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Onorevoli Colleghi! - Le esposizioni internazionali
nacquero nel secolo scorso come momento di incontro di persone
e Paesi ed occasione di propaganda per il rispettivo progresso
nel settore tecnologico. Erano figlie della cultura
illuministica e della concezione teleologica della storia,
dominante nella cultura dell'epoca, finalizzata al progresso
materiale. Svolsero, sul piano internazionale, una delle
funzioni fino allora prerogativa delle grandi fiere di città:
quella di far conoscere al pubblico più ampio possibile ciò
che vi era di nuovo.
In realtà, le esposizioni universali, a differenza delle
fiere, erano prive (e lo sono tuttora) del momento commerciale
e servivano soprattutto come occasione dì politica estera di
potenza attraverso l'esaltazione dei risultati ottenuti. Le
difficoltà di spostamento per le grandi masse, l'impossibilità
di avere contatti attraverso immagini, l'estrema disparità nel
mondo di allora di stili e livelli di vita facevano di queste
esposizioni internazionali un luogo unico per la comunicazione
di grande portata e per verificare l'umano "stato
dell'arte".
Man mano che è venuto aumentando il numero dì persone in
viaggio che gli spostamenti sono diventati sempre più veloci,
che la radio, la televisione, i computers, ed infine Internet,
hanno facilitato gli scambi di conoscenze e di informazioni,
la necessità di una esposizione internazionale per presentare
la propria immagine di Paese e le proprie creazioni o
innovazioni comincia ad affievolirsi. Anche le fiere di
settore, oramai sempre più numerose e specializzate,
contribuiscono a diminuire l'interesse al la partecipazione al
l'Expo per la maggior parte dei soggetti economici più
importanti.
Lo stesso Commissario nominato, ad una domanda durante
un'audizione informale in Commissione, a proposito del
possibile parziale rientro delle spese attraverso il pagamento
della partecipazione di grandi gruppi italiani al padiglione,
ha dichiarato che Fiat, Eni, Enel, eccetera, hanno dimostrato
ristrettezze di budget e, implicitamente, uno scarso
interesse.
E' chiaro che la mancata partecipazione di imprese che
meglio e più diffusamente nel mondo rappresentano l'immagine
del nostro Paese è sintomo evidente di quanta poca
considerazione abbia l'Expo anche presso le realtà industriali
che contano.
D'altra parte, lo stesso Commissario nominato, in una
relazione fatta pervenire alla Commissione, dopo una prima
riduzione, da parte del Senato, dello stanziamento previsto da
45 miliardi a 37, dichiara che scopo della partecipazione
dell'Italia all'Expo sarebbe: "... presentare i momenti
salienti in cui la ricerca e la cultura dell'Italia si sono
poste come punto di riferimento per la cultura mondiale...
l'impianto espositivo sarà, in conseguenza, una sintesi
dialettica tra elementi del passato, del presente e del
futuro, ricompresi in una chiave unitaria, quella di un
organico progetto culturale.
Il riferimento sarà alla tradizione del Rinascimento
italiano..."
Cose ed obbiettivi che, salvo smentita, sarebbero
istituzionalmente in carico ai numerosi Istituti italiani di
cultura disseminati per il mondo.
Purtroppo, per ottenere questi obbiettivi, gli Istituti di
cultura hanno un budget operativo di circa 20 miliardi, per
tutte le sedi, in tutto il mondo.
Ora, con questo provvedimento, il Governo propone di
spendere ben 37 miliardi per una manifestazione che durerà
solo 5 mesi in un solo punto del mondo, tra l'altro a noi
vicino e membro della "nostra" Unione Europea. Lo stesso
Commissario nominato prevede un numero di visitatori che,
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nella più ottimistica delle previsioni, non sarà superiore ai
3 milioni. Quanti di questi 3 milioni saranno cittadini
extraeuropei? Quanti di costoro vedranno ad Hannover, per la
prima volta, l'immagine odierna dell'Italia? O quanti invece,
pur visitando il padiglione, in mezzo a quello, almeno
altrettanto imponente, di altri Paesi, non si troveranno di
fronte un'Italia già ampiamente conosciuta?
In altre parole, se vogliamo essere franchi, la funzione
di promozione dell'immagine durante questa Esposizione potrà,
al massimo, toccare 2/300.000 persone. Ciò significa un "costo
per contatto" di lire 185/123.000.
Queste cifre parlano da sole.
Per questo motivo proponiamo una cifra di spesa che non
sia superiore ai 20 miliardi, arrivando così, almeno, a
dimezzare il danno.
Ma, se tutto si limitasse ad una sciagurata ed improvvida
scelta di spesa del Ministro Dini, non vorremmo essere noi ad
infierire, ben sapendo come il Ministro Dini stesso già in
altre occasioni subisca, ai danni del suo bilancio, voci di
spesa tutt'altro che ben motivate (vedi ad esempio l'Istituto
Agronomico d'Oltremare - 5 miliardi).
Purtroppo l'assurdità del disegno di legge governativo non
si limita a quanto sopra. Arriva bensì anche al metodo. Siamo
infatti di fronte a avvenimenti e procedure particolarmente
strani che hanno già spinto qualcuno a ventilare l'ipotesi di
un tentativo di raggiro ai danni del bilancio dello Stato.
La nomina del Commissario, infatti, avveniva nel novembre
1997 e contemporaneamente alla nomina dello stesso Commissario
per l'Expo di Lisbona. E' possibile che da allora il Governo e
le strutture ministeriali non abbiano avuto il tempo di far
pervenire al Parlamento il disegno di legge relativo alla
partecipazione italiana ad Hannover? Tale disegno di legge è
arrivato alla Camera solo nel maggio di quest'anno, e già
ammantato da una "necessità d'urgenza" che spingeva il Governo
a richiedere di "... derogare alle vigenti disposizioni di
contabilità generale dello Stato in materia di contratti"
(articolo 2, comma 3).
Ciò significa che un Commissario nominato, al di fuori e,
sotto certi aspetti, contro la volontà del Parlamento, potrà
gestire, a proprio insindacabile giudizio, la cifra di ben 37
miliardi di lire, assegnando, senza gare, senza confronti,
progettazioni, appalti, acquisti, consulenze e quant'altro.
Per questo motivo, ben strano, se si tiene conto dell'anno
e mezzo intercorso senza informare il Parlamento, il
legislatore si trova oggi di fronte ad una sorta di fatto
compiuto.
Che fare?
Il testo alternativo presentato all'Aula dal relatore di
minoranza cerca di ridurre al minimo il danno.
Ma delle due l'una: o il Governo e la struttura
ministeriale hanno affrontato il tema in modo superficiale ed
inadeguato, o, e non vorremmo pensarlo, ci si trova di fronte
a ciò che qualche giornale potrebbe definire come "un già
conosciuto atto di clientelismo e di saccheggio ai danni dello
Stato".
Noi amministriamo i soldi dei cittadini italiani e
dobbiamo farlo con "la diligenza del buon padre di famiglia".
Ad ogni parlamentare la propria responsabilità.
RIVOLTA, Relatore di minoranza
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