuzione ma, come si è già accennato nella precedente
illustrazione, precisa la normativa nazionale al fine di
renderla più aderente alle previsioni della Convenzione. In
particolare, l'articolo 3 riduce il quantitativo di mine da
mantenere per l'addestramento alle attività di sminamento da
10 mila a 3 mila, e limita a 500 annue la quantità di mine da
importare. Tali quantitativi, anche alla luce delle scelte
effettuate da altri Paesi, rispondono più adeguatamente alle
previsioni dell'articolo 3 della Convenzione, che stabilisce
che tali quantitativi non debbano eccedere il numero minimo
assolutamente necessario.
L'articolo 4 della proposta di legge prevede l'istituzione
di un Comitato parlamentare di controllo dell'attuazione della
legge. La stessa norma compariva nel testo unificato delle
proposte di legge sulla messa al bando delle mine, ma era poi
stata soppressa nel corso dell'esame al Senato. La prima
applicazione della legge n. 374 del 1997 e gli sviluppi della
realtà internazionale hanno riproposto l'esigenza di
predisporre adeguati controlli nazionali, nello spirito
dell'articolo 7 della Convenzione che stabilisce misure di
trasparenza a livello internazionale.
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