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Testi integrali degli Atti Parlamentari della XIII Legislatura

Documento


70717
DDL6036-0002
Progetto di legge Camera n. 6036 - testo presentato - (DDL13-6036)
(suddiviso in 7 Unità Documento)
Unità Documento n.2 (che inizia a pag.1 dello stampato)
...C6036. TESTIPDL
...C6036.
RELAZIONE
ZZDDL ZZDDLC ZZNONAV ZZDDLC6036 ZZ13 ZZRL ZZPR
     Onorevoli Colleghi! - La Convenzione sulla messa al
  bando delle mine antipersona è stata caratterizzata da un
  processo negoziale atipico, ispirato e sostenuto dalla forte
  volontà popolare e dalle organizzazioni della società civile,
  ed a cui ha dato un ulteriore impulso l'attribuzione del
  Premio Nobel per la pace alla Campagna internazionale per la
  messa al bando delle mine.
     Il Parlamento italiano ha colto con tempestività la
  richiesta di mettere fine alla produzione ed al commercio di
  questo strumento di morte, di cui a lungo il nostro Paese è
  stato tra i principali responsabili.  La legge 29 ottobre 1997,
  n. 374, recante norme per la messa al bando delle mine
  antipersona, è stata elaborata mentre era in corso il
  cosiddetto processo di Ottawa, dal quale ha tratto preziose
  indicazioni e nei confronti del quale ha contribuito a
  rafforzare il sostegno del Governo italiano.  Il nostro Paese
  ha potuto così presentarsi alla Conferenza di Ottawa del 2-4
  dicembre 1997, con la legislazione nazionale più avanzata del
  mondo, che già in buona parte dà attuazione agli impegni
  assunti con la firma della Convenzione.  Le autorità del
  Canada, paese  leader  del processo di Ottawa, hanno
  comunicato ufficialmente al nostro Governo di essersi ispirate
  alla legge italiana nell'elaborare il disegno di legge
  presentato dal Governo in Parlamento.
     Il ruolo sin qui svolto dal Parlamento italiano
  costituisce già di per sé una motivazione della presentazione
  di una proposta di legge di iniziativa parlamentare
 
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  finalizzata alla autorizzazione alla ratifica della
  Convenzione.  Inoltre, questa insolita, ma non nuova, procedura
  rappresenta un tentativo di accorciare i tempi della
  autorizzazione parlamentare.  In attesa che si svolga il
  concerto tra i Ministeri interessati e che il Consiglio dei
  ministri approvi il disegno di legge, il Parlamento potrà
  intanto avviare l'esame della proposta di legge, nella
  sintonia istituzionale che ha caratterizzato il percorso sin
  qui svolto.  A testimonianza di quanto appena affermato,
  vorremmo ricordare l'alto valore simbolico del gesto compiuto
  dal Ministro Dini, che al momento della firma della
  Convenzione ha voluto che fossero presenti accanto a lui i
  deputati che facevano parte della delegazione italiana.
  Crediamo sia la prima volta che un fatto del genere si è
  verificato.
     Questa proposta di legge rappresenta inoltre il segnale
  della forte ed unanime volontà politica che ha sostenuto e
  continua a sostenere gli strumenti della messa al bando delle
  mine.  E' un segnale che vorremmo fosse colto soprattutto da
  quanti nutrissero ancora dubbi sull'intenzione del nostro
  Paese di dare attuazione piena e radicale alle norme della
  legge n. 374 del 1997 ed a quelle della Convenzione.
     A nostro avviso le considerazioni sin qui svolte
  giustificano pienamente la irritualità dell'iniziativa
  parlamentare e possono consentire il superamento degli aspetti
  formali: così come Canada, Irlanda e Mauritius hanno
  presentato i propri strumenti di ratifica al momento stesso
  della firma, riteniamo che anche l'Italia possa, con il pieno
  consenso delle parti politiche e delle istituzioni coinvolte,
  accedere rapidamente al deposito dello strumento di ratifica,
  accelerando le procedure parlamentari di autorizzazione.
     La prima disciplina internazionale in materia di mine
  antipersona era contenuta nel II Protocollo alla Convenzione
  sulla proibizione o limitazione dell'uso di alcune armi
  convenzionali che possono essere considerate dannose o aventi
  effetti indiscriminati.  L'Italia ha ratificato la Convenzione
  ed i suoi Protocolli, firmati nel 1980, solo nel 1994 con la
  legge n. 715, dopo che il Parlamento aveva approvato diversi
  atti di indirizzo che impegnavano il Governo ad una moratoria
  unilaterale sulle mine antipersona nonché alla presentazione
  del disegno di legge di ratifica della Convenzione del
  1980.
     Il II Protocollo, peraltro, poneva una disciplina
  piuttosto limitata dell'uso delle mine, si riferiva soltanto
  ai conflitti armati tra Stati, e non ai conflitti civili, e
  non prevedeva alcun regime di verifica o sanzione.  In seguito
  alle pressioni dell'opinione pubblica internazionale,
  l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con risoluzione
  48/79 del 16 dicembre 1993, ha stabilito di avviare una
  Conferenza di revisione del II Protocollo.  Questa si è svolta
  tra il settembre del 1995 ed il maggio del 1996, concludendosi
  con l'adozione di una versione riveduta del II Protocollo.
  Tale documento stabilisce l'estensione della validità del
  Protocollo anche ai conflitti civili, e vieta tutte le mine
  prive di meccanismi che non consentano l'autodistruzione o
  l'autodisattivazione, assicurando così la liceità delle
  cosiddette mine intelligenti.
     Alcuni Paesi partecipanti alla Conferenza, delusi dal
  risultato raggiunto, hanno deciso di rilanciare il processo
  negoziale in vista di uno strumento convenzionale di
  interdizione totale delle mine antipersona.  Si è così giunti
  alla Conferenza internazionale di strategia "Verso un bando
  globale delle mine antipersona", svolta ad Ottawa dal 3 al 5
  ottobre 1996 con la partecipazione dei rappresentanti di 50
  Stati, numerosi osservatori, organizzazioni umanitarie e non
  governative.  Al termine della Conferenza il Ministro degli
  esteri canadese, Lloyd Axworthy, ha invitato tutti i Paesi
  interessati a tornare in Canada nel dicembre 1997 per firmare
  un Trattato sul bando delle mine antipersona.
     Il processo di Ottawa è poi proseguito a Bruxelles, nel
  giugno 1997, e ad Oslo nel settembre dello stesso anno.  In
  quest'ultima occasione, è stato elaborato il testo della
  Convenzione poi sottoposta alla firma nel dicembre 1997 ad
  Ottawa.  Nel corso della Conferenza, è stato inoltre adottato
  un documento  (An Agenda for mine action)  che delinea una
 
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  serie di iniziative finalizzate ad una globale soluzione del
  problema delle mine.  Tra queste, vi è in particolare
  l'obiettivo dell'entrata in vigore della Convenzione entro il
  1998: l'entrata in vigore, ai sensi dell'articolo 17, avverrà
  soltanto sei mesi dopo il deposito del quarantesimo strumento
  di ratifica.  Di qui la necessità che 40 Paesi ratifichino la
  Convenzione entro il giugno 1998.  L'Italia, che legittimamente
  rivendica un ruolo  leader  in questo campo, non può non
  essere tra i primi 40 Paesi.
     Un altro tema molto dibattuto nel corso della Conferenza
  di Ottawa è quello della universalizzazione della Convenzione.
  L'inaspettato successo rappresentato dal numero di Paesi
  firmatari, ad oggi 124, è stato infatti temperato dalla
  mancata firma di tre Paesi che ancora figurano tra i
  principali produttori di mine:  Cina, Russia e Stati Uniti.
  Occorre sviluppare una azione di politica internazionale che
  sfrutti tutte le sedi, bilaterali e multilaterali, per
  convincere gli Stati che non hanno aderito alla Convenzione a
  farlo quanto prima.
     Per quanto riguarda il contenuto della Convenzione, questa
  prevede la messa al bando totale dell'uso, dello stoccaggio,
  della produzione e del commercio di tutti i tipi di mina
  antipersona, senza distinguere tra quelle "stupide" o
  "intelligenti", nonché la distruzione delle scorte esistenti.
  Dalla definizione di mina antipersona sono esplicitamente
  escluse le mine progettate per detonare alla presenza,
  prossimità o contatto di veicoli, dotate di meccanismi
  antimaneggiamento (articolo 2).  Questi ultimi congegni sono
  invece inclusi nella definizione di mine contenuta
  all'articolo 2 della legge n. 374 del 1997.  Tale ampia
  definizione, che connota la legge italiana come fortemente
  innovativa, è stata prevista con il fine di proibire anche
  quegli ordigni che, con un semplice trucco, possono essere
  trasformati da mine anticarro a mine antibambino.
     La Convenzione autorizza il mantenimento o trasferimento
  di un numero di mine antipersona per lo sviluppo di tecniche e
  per l'addestramento nelle attività di sminamento e di
  distruzione.  La quantità delle suddette mine, secondo il
  disposto dell'articolo 3 della Convenzione, "non supererà il
  numero minimo assolutamente necessario per gli scopi citati".
  In merito, la legge n. 374 del 1997, all'articolo 5, comma 1,
  prevede la possibilità che le Forze armate possano mantenere
  una quantità di mine non superiore alle 10 mila unità,
  rinnovabile tramite esportazione.  Ai fini di una corretta
  applicazione della Convenzione, i proponenti ritengono di
  dover proporre una modifica in senso restrittivo della
  previsione della legge n. 374 del 1997, riducendo a 3 mila il
  numero delle mine che potranno essere mantenute, rinnovabili
  tramite importazione in un numero non superiore alle 500 unità
  all'anno.
     L'articolo 4 della Convenzione impegna gli Stati alla
  distruzione di tutte le mine che si trovino nella loro
  giurisdizione, non oltre i quattro anni dall'entrata in vigore
  della Convenzione.  In merito, la legge n. 374 del 1997 dà già
  attuazione a questo impegno, prevedendo la distruzione delle
  scorte entro cinque anni dalla data di entrata in vigore della
  legge.
     E' quindi prevista, all'articolo 5, la distruzione delle
  aree minate che rientrino nella giurisdizione o controllo di
  ciascuna Parte entro dieci anni, salvo richieste motivate di
  estensione.
     Con l'articolo 6 viene delineato il principio della
  cooperazione ed assistenza internazionale, attraverso scambi
  di attrezzature, materiali ed informazioni tecnologiche, ed
  attraverso il sostegno di programmi di riabilitazione e
  reintegrazione delle vittime e programmi di sminamento.
     L'articolo 7 tratta delle misure di trasparenza, che si
  sostanziano in una relazione annuale al Segretario generale
  dell'ONU sullo stato di attuazione della Convenzione
  intrapreso in ciascun Paese.
     L'articolo 8, dopo aver stabilito il principio della
  consultazione e cooperazione tra le Parti in merito
  all'attuazione della Convenzione, delinea le procedure da
  seguire nel caso in cui uno o più Stati Parte richiedano
  chiarimenti sul rispetto della Convenzione da parte di un
  altro Stato.  Tali procedure possono giungere fino all'invio di
 
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  una missione d'inchiesta nello Stato che non fornisse
  sufficienti chiarimenti.
     L'articolo 9 reca l'obbligo, per gli Stati Parte, di
  adottare misure nazionali, che comprendano sanzioni penali,
  finalizzate a prevenire e reprimere le attività proibite dalla
  Convenzione.  Questa norma, come si è detto, è già stata
  attuata dall'Italia con la legge n. 374 del 1997 che, oltre a
  porre divieti che superano anche quelli previsti dalla
  Convenzione, prevede aspre sanzioni penali per i
  trasgressori.
     L'articolo 10 tratta della risoluzione dei contenziosi;
  mentre l'articolo 11 disciplina la Assemblea degli Stati
  membri, la prima delle quali sarà convocata dal Segretario
  generale delle Nazioni Unite entro un anno dalla data di
  entrata in vigore della Convenzione E' altresì prevista,
  all'articolo 12, una Conferenza di revisione della
  Convenzione, che si riunirà cinque anni dopo l'entrata in
  vigore.
     Le procedure di modifica della Convenzione sono definite
  dall'articolo 13.
     L'articolo 14 prevede che i costi delle Assemblee e delle
  Conferenze saranno ripartiti tra gli Stati Parte in base alla
  scala dei contributi delle Nazioni Unite, opportunamente
  adeguata.  Questa norma rende evidente la necessità che,
  accanto alla proposta di legge, sia presentato quanto prima un
  disegno di legge di ratifica della Convenzione: solo il
  Governo, infatti, ha gli strumenti per procedere alla
  quantificazione e copertura degli oneri per il bilancio dello
  Stato derivanti dall'applicazione della Convenzione.
     Gli articoli da 15 a 22 contengono le rituali clausole
  finali.  In particolare si segnala l'articolo 17 sull'entrata
  in vigore, il quale prevede che questa avvenga sei mesi dopo
  il deposito del quarantesimo strumento di ratifica; e
  l'articolo 18, che prevede la possibilità per gli Stati di
  dichiarare, al momento della ratifica, di voler applicare
  provvisoriamente il comma 1 dell'articolo 1 (obblighi
  generali) della Convenzione, in attesa della sua entrata in
  vigore.  E' auspicabile che il Governo italiano voglia
  dichiarare la propria volontà in tal senso, dal momento che
  gli stessi obblighi sono già stabiliti dalla legislazione
  interna.
     La proposta di legge di ratifica non si limita a contenere
  le norme rituali di autorizzazione alla ratifica e l'ordine di
  esecuzione ma, come si è già accennato nella precedente
  illustrazione, precisa la normativa nazionale al fine di
  renderla più aderente alle previsioni della Convenzione.  In
  particolare, l'articolo 3 riduce il quantitativo di mine da
  mantenere per l'addestramento alle attività di sminamento da
  10 mila a 3 mila, e limita a 500 annue la quantità di mine da
  importare.  Tali quantitativi, anche alla luce delle scelte
  effettuate da altri Paesi, rispondono più adeguatamente alle
  previsioni dell'articolo 3 della Convenzione, che stabilisce
  che tali quantitativi non debbano eccedere il numero minimo
  assolutamente necessario.
     L'articolo 4 della proposta di legge prevede l'istituzione
  di un Comitato parlamentare di controllo dell'attuazione della
  legge.  La stessa norma compariva nel testo unificato delle
  proposte di legge sulla messa al bando delle mine, ma era poi
  stata soppressa nel corso dell'esame al Senato.  La prima
  applicazione della legge n. 374 del 1997 e gli sviluppi della
  realtà internazionale hanno riproposto l'esigenza di
  predisporre adeguati controlli nazionali, nello spirito
  dell'articolo 7 della Convenzione che stabilisce misure di
  trasparenza a livello internazionale.
 
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