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Onorevoli Colleghi! - L'esigenza di una riforma globale
degli ordinamenti scolastici è avvertita dall'intero mondo
scolastico, giustamente sensibile alla necessità di fornire
alle giovani generazioni gli strumenti indispensabili di
conoscenza e di maturazione per il pieno e consapevole
inserimento nella società moderna.
Riforma globale però non è detto che debba significare
abbattimento dell'intera architettura dell'attuale sistema né
cancellazione di colpo di ogni varietà di formazione e di
preparazione per sacrificare, in nome di un assurdo
egualitarismo, le attitudini, le capacità, i progetti delle
nuove generazioni.
Non si può, quindi, iniziare a parlare di riforma senza
una attenta valutazione dei punti deboli del nostro sistema
scolastico e senza verificare che nuovo tipo di scuola serva
alla nostra società.
Pochi e mal distribuiti territorialmente risultano i
diplomati rispetto agli altri Pesi europei, pochissimi
laureati (solo 3 iscritti all'Università su 10 arrivano alla
laurea), elevati tassi di dispersione (oltre il 30 per cento
della popolazione abbandona il percorso scolastico,
soprattutto tra i 14 ed i 16 anni), debolezza della attuale
scuola di base (il 46 per cento dei ragazzi ne esce con appena
il giudizio finale di "sufficiente"), mancanza di rapporto tra
scuola e mondo del lavoro, mancato adeguamento dei programmi
didattici, eccessivo numero di sperimentazioni, formazione non
sempre adeguata della classe docente e dei capi d'istituto,
assenza di un adeguato sistema nazionale di valutazione utile
a supportare e verificare la bontà delle innovazioni apportate
nel nostro sistema scolastico.
Troppi i ritardi accumulati, troppi e discontinui i
provvedimenti innovativi assunti negli ultimi anni, spesso per
semplice volontà di "protagonismo".
Nelle altre Nazioni europee ci si è resi conto del valore
strategico dell'istruzione e della formazione nella società
contemporanea e quindi della necessità di investire fortemente
in esse; analogamente non è avvenuto in Italia.
Ritengo utile ribadire le finalità che Alleanza Nazionale
affida all'istituzione scuola, rappresentando questa una delle
fondamentali categorie morali, ove la cultura si fa educazione
e da entità astratta si trasforma in strumento di civiltà e di
libertà.
Per noi la scuola è la struttura portante della società
nazionale e pertanto essa, nei contenuti e nelle strutture,
deve risultare funzionale ad un disegno politico che si deve
concretamente realizzare attraverso una istituzione educativa
che stimoli e favorisca la partecipazione di tutte le
componenti, in maniera organica, secondo la natura dei valori,
delle dignità e delle funzioni che volitivamente affermano i
meriti e l'intelligenza. La scuola è la struttura principale
alla quale affidare il compito di formare cittadini liberi,
coscienti e consapevoli che la libertà è garanzia di una
società autenticamente libera.
Per questo ci opponiamo alla "faciloneria", al
"pressappochismo", alla arbitrarietà che sono divenuti
l'espressione più congeniale del "fare scuola", mentre i
giovani, proprio nella scuola, devono apprendere il senso
della fatica e del sacrificio, l'amore per la libertà, senza i
quali non si realizza alcuna formazione umana, né è dato poi
di svolgere coscientemente e attivamente il proprio ruolo
nella società, che dobbiamo ormai vedere come inserita e
proiettata nell'ambito europeo.
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La riforma della scuola rappresenta il grande
appuntamento, finora mancato, della nostra politica
scolastica. Oggi la riforma non è più rinviabile, pena
l'approfondirsi del distacco del nostro Paese rispetto agli
altri Paesi europei, l'accentuarsi sempre più preoccupante
della separazione tra scuola e società.
Ma oggi, nel trattare la parte principale della riforma
scolastica, quella del riordino dei cicli, ci sentiamo
vincolati non solo e non tanto perché, quale forza di
opposizione abbiamo trovato le porte sbarrate di fronte a
qualsiasi volontà propositiva e migliorativa, bensì dalle
norme che, nel frattempo, sono state poste in essere nel
nostro sistema di istruzione e di formazione.
Ci occupiamo tanto, ed è pur giusto, della situazione
economica, del futuro delle nostre attività produttive, della
disoccupazione crescente, ma ritengo, dovremmo anche occuparci
con maggiori consapevolezza e determinazione del sapere che
sta alla base del processo di sviluppo di una società. Il tema
dovrebbe essere trattato con la stessa importanza delle
riforme istituzionali. Ne va dell'avvenire dei nostri giovani
e dell'intero Paese.
In Italia si assiste con preoccupazione ad un graduale
sgretolamento delle identità e ad un inaridimento di quelle
radici senza le quali una società è destinata a mutamenti
dolorosi e profondi e proprio la scuola rappresenta
l'istituzione che dovrebbe in qualche modo salvaguardare
questa identità contenendo talune perverse ed irreversibili
demolizioni.
Ed allora perché non trovare il coraggio di predisporre un
riordino dei cicli scolastici che contenga anche i punti
pedagogici, che non rappresenti semplicemente un documento
numerico e soprattutto che non sia la solita "delega" al
Ministro della pubblica istruzione, a dimostrazione che questo
Parlamento non è in grado di operare delle scelte.
Frantumazioni delle identità, quindi, tempi di grandi
mutamenti, di bombardamenti di messaggi contraddittori, di
sollecitazioni che chi ha maggiore potere riesce a propugnarci
attraverso i media; in questo caos noi legislatori dovremmo
capire che solo l'educazione, l'istruzione e la formazione
potrebbero orientare i nostri giovani verso la
riorganizzazione del mondo che li circonda. Ma educazione,
istruzione e formazione non possono essere sottomesse ad
esigenze o logiche di gruppi, di religione, d'azienda o di
partito. Non possono limitarsi a farci sognare scopi
professionalizzanti chiaramente aleatori, non possono e non
devono trascinare tutto e tutti in riforme che non tengono in
alcuna considerazione i grandi temi esistenziali.
Serve una scuola esigente, piena di contenuti culturali, a
forte profilo educativo, aperta al sociale, in permanente
dialogo con i centri di elaborazione della cultura e con i
nuclei vivi della produzione e del lavoro. Una scuola attenta
alle vicende della vita e capace essa stessa di farsi
espressione di vita democratica e di civile partecipazione.
Non bisogna costruire una scuola che renda tutti eguali ad
ogni costo; occorre formare, istruire, preparare, nella
diversità, i giovani alla vita, al lavoro, ad affrontare la
sfida del sapere, puntando sulla qualità dell'istruzione e
della formazione respingendo l'appiattimento e l'egualitarismo
innaturale.
La riforma della scuola deve aderire alle esigenze di una
società e di una cultura mutate e di soggetti in formazione
sottoposti a stimoli nuovi e diversi.
Credo sia impensabile non immaginare una scuola coniugata
ai valori o una scuola che non sappia portare con sé ogni
tentativo di miglioramento della società.
La riforma dei cicli non solo è la parte più importante
dell'intera riforma scolastica, ma lo è dopo quella di
Giovanni Gentile e ridisegnerà completamente il volto
dell'istruzione nel nostro Paese.
Il documento introduttivo dei lavori della conferenza dei
Ministri dell'istruzione degli Stati membri dell'Unione
Europea, svoltasi circa due anni fa a Varsavia, fa riferimento
ad un progetto strategico di istruzione che possa costruire
l'Europa del XXI secolo. Tale progetto strategico è basato
essenzialmente sull'assunzione coraggiosa e determinata della
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posta in gioco costituita dalla nuova conoscenza che elegge
l'istruzione, la formazione, la ricerca, la cultura e
l'innovazione quali fondamenti dinamici.
L'istruzione diventa, quindi, parte attiva nella
formazione personale e sociale dei cittadini e nella
realizzazione della integrazione europea.
Serve poi una scuola che cambi sì con lo spirito
dell'autonomia, ma che abbia, contemporaneamente la capacità
di coinvolgere tutti i soggetti che la compongono. Nessuno può
immaginare di riformare un sistema scolastico senza pensare al
coinvolgimento delle competenze.
Eppure la proposta che oggi siamo chiamati a discutere
appare produttrice di un ulteriore grande numero di docenti
soprannumerari, ai quali non potranno che essere affidate
funzioni di sostegno, di orientamento, di tutoraggio, di
arricchimento del progetto formativo in genere; per cui si
finirà col far diventare il nuovo sistema scolastico un grande
contenitore nel quale sistemare figure create certo per
necessità di sopravvivenza di ruoli e che finirà con
l'abbattimento di quell'immagine sostanzialmente e
qualitativamente alta del nostro sistema educativo.
Alleanza Nazionale, consapevole di tutto quanto sopra
esposto, intendeva contribuire al varo di una nuova legge sul
riordino dei cicli scolastici. Paradossalmente l'intero
Parlamento è stato bloccato una prima volta, perché chiamato
allo stralcio sull'innalzamento dell'obbligo di istruzione e
che ha portato ad una legge estremamente criticabile così come
definita, ma che è diventata lesiva rispetto a delle libertà
che avrebbero dovuto determinare l'intero riordino dei
cicli.
Ciononostante avevamo poi ritenuto, anche di accettare la
griglia di lavoro proposta dal relatore, onorevole Soave,
pensando che la stessa potesse essere solo una base di
discussione. Non avremmo mai immaginato che quella griglia,
frutto di mera logica ingegneristica, dovesse diventare il
testo unificato sul quale oggi stiamo discutendo. Ci siamo
immediatamente accorti che il testo risultava privo di
qualsiasi respiro pedagogico e culturale. Sempre in
commissione abbiamo posto tutto l'impegno possibile per
migliorarlo; purtroppo le nostre buone intenzioni sono state
colte come demagogiche e strumentali, probabilmente solo
perché targate Alleanza Nazionale.
Il testo unificato potrà anche essere riuscito a mantenere
integra la attuale maggioranza politica governativa ma non
potrà certamente contribuire alla crescita culturale del
nostro Paese e soprattutto non potrà assicurare la creazione
di una scuola competitiva a livello europeo e garante del
futuro dei nostri giovani.
Il testo è vuoto (troppo semplicistico definirlo snello!),
privo di contenuti e riferimenti pedagogici; appare come un
semplice documento nel quale vengono definite:
una scuola dell'infanzia della durata di tre anni;
una scuola primaria della durata di tre anni;
una scuola secondaria della durata di cinque anni;
la durata dell'obbligo scolastico con la diminuzione di
un anno rispetto al percorso d'istruzione in vigore.
Tutto il resto potrà essere colmato dalla fantasia di
ciascuno e soprattutto da quella del Ministro della pubblica
istruzione.
Non si parla di saperi, di obiettivi, di filosofia
generale, di organizzazione, di collegamento con i
provvedimenti innovativi già posti in essere, di formazione
degli adulti, di docenti, di strutture e di quant'altro possa
far definire il testo una vera proposta di legge.
Il testo sembra far apparire l'assoluta mancanza di
un'idea scuola; non è definito il suo impianto educativo, ma
solo quello quantitativo; troppi risultano essere i margini
lasciati all'indeterminatezza.
L'intero impianto progettuale del periodo dell'obbligo
alimenta l'idea di una grande indecisione nel disegnare questo
tratto del sistema scolastico; appare chiaro come la durata
dell'obbligo, e quindi la legge esistente, sia stata decisa
prima della designazione dell'impianto complessivo.
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La scuola primaria finirà col divenire una vecchia
immagine dei cicli precedenti: non sono stabilite le
competenze di base e la sistemazione degli attuali moduli
didattici. Senza l'indicazione dei "paletti" sui quali dovrà
essere impostato il nuovo percorso, si finirà anche col far
sentire gli insegnanti o "elementarizzati" oppure promossi per
una scuola che non conoscono.
E poi il testo unificato finisce col riformare quelle
scuole che in un modo o nell'altro hanno già avuto processi di
riforma, la cui verifica è tuttora in atto.
La riforma della scuola secondaria si è mostrata essere
nel nostro Paese un'impresa ad alto rischio. Tuttavia è
proprio qui che occorrerebbe esercitare le migliori doti
progettuali di chi oggi ha in mano il governo della cosa
pubblica.
Per anni la nostra scuola secondaria è stata improntata
all'insegna delle sperimentazioni e qualcuna ha avuto anche
esiti positivi. Perché non trovare il coraggio di considerare
le positività esistenti, perché lasciare nell'assoluta
indeterminazione la ripartizione delle aree in indirizzi!
Il testo unificato, inoltre, insiste sulla flessibilità,
sull'articolazione modulare dei vari cicli, sulla possibilità
dei ragazzi di transitare fra i diversi ambiti formativi. Ma
il cambio di indirizzo, se pur prevedibile, dovrebbe essere
considerato eccezione e non norma. Considerarlo con tale
frequenza richiederà automaticamente una impostazione dei
programmi all'insegna della superficialità.
Lo stesso Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione ha
evidenziato coma la flessibilità dei moduli tolga spazio
eccessivo alla possibilità di acquisire una solida formazione
culturale generale; ciò potrebbe comportare un abbassamento di
livelli formativi, pregiudicando il principale obiettivo
strategico della nuova scuola riformata.
Il settore della formazione professionale deve colmare un
vuoto che è probabilmente l'aspetto che più ci differenzia
dalla realtà e dall'esperienza degli altri Paesi europei, ed è
destinato a svolgere nei prossimi anni un ruolo strategico,
nella integrazione con il sistema dell'istruzione.
La formazione professionale è senza dubbio la seconda
gamba di un moderno sistema educativo, ma non la si può non
coniugare con la formazione culturale. Non si può creare una
scuola che faccia un individuo solo funzionale al mondo del
lavoro, non si possono abbattere le conoscenze per creare un
processo educativo anonimo che non tenga conto della complessa
personalità dello studente. La riduzione dei contenuti, senza
peraltro indicare i nuclei fondanti sostitutivi, finisce con
il parcellizzare la formazione e non favorire la libertà
dell'individuo.
Ed infine non si può parlare di riforma innovativa del
sistema senza tenere conto delle esigenze del pluralismo
istituzionale quale conseguenza del rispetto dovuto al
pluralismo culturale esistente nel nostro Paese.
Chiamare il Paese ad uno sforzo di condivisione e di
cooperazione attorno ad una difficile revisione globale del
sistema scolastico e formativo implica l'appello a valori
comuni di natura morale. E' assolutamente negativo non
prenderne consapevolezza e non esplicitare la filosofia
dell'educazione su cui poggia il progetto di riforma.
Il risanamento della società italiana ed europea passa
anche attraverso la difesa del ruolo della scuola,
l'importanza della formazione, il patrimonio di libertà, di
valori e di cultura che fanno della nostra nazione un Paese
civile.
Angela NAPOLI, Relatore di minoranza.
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