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Onorevoli Colleghi! - La riforma dell'imposta sulle
successioni e sulle donazioni ormai già da qualche tempo è
entrata nel dibattito politico e nelle discussioni di studiosi
ed esperti in materia tributaria. Appare quindi opportuno che
anche il Parlamento vi si dedichi, trattandosi di un tema che
interessa inevitabilmente la generalità dei cittadini. E'
infatti convinzione del gruppo di alleanza nazionale che le
diverse problematiche che appassionano l'opinione pubblica,
con particolare riferimento a quelle di natura tributaria (che
investono la sfera giuridica patrimoniale dei cittadini),
debbano comunque trovare spazio nell'attività parlamentare, in
modo da assicurare un costante aggiornamento del Parlamento.
Questo organo deve avvalersi dei suggerimenti e delle
richieste che provengono dalla società civile, comunque da
esaminare accuratamente, se intende evitare il rischio di
perdere la capacità di svolgere la funzione di rappresentanza
che gli è propria. Nel caso specifico dell'imposta sulle
successioni e sulle donazioni, l'opportunità di promuovere
l'avvio di un serio e approfondito confronto in sede
parlamentare discende in primo luogo dall'ormai avanzato stato
cui è pervenuto il dibattito dottrinario e dal progressivo
diffondersi, tra i contribuenti, di condivisibili aspettative
di riforma di un tributo, la cui stessa legittimità risulta
fortemente incrinata dall'evoluzione economico-sociale. Per
questo motivo, abbiamo sostenuto la necessità di inserire nel
calendario dell'Assemblea l'argomento in discussione
nell'odierna seduta, senza attendere la presentazione della
più volte preannunciata presentazione di una specifica
iniziative legislativa da parte del Governo in materia. La
richiesta non deve intendersi come un gesto velleitario di
contestazione del ruolo centrale che deve essere attribuito al
Governo, quanto, piuttosto, nella rivendicazione delle
funzioni che competono al Parlamento, soprattutto quando si
tratti di materia tributaria. Nella legislatura in corso,
infatti, troppo spesso il Parlamento si è limitato a subire
l'iniziativa del Governo, in pratica rinunciando ad esercitare
prerogative tipicamente proprie. In sostanza, il Governo ha
potuto realizzare una complessa e macchinosa riforma, che ha
coinvolto quasi tutti i settori della disciplina fiscale,
senza che il Parlamento abbia potuto svolgere un approfondito
dibattito che gli consentisse di promuovere eventuali
correzioni e modifiche. L'avvio della discussione sulla
proposta di legge n. 6062 deve intendersi proprio come un atto
di dignità da parte del Parlamento, che mette in mora il
Governo per la mancata presentazione di un disegno di legge
ripetutamente preannunciato. Si tratta, in sostanza, di non
subire passivamente la tempistica imposta dal Governo per
quanto concerne la discussione delle problematiche che
attengono alla materia fiscale; l'opposizione ritiene,
infatti, che siano mature le condizioni per avviare i lavori
parlamentari per pervenire alla riforma della imposta sulle
successioni. La stessa scelta di assumermi la responsabilità
di svolgere, accanto all'onorevole Conte, le funzioni di
relatore di minoranza, si giustifica con la volontà di
impedire al Governo di avvalersi di motivazioni pretestuose al
solo scopo di rinviare l'avvio del dibattito parlamentare
sulla materia in discussione. In altri termini, si è voluto
costringere il Governo a pronunciarsi su una ipotesi
alternativa e meno radicalmente innovativa rispetto a quella
indicata nella proposta di legge n. 6062, che si muove nel
senso di sopprimere l'imposta, in modo da evidenziare
chiaramente che 1' indisponibilità del Governo non si fonda
esclusivamente sulla riduzione di gettito che l'abrogazione
dell'imposta comporterebbe, ma concerne la stessa opportunità
di porre mano alla normativa vigente, nonostante gli impegni
ripetutamente assunti al riguardo. Desidero peraltro chiarire
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che il mio gruppo condivide il contenuto della proposta di
legge n. 6062, e che le proposte emendative che ad essa sono
state presentate rappresentano soltanto il tentativo di
proporre al Governo soluzioni meno drastiche. Vi è, comunque,
la consapevolezza che le soluzioni proposte non esauriscono le
diverse problematiche connesse alla riforma dell'imposta sulle
successioni.
Venendo al merito della proposta in discussione, dicevo in
precedenza che la stessa legittimità dell'imposta è
attualmente oggetto di diffuse critiche, in primo luogo alla
luce dell'evoluzione della situazione socioeconomica del
Paese, e in secondo luogo in considerazione di alcune
significative novità intervenute nel settore tributario
nell'ultimo triennio. Per quanto concerne il primo aspetto, va
rilevato che la composizione e la ripartizione della ricchezza
sono profondamente cambiate nell'arco degli ultimi decenni. In
particolare, appare sempre più rilevante il peso dei cespiti
di origine finanziaria, che in larga parte sfuggono alla
imposizione sulle successioni. Quest'ultima, in pratica,
finisce per diventare una ennesima imposta sugli immobili, con
evidenti ricadute in termini di iniquità della ripartizione
del carico tributario. Vi è poi un secondo profilo da
considerare, che attiene all'obiettivo, cui l'imposta
tradizionalmente rispondeva, di evitare l'accumulazione di
ricchezze ritenute eccessive; in sostanza, l'imposta era
riconducibile al carattere fortemente progressivo che
improntava il sistema fiscale italiano. Al riguardo, un
autorevole studioso di sinistra, il professor Gallo, ha
recentemente rilevato che i redditi di capitali sfuggono ormai
alla tassazione progressiva; lo stesso varrà per i redditi di
fabbricati e, almeno in parte, per i redditi di impresa, così
che soltanto i redditi di lavoro continuano ad esservi
soggetti. A fronte di questa tendenza, l'esasperata
progressività che ispira l'attuale disciplina dell'imposta
sulle successioni appare in controtendenza, tanto più che,
come affermerò più avanti, stante l'estrema facilità di
eludere l'imposta, essa finisce per gravare esclusivamente sui
meno abbienti. L'esperienza ha ormai ampiamente evidenziato le
incongruenze e i difetti di un tributo che assicura all'erario
un gettito relativamente modesto, stimato per il 1998 in poco
più di 1.700 miliardi. In termini estremamente sintetici, si
può affermare che, a sfavore dell'imposta sulle successioni e
sulle donazioni militano, in primo luogo ragioni di carattere
generale, che attengono alla necessità che i singoli tributi
siano ispirati ai principi fondamentali che dovrebbero
conformare il sistema fiscale, quali l'equità del prelievo e
l'esistenza di una apprezzabile giustificazione economica,
oltre che ragioni di carattere eminentemente tecnico.
Sotto il primo profilo, va rilevato come qualunque forma
di imposizione fiscale che preveda aliquote troppo elevate
induca inevitabilmente i suoi destinatari ad attivarsi per
individuare le modalità e gli artifici idonei a consentirne
l'elusione. Costituisce infatti un dato comunemente condiviso
la constatazione che un'incidenza tributaria superiore alla
soglia ritenuta accettabile condiziona negativamente
l'iniziativa economica, penalizza lo spirito imprenditoriale e
favorisce la diffusione dei fenomeni dell'evasione e
dell'elusione. In effetti, sia pure soltanto da pochi anni, il
dibattito politico sembra aver colto i diffusi e crescenti
segni di disaffezione da parte dei contribuenti nei confronti
di un fisco avido ed ingiusto e la domanda di una riduzione
del carico fiscale è finalmente entrata negli obiettivi di
politica economica da perseguire in via prioritaria.
Nel caso specifico dell'imposta sulle successioni e sulle
donazioni, appare evidente che aliquote, quali sono quelle
indicate nel decreto legislativo n. 346 del 1990, che arrivano
fino al 50 per cento del valore dell'eredità, rappresentano
più che un prelievo tributario una vera e propria
espropriazione. L'incidenza della tassazione sulle successioni
e donazioni appare particolarmente ingiusta nel caso in cui
gli eredi siano figli o coniuge del defunto; per tali
soggetti, le aliquote previste nel citato decreto legislativo,
variabili a seconda del valore dell'asse ereditario, partono
da un minimo del 3 per cento ad un massimo del 27 per cento.
Si tratta, comunque, di misure eccessive, di cui non si
comprende la giustificazione. In sostanza, mediante l'imposta
sulle successioni, lo Stato interferisce pesantemente in un
rapporto, qual è quello tra genitori e figli ovvero tra
coniugi, che meriterebbe invece la massima tutela, anche sotto
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il profilo patrimoniale. Paradossalmente, anziché preservare
la continuità del patrimonio formatosi all'interno del nucleo
familiare, l'ordinamento tributario vigente impone un
onerosissimo sacrificio, che decurta pesantemente l'integrità
dell'asse ereditario. Inoltre, la tassazione penalizza i
soggetti che, assumendo comportamenti improntati ad oculatezza
e cautela, preferiscono destinare all'accumulazione e al
risparmio parte delle risorse a loro disposizione, allo scopo
di garantire condizioni di sicurezza economica ai propri figli
e al coniuge superstite, piuttosto che caratterizzarsi per
un'alta propensione al consumo. Ciò appare tanto più grave
quando oggetto della successione a favore dei figli siano
aziende; molto spesso, infatti, l'adempimento
dell'obbligazione connessa al pagamento dell'imposta costringe
ad effettuare consistenti esborsi, che determinano un
impoverimento dell'azienda stessa.
Occorre considerare che il trasferimento di un'eredità non
ha, in sostanza, un valore meramente economico, ma costituisce
uno dei momenti più significativi attraverso i quali si
manifesta la continuità dei legami, in primo luogo di natura
affettiva, esistenti all'interno del nucleo familiare. Con la
successione si trasferisce non soltanto un complesso di beni e
diritti, ma anche e soprattutto il frutto di attività svolte e
di sacrifici sopportati a beneficio dei propri eredi. In una
corretta logica economica, peraltro, la tassazione dei
trasferimenti a titolo gratuito, quando non si riferisca ad
atti posti in esseri per finalità elusive, non trova
giustificazione, non potendosi ritenere che il solo
trasferimento sia tale da fare emergere materia impositiva.
Infatti, la tassazione dei singoli cespiti che costituiscono
l'asse ereditario non subisce soluzione di continuità,
determinandosi soltanto una modificazione del soggetto
d'imposta che non è più il de cuius ma l'erede. Inoltre,
i singoli beni che compongono l'attivo ereditario sono già
soggetti a specifica imposizione; ciò vale in particolare per
i beni immobili, per i quali si determina una amplificazione
del fenomeno della cosiddetta doppia imposizione. Se ne deduce
che l'imposta sulle successioni, nel caso in cui gli eredi
siano i figli del de cuius, si giustifica esclusivamente
in base ad un pregiudizio ideologico per cui tutto ciò che
comporta un incremento delle capacità reddituali, o meglio un
arricchimento, tanto più quando non tragga origine da un
sacrificio direttamente sopportato dal soggetto interessato,
debba essere penalizzato. Né si può affermare, alla luce dei
dati relativi al gettito derivante da tale imposta, che la
stessa si giustifichi per il fatto di garantire un flusso di
entrate consistenti all'Erario. A quest'ultimo proposito, da
più parti si è ironizzato sul fatto che in Italia morirebbero
esclusivamente i poveri o quanto meno gli sprovveduti, visto
che i più previdenti provvederebbero per tempo a sistemare la
propria successione a favore degli eredi in termini tali da
ridurre l'onerosità del carico fiscale. Ciò avverrebbe in
primo luogo mediante l'occultamento di quella parte di
patrimonio che, non essendo soggetta a registrazione, sfugge a
controlli puntuali da parte degli uffici. Un secondo e forse
più significativo strumento utilizzato per sottrarsi
all'obbligo tributario è costituito dal ricorso ad atti di
liberalità, quali la cointestazione dei conti bancari ovvero
l'effettuazione di compravendite già a nome dei figli con
denaro dei genitori. Le proposte emendative che si
sottopongono alla vostra attenzione sono appunto finalizzate
ad apportare alcuni correttivi alla vigente disciplina
tributaria in materia di successioni, dirette a favorire gli
eredi che siano figli o coniuge del defunto e comunque parenti
in linea retta. Esse si propongono, quindi, un obiettivo
limitato, che certamente non esaurisce le diverse
problematiche che si pongono con riferimento all'esigenza di
intervenire in maniera organica e compiuta sull'intera materia
del trattamento fiscale delle successioni. Sotto questo
profilo sono pienamente consapevole della necessità di
affrontare in termini più ampi la materia; ciononostante, si è
ritenuto opportuno adottare una iniziativa che promuovesse
l'avvio di un dibattito, che si auspica sarà approfondito,
segnalando quello che sembra essere il più evidente e
inaccettabile difetto della normativa vigente, vale a dire la
tassazione delle successioni nei confronti dei figli e del
coniuge. Allo stesso tempo, in forza della previsione della
esclusione dalla tassazione delle successioni a favore dei
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figli e del coniuge, alle stesse si applicherebbero le
disposizioni di cui al comma 2 dell'articolo 1 e del comma 3
dell'articolo 10 del testo unico approvato con decreto
legislativo n. 347 del 1990, per cui le relative formalità,
essendo incluse tra quelle concernenti i trasferimenti di cui
all'articolo 3 del testo unico approvato con decreto
legislativo n. 346 del 1990, non sarebbero soggette alle
imposte ipotecaria e catastale. Peraltro, stante l'esigenza di
assicurare comunque la pubblicità dei medesimi trasferimenti,
nei casi in cui gli stessi comprendano beni immobili, in base
alle proposte emendative presentate, ad essi si applicherebbe
l'imposta ipotecaria nella misura fissa di 250 mila lire.
Infine, per quanto concerne l'imposta di registro, nelle
donazioni si prospetta la tassazione nella misura di 500 mila
lire.
Antonio PEPE, relatore di minoranza.
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