| Pag. 2
Onorevoli Colleghi! - L'imposta sulle successioni e
donazioni rappresenta un esempio lampante della situazione di
oppressione fiscale nella quale sono costretti i contribuenti
italiani. Tale imposta infatti concentra in sé il massimo
grado di inefficienza economica, irrazionalità amministrativa
ed odiosità sociale. Sul piano culturale l'imposta sulle
successioni tradisce quella radicata diffidenza di una parte
della cultura di questo Paese nei confronti dell'istituto
della proprietà privata e dell'autonomia negoziale. Il
prelievo sugli acquisti mortis causa, con aliquote che
raggiungono in alcuni casi livelli confiscatori (attualmente
l'aliquota massima è del 33 per cento del patrimonio!) è
normalmente giustificato con la considerazione che si
tratterebbe di attribuzioni patrimoniali non "meritate". Si
tratta di una conclusione sbagliata ed inconferente, poiché
l'acquisto per via ereditaria è pienamente giustificato dal
risparmio accumulato in vita dal de cuius e dall'atto di
destinazione eventualmente compiuto dal medesimo. Il rispetto
delle ultime volontà degli individui, oltre a costituire una
delle più alte e radicate forme di civiltà giuridica,
rappresenta anche la tutela maggiore dell'autonomia negoziale
e della libertà dei soggetti privati. In ogni caso,
interrogarsi circa la legittimità degli acquisti ereditari
risulta del tutto irrilevante dal punto di vista fiscale, a
meno di non voler attribuire alla leva fiscale anche una
funzione etico-morale che le è del tutto estranea.
Un'eco della impostazione fondamentalmente moralistica
della disciplina dell'imposta sulle successioni si evidenzia
anche nella struttura della curva delle aliquote, che variano
in misura assurda in funzione dell'ammontare dell'asse
ereditario e del grado di parentela, passando dal 3 al 33 per
cento! Ciò determina una progressività del prelievo del tutto
ingiustificabile, se non in una logica di vera e propria
"punizione della ricchezza". L'imposta sulle successioni
risulta anche del tutto inefficiente dal punto di vista
economico. Essa rappresenta infatti una specifica tipologia di
imposta sul patrimonio e, come tale, presenta gravi
controindicazioni. Il prelievo fiscale sul capitale
costituisce infatti, in primo luogo, un forte disincentivo al
risparmio, garantendo un migliore trattamento fiscale per
coloro che consumano interamente il proprio reddito. Ciò
determina una distorsione della propensione al consumo che
risulta tanto più grave nel caso dell'imposta sulle
successioni, poiché riduce nella fase conclusiva
dell'esistenza di ciascuno gli incentivi a mantenere elevati
tassi di risparmio.
In generale, le imposte patrimoniali indeboliscono il
sistema economico nel suo complesso, in quanto ne riducono la
capitalizzazione e quindi la capacità di crescita e di
sviluppo tecnologico. Ciò è vero in special modo nel caso
delle imposte di natura straordinaria, quale quella sulle
successioni, che, per loro natura, non possono essere valutate
nell'ambito degli ordinari piani di gestione dei titolari dei
beni. Infatti, se un'imposta patrimoniale periodica, con
aliquote modeste, può essere incorporata nelle aspettative del
contribuente come se si trattasse di una imposta sul reddito
(fermo restando il disincentivo fiscale al risparmio), nel
caso dell'imposta sulle successioni la straordinarietà
dell'acquisto - unita alle aliquote elevatissime - spesso
costringe il destinatario dei trasferimenti mortis causa
ad una dismissione forzata di una parte del patrimonio, al
solo scopo di assolvere l'imposta. Si deve inoltre osservare
come l'imposta sulle successioni rappresenti l'ultimo anello
di una catena di imposizione multipla sul risparmio. La quota
di reddito accantonata, dopo essere stata soggetta a prelievo
al momento della sua formazione, è infatti incisa sia quando
Pag. 3
diventa a sua volta produttiva di reddito, sia quando è
sottoposta alle varie forme di imposta patrimoniale presenti
nell'ordinamento, per poi essere ulteriormente tassata al
momento della successione ereditaria. Anche sul piano della
gestione amministrativa l'imposta sulle successioni presenta
un bilancio del tutto fallimentare. Nonostante il rigore
formale della disciplina, con aliquote sostanzialmente
confiscatorie, il gettito complessivo dell'imposta non supera
(secondo i dati del bilancio relativo al 1998) i 1.700
miliardi di lire annui. In realtà, proprio l'insostenibilità
del prelievo induce, soprattutto nei casi dei grandi
patrimoni, a ricorrere a forme di trasferimento
intergenerazionale fiscalmente meno onerose. Tale fenomeno
accentua l'ingiustizia complessiva dell'imposta, la quale
finisce per colpire soprattutto i patrimoni di dimensioni
medio-piccole, costituiti da cespiti di natura prevalentemente
immobiliare, i quali più difficilmente possono sottrarsi al
prelievo. Alla fine dei conti l'imposta sulle successioni si
traduce quindi in un'ennesima forma di tassazione sulla casa!
Anche sul piano della ragione fiscale l'imposta sulle
successioni si presenta irrazionale, considerato che,
probabilmente, il gettito complessivo non copre nemmeno i
costi di esazione. Tale imposta è ormai una delle poche forme
di prelievo per le quali non sia prevista l'autoliquidazione
da parte del contribuente, ma un procedimento di liquidazione
d'ufficio. Tale scelta, dovuta alla particolare complessità
tecnica delle modalità di calcolo, determina però un grande
spreco di risorse amministrative, che potrebbero essere più
proficuamente impiegate in altri settori dell'amministrazione
finanziaria.
Analoghe considerazioni valgono per l'imposta sulle
donazioni.
Pertanto, se, nonostante le considerazioni svolte,
l'imposta sulle successioni e donazioni è mantenuta in vita,
ciò è dovuto evidentemente a motivazioni sostanzialmente
ideologiche. Per queste ragioni il gruppo di forza Italia ha
inteso chiedere l'inserimento nel calendario dei lavori
dell'Assemblea la discussione del provvedimento, al fine di
suscitare nelle aule parlamentari, di fronte al Paese, il
dibattito su questo tema, che naturalmente si connette con
quello, ancor più generale, di una generale revisione della
politica tributaria, rapace e miope, perseguita dall'attuale
Governo. Auspico quindi, come relatore di minoranza, che la
Camera approvi la proposta di legge oggi in discussione, la
quale, abrogando le imposte sulle successioni e donazioni,
intende compiere un primo effettivo passo verso la diminuzione
della pressione tributaria e la riduzione degli adempimenti
cui i cittadini sono chiamati nella loro veste di
contribuenti. Purtroppo, le forze di maggioranza non hanno
finora voluto raccogliere questa sfida, arroccandosi invece,
nel corso dell'esame in sede referente presso la Commissione
finanze, in una posizione di chiusura pregiudiziale, che
dimostra ancora un volta la loro incapacità di tradurre in
atti concreti le generiche dichiarazioni d'intenti
ripetutamente espresse. Ritengo, peraltro, infondate le
obiezioni relative alla mancata copertura degli oneri
derivanti dall'abolizione dell'imposta. La proposta di legge,
infatti, prevede, all'articolo 2, una copertura finanziaria
derivante dalla riduzione delle spese discrezionali
autorizzate dal bilancio in gestione, la quale appare
assolutamente sufficiente sul piano quantitativo in
considerazione della esiguità dell'onere finanziario. Né
convincenti appaiono le obiezioni relative alla inidoneità
formale della copertura, la quale si tradurrebbe in
un'utilizzazione di disponibilità di bilancio a copertura di
oneri derivanti da una legge sostanziale, utilizzazione non
più consentita dopo la riforma della legge n. 468 del 1976. Al
di là della loro fondatezza dal punto di vista tecnico, tali
obiezioni appaiono strumentali ove si consideri che una norma
del genere è stata di recente approvata nell'ambito della
legge n. 448 del 1998 (collegato alla finanziaria 1999), il
cui articolo 45 prevedeva un taglio del 5 per cento di tutte
le unità previsionali di base relative all'acquisto di beni e
servizi, con utilizzazione dei proventi a copertura dei nuovi
Pag. 4
oneri. Ciononostante, la Commissione bilancio ha espresso
parere contrario sul provvedimento, in relazione alla
inidoneità della clausola di copertura. Per evitare che
l'indisponibilità sostanziale della maggioranza a condividere
il merito della proposta di legge possa essere offuscata
dietro obiezioni pretestuose, ho ritenuto di proporre una
nuova formulazione della norma di copertura, basata sulla
abolizione delle disposizioni fiscali agevolative in favore
delle grandi cooperative. Tale settore è ormai caratterizzato,
infatti, da un trattamento fiscale privilegiato, che non trova
giustificazioni in riferimento alla concreta configurazione di
larghi settori del movimento cooperativo. Peraltro, per
evitare che la soppressione del regime agevolativo finisca per
penalizzare anche le cooperative dotate di un carattere
realmente mutualistico, delle suddette agevolazioni
continuerebbero a godere alcune tipologie di cooperative.
Gianfranco CONTE, relatore di minoranza.
| |