| Onorevoli Colleghi! - A distanza di più di venti anni
dall'entrata in vigore della legge n. 180 del 1978, superata
poi dalla normativa complessiva di istituzione del Servizio
sanitario nazionale, è giunto il momento di rivederne alcuni
aspetti. Tale legge, nata sotto la spinta del movimento
basagliano di critica alla istituzione psichiatrica, pressata
dalla minaccia di un referendum abrogativo della vecchia
norma contenuta nella legge 14 febbraio 1904, n. 36, è
diventata sintomatica di un periodo della storia italiana e
per questo sembra essere intoccabile ed immodificabile.
Periodo, quello, caratterizzato dalle facili ideologizzazioni
e verbalizzazioni rivoluzionarie per le quali il dubbio
scientifico, la ricerca, lo studio e la riflessione critica
non hanno avuto spazio essendo soffocate da slogan di
grande risonanza demagogica.
Il "problema psichiatria", in tale contesto culturale, è
stato ridotto e semplificato a mero problema di oppressione,
di repressione e di violenza istituzionale, ed il manicomio è
stato additato come l'unico colpevole della non guarigione e
della emarginazione sociale degli psicotici.
Fermo restando che nessuno può pensare di tornare alla
vecchia logica manicomiale che vedeva l'ospedale psichiatrico
al centro e quale unico strumento dell'assistenza al malato di
mente, è comunque necessario avviare una revisione critica
della legge affrontando, quanto meno, alcuni aspetti
normativi.
Un problema della legge vigente che ha suscitato
perplessità e critiche è quello relativo alla condizione
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accertata di "alterazione psichica" per poter effettuare il
trattamento sanitario obbligatorio del malato di mente. Questa
locuzione, usata dal legislatore, senza chiarirne il senso, ha
lasciato adito ad ambigue interpretazioni. E' naturale,
infatti, chiedersi che cosa si debba intendere per
"alterazione psichica" soprattutto quando lo stesso
legislatore, nella relazione al disegno di legge, ebbe a dare
una spiegazione assolutamente inefficace: "Per poter
ricoverare un malato di mente, questi deve presentare gravi
alterazioni psichiche e debbono esistere condizioni e
circostanze tali da rendere impossibile l'adozione di idonee
misure sanitarie di altra natura".
La preoccupazione, nata in contrasto ideologico alla
citata legge n. 36 del 1904, di non menzionare la
"pericolosità" quale condizione per effettuare il trattamento
sanitario obbligatorio (TSO), ha finito per creare,
soprattutto sul piano pratico, non pochi disagi per gli
operatori e per gli assistiti. Soprattutto negli episodi acuti
(psicosi dissociativa acuta, espansività maniacale, confusione
mentale, depressioni gravi, eccetera) il fenomeno della
pericolosità con etero ed autoaggressività compare con
frequenza non irrilevante e continua, quindi, ad esistere
nonostante sia sottaciuto dalle legge. Tra l'altro, le
modalità del ricovero appaiono estremamente complicate,
eccessivamente burocratizzate e tali da rendere inefficace la
immediatezza dell'atto sanitario. La istituzione di un pronto
soccorso psichiatrico operante a tempo pieno nell'ambito del
dipartimento di salute mentale, previsto dal
progetto-obiettivo "tutela della salute mentale 1994-1996"
approvato con decreto del Presidente della Repubblica 7 aprile
1994, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 93 del 22
aprile 1994, può finalmente garantire interventi efficaci per
i trattamenti urgenti. Anche i meccanismi di convalida e di
proposta del TSO devono essere semplificati assegnando tali
compiti ai medici ed al giudice tutelare, riportando il
ricovero ad un atto sanitario, pur tutelato da necessarie
garanzie.
L'ottica del ricovero a breve termine, scaturito dalla
norma che prevede un TSO della durata di sette giorni, ha
fatto troppo spesso ritenere erroneamente che tutte le
situazioni riscontrabili nella patologia psichiatrica possono
risolversi tra i sette ed i quindici giorni.
Per questi motivi la presente proposta di legge, oltre a
definire le condizioni per effettuare il TSO, semplifica i
meccanismi delle procedure lasciando alla valutazione clinica
la determinazione dei tempi di trattamento.
Infine, una delle più serie conseguenze che la legge
vigente ha determinato, è quella relativa al trattamento dei
malati di mente cronici. La cronicità nell'ambito della
patologia mentale non è solo frutto, così come asseriva il
movimento basagliano negli anni '70, della
istituzionalizzazione manicomiale. Esiste, purtroppo, una
nuova cronicità di pazienti che, non hanno mai conosciuto il
manicomio e che, al di fuori di brevi e magari ripetuti
periodi di ricovero nell'ambito dei servizi ospedalieri di
diagnosi e cura, non ricevono alcun tipo di trattamento e di
assistenza adeguati alla loro malattia. Infatti, il malato
mentale cronico difficilmente accetta di sottoporsi ad un
trattamento volontario di tipo riabilitativo, non essendo
consapevole del proprio stato di malattia e così finisce per
essere abbandonato al proprio destino.
Questo è il motivo per il quale la presente proposta di
legge prevede il TSO anche in ambienti di lunga degenza quali
possono essere le strutture residenziali e
semiresidenziali.
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