| DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA MISURA
CAUTELARE DELLA CUSTODIA IN CARCERE, ALLA UTILIZZAZIONE DI
CONVERSAZIONI TELEFONICHEINTERCETTATE NONCHE' ALLA
ACQUISIZIONE ED ALLA UTILIZZAZIONE DI DATI DEL TRAFFICO
TELEFONICO
nei confronti del deputato
GIUDICE
nell'ambito del procedimento penale n. 1232/96/D.D.A. per
il reato di cui agli articoli 81, capoverso, 416, comma
secondo, e 416- bis, commi primo e terzo, del codice
penale (associazione per delinquere e associazione di tipo
mafioso, continuate e aggravate); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 216 e 237 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7
della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta,
aggravata); per il reato di cui agli articoli 81, capoverso, e
648- bis del codice penale, e 7 della legge 12 luglio
1991, n. 293, di conversione del decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152 (riciclaggio, aggravato); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 81, capoverso, dello stesso codice, 2621 del codice
civile e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione
del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (false comunicazioni
sociali, aggravate); per concorso - ai sensi dell'articolo 110
del codice penale - nel reato di cui agli articoli 216 e 223
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7 della legge 12
luglio 1991, n. 203, di conversione del decreto-legge 13
maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta, aggravata); per
il reato di cui agli articoli 629, commi primo e secondo, del
codice penale e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di
conversione del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152
(estorsione, aggravata).
TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
il 9 giugno 1998
Pag.2
All'onorevole Presidente
della Camera dei Deputati
Roma
Palermo, 9 giugno 1998.
Oggetto: Richiesta di autorizzazione a norma dell'articolo 68
della Costituzione nei confronti dell'onorevole Gaspare
Giudice.
Trasmetto le allegate richieste di autorizzazione a norma
dell'articolo 68 della Costituzione, e copia degli atti
relativi, tutte concernenti l'onorevole Gaspare GIUDICE, per
le determinazioni di competenza.
Il Procuratore
Il Sost. Proc. Generale
della Repubblica
Dr. Carlo Licari
Palermo, 8 giugno 1998
Al Sig. PROCURATORE GENERALE
della REPUBBLICA
presso la CORTE di APPELLO
SEDE
Oggetto: Richiesta di autorizzazione a norma dell'articolo 68
della Costituzione nei confronti dell'onorevole Gaspare
Giudice.
Si trasmettono le allegate richieste di autorizzazione
all'esecuzione della misura cautelare della custodia in
carcere e di autorizzazione alla utilizzazione di
conversazioni telefoniche intercettate ed alla acquisizione ed
alla utilizzazione di dati del traffico telefonico - corredate
da copia degli atti del procedimento n. 1232/96/D.D.A.
nell'ambito del quale è anche indagato l'onorevole Gaspare
GIUDICE - per l'inoltro al Sig. Presidente della Camera dei
deputati per i provvedimenti di competenza.
I sostituti procuratori:
Gaspare Sturzo
C. Gaetano Paci
I procuratori
della Repubblica agg.
Luigi Croce
Guido Lo Forte
Pag.3
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA
Procedimento penale n. 1232/96
RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA ORDINANZA DI
CUSTODIA CAUTELARE EMESSA DAL G.I.P. NEI CONFRONTI DELL'ON.
GASPARE GIUDICE
All'onorevole PRESIDENTE della CAMERA dei DEPUTATI
ROMA
IL PUBBLICO MINISTERO
Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a
carico dei seguenti indagati:
1) PANZECA Giuseppe di Gioacchino e di DI GESU' Rosa
Maria, nato a Caccamo (Pa) il 18.11.1956, residente a Palermo
in via Isidoro La Lumia n.11, coniugato;
2) GIUDICE Gaspare, di Giovanni e di DI MARTINO Maria
Teresa, nato a Canicattì il 04.03.1943, residente a Palermo
via Croce Rossa 28;
3) CIACCIO Giorgio, nato a Caccamo il 30 gennaio 1950,
residente in Palermo via Del Fante n.56/a;
4) BAZAN Gaspare, nato a Palermo, il 28.06.1947 ed ivi
domiciliato via A. De Gasperi n. 181;
5) LO BUE Dario, nato a Palermo il 02.07.1951;
6) MANDALA' Antonino, di Nicolò e di GANDOLFO Angela,
nato a Villabate il 25.03.1939, ivi residente Via E. Amari
n.4, P.VI.
7) DOLCE Giovanni Francesco, nato a Polizzi Generosa il
08.03.1947, residente in Palermo via G. Ventura 5;
8) DOLCE Sebastiano, nato a Polizzi Generosa il
24.11.1955, residente in Palermo via G. Ventura 15;
9) SAVOJARDO Maurizio, nato a Caccamo il 27.05.1953,
ivi residente corso Umberto I n. 49;
10) CIACCIO Nicolò, nato a Caccamo il 30.11.1943, ivi
residente via Roma 135;
11) STANFA Rosalia, nata a Caccamo il 29 luglio 1952,
ivi residente in via Liccio, n.3;
Pag.4
12) BATTAGLIA Salvatore, nato a Caccamo (PA) il
19.04.1956;
13) CATANESE Salvatore, di Vincenzo e di ALONGI
Domenica, nato a Caccamo il 15.06.1936, ivi residente Via Del
Carmine n.44;
14) LO BELLO Leonardo, fu Agostino e fu LO PRESTI
Giuseppa, nato a Termini Imerese il 29.05.1935, ivi residente
in Via Milano n.4;
15) PARRINELLA Cosimo, fu Salvatore e fu OLIVIERI
Grazia, nato a Trabia il 05.09.1945, ivi residente in Corso La
Masa n.86;
16) PRIOLO Antonino, nato a Ciminna il 23.4.56,
residente a Palermo in via Crispi n. 258;
17) GIUFFRE' Antonino, nato a Caccamo il 21 luglio
1945, ivi residente in via Liccio n.3 attualmente
latitante;
18 GUZZINO Diego, nato a Caccamo l'11 febbraio 1948,
ivi residente in via Grillo, n.2.
INDAGATI
GIUDICE Gaspare:
1) del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 416, comma 2^,
e 416- bis, commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte
attivamente ed in modo rilevante alle attività
dell'associazione mafiosa Cosa Nostra- ed in
particolare dell'articolazione territoriale facente capo al
mandamento di Caccamo ed ai suoi principali esponenti,
tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe, BIONDOLILLO
Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie
di S. Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro e di altri uomini d'onore,
tra i quali CALO' Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere
delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione
o, comunque, il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici;
per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli
altri, mediante le seguenti principali condotte:
contribuendo in modo determinante ad aiutare diversi
esponenti mafiosi del mandamento di Caccamo e di altre
articolazioni territoriali di Cosa Nostra - tra i quali
Lorenzo DI GESU', Pippo CALO', i fratelli Giuseppe ed Alberto
GAETA - a realizzare operazioni bancarie presso la filiale
della Sicilcassa di Termini Imerese Alta, ove egli ha prestato
servizio in qualità di direttore dal 3 marzo 1980 sino al 3
ottobre 1985, finalizzate al riciclaggio ed al reimpiego del
denaro proveniente dalle loro attività illecite;
svolgendo il ruolo di intermediario tra il "gruppo
PANZECA" ed il gruppo mafioso di Carlo GRECO, Lorenzo
TINNIRELLO, Giovanni D'AGATI, VERNENGO PIETRO ed altri al fine
di consentire al primo di inserirsi nel settore delle società
nautiche nel quale il secondo era già integrato ed a questo di
Pag.5
disporre dei capitali e delle risorse economiche provenienti
dal primo gruppo per acquisire una posizione di egemonia;
concorrendo alla gestione delle società nautiche MARINA
UNO, GENTE DI MARE ed IL SALPANCORE in modo da preservare
l'integrità degli interessi del gruppo mafioso di GRECO Carlo,
impedendo che questo venisse coinvolto nella crisi economica
che aveva travolto BAZAN Gaspare e facendo affluire in queste
società i capitali del "gruppo PANZECA";
strumentalizzando i propri compiti di funzionario della
SICILCASSA al fine di avvantaggiare il "gruppo PANZECA",
notevolmente esposto verso il predetto Istituto, mediante una
serie di condotte poste in palese violazione della corretta
prassi bancaria.
Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi
dell'articolo 416 c.p., e con le aggravanti previste dai commi
2^, 4^ e 5^; dal 14 settembre 1982 sino ad oggi, ai sensi
dell'articolo 416- bis c.p. con le aggravanti di cui ai
commi IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
esplosivi per il conseguimento delle finalità
dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
CIACCIO Giorgio:
2) del delitto di cui all'articolo 416- bis,
commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, BIONDOLILLO Giuseppe,
GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
D'AGATI Giovanni, e di altri uomini d'onore, tra i quali CALO'
Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per sé e gli altri;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
Pag.6
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni
della Provincia ed in altre località del territorio nazionale
sino alla data odierna;
BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE, PANZECA GIUSEPPE, CIACCIO
GIORGIO:
3) del delitto di cui agli artt. 110 cp, 216, 236 R.D.
16 marzo 1942, n.267 aggravato dall'articolo 7 1.203-91 perché
- in concorso tra loro e con GRECO Carlo e D'AGATI Giovanni,
il primo quale amministratore della soc. F.lli BAZAN s.n.c.
esercente l'attività di concessionaria d'auto - operavano al
fine di occultare beni di proprietà dei fratelli BAZAN Gaspare
e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi
posseduti nelle società MARINA UNO srl e SALPANCORE soc. coop.
a r.l. e GENTE DI MARE SRL, pregiudicando in tal modo i
creditori personali e quelli insinuati nella procedura di
concordato preventivo richiesto in data 14.03.92 per
fronteggiare la condizione di insolvenza della predetta
società F.lli BAZAN, ai quali non venivano ceduti in realtà
tutti i beni personali dei BAZAN ed agevolando in tal modo gli
interessi di Cosa Nostra all'interno delle società MARINA UNO,
GENTE DI MARE e SALPANCORE ove vi erano quote facenti capo a
GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni e VERNENGO
Pietro.
In Palermo sino al 7.05.93, data dell'omologazione del
concordato preventivo da parte del Tribunale di Palermo.
LO BUE DARIO:
4) Del delitto di cui agli artt. 110 e 416- bis
c.p. per avere contribuito in modo rilevante alla
realizzazione degli interessi illeciti dell'organizzazione
mafiosa denominata cosa Nostra - pur senza essere formalmente
inserito in questa - svolgendo in particolare il ruolo di
prestanome di GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI
Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore nella
gestione di diverse società nautiche a queste riconducibili,
tra le quali GENTE DI MARE, curandone i relativi interessi e
detenendo i beni strumentali con le aggravanti di cui ai commi
IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
esplosivi per il conseguimento delle finalità
dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Palermo, altri Comuni della Provincia ed in altre
località del territorio nazionale sino alla data odierna;
BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE e LO BUE DARIO:
5) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 648 bis cp e
7 L.203-91 perché, in concorso tra loro, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso, si attivavano al
fine di acquisire l'ingresso occulto di danaro proveniente dai
traffici illeciti della famiglia mafiosa di Santa Maria di
Gesù consentendone l'investimento nelle società BAZAN snc,
Pag.7
MARINA UNO sri, GENTE DI MARE srl e SALPANCORE soc. coop a
r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito
non andasse disperso nel fallimento del gruppo BAZAN,
sostituendo le quote di partecipazione dei BAZAN con quelle
del gruppo mafioso ed imprenditoriale facente capo a PANZECA
Giuseppe, appartenente alla famiglia mafiosa di CACCAMO,
mediante l'impiego di capitali illeciti di quest'ultimo,
occultato nelle forme di debito cambiario, ed operando
costantemente allo scopo di agevolare le attività illecite di
Cosa Nostra finalizzate al controllo del settore della
imprenditoria nautica.
In Palermo fino al mese di dicembre del 1993.
BAZAN GASPARE e GIUDICE GASPARE:
6) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 110 c.p.,
2621 c.c. aggravato dall'articolo 7 L. 203-91, perché - in
concorso tra loro nella rispettiva qualità di amministratori
di diritto e di fatto della società MARINA UNO, con più azioni
esecutive del medesimo disegno criminoso - al fine di cedere
la società MARINA UNO srl per sottrarla alle azioni di
rivendica dei creditori personali dei fratelli BAZAN Gaspare e
Renato - rappresentavano fraudolentemente fatti non
rispondenti al vero sulla situazione economica della stessa
falsificando i bilanci della società, simulando attività
patrimoniali inesistenti e occultando debiti verso i
fornitori, nascondendo altresi la reale partecipazione
azionaria di quote appartenenti a Cosa Nostra ed in
particolare a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI
Giovanni.
In Palermo, l'8 febbraio 1992.
BAZAN GASPARE, PANZECA Giuseppe, GIUDICE GASPARE:
7) 110, 216 e 223 L.Fall. aggravata dall'articolo 7
L.203-91, perché in concorso tra loro e con LANZALACO
Salvatore, LA CHIUSA Pietro e ZAPPIA Giuseppe, nella qualità
di amministratori di fatto e di diritto della società MARINA
UNO, tenevano la contabilità in modo da non consentire la
ricostruzione delle attività patrimoniali della predetta
società, distraendone i beni, operando sistematicamente a
danno della stessa mediante vendite sottocosto a favore di
società riconducibili a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e
D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro ed attraverso pagamenti
dilazionati non corrispondenti agli interessi di mercato.
In Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della
dichiarazione di fallimento della società.
PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
8) del delitto di cui all'articolo 74 decreto del
Presidente della Repubblica 309-90, perché si associavano tra
loro, con BARBAGALLO Salvatore ed altre persone allo stato non
identificate, costituendo una associazione finalizzata allo
scopo di commettere più delitti inerenti al traffico di
sostanze stupefacenti utilizzando i mezzi navali e la
copertura della cooperativa SALPANCORE di Palermo.
In Palermo fino ad oggi.
Pag.8
GIUDICE GASPARE:
9) del delitto di cui agli artt. 629, commi I^ e II^,
c.p. e 7 L. 203-91, perché - in concorso con GRECO Carlo,
D'AGATI Giovanni, TINNIRELLO Lorenzo, VERNENGO Pietro -
mediante minaccia, consistita nella presentazione da parte del
GIUDICE del primo, soggetto all'epoca latitante per delitti di
mafia, e con la richiesta da parte di questi di consegnare 500
milioni per ottenere la proprietà della società MARINA UNO
srl, costringeva LANZALACO Salvatore a subire l'estromissione
di fatto dalla sua azienda gestita dal D'AGATI Giovanni e
dallo stesso GIUDICE, procurando a costoro un ingiusto
profitto con grave danno del LANZALACO, che era costretto a
subire il fallimento della società MARINA UNO a causa delle
operazioni di riciclaggio di cui sopra. Delitto commesso
avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo 416- bis
cp ed al fine di agevolare Cosa Nostra nella sua attività di
controllo delle imprese locali.
In Palermo fino al marzo.
PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
10) del delitto di cui all'articolo 12 quinquies
L.356-92 perché - in concorso tra loro e con BIONDOLILLO
Giuseppe, BIONDOLILLO Francesco - attribuivano fittiziamente
la proprietà di un immobile sito in Termini Imerese, cda
Quarantasalme, al CIACCIO Giorgio al fine di evitare il
provvedimento di sequestro del Tribunale di Palermo, Sezione
Misure di prevenzione, nei confronti del BIONDOLILLO
Francesco, commettendo il reato in oggetto al fine di
agevolare l'affermazione dei predetti esponenti di Cosa Nostra
e cosi consentendo di preservare il patrimonio di costoro
sottraendolo fraudolentemente al provvedimento in materia di
misure di prevenzione n. 297 del 26.10.92.
In Palermo e Termini Imerese 29.10.92.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO e DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
11) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv, 319, 321
c.p. perché in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore
promettevano e poi consegnavano a SAVOJARDO Maurizio, capo
dell'Ufficio Tecnico del comune di Caccamo, una somma di
danaro pari a cinque milioni di lire, al fine di ottenere
dallo stesso la liste delle imprese che dovevano ricevere
l'invito a partecipare alla licitazione privata per le gare di
appalto relative alla costruzione del parco urbano di Caccamo
ed alla realizzazione di un tratto della rete fognante del
medesimo Comune, atto contrario ai doveri di ufficio.
In Caccamo fino al 02.09.90
SAVOIARDO MAURIZIO:
12) del reato pep dall'articolo 319 c.p., perché nella
sua qualità di capo dell'UTC di Caccamo, accettava la promessa
Pag.9
e poi la consegna di cinque milioni al fine di consegnare la
lista delle imprese che dovevano essere invitate alle gare di
cui al capo precedente, compiendo cosi un atto contrario ai
propri doveri di ufficio.
In Caccamo fino al 02.09.90.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
13) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 353 co 2
cp, perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
inviate alla gara di appalto per la realizzazione del tratto
di rete fognante del comune di Caccamo, turbavano il regolare
svolgimento della gara, consentendone l'aggiudicazione al
raggruppamento d'impresa PANZECA-CATALANO ed agevolando in tal
modo l'affermazione di Cosa Nostra nel settore degli appalti
pubblici.
In Caccamo 20 agosto 90.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', SAVOIARDO
MAURIZIO, STANFA ROSALIA, GIUFFRE' ANTONINO E GUZZINO
DIEGO:
14) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv, 353 co 2
cp, perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
invitate alla gara di appalto del Parco Urbano di Caccamo, con
il CIACCIO Nicolò e la STANFA Rosalia che consegnavano loro le
buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara di
appalto e con il DI LUCIA Luigi, Sindaco del Comune e
presidente di gara, che ometteva di rilevare i vizi della gara
di appalto, turbavano il regolare svolgimento della gara di
appalto per la costruzione del Parco Urbano di Caccamo,
consentendone l'aggiudicazione al raggruppamento d'impresa
PANZECA-DOLCE ed agevolando in tal modo l'affermazione di Cosa
Nostra nel settore degli appalti pubblici.
In Caccamo 02.09.90.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', STANFA
ROSALIA:
15) del delitto di cui agli artt. 110 e 314 cp, perché,
in concorso tra loro e con il determinante contributo di
CIACCIO NICOLO' e STANFA Rosalia, che consegnavano ai primi le
buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara
d'appalto del Parco Urbano di Caccamo appena ritirate
dall'Ufficio postale e comunque pervenute al Comune di
Caccamo, avendone la custodia per ragione di ufficio, si
appropriavano delle predette buste al fine di conoscere in
anticipo l'ammontare della percentuale di ribasso contenuto
nelle offerte presentate dalle imprese che si erano rifiutate
di fornirne l'indicazione in precedenza, avvalendosi della
forza di intimidazione propria di Cosa Nostra ed agevolando
Pag.10
l'attività della stessa nel settore del controllo degli
appalti pubblici.
In Caccamo 01.09.90
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
16) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv e 640 cpv
c.p., perché, in concorso tra loro, nelle qualità evidenziate
e con gli artifici sopra indicati, inducevano in errore il
Comune di Caccamo facendogli concludere un contratto di
appalto ad un prezzo più alto di quello ottenibile mediante
una libera gara, provocando un danno all'ente pubblico con un
ingiusto profitto per la ATI PANZECA-DOLCE che si aggiudicava
Pag.11
la gara con un ribasso del 27,05 e per la ATI PANZECA-CATALANO
che si aggiudicava la gara con un ribasso del 13,69 per
cento.
In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
DOLCE Giovanni Francesco e DOLCE Sebastiano:
16- bis) del delitto di cui al 416- bis,
commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe,
BIONDOLILLO Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, e
della famiglie di Bagheria ed al suo principale esponente
Leonardo GRECO - avvalendosi quindi della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere diversi
e molteplici delitti di corruzione, turbativa d'asta,
peculato, illecita concorrenza con minaccia, ed altro, al fine
di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o,
comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni,
di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; per
realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
17) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv, e
640- bis cp; perchè in concorso tra loro, nelle qualità
evidenziate, acquisivano l'appalto per la realizzazione di un
tratto della rete fognante e per costruzione del Parco Urbano
di Caccamo, finanziati dalla Regione Siciliana Ass. TT.AA.,
utilizzando gli artifici di cui sopra e non consentendo una
libera aggiudicazione con un maggior ribasso, finendo in tal
modo per assorbire illecitamente una quota maggiore del
finanziamento erogato.
In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, GIUFFRE' ANTONINO e GUZZINO
DIEGO:
18) del reato di cui agli artt. 110, 513 co 1 e
2- bis cp, perché, ricorrendo all'appoggio di Cosa
Nostra, riuscivano ad ottenere l'astensione di diverse
imprese, ovvero che le stesse rilasciassero il cd.
passi, ed in particolare le imprese facenti capo al
BRUNO e al MINGOIA, operando attraverso il GIUFFRE' ed il
GUZZINO, esponenti di primo piano dell'associazione criminale
denominata Cosa Nostra ed in particolare del mandamento di
Caccamo, impedendo in tal modo il normale attuarsi della
libera concorrenza imprenditoriale nel settore dei pubblici
appalti finanziati dallo Stato, mediante l'esternazione della
forza dell'associazione criminale denominata Cosa Nostra ed
agevolando l'attivita' della stessa nel controllo degli
appalti pubblici.
In Caccamo 02.09.90.
MANDALA' Antonino:
19) del delitto di cui all'articolo 416- bis,
commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo ai mandamenti di Villabate e Caccamo ed ai suoi
principali esponenti, tra i quali GIUFFRE' Antonino, PANZECA
Giuseppe e GIUDICE Gaspare, della famiglie di S. Maria di Gesù
e di Corso dei Mille ed ai loro principali esponenti, tra i
quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI Giovanni nonché
della famiglia di S. Giuseppe Jato ed ai suoi principali
esponenti, tra i quali MANISCALCO Giuseppe, VITALE Simone,
CAMARDA Michelangelo ed altri associati quali INFANTINO
Valerio - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per sé e gli altri, mediante le seguenti principali
condotte:
fornendo a BARATTA Filippo e a LA CHIUSA Pietro,
amministratori delle società CO.BE.TA. e C.M.C. aderenti al
"Consorzio Emiliano Romagnolo fra le Cooperative di Produzione
e Lavoro", assegnatario dell'appalto per la realzzazione di un
edificio scolastico a Bagheria, la "necessaria autorizzazione"
(c.d. "messa a posto") delle famiglie di Bagheria per
riprendere nel 1995 i lavori relativi a questo appalto;
svolgendo il ruolo di intermediario tra MANISCALCO
Giuseppe e VITALE Simone, interessati alla c.d "messa a posto"
dell'impresa CAIOLA, aggiudicataria dei lavori di risanamento
della discarica rsu in contrada Torretta, appaltati dal Nuovo
Pag.12
Consorzio Intercomunale per lo Smaltimento RSU con sede in
Bagheria, e tra le i referenti mafiosi di Bagheria, accettando
la consegna di un c.d. bigliettino contenente un messaggio
avente ad oggetto la disponibilità della predetta impresa a
pagare una somma a titolo di pizzo pur di potere eseguire
questi lavori senza dover subire dei danneggiamenti;
svolgendo il ruolo di intermediario tra gli esponenti
della famiglia di S. Giuseppe Jato, ed in particolare CAMARDA
Michelangelo ed il titolare della società S.G. COSTRUZIONI,
SCHILLACI Francesco, il quale aveva ottenuto l'aggiudicazione
di un appalto bandito dal Comune di Piana degli Albanesi, per
la ristrutturazione della vecchia sede municipale da adibire a
biblioteca comunale, e facendo sapere al CAMARDA che lo
SCHILLACI era disposto a mettersi a posto pur di potere
realizzare quei lavori senza dover subire alcun danno od
ostacolo di sorta;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche; assunte o controllate, in tuffo o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Palermo, Villabate, Bagheria e altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
20) per il reato di cui agli artt. 110, 353, commi 1^ e
2^, con l'aggravante dell'articolo7 decreto-legge 152/1991 per
avere contribuito ad agevolare le condotte di VITALE Simone,
CAMARDA Michelangelo ed INFANTINO Valerio finalizzate a
turbare, con minacce e mezzi fraudolenti, la gara bandita in
data 21 giugno 1997 dello IACP di Catania, per un importo di
circa 50 miliardi, relativa alla costruzione del complesso
adibito ad edilizia residenziale universitaria sito in
contrada Tavoliere di Catania, inducendo, in particolare, i
titolari dell'impresa CGP a presentare una offerta di appoggio
in modo da consentire l'aggiudicazione dell'appalto
all'impresa COGECO di RANDAZZO Vincenzo:
in Palermo, in data anteriore e successiva al 21 giugno
1997 e sino al momento dell'arresto di INFANTINO Valerio
avvenuto in seguito all'esecuzione dell'ordinanza di custodia
cautelare del 16 dicembre 1997.
CATANESE Salvatore, PARRINELLA Cosimo, LO BELLO Leonardo:
21) del delitto di cui all'articolo 416- bis,
commi I^ e III^, c.p., per aver fatto parte dell'associazione
mafiosa Cosa Nostra, ed in particolare
dell'articolazione territoriale facente capo al mandamento di
Caccamo e agli uomini d'onore DI GESU' Lorenzo, INTILE
Francesco, GAETA Giuseppe, GIUFFRE' Antonino, PANZECA Giuseppe
ed altri, avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
Pag.13
omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per sé e gli altri;
per tutti, con le aggravanti di cui ai commi IV e VI
dello stesso articolo per far parte di una associazione
armata, avendo la disponibilità di armi ed esplosivi per il
conseguimento delle finalità dell'associazione, e per avere
finanziato le attività economiche, assunte o controllate, in
tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di
delitti;
in Termini Imerese, Trabia, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
RILEVATO
che, su richiesta di questo Ufficio, il G.I.P. presso il
Tribunale di Palermo, in data 8 giugno 1998, ha emesso una
ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti
dell'on. GIUDICE Gaspare, attuale membro della Camera dei
Deputati, riconoscendo la sussistenza dei gravi indizi di
colpevolezza per i reati in premessa analiticamente
specificati nonché la ricorrenza delle esigenze cautelari
previste dall' articolo 275 c.p.p.;
CONSIDERATO
che, a norma dell'articolo 68 della Costituzione, alla
stregua dell'interpretazione recentemente fornita dal
Parlamento, deve ritenersi che - pur in assenza di una
normativa attuativa specifica - l'autorizzazione a procedere
concerna l'eseguibilità del provvedimento limitativo della
libertà personale già emesso dal competente G.I.P., l'unico
organo legittimato a valutare la sussistenza dei presupposti
previsti dagli artt.273 e 274 c.p.p.(1) anche nei confronti di
un parlamentare;
che, pertanto, si rende necessario trasmettere copia
dei relativi atti al Presidente della Camera per il seguito di
competenza ai sensi dell'articolo68 della Costituzione, in
ordine alla autorizzazione ad eseguire nei confronti dell'on.
Gaspare GIUDICE la misura della custodia cautelare in carcere
disposta dal competente G.I.P. con ordinanza dell'.... giugno
1998;
visti gli artt. 68 della Costituzione e 343 e 344
c.p.p.
(1) Si veda, in particolare, il verbale della seduta
della Camera dei Deputati del 18 settembre 1997, trasmesso
dalla Procura della Repubblica di Milano, nonché gli altri
documenti parlamentari acquisiti con provvedimento del 12
marzo 1998.
Pag.14
P. Q. M.
CHIEDE
al Sig. Presidente della Camera dei Deputati
l'autorizzazione all'esecuzione della misura della custodia
cautelare nei confronti dell'on. Gaspare GIUDICE, disposta dal
competente G.I.P. con ordinanza dell'8 giugno 1998;
Palermo 8 giugno 1998.
I sostituti procuratori:
Gaspare Sturzo
C. Gaetano Paci
I procuratori della Repubblica agg.
Luigi Croce
Guido Lo Forte
Pag.15
PROCURA DELLA REPUBBLICA
PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA
Procedimento penale n. 1232/96
RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE ALL'UTILIZZAZIONE DI
INTERCETTAZIONI DI CONVERSAZIONI TELEFONICHE ED
ALL'ACQUISIZIONE ED ALL'UTILIZZAZIONE DI TABULATI RELATIVI AL
TRAFFICO TELEFONICO DI UTENZE CELLULARI
Al Sig. PRESIDENTE della CAMERA dei DEPUTATI
ROMA
IL PUBBLICO MINISTERO
Letti gli atti del procedimento penale n. 1232/96 a
carico dei seguenti indagati:
1) PANZECA Giuseppe, di Gioacchino e di Di Gesù Rosa
Maria, nato a Caccamo (Pa) il 18.11.1956, residente a Palermo
in via Isidoro La Lumia n.11, coniugato;
2) GIUDICE Gaspare, di Giovanni e di DI MARTINO Maria
Teresa, nato a Canicattì il 04.03.1943, residente a Palermo
via Croce Rossa 28;
3) CIACCIO Giorgio, nato a Caccamo il 30 gennaio 1950,
residente in Palermo via Del Fante n.56a;
4) BAZAN Gaspare, nato a Palermo, il 28.06.1947 ed ivi
domiciliato via A. De Gasperi n. 181;
5) LO BUE Dario, nato a Palermo il 02.07.1951;
6) MANDALA' Antonino, di Nicolò e di GANDOLFO Angela,
nato a Villabate il 25.03.1939, ivi residente Via E. Amari
n.4, P.VI.
7) DOLCE Giovanni Francesco, nato a Polizzi Generosa il
08.03.1947, residente in Palermo via G. Ventura 5;
8) DOLCE Sebastiano, nato a Polizzi Generosa il
24.11.1955, residente in Palermo via G. Ventura 15.
9) SAVOJARDO Maurizio nato a Caccamo il 27.05.1953,
ivi residente corso Umberto I n. 49;
10) CIACCIO Nicolò, nato a Caccamo il 30.11.1943, ivi
residente via Roma 135;
11) STANFA Rosalia, nata a Caccamo il 29 luglio 1952,
ivi residente in via Liccio, n.3;
Pag.16
12) BATTAGLIA Salvatore, nato a Caccamo (PA) il
19.04.1956;
13) CATANESE Salvatore, di Vincenzo e di ALONGI
Domenica, nato a Caccamo il 15.06.1936, ivi residente Via Del
Carmine n.44;
14) LO BELLO Leonardo, fu Agostino e fu LO PRESTI
Giuseppa, nato a Termini Imerese il 29.05.1935, ivi residente
in Via Milano n.4;
15) PARRINELLA Cosimo, fu Salvatore e fu OLIVIERI
Grazia, nato a Trabia il 05.09.1945, ivi residente in Corso La
Masa n. 86;
16) PRIOLO Antonino, nato a Ciminna il 23.4.56,
residente a Palermo in via Crispi n. 258.
17) GIUFFRE' Antonino, nato a Caccamo il 21 luglio
1945, ivi residente in via Liccio n.3, attualmente
latitante;
18 GUZZINO Diego, nato a Caccamo l'11 febbraio 1948,
ivi residente in via Grillo, n.2;
INDAGATI
GIUDICE Gaspare:
1) del delitto di cui agli artt. 81 cpv, 416, comma 2^,
e 416- bis, commi I^ e III^, c.p., per aver preso parte
attivamente ed in modo rilevante alle attività
dell'associazione mafiosa Cosa Nostra- ed in
particolare dell'articolazione territoriale facente capo al
mandamento di Caccamo ed ai suoi principali esponenti, tra i
quali DI GESU' Lorenzo, GAETA Giuseppe, BIONDOLILLO Giuseppe,
GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
D'AGATI Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore,
tra i quali CALO' Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere
delitti; per acquisire in modo diretto o indiretto la gestione
o, comunque, il controllo di attività economiche, di
concessioni, di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici;
per realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli
altri, mediante le seguenti principali condotte:
contribuendo in modo determinante ad aiutare diversi
esponenti mafiosi del mandamento di Caccamo e di altre
articolazioni territoriali di Cosa Nostra - tra i quali
Lorenzo DI GESU', Pippo CALO', i fratelli Giuseppe ed Alberto
GAETA - a realizzare operazioni bancarie presso la filiale
della Sicilcassa di Termini Imerese Alta, ove egli ha prestato
servizio in qualità di direttore dal 3 marzo 1980 sino al 3
ottobre 1985, finalizzate al riciclaggio ed al reimpiego del
denaro proveniente dalle loro attività illecite;
svolgendo il ruolo di intermediario tra il "gruppo
PANZECA" ed il gruppo mafioso di Carlo GRECO, Lorenzo
TINNIRELLO, Giovanni D'AGATI, VERNENGO PIETRO ed altri al fine
di consentire al primo di inserirsi nel settore delle società
Pag.17
nautiche nel quale il secondo era già integrato ed a questo di
disporre dei capitali e delle risorse economiche provenienti
dal primo gruppo per acquisire una posizione di egemonia;
concorrendo alla gestione delle società nautiche
MARINA UNO, GENTE DI MARE ed IL SALPANCORE in modo da
preservare l'integrità degli interessi del gruppo mafioso di
GRECO Carlo, impedendo che questo venisse coinvolto nella
crisi economica che aveva travolto BAZAN Gaspare e facendo
affluire in queste società i capitali del "gruppo PANZECA";
strumentalizzando i propri compiti di funzionario
della SICILCASSA al fine di avvantaggiare il "gruppo PANZECA",
notevolmente esposto verso il predetto Istituto, mediante una
serie di condotte poste in palese violazione della corretta
prassi bancaria.
Dal 1980 sino al 13 settembre 1982, ai sensi
dell'articolo 416 c.p., e con le aggravanti previste dai commi
2^, 4^ e 5^; dal 14 settembre 1982 sino ad oggi, ai sensi
dell'articolo 416- bis c.p. con le aggravanti di cui ai
commi IV e VI dello stesso articolo per far parte di una
associazione armata, avendo la disponibilità di armi ed
esplosivi per il conseguimento delle finalità
dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tuffo o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna.
CIACCIO Giorgio:
2) del delitto di cui all'articolo 416- bis, commi
I^ e III^, c.p., per aver preso parte attivamente ed in modo
rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi principali
esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, BIONDOLILLO Giuseppe,
GIUFFRE' Antonino e PANZECA Giuseppe, delle famiglie di S.
Maria di Gesù e di Corso dei Mille ed ai loro principali
esponenti, tra i quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo,
D'AGATI Giovanni, e di altri uomini d'onore, tra i quali CALO'
Giuseppe - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per se e gli altri;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
Pag.18
BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE, PANZECA Giuseppe, CIACCIO
GIORGIO:
3) del delitto di cui agli artt. 110 cp,, 216, 236 R.D.
16 marzo 1942, n.267 aggravato dall'articolo 7 1.203-91 perché
- in concorso tra loro e con GRECO Carlo e D'AGATI Giovanni,
il primo quale amministratore della soc. F.lli BAZAN s.n.c.
esercente l'attività di concessionaria d'auto - operavano al
fine di occultare beni di proprietà dei fratelli BAZAN Gaspare
e Renato, ed in particolare le quote societarie dagli stessi
posseduti nelle società MARINA UNO srl e SALPANCORE soc. coop.
a r.l. e GENTE DI MARE SRL pregiudicando in tal modo i
creditori personali e quelli insinuati nella procedura di
concordato preventivo richiesto in data 14.03.92 per
fronteggiare la condizione di insolvenza della predetta
società F.lli BAZAN, ai quali non venivano ceduti in realtà
tutti i beni personali dei BAZAN ed agevolando in tal modo gli
interessi di Cosa Nostra all'interno delle società MARINA UNO,
Gente Di Mare e SALPANCORE ove vi erano quote facenti capo a
GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni e VERNENGO
Pietro.
In Palermo sino al 7.05.93, data dell'omologazione del
concordato preventivo da parte del Tribunale di Palermo.
LO BUE DARIO:
4) Del delitto di cui agli artt. 110 e 416- bis
c.p. per avere contribuito in modo rilevante alla
realizzazione degli interessi illeciti dell'organizzazione
mafiosa denominata cosa Nostra - pur senza essere formalmente
inserito in questa - svolgendo in particolare il ruolo di
prestanome di GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo, D'AGATI
Giovanni, VERNENGO PIETRO e di altri uomini d'onore nella
gestione di diverse società nautiche a queste riconducibili,
tra le quali GENTE DI MARE, curandone i relativi interessi e
detenendo i beni strumentali;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell' associazione, e per avere finanziato le
attività economiche, assunte o controllate, in tutto o in
parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in, Palermo, altri Comuni della Provincia ed in altre
località del territorio nazionale sino alla data odierna.
BAZAN GASPARE, GIUDICE GASPARE e LO BUE DARIO:
5) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 648- bis
cp e 7 L.203-91 perché, in concorso tra loro, con più
azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, si attivavano
al fine di acquisire l'ingresso occulto di danaro proveniente
dai traffici illeciti della famiglia mafiosa di Santa Maria di
Gesù consentendone l'investimento nelle società BAZAN snc,
MARINA UNO srl, GENTE DI MARE sri e SALPANCORE soc. coop a
r.l. e facendo in modo di evitare che tale capitale illecito
non andasse disperso nel fallimento del gruppo BAZAN,
Pag.19
sostituendo le quote di partecipazione dei BAZAN con quelle
del gruppo mafioso ed imprenditoriale facente capo a PANZECA
Giuseppe, appartenente alla famiglia mafiosa di CACCAMO,
mediante l'impiego di capitali illeciti di quest'ultimo,
occultato nelle forme di debito cambiario, ed operando
costantemente allo scopo di agevolare le attività illecite di
Cosa Nostra finalizzate al controllo del settore della
imprenditoria nautica.
In Palermo fino al mese di dicembre del 1993.
BAZAN GASPARE e GIUDICE GASPARE:
6) del delitto di cui agli artt. 81 cpv e 110 c.p.,
2621 c.c. aggravato dall'art 7 L. 203-91, perché - in concorso
tra loro nella rispettiva qualità di amministratori di diritto
e di fatto della società MARINA UNO, con più azioni esecutive
del medesimo disegno criminoso - al fine di cedere la società
MARINA UNO srl per sottrarla alle azioni di rivendica dei
creditori personali dei fratelli BAZAN Gaspare e Renato -
rappresentavano fraudolentemente fatti non rispondenti al vero
sulla situazione economica della stessa, falsificando i
bilanci della società, simulando attività patrimoniali
inesistenti e occultando debiti verso i fornitori, nascondendo
altresì la reale partecipazione azionaria di quote
appartenenti a Cosa Nostra ed in particolare a GRECO Carlo,
TINNIRELLO Lorenzo e D'AGATI Giovanni.
In Palermo, l'8 febbraio 1992.
BAZAN GASPARE, PANZECA Giuseppe, GIUDICE GASPARE:
7) 110, 216 e 223 L.Fall. aggravata dall'articolo 7
L.203-91, perché in concorso tra loro e con LANZALACO
Salvatore, LA CHIUSA Pietro e ZAPPIA Giuseppe, nella qualità
di amministratori di fatto e di diritto della società MARINA
UNO, tenevano la contabilità in modo da non consentire la
ricostruzione delle attività patrimoniali della predetta
società, distraendone i beni, operando sistematicamente a
danno della stessa mediante vendite sottocosto a favore di
società riconducibili a GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo e
D'AGATI Giovanni, VERNENGO Pietro ed attraverso pagamenti
dilazionati non corrispondenti agli interessi di mercato.
In Palermo, sino al 17-18 maggio 1994, data della
dichiarazione di fallimento della società.
PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
8) del delitto di cui all'articolo 74 decreto del
Presidente della Repubblica 309-90, perché si associavano tra
loro, con BARBAGALLO Salvatore ed altre persone allo stato non
identificate, costituendo una associazione finalizzata allo
scopo di commettere più delitti inerenti al traffico di
sostanze stupefacenti utilizzando i mezzi navali e la
copertura della cooperativa SALPANCORE di Palermo.
In Palermo fino ad oggi.
Pag.20
GIUDICE GASPARE:
9) del delitto di cui agli artt. 629, commi I^ e II^,
c.p. e 7 L. 203-91, perché - in concorso con GRECO Carlo,
D'AGATI Giovanni, TINNIRELLO Lorenzo, VERNENGO Pietro -
mediante minaccia, consistita nella presentazione da parte del
GIUDICE del primo, soggetto all'epoca latitante per delitti di
mafia, e con la richiesta da parte di questi di consegnare 500
milioni per ottenere la proprietà della società MARINA UNO
srl, costringeva LANZALACO Salvatore a subire l'estromissione
di fatto dalla sua azienda gestita dal D'AGATI Giovanni e
dallo stesso GIUDICE, procurando a costoro un ingiusto
profitto con grave danno del LANZALACO, che era costretto a
subire il fallimento della società MARINA UNO a causa delle
operazioni di riciclaggio di cui sopra. Delitto commesso
avvalendosi delle condizioni di cui all'articolo416- bis
cp ed al fine di agevolare Cosa Nostra nella sua attività di
controllo delle imprese locali.
In Palermo fino al marzo.
PANZECA Giuseppe, CIACCIO GIORGIO:
10) del delitto di cui all'articolo 12- quinquies
L.356-92 perché - in concorso tra loro e con BIONDOLILLO
Giuseppe, BIONDOLILLO Francesco - attribuivano fittiziamente
la proprietà di un immobile sito in Termini Imerese, cda
Quarantasalme, al CIACCIO Giorgio al fine di evitare il
provvedimento di sequestro del Tribunale di Palermo, Sezione
Misure di prevenzione, nei confronti del BIONDOLILLO
Francesco, commettendo il reato in oggetto al fine di
agevolare l'affermazione dei predetti esponenti di Cosa Nostra
e cosi consentendo di preservare il patrimonio di costoro
sottraendolo fraudolentemente al provvedimento in materia di
misure di prevenzione n. 297 del 26.10.92.
In Palermo e Termini Imerese 29.10.92.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
11) del delitto di cui agli artt.110, 81 cpv, 319, 321
c.p. perché in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore
promettevano e poi consegnavano a SAVOJARDO Maurizio, capo
dell'Ufficio Tecnico del comune di Caccamo, una somma di
danaro pari a cinque milioni di lire, al fine di ottenere
dallo stesso la liste delle imprese che dovevano ricevere
l'invito a partecipare alla licitazione privata per le gare di
appalto relative alla costruzione del parco urbano di Caccamo
ed alla realizzazione di un tratto della rete fognante del
medesimo Comune, atto contrario ai doveri di ufficio.
In Caccamo fino al 02.09.90.
SAVOIARDO MAURIZIO:
12) del reato pep dall'articolo 319 c.p., perché nella
sua qualità di capo dell'UTC di Caccamo, accettava la promessa
Pag.21
e poi la consegna di cinque milioni al fine di consegnare la
lista delle imprese che dovevano essere invitate alle gare di
cui al capo precedente, compiendo cosi un atto contrario ai
propri doveri di ufficio.
In Caccamo fino al 02.09.90.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
13) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 353 co. 2
cp., perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
invitate alla gara di appalto per la realizzazione del tratto
di rete fognante del comune di Caccamo , turbavano il regolare
svolgimento della gara, consentendone l'aggiudicazione al
raggruppamento d'impresa PANZECA-CATALANO ed agevolando in tal
modo l'affermazione di Cosa Nostra nel settore degli appalti
pubblici.
In Caccamo 20 agosto 90.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', SAVOIARDO
MAURIZIO. STANFA ROSALIA, GIUFFRE' ANTONINO E GUZZINO
DIEGO:
14) del reato di cui agli artt. 110, 81 cpv., 353 co. 2
cp., perché, in concorso tra loro e con BARBAGALLO Salvatore,
istigando il SAVOJARDO nella sua qualità di capo dell'UTC a
consegnare loro le liste delle imprese che dovevano essere
invitate alla gara di appalto del Parco Urbano di Caccamo, con
il CIACCIO Nicolò e la STANFA Rosalia che consegnavano loro le
buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara di
appalto e con il DI LUCIA Luigi, Sindaco del Comune e
presidente di gara, che ometteva di rilevare i vizi della gara
di appalto, turbavano il regolare svolgimento della gara di
appalto per la costruzione del Parco Urbano di Caccamo,
consentendone l'aggiudicazione al raggruppamento d'impresa
PANZECA-DOLCE ed agevolando in tal modo l'affermazione di Cosa
Nostra nel settore degli appalti pubblici.
In Caccamo 02.09.90
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE, CIACCIO NICOLO', STANFA
ROSALIA:
15) del delitto di cui agli artt. 110 e 314 cp.,
perché, in concorso tra loro e con il determinante contributo
di CIACCIO NICOLO' e STANFA Rosalia, che consegnavano ai primi
le buste delle imprese che dovevano partecipare alla gara
d'appalto del Parco Urbano di Caccamo appena ritirate
dall'Ufficio postale e comunque pervenute al Comune di
Caccamo, avendone la custodia per ragione di ufficio, si
appropriavano delle predette buste al fine di conoscere in
anticipo l'ammontare della percentuale di ribasso contenuto
nelle offerte presentate dalle imprese che si erano rifiutate
di fornirne l'indicazione in precedenza, avvalendosi della
Pag.22
forza di intimidazione propria di Cosa Nostra ed agevolando
l'attività della stessa nel settore del controllo degli
appalti pubblici.
In Caccamo 0l.09.90
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
16) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv. e 640
cpv. c.p., perché, in concorso tra loro, nelle qualità
evidenziate e con gli artifici sopra indicati, inducevano in
errore il Comune di Caccamo facendogli concludere un contratto
di appalto ad un prezzo più alto di quello ottenibile mediante
una libera gara, provocando un danno all'ente pubblico con un
ingiusto profitto per la Ati PANZECA-DOLCE che si aggiudicava
la gara con un ribasso del 27,05 e per la ATI PANZECA-CATALANO
che si aggiudicava la gara con un ribasso del 13,69 .
In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
DOLCE Giovanni Francesco e DOLCE Sebastiano.
16 bis) del delitto di cui all'416 bis,
commi I e III, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo al mandamento di Caccamo ed ai suoi
principali esponenti, tra i quali DI GESU' Lorenzo, GAETA
Giuseppe, BIONDOLILLO Giuseppe, GIUFFRE' Antonino e PANZECA
Giuseppe, e della famiglie di Bagheria ed al suo principale
esponente Leonardo GRECO - avvalendosi quindi della forza di
intimidazione del vincolo associativo e della condizione di
assoggettamento ed omertà che ne deriva per commettere diversi
e molteplici delitti di corruzione, turbativa d'asta,
peculato, illecita concorrenza con minaccia, ed altro, al fine
di acquisire in modo diretto o indiretto la gestione o,
comunque, il controllo di attività economiche, di concessioni,
di autorizzazioni, di appalti e servizi pubblici; per
realizzare profitti e vantaggi ingiusti per sé e gli altri;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Termini Imerese, Caccamo, Palermo, altri Comuni
della Provincia ed in altre località del territorio nazionale
sino alla data odierna;
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE:
17) del delitto di cui agli artt. 110, 81 cpv., e 640
bis cp.; perché in concorso tra loro , nelle qualità
evidenziate, acquisivano l'appalto per la realizzazione di un
tratto della rete fognante e per costruzione del Parco Urbano
di Caccamo , finanziati dalla Regione Siciliana Ass. TT.AA.,
utilizzando gli artifici di cui sopra e non consentendo una
Pag.23
libera aggiudicazione con un maggior ribasso, finendo in tal
modo per assorbire illecitamente una quota maggiore del
finanziamento erogato.
In Caccamo il 23 novembre 1990 ed il 7 febbraio 1991.
PANZECA Giuseppe, PRIOLO ANTONINO, DOLCE SEBASTIANO, DOLCE
GIOVANNI, BATTAGLIA SALVATORE e GIUFFRE' ANTONINO e GUZZINO
DIEGO:
18) del reato di cui agli artt. 110, 513 co. 1 e 2
bis cp., perché, ricorrendo all'appoggio di Cosa Nostra,
riuscivano ad ottenere l'astensione di diverse imprese, ovvero
che le stesse rilasciassero il cd. passi, ed in particolare le
imprese facenti capo al BRUNO e al MINGOIA, operando
attraverso il GIUFFRE' ed il GUZZINO, esponenti di primo piano
dell'associazione criminale denominata Cosa Nostra ed in
particolare del mandamento di Caccamo, impedendo in tal modo
il normale attuarsi della libera concorrenza imprenditoriale
nel settore dei pubblici appalti finanziati dallo Stato,
mediante l'esternazione della forza dell'associazione
criminale denominata Cosa Nostra ed agevolando l'attività
della stessa nel controllo degli appalti pubblici.
In Caccamo 02.09.90.
MANDALA' Antonino:
19) del delitto di cui all'articolo 416 bis,
commi I e III, c.p., per aver preso parte attivamente ed in
modo rilevante alle attività dell'associazione mafiosa Cosa
Nostra - ed in particolare dell'articolazione territoriale
facente capo ai mandamenti di Villabate e Caccamo ed ai suoi
principali esponenti, tra i quali, GIUFFRE' Antonino, PANZECA
Giuseppe e GIUDICE Gaspare, della famiglie di 5. Maria di Gesù
e di Corso dei Mille ed ai loro principali esponenti, tra i
quali GRECO Carlo, TINNIRELLO Lorenzo D'AGATI Giovanni nonché
della famiglia di S. Giuseppe Jato ed ai suoi principali
esponenti, tra i quali MANISCALCO Giuseppe, VITALE Simone,
CAMARDA Michelangelo ed altri associati quali INFANTINO
Valerio - avvalendosi quindi della forza di intimidazione del
vincolo associativo e della condizione di assoggettamento ed
omertà che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in
modo diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo
di attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per sé e gli altri, mediante le seguenti principali
condotte:
fornendo a BARATTA Filippo e a LA CHIUSA Pietro,
amministratori delle società CO.BE.TA. e C.M.C. aderenti al
"Consorzio Emiliano Romagnolo fra le Cooperative di Produzione
e Lavoro", assegnatario dell'appalto per la realizzazione di
un edificio scolastico a Bagheria, la "necessaria
autorizzazione" (c.d. "messa a posto") delle famiglie di
Bagheria per riprendere nel 1995 i lavori relativi a questo
appalto;
svolgendo il ruolo di intermediario tra MANISCALCO
Giuseppe e VITALE Simone, interessati alla c.d "messa a posto"
dell'impresa CAIOLA, aggiudicataria dei lavori di risanamento
della discarica rsu in contrada Torretta, appaltati dal Nuovo
Pag.24
Consorzio Intercomunale per lo Smaltimento RSU con sede in
Bagheria, e tra le i referenti mafiosi di Bagheria, accettando
la consegna di un c.d. bigliettino contenente un messaggio
avente ad oggetto la disponibilità della predetta impresa a
pagare una somma a titolo di pizzo pur di potere eseguire
questi lavori senza dover subire dei danneggiamenti;
svolgendo il ruolo di intermediario tra gli esponenti
della famiglia di 5. Giuseppe Jato, ed in particolare CAMARDA
Michelangelo ed il titolare della società S.G. COSTRUZIONI,
SCHILLACI Francesco, il quale aveva ottenuto l'aggiudicazione
di un appalto bandito dal Comune di Piana degli Albanesi, per
la ristrutturazione della vecchia sede municipale da adibire a
biblioteca comunale, e facendo sapere al CAMARDA che lo
SCHILLACI era disposto a mettersi a posto pur di potere
realizzare quei lavori senza dover subire alcun danno od
ostacolo di sorta;
con le aggravanti di cui ai commi IV e VI dello stesso
articolo per far parte di una associazione armata, avendo la
disponibilità di armi ed esplosivi per il conseguimento delle
finalità dell'associazione, e per avere finanziato le attività
economiche, assunte o controllate, in tutto o in parte, con il
prezzo, il prodotto o il profitto di delitti;
in Palermo, Villabate, Bagheria e altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
20) per il reato di cui agli artt. 110, 353, commi 1 e
2, con l'aggravante dell'articolo 7 D. L. 152/1991 per avere
contribuito ad agevolare le condotte di VITALE Simone, CAMARDA
Michelangelo ed INFANTINO Valerio finalizzate a turbare, con
minacce e mezzi fraudolenti, la gara bandita in data 21 giugno
1997 dello ACP di Catania, per un importo di circa 50
miliardi, relativa alla costruzione del complesso adibito ad
edilizia residenziale universitaria sito in contrada Tavoliere
di Catania, inducendo, in particolare, i titolari dell'impresa
CGP a presentare una offerta di appoggio in modo da consentire
l'aggiudicazione dell'appalto all'impresa COGECO di RANDAZZO
Vincenzo;
in Palermo, in data anteriore e successiva al 21 giugno
1997 e sino al momento dell'arresto di INFANTINO Valerio
avvenuto in seguito all'esecuzione dell'ordinanza di custodia
cautelare del 16 dicembre 1997.
CATANESE Salvatore, PARRINELLA Cosimo, LO BELLO Leonardo:
21) del delitto di cui all'articolo 416 bis,
commi I e III, c.p., per aver fatto parte dell'associazione
mafiosa Cosa Nostra, ed in particolare dell'articolazione
territoriale facente capo al mandamento di Caccamo e agli
uomini d'onore DI GESU' Lorenzo, INTILE Francesco, GAETA
Giuseppe, GIUFFRE' Antonino, PANZECA Giuseppe ed altri,
avvalendosi quindi della forza di intimidazione del vincolo
associativo e della condizione di assoggettamento ed omertà
che ne deriva per commettere delitti; per acquisire in modo
diretto o indiretto la gestione o, comunque, il controllo di
attività economiche, di concessioni, di autorizzazioni, di
Pag.25
appalti e servizi pubblici; per realizzare profitti e vantaggi
ingiusti per sé e gli altri;
per tutti, con le aggravanti di cui ai commi IV e VI
dello stesso articolo per far parte di una associazione
armata, avendo la disponibilità di armi ed esplosivi per il
conseguimento delle finalità dell'associazione, e per avere
finanziato le attività economiche, assunte o controllate, in
tutto o in parte, con il prezzo, il prodotto o il profitto di
delitti;
in Termini Imerese, Trabia, Palermo, altri Comuni della
Provincia ed in altre località del territorio nazionale sino
alla data odierna;
RILEVATO
che - a seguito dei decreti n. 155/97, 186/97, 219/97,
458/97 e 622/97 - il G.I.P. presso questo Tribunale ha
autorizzato l'intercettazione delle comunicazioni telefoniche
sulle utenze in uso, rispettivamente, alle seguenti persone
sottoposte ad indagini:
utenza n. 091-611(...) in uso a PANZECA Giuseppe;
utenza n. 0338-828(...) in uso PANZECA Giuseppe;
utenza n. 091 -614(...) in uso MANDALA' Antonino;
utenza n. 0336-891(...) in uso a MANDALA'
Antonino;
che tra tutte le conversazioni intercettate e
registrate ve ne sono talune nelle quali uno degli
interlocutori è stato sicuramente individuato nell'on. GIUDICE
Gaspare, attuale membro della Camera dei Deputati, in
relazione al quale il G.I.P., su richiesta di questo Ufficio,
ha emesso una ordinanza di custodia cautelare per i reati in
premessa analiticamente specificati;
che, tra queste ultime, assumono particolare rilevanza
ai fini della prova delle vicende oggetto del presente
procedimento quelle di seguito elencate:
utenza n. 0338-828(...) in uso PANZECA Giuseppe:
... (omissis) ...
Pag.26
... (omissis) ...
Pag.27
utenza n. 091-611(...) in uso a PANZECA Giuseppe;
... (omissis) ...
utenza n 0336 89(...) intestata a MANDALA' Antonino;
... (omissis) ...
utenza 091-614(...) in uso a MANDALA' Antonino;
... (omissis) ...
Pag.28
RILEVATO
inoltre che con decreto 738/97 il G.I.P. ha autorizzato
l'acquisizione dei dati documentanti il traffico dell'utenza
cellulare n. 0337 - 962205 in uso ad INFANTINO Valerio,
Dirigente Superiore dell'Assessorato Regionale ai Lavori
Pubblici, in atto detenuto in esecuzione di una ordinanza di
custodia cautelare per i reati di cui agli artt. 461
bis, 11O, 81, 319, 353 e 513 bis c.p.;
che, tra tutti i contatti telefonici documentati,
assumono particolare rilevanza ai fini della prova delle
vicende oggetto del presente procedimento quelli di seguito
analiticamente indicati, intercorsi con le utenze:
0360 - 86(...);
0336-81(...);
091-53(...);
0338-703(...);
tutte in uso all'on. GIUDICE:
... (omissis) ...
Pag.29
... (omissis) ...
Pag.30
... (omissis) ...
Pag.31
... (omissis) ...
Pag.32
CONSIDERATO
che queste conversazioni ed i dati di traffico telefonico
evidenziati non appaiono manifestamente irrilevanti, in quanto
attengono comunque - coerentemente ad altre diverse e
convergenti risultanze processuali - alla dimostrazione
dell'esistenza di rapporti tra l'on. GIUDICE e gli esponenti
dell'organizzazione mafiosa Cosa Nostra, ed in particolare
MANDALA' Antonino e PANZECA Giuseppe, nonché tra lo stesso on.
GIUDICE ed INFANTINO Valerio, alto dirigente amministrativo
della Regione Siciliana risultato profondamente inserito nella
medesima organizzazione criminale ( in merito all'origine,
alla natura, alla incidenza di questi rapporti ai fini del
consolidamento e del rafforzamento della posizione
dell'organizzazione Cosa Nostra si vedano la richiesta di
ordinanza di custodia cautelare e l'ordinanza del G.I.P.);
che le risultanze in questione - compendiate nelle
allegate trascrizioni disposte dall'Ufficio mediante apposita
consulenza tecnica - scaturiscono da intercettazioni non
suscettibili di preventiva autorizzazione ex articolo 68,
comma 30, Cost. proprio perché non riguardanti utenze
telefoniche intestate od in uso a parlamentari;
che, in conseguenza della mancata conversione in legge,
il decreto legge 23 ottobre 1996, n. 555, recante
"disposizioni urgenti per l'attuazione dell'art-.-68 della
Costituzione" non ha più alcuna efficacia e che pertanto, in
assenza di specifica previsione normativa, si deve pienamente
condividere l'indirizzo già espresso in talune decisioni
secondo cui "la peculiare garanzia di cui all'articolo 68
Cost. concerne il caso dell'assoggettamento a controllo di
utenze in uso a membri del Parlamento, a tanto la Autorità
giudiziaria dovendo essere autorizzata dalla Camera di
appartenenza, a tutela della funzione parlamentare", apparendo
quindi indiscutibile "la piena utilizzabilità" delle
conversazioni nei confronti "di soggetti non appartenenti
all'organo costituzionale" ai quali non può certo essere
estesa, nel silenzio della legge ordinaria e costituzionale, e
in contrasto con i principi di uguaglianza di tutti i
cittadini davanti alla legge e di obbligatorietà dell'azione
penale, la garanzia eccezionalmente riservata dall'articolo 68
della Costituzione alla persona del parlamentare a
salvaguardia della fondamentale funzione dallo stesso
esercitata;
che in funzione della assoluta ed incondizionata
salvaguardia della funzione parlamentare, e delle garanzie ad
essa strumentali, debba trovare attuazione l'orientamento
interpretativo che, pur andando oltre la lettera ed il
meccanismo stesso della previsione costituzionale
dell'articolo 68, subordina ad una autorizzazione,
inevitabilmente postuma della Camera di appartenenza, la
utilizzabilità delle conversazioni intercettate presso utenze
di "terzi", anche nei confronti del membro del Parlamento che
a tali conversazioni risulti aver partecipato;
che le argomentazioni esposte valgono anche per la
utilizzazione, nei confronti di parlamentari, di dati del
traffico telefonico già legittimamente acquisiti in relazione
Pag.33
ad utenze di "terzi" (quale è indubbiamente, nella specie,
INFANTINO Valerio), sottostando a questa ipotesi la medesima
ratio relativa alle intercettazioni vere e proprie;
RITENUTO
inoltre che, per le ragioni esposte nella presente
richiesta, appare necessario richiedere altresì
l'autorizzazione all'acquisizione dei tabulati documentanti il
traffico relativo alle seguenti utenze cellulari in uso
all'on. GIUDICE n. 0360 - 86(...), 0368-346(...),
0338-703(...), 0338-838(...), 0336-81(...) - dal momento della
loro attivazione sino alla eventuale cessazione;
che per tutte le superiori richieste, pertanto, si
rende necessario trasmettere copia dei relativi atti al
Presidente della Camera per il seguito di competenza ai sensi
dell'articolo 68, comma 30, della Costituzione, in ordine alla
autorizzazione ad utilizzare nei confronti dell'on. Gaspare
GIUDICE le intercettazioni telefoniche ed i dati di traffico
telefonico in questione, nonché a richiedere l'acquisizione e
l'utilizzazione dei tabulati documentanti il traffico
telefonico relativo alle utenze in uso allo stesso on.
GIUDICE;
P. Q. M.
CHIEDE
al Sig. Presidente della Camera dei Deputati
l'autorizzazione all'utilizzazione delle conversazioni
telefoniche intercettate, analiticamente indicate in premessa
ed integralmente esposte nelle allegate trascrizioni,
all'utilizzazione dei dati provenienti dai tabulati
documentanti il traffico di una utenza telefonica cellulare in
uso ad INFANTINO Valerio, parimenti indicati in premessa,
nonché all'acquisizione ed all'utilizzazione dei tabulati
documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in
uso all'on. Gaspare GIUDICE.
Palermo 8 giugno 1998.
I sostituti procuratori:
Gaspare Sturzo
C. Gaetano Paci
I procuratori della Repubblica agg.
Luigi Croce
Guido Lo Forte
Pag.34
Pagine da 34 a 413 ... (omissis) ...
| |
| RELAZIONE DELLA GIUNTA
PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
(Relatore: ABBATE)
sulla
DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DELLA MISURA
CAUTELARE DELLA CUSTODIA IN CARCERE, ALLA UTILIZZAZIONE DI
CONVERSAZIONI TELEFONICHEINTERCETTATE NONCHE' ALLA
ACQUISIZIONE ED ALLA UTILIZZAZIONE DI DATI DEL TRAFFICO
TELEFONICO
nei confronti del deputato
GIUDICE
nell'ambito del procedimento penale n. 1232/96/D.D.A. per
il reato di cui agli articoli 81, capoverso, 416, comma
secondo, e 416- bis, commi primo e terzo, del codice
penale (associazione per delinquere e associazione di tipo
mafioso, continuate e aggravate); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 216 e 237 del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7
della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione del
decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta,
aggravata); per il reato di cui agli articoli 81, capoverso, e
648- bis del codice penale, e 7 della legge 12 luglio
1991, n. 293, di conversione del decreto-legge 13 maggio 1991,
n. 152 (riciclaggio, aggravato); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 81, capoverso, dello stesso codice, 2621 del codice
civile e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di conversione
del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152 (false comunicazioni
sociali, aggravate); per concorso - ai sensi dell'articolo 110
del codice penale - nel reato di cui agli articoli 216 e 223
del regio decreto 16 marzo 1942, n. 267 e 7 della legge 12
luglio 1991, n. 203, di conversione del decreto-legge 13
maggio 1991, n. 152 (bancarotta fraudolenta, aggravata); per
il reato di cui agli articoli 629, commi primo e secondo, del
codice penale e 7 della legge 12 luglio 1991, n. 203, di
conversione del decreto-legge 13 maggio 1991, n. 152
(estorsione, aggravata).
TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
il 9 giugno 1998
Presentata alla Presidenza il 13 luglio 1998
Pag.2
Onorevoli Colleghi! - 1. La vicenda al nostro esame ci
propone la esplorazione di contesti criminali di tipo mafioso
nei quali si muove una moltitudine di ambigui personaggi e si
incrociano interessi di dubbia natura facenti capo a gruppi o
"clan" operanti in diverse aree di influenza: gli uni e gli
altri, però, funzionalmente tesi alla realizzazione delle
finalità tipiche del sodalizio criminale "mafia".
Quella offerta alla nostra osservazione è una mafia non
sanguinaria, ancorché sinistramente "nobilitata" da presenze
ormai storiche del "gotha" mafioso (da Greco a Provenzano, a
Brusca, Aglieri, Siino e tanti altri); di una mafia, tuttavia,
non meno insidiosa, invasiva ed inquinante, caratterizzata da
torbidi ed inquietanti intrecci tra criminalità, imprenditoria
e politica.
La vicenda che ci impegna, complessa ed estremamente
articolata sia sul piano delle persone e dei gruppi che vi
sono coinvolti, sia sul piano delle attività nelle quali si
esplica l'azione di mafia, sia sul piano del tempo in cui tale
azione si svolge, trova ampia e chiara descrizione nel
documento giudiziario al nostro esame, la cui impostazione
contenutistica e formale ben consente una rappresentazione
ragionevolmente sintetica della peculiare o delle peculiari
questioni - e solo di quelle - sulle quali la Camera dei
Deputati è chiamata a far conoscere le sue determinazioni, che
purtroppo pesantemente coinvolgono un membro di questa
Assemblea.
2. L'ordinanza del G.I.P. del Tribunale di Palermo, com'è
agevolmente riscontrabile da un controllo degli atti,
costituisce l'approdo di un processo investigativo ampio e
diversificato, caratterizzato dalla utilizzazione di fonti di
varia natura (dichiarazioni di propalanti, collaboratori o
pentiti - riscontri documentali - verifiche tecniche -
osservazioni ed appostamenti - intercettazioni telefoniche ed
altro), tutte sottoposte a riscontri ragionati dai quali il
P.M. prima ed il G.I.P. poi hanno tratto ragioni e titoli
posti a fondamento delle richieste formulate.
Dirò subito - e credo che la annotazione non sia
indifferente rispetto alla natura delle valutazioni cui siamo
chiamati - che la ordinanza del G.I.P., quali possano essere
poi gli orientamenti culturali ed anche politici che ciascun
membro del Parlamento maturerà su di essa, si segnala per il
suo sereno approfondimento dei fatti, per la assenza di
qualsivoglia condizionamento ideologico esterno, anche per un
forte senso di controllo ed insieme di critica dei vari temi
del suo argomentare, e, sotto il profilo tecnico-giuridico,
per un approccio corretto alle varie questioni.
Ha avuto cura, infatti, il G.I.P., di tenere - com'era
giusto che fosse e com'è giusto che sia - ben distinti i
problemi relativi all'autorizzazione all'arresto richiesto, da
quelli riguardanti le intercettazioni indirette eseguite, che,
pur potenzialmente utili rispetto al quadro investigativo,
secondo le prefigurazioni dell'Autorità Giudiziaria, restano
tuttavia fuori dalle tematiche cui si lega la richiesta di
autorizzazione alla esecuzione della grave misura cautelare a
carico di un membro del Parlamento.
Degli specifici aspetti riguardanti le intercettazioni si
parlerà all'esito delle determinazioni sulla richiesta di
autorizzazione alla esecuzione della misura coercitiva,
Pag.3
proprio per assicurare doverosa neutralità del primo problema
rispetto al secondo.
Non ha mancato, poi, il G.I.P., di darsi carico di un
serio approfondimento delle tematiche in ordine alla
sussistenza del delitto di associazione mafiosa, che
costituisce il tema centrale delle contestazioni mosse al
deputato inquisito, prendendo motivata posizione, alla luce
degli orientamenti giurisprudenziali che si sono formati sul
punto, sulle varie forme di partecipazione al sodalizio
criminale, quindi correttamente sovrapponendo le valutazioni
giuridico-culturali alla situazione di fatto risultata dalle
attività investigative svolte.
Ha poi affrontato la complessa problematica della
efficacia dimostrativa delle dichiarazioni dei collaboranti e,
perciò, delle chiamate in correità - che costituiscono, in
indagini del tipo di quella sottoposta alla nostra
valutazione, l'architrave del processo investigativo -, con
riguardo alla loro credibilità intrinseca ed estrinseca e,
quindi, all'apprezzamento dei loro riferimenti sulla base dei
criteri indicati nell'articolo 192 del codice di procedura
penale.
Infine, tanto per indicare i profili giuridici più
rilevanti, nell'ordinanza in esame, il G.I.P. ha, con
riferimento all'indole ed alla natura dei delitti contestati,
valutato, in termini di formale correttezza, il problema della
sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e quello delle
esigenze cautelari poste a fondamento della richiesta di
autorizzazione.
3. Tutto questo non certo per esigenze, per così dire, di
collaudo tecnico di natura giuridico-politica della
impostazione data dal G.I.P. ai vari problemi. Credo non sia
neppure consentito in questa sede.
La non indifferenza, però, - della quale prima dicevo - di
siffatti giudizi rispetto alla natura, alla portata ed ai
limiti della nostra pronunzia, discende dai convincimenti che
ho maturato sulla qualità culturale, logica, ideologica e
politica della risoluzione cui il Parlamento è tenuto.
Sul punto in Giunta ed in Aula si sono, in altre
occasioni, confrontate posizioni molto diverse, rispetto alle
quali ho ritenuto e ritengo che il solo criterio del
cosiddetto "fumus persecutionis" indicato da taluni
unico paradigma di valutazione, inteso come preordinata
volontà del giudice di nuocere all'incolpato, non può essere
risolutivo del problema. Se, infatti, bastasse questa sola
verifica negativa, il problema nella specie sarebbe del tutto
risolto. Ed anzi neppure sorgerebbe, visto che la serena
sobrietà dell'impegno del G.I.P. esclude qualsiasi ipotesi di
intenzionale persecuzione.
E' necessario, perciò, individuare altri e ben diversi
criteri di valutazione.
Mi sono sempre chiesto e continuo a chiedermi quale possa
essere la regola dalla quale lasciarsi orientare. Perché una
regola deve pur esserci ed essa non può consistere in quella,
di assai comoda praticabilità, ma di assai dubbia
compatibilità democratica, di respingere sempre e comunque,
per una sorta di difesa castale, ogni richiesta di privazione
della libertà personale di un membro del Parlamento.
Sarebbe, questa, una scelta del tutto fuori e contraria
allo spirito della Costituzione, che si fonda
sull'indefettibile principio della uguaglianza di tutti i
cittadini, siano essi anche Deputati o Senatori.
Certo, la elevatezza dello "status" del parlamentare
impone, in un ordinamento come il nostro, strutturato sulla
divisione dei poteri, che egli sia posto al riparo da eccessi
od abusi del potere giudiziario, anche per le conseguenze che
tali eccessi od abusi finirebbero per provocare sull'ordinato
esercizio della funzione primaria dello Stato, e, cioè,
sull'esercizio della sovranità popolare nel momento della
formazione della legge.
La soluzione del problema, quindi, va ricercata
nell'ambito della generale funzione di garanzia, la quale,
com'è agevolmente intuibile, assume, nei confronti dei membri
del Parlamento raggiunti da provvedimenti coercitivi, un
significato particolare.
Altra ragione non può avere la previsione di cui
all'articolo 68 della Costituzione, rimanendo escluso, per le
ragione più sopra cennate, che la ipotizzata autorizzazione
Pag.4
della Camera di appartenenza per la esecuzione dell'arresto di
uno dei suoi membri, possa risolversi in una sorta di generale
franchigia a favore dei parlamentari.
Ovviamente, l'autorizzazione, proprio per il principio
della divisione dei poteri, non partecipa dei caratteri della
giurisdizione, e, quindi, non può assumere la sostanza di un
ulteriore e specialissimo grado di giudizio.
Il problema rimane, perciò, quello di stabilire i limiti
ed il contenuto delle garanzie, le quali, sul piano
concettuale ed ontologico, evocano comunque l'istituto del
controllo. Un controllo, però, avente caratteri e contenuti
diversi da quello giurisdizionale in senso stretto,
sostanziantesi in forme di verifiche tese ad accertare non già
vizi o anomalie tipiche dell'atto, rilevanti sotto il profilo
delle sanzioni processuali previste, bensì eccessi o abusi,
per così dire atipici, più propriamente attinenti alle
generali modalità di esercizio dei poteri di coercizione da
parte dell'Autorita Giudiziaria, incidenti in definitiva su
quelli che sono i momenti di sintesi di ogni provvedimento
privativo della libertà: la sussistenza di gravi indizi di
colpevolezza e la esistenza delle ragioni cautelari.
Dubito possano venire in considerazione a tali fini,
specifici profili di inopportunità politica dell'atto
giudiziario ordinatorio dell'arresto, perché la autorizzazione
del Parlamento più non si inquadra nell'istituto
dell'autorizzazione a procedere - cui potevano anche non
essere estranee valutazioni di questo tipo -, bensì in quello,
di ben minore portata, della autorizzazione alla esecuzione
dell'ordine già dato dal giudice.
Tanto premesso, giova osservare che vanno a tali fini
ricercati strumenti di composizione, per così dire, del
conflitto tra i valori costituzionali in campo: la tutela
della completezza e della integrità del Plenum, da un
lato, e la esigenza di non ostacolare l'accertamento
giudiziario dall'altro, chiaro essendo che è la prevalenza
dell'uno o dell'altro valore, in relazione alle peculiarità
della fattispecie, che dirime la questione.
Sotto questo aspetto non si può prescindere, com'è
agevolmente comprensibile, da una esplorazione del merito. Una
esplorazione, però, che pur senza raggiungere la pregnanza
delle valutazioni proprie riservate in via esclusiva al
giudice, consente nondimeno la ricerca di eventuali anomalie,
di qualsivoglia natura, sostanziali o processuali, rivelatrici
in qualche misura di un esercizio non del tutto corretto dei
poteri di coercizione da parte dell'Autorità Giudiziaria, e,
perciò, "lato sensu" indicative di una persecuzione, per
così dire, non intenzionale, oggettiva.
E' questo il criterio di fondo che deve orientare le
nostre verifiche, all'esito delle quali, poi, con serenità di
coscienza, affermare o escludere la esistenza di eventuali
anomalie di merito e, conseguentemente, negare o concedere la
autorizzazione richiesta.
4. Prima di procedere al "controllo" dei percorsi
argomentativi sviluppati dal G.I.P., controllo ovviamente
rapportato al quadro accusatorio (articolo 416- bis c.p.
ed altro), e finalizzato, come si è avvertito, alla sola
ricerca di possibili anomalie logico-giuridiche dalle quali
trarre eventuali controindicazioni all'accoglimento delle
richieste avanzate, non è inopportuno far cenno alle
condizioni storico-ambientali del tempo che qui viene in
considerazione (anni 80 e 90), durante il quale, per avvenuti
mutamenti strutturali e strategici della organizzazione
mafiosa, se ne realizzò un allargamento per così dire della
base sociale, con conseguente diversificazione delle metodiche
di azione e degli obiettivi di espansione, rivolti verso aree
socio-economiche fino ad allora rimaste sostanzialmente
estranee alle attività di stretta pratica mafiosa.
Sul punto risultano alle Autorità Giudiziarie, anche per
definitivi riscontri maturati in altri processi, acquisizioni
difficilmente contestabili.
5. Il quadro di riferimento della indagine riguardante il
Parlamentare inquisito è, come si è detto, quello del
connubio, ormai storicizzato, tra potere politico, potere
Pag.5
imprenditoriale e potere mafioso consolidatosi nel corso di
almeno un decennio.
Tale fenomeno si è caratterizzato nel tempo per un
significativo dinamismo: si è, infatti, passati da una fase
alla quale al sodalizio partecipavano solo imprenditori e
politici in una logica spartitoria, contrassegnata da
interventi di tipo estorsivo del potere mafioso (tangenti ed
altro), ad una fase nella quale la mafia, "vuoi per ricercare
nuovi e più remunerativi canali di approvvigionamento, vuoi
per la maggiore facilità di occultare, attraverso
l'inserimento in settori prima inesplorati, i propri profitti
illeciti derivanti da settori operativi tradizionali (traffico
di stupefacenti, contrabbando, estorsioni), si è inserita in
modo progressivamente sempre più incisivo" ed ingombrante nel
rapporto con le altre parti, fino ad imporre la essenzialità
della sua presenza, con conseguenti comprensibili
condizionamenti.
Si sono, così, venute realizzando - ed anche questo è dato
ormai consacrato alla storia cupa della criminalità mafiosa -
delle vere e proprie cointeressenze affaristico-criminali, ed
ha preso di conseguenza corpo il progressivo inquinamento di
settori "sani" della economia isolana da parte di gruppi di
sicura e forte caratura mafiosa.
Siffatti mutamenti di obiettivo e di struttura della
organizzazione delinquenziale sono stati favoriti, come ho
avvertito, dall'allargamento della platea dei soci attraverso
adesioni " di servizio " o " a disposizione ", che
sono tipiche manifestazioni di associazione piena, di
personaggi in certo modo insospettabili, capaci, per la loro
collocazione istituzionale od anche semplicemente economica,
di piegare alle mire espansionistiche della mafia importanti
settori della economia o gangli vitali delle stesse
istituzioni.
E' noto, infatti, che la organizzazione mafiosa, anche
perché in certa misura infiacchita dalle indagini sempre più
efficaci delle forze di polizia, minata al suo interno dal
fenomeno dei collaboratori di giustizia che ha posto in
discussione il rigore delle storiche regole della omertà,
provata da meccanismi sanzionatori che hanno consentito la
acquisizione allo Stato di taluni patrimoni illecitamente
costruiti, ha ritenuto, per un verso, di rivolgersi a
personaggi spesso non al centro di indagini e non direttamente
coinvolti nella organizzazione, ma pronti a fornire utili ed
essenziali apporti continuativi per la realizzazione delle
finalità mafiose, e di inventare, per altro verso, nuovi
settori di intervento attraverso il riciclaggio di danaro o di
beni al riparo da possibili azioni di sequestro e di confisca,
e perciò in grado di assicurare la conservazione ed il
consolidamento dei capitali e dei patrimoni illecitamente
costituiti.
6. In tale quadro di riferimento si colloca, secondo le
prospettazioni dell'Accusa, la adesione alla Mafia
dell'onorevole Gaspare Giudice, nei cui confronti la Autorità
Giudiziaria ha ricostruito, nel documento al nostro esame,
storicamente ed anche criminologicamente, un ventennio di
vissuta mafiosità.
Una mafiosità, secondo quanto il G.I.P. lascia intendere,
cangiante, mutevole nel suo concreto atteggiarsi, ma sempre
estrinsecantesi in forme e con modalità peculiarmente legate
alla sua professionalità, rivelatesi, perciò, sempre efficaci
e vincenti rispetto agli obiettivi prefigurati.
Una mafiosità che, proprio perché avente corso in circa un
ventennio, ha finito per segnarne la esistenza, variamente
caratterizzantesi in fasi o cicli, in relazione ai quali
l'Accusa ha ipotizzato a suo carico, alla stregua delle
investigazioni svolte e degli elementi acquisiti, un ventaglio
di accuse molto gravi, tutte esplicitazioni della sua supposta
militanza mafiosa.
Con riferimento a siffatte esplicitazioni, e, perciò, con
riguardo alle concrete attività sussunte poi nei vari capi di
accusa, la Autorità Giudiziaria ha individuato e classificato,
con valutazioni giuridiche di apparente coerenza logica,
assistite anche da riferimenti giurisprudenziali, la forma e
il grado di partecipazione dell'onorevole Giudice al sodalizio
criminale, riconoscendone la sua immanente organicità ad esso
e, perciò, stante la natura permanente del delitto di cui
all'articolo 416- bis del codice penale, la attualità del
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suo essere "al servizio" e "a disposizione" della mafia,
insomma dell'essere egli ancora oggi sostanzialmente e
formalmente mafioso.
Riservando al prosieguo un controllo logico della coerenza
delle valutazioni del G.I.P. sul punto della sussistenza del
delitto di cui all'articolo 416- bis del codice penale in
relazione alle forme in cui si sarebbe realizzata la
partecipazione del Parlamentare al sodalizio criminale, è
opportuno sottolineare che le fasi che contrassegnarono la
supposta mafiosità dell'onorevole Giudice possono storicamente
così sintetizzarsi:
a) la fase relativa al tempo in cui egli fu
Direttore della Sicilcassa di Termini Imerese Alta (3 marzo
1980-3 ottobre 1985);
b) la fase relativa al tempo in cui rimase sospeso
dal servizio in conseguenza del suo arresto per i delitti di
associazione mafiosa e truffa in danno dello Stato, dai quali
fu poi assolto (3 ottobre 1988-14 ottobre 1992);
c) la fase dalla sua riassunzione in servizio
presso la Sicilcassa, Direzione Generale di Palermo (14
ottobre 1992-aprile 1996) e dal tempo della sua elezione ad
oggi.
Il primo periodo o ciclo è quello della cosiddetta
"iniziazione" dell'onorevole Giudice; una iniziazione non
"sacramentale", ma costruita ed alimentata da una solida,
vissuta e qualificata amicizia tra lui ed esponenti di spicco
della consorteria criminale, quali Lorenzo Di Gesù, Giuseppe
Calò, detto Pippo, cassiere della Mafia, e Giuseppe Gaeta.
A servizio degli stessi, tutti definitivamente
riconosciuti e dichiarati, in altri processi, colpevoli del
delitto di associazione mafiosa proprio in relazione al
riciclaggio bancario di danaro proveniente dal traffico della
droga, in base a quanto risulta dagli atti di indagine,
l'onorevole Giudice, nel tempo in cui fu Direttore della
Sicilcassa di Termini Imerese, pose sè stesso e le sue
funzioni, riciclando continuamente danaro di illecita
provenienza, che i tre "uomini d'onore" gli affidavano
addirittura quotidianamente, almeno per quanto riguarda il
Gaeta.
7. Appare superfluo indulgere in una ricostruzione
minuziosa di questi, come di altri accadimenti sui quali
ampiamente e diffusamente si sofferma l'ordinanza del G.I.P.,
cui si rinvia. Basterà ricordare, per le finalità e per la
natura dei compiti affidati al Parlamento, che sul tema del
riciclaggio bancario ha più volte concordemente riferito
all'Autorità Giudiziaria il collaborante Salvatore Barbagallo,
che dei fatti aveva informazioni di prima mano, per essere
stato autista del Di Gesù e, per tale sua qualità, anche
consegnatario del danaro (mazzette da cinquanta milioni
ciascuna, avvolte in giornali), che veniva poi da lui affidato
all'indagato.
Le innegabili riserve sulla attendibilità del dichiarante,
alimentate soprattutto da giudiziarie smentite, in altri
processi, dei suoi contributi conoscitivi, non ne provocano la
espulsione dalle fonti utilizzabili.
I processi di mafia, com'è noto, si caratterizzano, sul
piano probatorio, per una sorprendente e significativa
disomogeneità che ne impedisce la riconduzione a schemi
probatori tipici. Le stesse fonti, infatti, per la natura dei
fenomeni criminali e dei fatti da provare, in taluni processi
finiscono per accreditarsi di affidabile tenuta, mentre in
altri non consentono affidamento di sorta.
Il problema, quindi, fatte salve le regole di giudizio
codicisticamente affermate e affinate da arricchimenti
giurisprudenziali e dottrinali autorevoli, vive delle sue
peculiari specificità in relazione al caso concreto; sicché
può accadere, e spesso accade, che ciò che costituisce fonte
qualificata in un caso, tale può non essere in altro caso.
Nella specie, poi, il G.I.P. non si è neppure nascosto il
naufragio delle tesi proposte in altro processo dal Barbagallo
in ordine alla affermata mafiosità di Giuseppe Panzeca,
assicurando tuttavia che successivi disvelamenti avrebbero
accreditato di verità affermazioni del dichiarante ritenute
inattendibili.
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Quanto, in particolare, alla specificità del caso, va
osservato che le affermazioni del Barbagallo hanno trovato,
per un verso, conferma nelle dichiarazioni degli altri
collaboranti, ingegner Salvatore Lanzalaco - addirittura
depositario di confidenze fattegli sul punto dallo stesso
Giudice -, le cui preziose informazioni hanno contribuito a
disvelare, secondo quanto annota l'Autorità Giudiziaria,
ulteriori inquietanti scenari di sinistri collateralismi tra
il Parlamentare ed altri ambienti mafiosi, e Angelo Siino, il
cui rilevante ruolo nella struttura di "Cosa Nostra" lo ha
reso depositario di utili notizie, e, per altro verso,
riscontro nei documenti rinvenuti e sequestrati presso la
banca, dai quali è risultato, in sintonia con quanto riferito
dal dichiarante, che le rimesse destinate al riciclaggio, che
non venivano dal Giudice subito convertite in "danaro pulito"
o in assegni circolari - dei quali pure sono state rinvenute
tracce -, intestati, di volta in volta, a Di Gesù Rosa,
sorella di Lorenzo, Panzeca Gioacchino, padre del ben più
famoso Giuseppe, Intile Francesco, allora capo mandamento di
Caccamo, Guzzino Pietro e Nicosia Filippo, entrambi "uomini
d'onore" dello stesso mandamento, erano depositate su libretti
anonimi recanti intestazioni floreali (margherita, ortensia,
rosa marina eccetera), pur essi ritrovati.
Sul tema l'onorevole Giudice, nell'interrogatorio cui sì è
sottoposto innanzi a P.M. di Palermo e nell'audizione innanzi
alla Giunta, ha rivendicato la regolarità della sua azione,
con un caparbio richiamo alle regole disciplinanti i servizi
bancari all'epoca dei fatti, quasi che la esistenza delle
stesse potesse da sola porlo al riparo dai gravi sospetti dai
quali purtroppo è raggiunto.
Ha tacciato di "farneticamento" il ragionamento del
Barbagallo, ma ha riconosciuto che questi era un abituale
frequentatore della banca, in tal modo ammettendo quel
presupposto di fatto cui il dichiarante ha legato i suoi
ricordi accusatori.
Ha anche ammesso di aver avuto conoscenza e rapporti con
tutti gli "uomini d'onore" del "mandamento di Caccamo", da Di
Gesù a Gaeta, a Panzeca ed altri, ma di averne ignorato la
loro organicità alla consorteria criminale. Eppure, per
comportamenti e fatti risalenti agli anni 80, tristemente noti
nella intera area dei mandamento, delle suddette persone fu
giudiziariamente riconosciuta e dichiarata, con sentenza del
1991, nel famoso processo della cosiddetta "mafia delle
Madonie", la appartenenza alla mafia.
Non ha negato la accensione di libretti di deposito
bancario con intestazioni floreali, dichiarando, però, che
agli atti della Banca risultavano le effettive intestazioni.
Affermazione questa, pare, contraddetta dalle risultanze delle
indagini tecniche espletate, tutte indicative di una
sostanziale anonimia delle operazioni, faticosamente superata
soltanto attraverso laboriosi riscontri grafici, indicativi di
sinistre intestazioni soggettivamente mafiose.
Insomma, al di là di una considerazione per davvero
doverosa, di umana rispettabilità e di apprezzamento del suo
dignitoso atteggiarsi, le difese dell'onorevole Giudice non
sono valse ad incrinare la solidità dell'impianto accusatorio
ipotizzato nel documento all'esame del Parlamento.
8. Non sono poi senza significato, nella prospettazione
accusatoria, la circostanza, pure affermata dal Barbagallo,
che il "carismatico" Di Gesù, nel presentarlo al Giudice per
accreditarne la rappresentanza a porre in essere per suo conto
attività di riciclaggio, ne segnalò, con affermazione di
univoco significato, una reciproca e complice vicinanza,
dicendo loro che essi "erano la stessa cosa", e la lettera
autografa dello stesso Parlamentare, il quale, scrivendo a
Giuseppe Panzeca, nel cui possesso fu poi rinvenuta e
sequestrata, per chiarire le ragioni di un contrasto tra di
loro insorto in ordine alla gestione delle società nautiche,
evocò il pacificante ricordo della devozione che lo aveva
legato a suo zio, Lorenzo Di Gesù, noto e celebrato capo-mafia
del mandamento.
A fronte di siffatte acquisizioni che, secondo quanto
sottolinea l'Ordinanza, finiscono per realizzare quel fenomeno
probatorio che la dottrina e la giurisprudenza indica come "la
Pag.8
convergenza del molteplice", riesce difficile porre in
discussione, allo stato degli atti, la correttezza
logico-giuridica della qualificazione che del comportamento
dell'onorevole Giudice ha dato il P.M., apparendo anche, alla
stregua di quanto fino ad oggi emerso dalle indaghi, non
contestabili in fatto gli aiuti offerti dall'indagato a vari
esponenti di spicco delle famiglie mafiose e, in diritto, la
astratta configurabilità, per tali fatti, del delitto
contestato di partecipazione ad associazione mafiosa.
9. Senza volere invadere campi preclusi alla esplorazione
del Parlamento, ma al solo fine di individuare un riferimento
culturale di orientamento, non è inutile rimarcare, in linea
con le osservazioni contenute nel documento giudiziario
all'esame di questa Assemblea, che la partecipazione
all'associazione mafiosa, che non si concreti in una formale e
sacrale affiliazione, deve sostanziarsi nell'espletamento, ad
opera del partecipe, di compiti propri dell'associazione, di
azioni, cioè, funzionali allo scopo dell'associazione. Deve
trattarsi, ovviamente, di una partecipazione continua,
rivelatrice, cioè, della immanente stabilità del vincolo
associativo e, di conseguenza, della organicità dell'associato
rispetto alla consorteria criminale.
10. Il prosieguo delle attività mafiose dell'onorevole
Giudice, secondo la rappresentazione che di esse si coglie
nell'ampio documento giudiziario ordinatorio del suo arresto,
si sviluppa secondo forme e con modalità, per così dire non
omogenee o, comunque, non iniformi, nel senso che egli, nel
tempo, pose e poi sovrappose ed anche cumulò condotte o
comportamenti di riciclaggio non più strettamente bancario,
maliziose strumentalizzazioni di funzioni bancarie nelle quali
fu reintegrato dopo la sua sospensione dal servizio, attività
di ampio riciclaggio di risorse mafiose in settori
imprenditoriali fino ad allora sconosciuti alla mafia o ad una
certa mafia, comportamenti mediatori volti a creare cupe
sinergie tra cosche mafiose di diversa estrazione
territoriale; insomma un multiforme attivismo sostanzialmente
e formalmente teso a consolidare capitali mafiosi in
investimenti di apparente liceità, ponendoli così al riparo da
eventuali azioni di sequestro o di confisca.
Su questi scenari campeggia la figura di Giuseppe Panzeca,
rispetto al quale non è compito del Parlamento ricostruirne la
supposta sua mafiosità, la quale peraltro è oggetto di attenta
valutazione in altro procedimento. Egli è, tuttavia, - e
l'annotazione è utile per comprendere o comunque per chiarire
la natura delle intense e mai dismesse relazioni ed intese che
lo hanno legato e, secondo l'accusa, ancora lo legano
all'onorevole Giudice - persona di elevata genealogia mafiosa
per essere nipote del famoso Lorenzo Di Gesù e per esserne
divenuto, per così dire, alla sua morte, erede universale. I
collaboranti Salvatore Barbagallo, Gaetano Lima, Francesco Di
Carlo addirittura lo qualificano "uomo d'onore" che è il
massimo grado della gerarchia criminale, e Angelo Siino - che
lo colloca nel gruppo Aglieri/Provenzano, mitico ed
irriducibile oppositore del "clan" dei corleonesi - ne
qualifica l'azione nel settore degli appalti; un'azione
favorita, a dire del Siino, dagli autorevoli collateralismi
politici che egli seppe procurarsi.
Il Panzeca, che, secondo l'ingegner Lanzalaco, secondò
l'aggregazione al gruppo Aglieri-Provenzano anche
dell'onorevole Giudice, alla stregua delle indicazioni esposte
nella ordinanza del G.I.P., ha ampiamente consolidato, dagli
anni 80 ad oggi, la sua posizione all'interno di "Cosa
Nostra", divenendo uno degli imprenditori più attivi nel mondo
degli appalti, anche grazie alle aderenze conquistate nella
politica, acquisendo, perciò, un ruolo rilevante in tutte
quelle attività finalizzate alla infiltrazione mafiosa nella
imprenditoria e nei lavori pubblici (Ord. pp. 73 e ss.).
Il rapporto tra Panzeca e Giudice, un rapporto quasi
ventennale, radicatosi nell'antica devozione che il
parlamentare inquisito aveva avuto per Lorenzo Di Gesù,
costituisce lo snodo centrale di questa vicenda. Essa trova
poi le sue proiezioni operative - cui si legano le accuse
contestate -, in termini di attività mafiose, nella
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espansione (in base agli atti fortemente voluta ed
efficacemente favorita dal Giudice) del gruppo Panzeca, cui si
associò, nel settore della nautica, anche il gruppo Lanzalaco;
nella realizzazione, in tale settore, di inquietanti
sinergie (anche queste, secondo quanto appare lecito dedurre
dagli atti, volute, guidate e favorite dall'onorevole Giudice)
tra mafia, per così dire, di provincia e mafia di città, con
conseguente definitivo svuotamento economico di aziende sane e
produttive; nel rinnovato asservimento dei servizi
bancari della Sicilcassa, nel tempo in cui l'onorevole Giudice
riprese ad operarvi nel delicato settore delle " posizioni
rischio in osservazione ", alle attività e alle pretese del
gruppo Panzeca.
Uno scenario, quindi, estremamente complesso e vario,
forse di non agevole, ma non impossibile, ricostruzione
storica, certamente inquietante per le acquisizioni raccolte,
rivelatrici, come sono, di presenze di attività tipicamente
mafiose, la cui esplorazione ha impegnato la Polizia
Giudiziaria prima (Guardia di Finanza e Carabinieri) e
l'Autorità Giudiziaria poi, in un paziente e accorto lavoro di
coordinamento e di controllo, volto ad offrire strumenti di
conoscenza e chiavi di lettura di fenomeni che altrimenti
sarebbero rimasti oscuri o indecifrati.
Non è compito del Parlamento cimentarsi in un'attività di
ricerca e di qualificazione giuridica di fatti o di
comportamenti di rilevanza penale.
E' utile, però, per le peculiari finalità delle risposte
che la Camera dei Deputati deve dare ai quesiti che le sono
stati proposti, assumere, sulla base degli atti offerti in
valutazione, conoscenza delle tematiche fattuali e giuridiche
sulle quali si fondano le richieste di autorizzazione,
rispetto alle quali, quindi, anche in questa sede non si può
rimanere indifferenti.
11. La centralità del ruolo svolto dall'onorevole Giudice
nella vicenda specificamente riguardante il settore nautico si
fonda sulla sua ultradecennale presenza in quel settore, sulle
esperienze da lui in esso maturate e sulle interessenze di
carattere affaristico da lui in esso realizzate.
Ed infatti, già dal 1986 e, cioè, appena dopo la sua
sospensione dalla Sicilcassa, si riscontrano significative e
qualificate tracce della sua presenza nelle aziende facenti
parte del c.d. pacchetto Bazan, offerto poi, grazie alle sue
capacità mediatorie, alla infiltrazione di occulte
interessenze mafiose e, perciò, alla espansione, attraverso
una sostanziale attività di riciclaggio, della mafia nel
settore della nautica da diporto.
Socio della società cooperativa a responsabilità
limitata "Il Salpancore" fin dal 1986 e poi addirittura
presidente del consiglio di amministrazione, vi immise,
accanto ai Bazan, anche persona a lui molto vicina, come la
sua convivente Rosalia Vesco. Fondò, insieme ai Bazan la
s.r.l. "Gente di mare", sottoscrivendo una quota
iniziale di capitale sociale di lire venti milioni, e operò,
come risulta documentalmente accertato, anche per conto di
"Marina Uno", in una attività di intermediazione per
l'acquisto e la vendita di imbarcazioni e di materiale
nautico, fin dal 1987, curando sostanzialmente la gestione
dell'azienda ancor prima del suo ingresso ufficiale negli
organismi societari, avvenuto l'8 febbraio 1992, allorché, per
il tramite di sua figlia Domitilla, ne divenne, insieme a
Lanzalaco ed al Panzeca, socio.
Stante tale sua posizione nell'ambito del settore nautico
ed in particolare delle società del gruppo Bazan, e stante la
sua intima e contaminante vicinanza a Giuseppe Panzeca, riesce
comprensibile ed anche verosimile sul piano logico, se già non
risultasse da elementi dimostrativi di varia indole pure
acquisiti nel corso delle investigazioni, la iniziativa
dell'onorevole Giudice nel processo di espansione del gruppo
Panzeca-Lanzalaco dal settore degli appalti a quello della
imprenditoria nautica.
Anche su questo tema esistono riscontri che concorrono,
secondo quanto accertato dalla Polizia giudiziaria e dal P.M.,
per la loro significativa valenza, a conferire alta
attendibilità, intrinseca ed estrinseca, ai riferimenti del
collaborante ing. Lanzalaco che sul punto ha offerto preziose
indicazioni.
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Questi, sedotto come fu, dalle mire espansionistiche
prospettategli dal Panzeca e dal Giudice, entrò, insieme ai
due, nell'affare Bazan, assunse la sostanziale titolarità del
gruppo, sollevò i precedenti titolari da obbligazioni
fldejussorie presso banche, concorse a sottrarre le tre
aziende "Marina Uno", "Il Salpancore", e "Gente di
mare" al concordato preventivo che Gaspare Bazan propose e
concluse in relazione alla situazione debitoria
ultramiliardaria (oltre quattro miliardi e seicento milioni)
che gravava sull'azienda capofila del Gruppo, avente ad
oggetto "concessionaria d'auto", iniziando in tal modo
la criminale avventura in un settore, quello della nautica,
nel quale, come si vedrà, erano già occultamente impegnati
noti ambienti mafiosi della capitale isolana.
Sul punto hanno dato concordi assicurazioni la teste Maria
Francesca Natoli, che fu socio fondatore della cooperativa
"Il Salpancore" e socio di fatto, per conto di sua madre
Antonia Giuliana, di "Marina Uno", Francesco Pirrotta,
cognato del Lanzalaco, Giuseppe Zappia ed il ragioniere Pietro
La Chiusa, già soci dell'avventuroso ingegnere in altre
imprese criminali di tipo mafioso aventi ad oggetto il mondo
degli appalti pubblici.
La immissione del gruppo Panzeca-Lanzalaco-Giudice nel
settore nautico, con la conseguente estromissione dei fratelli
Bazan dalle tre aziende succitate, fu certamente ispirata
dalla necessità di sottrarre, attraverso un audace e maliziosa
operazione di bancarotta impropria - nella quale il Giudice
spese la sua raffinata professionalità di bancario - tutta la
patrimonialità del settore nautico dei Bazan al concordato
preventivo da questi proposto per la situazione debitoria
dell'azienda capofila operante nel settore auto (basti pensare
che la nuova titolarità delle società nautiche risale all'8
febbraio 1992, laddove il concordato preventivo, ormai al
riparo dal coinvolgimento in esso anche delle aziende
nautiche, fu proposto con atto del 14 marzo 1992), ma fu
essenzialmente diretta ad assicurare l'espansione del gruppo
Lanzalaco-Panzeca, di certa caratura mafiosa, in settore
economico, quello nautico, nel quale la mafia cittadina aveva
già investito le sue attività.
Anche sul punto la difesa dell'onorevole Giudice innanzi
al P.M. e nel corso dell'audizione innanzi alla Giunta è stata
tutt'altro che persuasiva, languidamente volta, com'è stata,
ad escludere innegabili finalità di bancarotta nella
esclusione dei Bazan dalle aziende nautiche già di loro
proprietà e ad accreditare insostenibili ipotesi di lecite
cessioni di azienda e perciò regolari mutamenti soggettivi
nella titolarità delle stesse.
Accanto a queste finalità, per così dire dichiarate o
comunque scoperte di bancarotta impropria, l'operazione di
cessione del patrimonio sociale formato dalla quote del
"Salpancore", di "Marina Uno" e di "Gente di
mare" dal patrimonio dei Bazan a quello
Panzeca-Lanzalaco-Giudice nascondeva, però, - ed è questo
l'aspetto più inquietante -, alla stregua delle risultanze
acquisite nel corso delle indagini, ben più ambigui obiettivi
che coinvolsero molto pesantemente - così sostiene il G.I.P. -
l'onorevole Gaspare Giudice.
Questi, secondo quanto è rappresentato nella ordinanza (p.
113 e ss.), pare sia stato addirittura "l'abile manovratore
di una straordinaria azione di riciclaggio dei patrimoni
illeciti facenti capo a Carlo Greco, Tinnirello Lorenzo,
Giovanni D'Agati e Pietro Vernengo, tutti esponenti di primo
piano delle famiglie mafiose di Santa Maria di Gesù e di Corso
dei Mille, i quali, successivamente al 1989, avevano iniziato
ad occultare tutto il loro patrimonio, mediante un
trasferimento di risorse in altre società nautiche rispetto a
quelle da loro gestite fino a quel momento. Tale patrimonio
era andato a consolidarsi all'interno del gruppo Bazan e
questa operazione era stata una delle ragioni primarie del
dissesto di questo gruppo economico, che era negli anni '90
uno dei più importanti della città. Ciò in quanto il gruppo
mafioso aveva imposto la massima redditività del proprio
investimento a scapito della stessa esistenza patrimoniale del
gruppo Bazan".
L'onorevole Giudice "custode dell'investimento della
famiglia mafiosa di Santa Maria di Gesù - tale lo qualifica
Pag.11
l'ordinanza -, operò scientemente per salvaguardare tale
danaro dalla distruzione fallimentare del gruppo Bazan,
mediante la sostituzione di Bazan Gaspare, oberato di debiti
ed ormai in pieno stato di insolvenza, con gli amici storici
dei gruppo di Panzeca Giuseppe". In questo modo egli finì
per realizzare sinistre sinergie tra gruppi mafiosi diversi,
una vera e propria "joint venture" tra i due gruppi -
quello di Caccamo e quello di Santa Maria di Gesù e Corso dei
Mille -, contribuendo al profondo radicamento ed al
consolidamento delle posizioni di Cosa Nostra all'interno di
un gruppo economico originariamente sano ed immune da
infiltrazioni mafiose (ordinanza p. 114 e ss.).
La ricostruzione di tale situazione trae causa ed alimento
probatorio essenzialmente dalle dichiarazioni dell'ingegner
Lanzalaco, protagonista non sempre vincente, ancorché di
sicura affiliazione mafiosa di questa vicenda, cui hanno
assicurato assistenza sul piano della credibilità estrinseca,
Pietro La Chiusa, il collaboratore Giovanni Drago e, in certa
misura, anche Angelo Siino. Non sono neppure mancati riscontri
documentali rilevati dalla Guardia di Finanza, la quale ha
potuto accertare che varie aziende nautiche facenti capo a
Giovanni D'Agati, Lorenzo Tinnirello e Pietro Vernengo avevano
avuto frequenti rapporti - che l'onorevole Giudice si è
ostinato a dichiarare di lecita commercialità - con le società
già Bazan.
In buona sostanza, l'ingegner Lanzalaco - sul conto del
quale, peraltro, è mancata qualsiasi plausibile indicazione di
un suo preordinato mendacio - potette accertare che nel gruppo
Bazan operavano - sono sue le affermazioni -, quali "soci
occulti" personaggi appartenenti a famiglie mafiose
storiche, quali i Tinnirello, i Vernengo e i D'Agati, che,
interessati particolarmente alla gestione delle società
"Marina Uno" e "Gente di mare", nelle quali, com'è
noto, già operava con rilevanti ruoli l'onorevole Giudice,
effettuavano, favoriti dal Parlamentare, in danno delle
stesse, prelevamenti in nero di danaro, sconti di cambiali,
intessendo anche con esse rapporti commerciali tali da
assicurare a società gestite da loro prestanomi lo scambio di
merce a costo zero o addirittura sottocosto ("operazioni
parassitarie" le definisce il Lanzalaco), sì da procurare
il depauperamento del patrimonio della società "Marina
Uno" e, perciò, il suo svuotamento economico.
L'ingegner Lanzalaco ha anche riferito di essere a
conoscenza di incontri tra l'onorevole Giudice (del quale
addirittura era stato discreto accompagnatore) e Carlo Greco,
cui il primo avrebbe continuamente consegnato danaro
proveniente dalla contabilità delle società ex Bazan e di aver
dovuto subire, allorché tentò di liberare, non gratuitamente,
la società "Marina Uno" dalle onerose interessenze del
Bazan e del Giudice, la imposizione certamente estorsiva, e
come tale contestata, e certamente indicativa di metodiche
tipicamente mafiose, da parte del ben noto Carlo Greco - al
cui cospetto il Giudice volle condurlo -, di rinunziare ai
suoi propositi di estromissione dell'onorevole Giudice, a meno
che non avesse provveduto, ad evidente copertura di interessi
occulti, al versamento in suo favore di lire cinquecento
milioni.
12. Le condotte poste in essere dal Parlamentare
inquisito, così come ricostruite nella ordinanza del G.I.P., e
qui sinteticamente rappresentate, sono astrattamente
riconducibili, oltre che alle specifiche ipotesi delittuose
contestate, per il loro significativo, costante e continuo
riferimento alle finalità della consorteria criminale, nello
schema del delitto di cui all'articolo 416- bis c.p., del
quale pur costituiscono espressioni paradigmatiche anche i
comportamenti "anomali" tenuti dal Parlamentare
nell'ambito della Direzione Generale della Sicilcassa, nel
tempo in cui riprese servizio, nei confronti del gruppo
Panzeca; comportamenti tesi a salvaguardare, in danno della
banca, prima ancora che le peculiari posizioni di sua figlia
Domitilla e della Vesco - obbligate a garanzia di esposizioni
delle società nautiche -, gli interessi del Gruppo, ponendoli
al riparo, anche con artifizi documentali poi riscontrati
(come ha assicurato l'ingegner Lanzalaco nonché come accertato
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a mezzo di consulenza tecnico-bancaria e dichiarato dal
Direttore Generale della banca dottor Brizzi e dal Dirigente
del Servizio Contenzioso avvocato Gattuccio), da possibili,
necessarie e doverose azioni giudiziarie di recupero delle
sofferenze o di rientro dalle esposizioni.
13. Accanto a questi temi cruciali della complessa ed
articolata accusa, ruota, per così dire, uno sciame di ipotesi
delittuose di contorno - riciclaggio (articolo 648- bis
c.p.); falso in bilancio (articolo 2621 c.c.); bancarotta
propria (articoli 110 c.p., 216 e 235 L. Fall.) -, le quali
pur traggono ragion d'essere dalle risultanze acquisite,
ponendosi anch'esse in un rapporto di strumentalità rispetto
all'accusa madre di associazione per delinquere di stampo
mafioso.
14. Quindi, attività varie e di varia indole quelle poste
in essere dall'onorevole Giudice, che si qualificano e si
caratterizzano, secondo quando il P.M. ed il G.I.P. hanno
rilevato, per le loro disvelate finalità di realizzare o
favorire il perseguimento di interessi mafiosi, offrendo ad
essi un decisivo e costante contributo causale. Il che
costituisce, alla luce delle considerazioni più innanzi
svolte, l' in se del delitto di associazione mafiosa.
15. Il complesso delle acquisizioni probatorie risultate
dalle investigazioni svolte, ed in questa relazione
sinteticamente espresse, vuoi per la qualità intrinseca ed
estrinseca delle fonti utilizzate, vuoi per la convergenza dei
riscontri ricercati ed ottenuti, induce, com'è sottolineato
nell'ordinanza del G.I.P., ad una valutazione di ragionevole
probabilità della esistenza dei fatti da provare e della loro
riferibilità all'indagato e, perciò, della esistenza di
elementi indizianti che, in quanto non suscettibili di
interpretazioni alternative, si qualificano per la loro
elevata e grave potenzialità colpevolizzante.
Riesce difficilmente contestabile, quindi, ammesso che in
questa sede ciò sia consentito, la riconosciuta sussistenza
dei due momenti di sintesi cui rapportare le valutazioni del
Parlamento: dei gravi indizi di colpevolezza a carico
dell'onorevole Giudice in relazione ai gravi fatti a lui
attribuiti.
Non autorizza giudizi di diversa indole la avvenuta
acquisizione di provvedimenti del Tribunale del Riesame di
Palermo, dichiarativi della nullità della ordinanza di
custodia cautelare in carcere, dati nei confronti di Gaspare
Bazan e Dario Lo Bue.
La peculiarità dei casi sottoposti all'esame del Tribunale
siciliano, le cui motivazioni peraltro sono del tutto ignote,
impedisce qualsiasi effetto, per così dire, di trascinamento
sull'impianto accusatorio relativo al Deputato inquisito,
costruito, come si è visto, su un complesso di obiettivi fatti
e circostanze dei quali non risulta che il Tribunale
palermitano abbia posto in discussione la esistenza.
D'altronde, il provvedimento relativo al Bazan, cui non fu
contestata l'ipotesi delittuosa di cui all'articolo
416- bis c.p., si fonda su fatti specifici di esclusivo
riferimento all'indagato istante in riesame ("mancanza di
esigenze cautelari"), laddove quello riguardante il Lo Bue
contiene una generica, non illuminante e del tutto immotivata
dichiarazione di nullità.
Il rilievo concernente la condivisione della valutazione
espressa nella ordinanza in ordine alla esistenza dei gravi
indizi di colpevolezza torna utile, per le ragioni prima
chiarite, ai fini della ricerca di eventuali anomalie, eccessi
o forzature di carattere sostanziale o processuale, che, per
davvero, sul tema non pare sussistano; onde, sotto tale
particolare profilo di sintesi, il momento giudiziario
prevale, per il suo forte e pregnante significato, sul valore
costituzionale della tutela della intangibilità del
plenum assembleare.
Anche sul punto delle esigenze cautelari poste a
giustificazione ed a fondamento della misura non può non
prendersi atto della ortodossia processuale della ordinanza
del G.I.P..
Pur venendo, infatti, in considerazione reati rispetto ai
quali il codice di procedura penale costruisce, per la loro
gravità, una presunzione di automatica adeguatezza della grave
misura della custodia in carcere (articolo 275, nr. 3,
c.p.p.), rispetto alla quale, di conseguenza, il giudice è
assolto, secondo costante giurisprudenza di legittimità e di
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merito, dall'onere della specifica motivazione della esistenza
delle esigenze cautelari, perché pur esse presunte, il G.I.P.,
con corretta analisi, ne ha individuato e dimostrato la
ricorrenza con peculiare riferimento all'attualità
dell'inserimento del Parlamentare nella organizzazione
criminale; inserimento desunto anche dalla continuità dei
rapporti dallo stesso tenuti con vari esponenti delle cosche
mafiose (Panzeca, Mandalà ed altri), e dalla elevata
potenzialità inquinante delle acquisende prove. Potenzialità
connessa al rango istituzionale del Parlamentare e perciò
correlata alle intimidazioni che potrebbero subirne i numerosi
testi o i dichiaranti chiamati a fare chiarezza dibattimentale
dei loro riferimenti.
La congruità logico-giuridica degli argomenti svolti dal
G.I.P. e la doverosa ed opportuna precisazione, pure formulata
nella ordinanza, della mancata acquisizione "di elementi dai
quali risulti che non sussistono esigenze cautelari" (articolo
275, nr. 3, ultima parte, c.p.p.), impedisce qualsiasi
intervento censorio o di utile e producente dissenso rispetto
alle scelte dell'Autorità Giudiziaria. Prevale, perciò, anche
sotto questo profilo il valore costituzionale della
essenzialità dell'accertamento giudiziario rispetto all'altro
valore in campo, attinente alla integrità del plenum.
Non vi sono, pertanto, controindicazioni al rilascio
dell'autorizzazione alla esecuzione dell'arresto del Deputato
Gaspare Giudice, cui non può neppure giovare il non condiviso
richiamo, autorevolmente fatto in altra vicenda, alla
necessità della eccezionale gravità dei fatti quale criterio
di superamento del valore costituzionale della intangibilità
del plenum assembleare, perché nella specie i fatti
contestati al Parlamentare inquisito, sia nella loro astratta
configurabilità giuridica, sia anche nel concreto inveramento
accertato e ritenuto dalla magistratura, sono
eccezionalmente gravi.
16. Rimane da risolvere il problema relativo alle altre
autorizzazioni richieste in via autonoma dal Procuratore della
Repubblica di Palermo, aventi ad oggetto comunicazioni
telefoniche riguardanti in vario modo l'onorevole Gaspare
Giudice.
Le autorizzazioni concernono: a) la utilizzazione di
conversazioni telefoniche intercettate - ed integralmente
trascritte - su utenze telefoniche in uso a soggetti diversi
dal Parlamentare inquisito; b) l'utilizzazione dei dati
provenienti dai tabulati documentanti il traffico di una
utenza telefonica cellulare in uso a Valerio Infantino;
c) la acquisizione e la utilizzazione dei tabulati
documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze in
uso all'onorevole Gaspare Giudice.
Anche su questo tema si è realizzato in Giunta un
significativo e vasto, ancorché non unanime, positivo
riscontro sulla concedibilità delle autorizzazioni
richieste.
E' utile precisare che le conversazioni telefoniche
all'attenzione della Magistratura palermitana, delle quali si
chiede l'autorizzazione alla utilizzazione, si qualificano
come comunicazioni c.d. indirette perché, anche se
intercettate su utenze intestate a persone diverse dal
Parlamentare, personalmente lo riguardano.
E' noto che rispetto a questo tipo di comunicazioni
telefoniche, stante la casualità delle stesse, la
autorizzazione del Parlamento è necessariamente successiva,
perché solo per quelle effettuate direttamente sulle utenze
personali di un membro del Parlamento, è necessaria
l'autorizzazione preventiva della Camera cui il Parlamentare
appartiene.
Premesso che sul punto riesce difficile non condividere
l'orientamento - al quale pur si fa riferimento nelle
richieste all'esame di questa Camera - circa la piena
utilizzabilità delle c.d. conversazioni indirette nei
confronti di soggetti non appartenenti all'Organo
Costituzionale, per l'evidente rilievo che "ad essi non può
essere estesa, nel silenzio della Costituzione e della legge
ordinaria", la garanzia eccezionalmente riservata
dall'articolo 68 della Costituzione a tutela delle funzioni
parlamentari, giova osservare che il criterio che regola la
materia è quello della rilevanza probatoria delle
conversazioni, nel senso che quando queste non appaiono
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manifestamente irrilevanti rispetto al tema delle indagini e,
quindi, ai fatti da provare, e non ne sia stata procurata la
acquisizione con forme e con modalità maliziosamente elusive
dell'obbligo della previa autorizzazione del Parlamento, la
utilizzazione deve essere autorizzata.
Ora, non v'è dubbio che le conversazioni fra l'onorevole
Giudice, Giuseppe Panzeca e Antonino Mandalà, intercettate
sulle utenze facenti capo a questi ultimi due, sono
potenzialmente dimostrative della vissutà attualità di un
rapporto tra il Parlamentare e i due noti esponenti della
consorteria criminale, e, quindi, non manifestamente
irrilevanti rispetto al tema da provare della partecipazione
anche del Parlamentare inquisito al sodalizio mafioso.
Parimenti utili o comunque non manifestamente irrilevanti
appaiono la utilizzazione dei tabulati documentanti il
traffico delle utenze cellulari in uso a Valerio Infantino e
la acquisizione, con conseguente utilizzazione, dei tabulati
documentanti il traffico telefonico relativo alle utenze
dell'onorevole Gaspare Giudice, così come precisate nelle
richieste del P.M..
E' evidente che per quanto riguarda il tabulato relativo
alle utenze cellulari in uso all'Infantino, trattasi di una
autorizzazione, per così dire, successiva perché correlata a
documento già acquisito agli atti del processo sul quale
risultano annotate conversazioni avvenute tra l'Infantino ed
il Parlamentare.
Rispetto, invece, ai tabulati documentanti il traffico
telefonico sulle utenze in uso all'onorevole Gaspare Giudice,
la autorizzazione richiesta è "lato sensu" preventiva
perché, pur se riguardanti conversazioni già avvenute, il
documento concerne le utenze del Parlamentare, sicché la
Autorità Giudiziaria per averne la disponibilità prima e
utilizzarlo poi per finalità investigative o di prova, deve
necessariamente essere autorizzata dalla Camera cui il
Parlamentare appartiene.
La obiettiva diversità fra le due situazioni non induce
diversità di regime o di disciplina, nel senso che sia nel
primo caso (tabulato delle utenze dell'Infantino), che nel
secondo (tabulato delle utenze cellulari in uso al
Parlamentare), le autorizzazioni richieste, vuoi anche per
l'acquisizione o per il solo utilizzo, presuppone pur sempre
la non manifesta irrilevanza dei due documenti rispetto ai
fatti da provare.
Nella specie, l'Infantino, alto dirigente amministrativo
della Regione siciliana, è risultato, dalle indagini svolte
dalla Polizia Giudiziaria e dalla Autorità Giudiziaria,
"profondamente inserito nella organizzazione criminale Cosa
Nostra"; onde è di evidente utilità rispetto al fatto da
provare (partecipazione dell'onorevole Giudice alla medesima
consorteria criminale), il riscontro documentale dei frequenti
rapporti telefonici tra i due.
Di non minore utilità, o comunque di non manifesta
irrilevanza, per le stesse finalità, è il controllo nominativo
delle persone che hanno avuto conversazioni con il
Parlamentare sulle sue utenze. E' opportuno, quindi, oltre che
doveroso, autorizzare anche la acquisizione e la conseguente
utilizzazione dei tabulati comprovanti il traffico su tali
utenze.
Non è di ostacolo alla concedibilità delle autorizzazioni
richieste la singolare "novità" della fattispecie perché
la acquisizione dei tabulati comprovanti il traffico
telefonico su utenze cellulari, ancorché non prevista dalla
Costituzione o dalle leggi ordinarie va comunque ricondotta,
al pari delle c.d. intercettazioni indirette, nell'ampia
locuzione usata nell'articolo 68 Cost., che ipotizza l'obbligo
della autorizzazione del Parlamento in relazione "alle
intercettazioni, in qualsiasi forma, di conversazioni o
comunicazioni" riguardanti il Parlamentare.
P.Q.M.
la Giunta delle Autorizzazioni formula la sua proposta nel
senso che la Camera dei Deputati autorizzi, in accoglimento
della richiesta in data 8 giugno 1998 proposta dal Procuratore
della Repubblica di Palermo, la esecuzione dell'arresto
dell'onorevole Gaspare GIUDICE - disposto dal G.I.P. del
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Tribunale di Palermo con ordinanza dell'8 giugno 1998,
nonché:
a) la utilizzazione delle conversazioni
telefoniche intercettate, analiticamente indicate nella
richiesta ed integralmente esposte nelle allegate
trascrizioni;
b) la utilizzazione dei dati provenienti dai
tabulati, indicati nella richiesta medesima, documentanti il
traffico di una utenza cellulare in uso ad INFANTINO
Valerio;
c) la acquisizione e la utilizzazione dei
tabulati, pure indicati nella richiesta, documentanti il
traffico telefonico relativo alle utenze in uso all'onorevole
Gaspare GIUDICE.
Michele ABBATE, Relatore.
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