| RELAZIONE DELLA GIUNTA
PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
(Relatore: BERSELLI)
sulla
DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE
DI ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE
nei confronti del deputato
DELL'UTRI
nell'ambito di un procedimento penale pendente nei suoi
confronti (5222/97) e in relazione ai seguenti capi di
imputazione: per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del
codice penale - nel reato di cui agli articoli 56 e 629, primo
e secondo comma, quest'ultimo in relazione all'articolo 628,
comma terzo, nn. 1 e 3, dello stesso codice (estorsione
tentata ed aggravata); per concorso - ai sensi dell'articolo
110 del codice penale - nel reato di cui agli articoli 61 n.
2, 81 capoverso e 368 dello stesso codice e 7 del
decreto-legge n. 152 del 1998 (calunnia aggravata).
TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
il 9 marzo 1999
Presentata alla Presidenza il 9 aprile 1999
Pag.2
Onorevoli Colleghi! - Il Giudice per le Indagini
Preliminari presso il Tribunale di Palermo Dott. Gioacchino
Scaduto con propria ordinanza 05/03/1999 ha disposto la
custodia cautelare in carcere di Buffa Michele, e di altre 7
persone, tra cui l'onorevole Marcello Dell'Utri indagate per
vari reati.
All'onorevole Dell'Utri sono ascritti, in particolare, i
delitti di estorsione tentata ed aggravata e di calunnia
aggravata, in concorso sempre con altri soggetti.
L'8 marzo successivo il Procuratore della Repubblica
presso il Tribunale di Palermo Dott. Gian Carlo Caselli
trasmetteva al Procuratore Generale della Repubblica presso la
locale Corte d'Appello il plico contenente la predetta
ordinanza nonché richiesta di autorizzazione all'arresto nei
confronti dell'onorevole Marcello Dell'Utri, diretta al
Presidente della Camera dei Deputati. In pari data il
Procuratore Generale Dott. Vincenzo Rovello rimetteva al
Presidente della Camera dei Deputati l'ordinanza di cui sopra
nonché la richiesta di autorizzazione all'esecuzione della
misura cautelare accludendo anche la relativa
documentazione.
Come si evince dalla ordinanza del G.I.P. Dott. Scaduto,
all'onorevole Dell'Utri sono contestate tre distinte ipotesi
di reato:
a) Estorsione tentata ed aggravata in concorso. In
Trapani, Palermo e Milano dal 1990 al 1993.
b) Partecipazione ad associazione per delinquere
diretta al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
In Palermo, Milano e Caracas oltre che in altre località del
territorio nazionale ed estero dall'ottobre del 1995 sino a
tutto il 1996.
c) Calunnia aggravata in concorso. In Paliano,
Palermo ed in altre località del territorio nazionale il
27/07/1997 ed in data anteriore e successiva.
Per i reati di cui ai capi "a" e "c" è stata disposta dal
GIP la custodia cautelare, rispettivamente per quattro mesi ed
a tempo indeterminato, per quello di cui al capo "b", tale
misura non è stata disposta.
Il GIP riferisce che in data 22/10/1996 la Procura della
Repubblica di Palermo, Direzione Distrettuale Antimafia,
chiedeva che fosse emesso nei confronti dell'onorevole
Dell'Utri, già presidente della società Publitalia 80 ed
attuale deputato del Parlamento italiano, decreto di rinvio a
giudizio per rispondere del delitto di concorso esterno in
associazione mafiosa.
Il G.I.P. ricorda che dal ponderoso materiale
investigativo raccolto dall'accusa era emerso a carico
dell'onorevole Dell'Utri un complesso quadro indiziario che ne
delineava duraturi collegamenti, risalenti agli anni 60, con
l'associazione mafiosa "Cosa Nostra" perpetuatisi e
consolidatisi, in un più generale quadro di reciproci
interessi e scambio di favori, contestualmente alla crescita
ed alla affermazione dell'onorevole Dell'Utri, quale esponente
del mondo imprenditoriale e finanziario milanese, prima, e
quale esponente del mondo politico, dopo.
Il G.I.P. ricorda altresì che in data 19/05/1997
l'onorevole Dell'Utri veniva rinviato a giudizio per
rispondere di tutti i delitti al medesimo iscritti.
Il processo in questione è tuttora in trattazione davanti
al Tribunale di Palermo.
Pag.3
Sul capo "B" "Partecipazione ad associazione per
delinquere diretta al traffico internazionale di sostanze
stupefacenti".
L'ordinanza oggetto del nostro esame, invertendo l'ordine
seguito dal P.M., affronta come primo punto la vicenda di cui
al capo b) delle imputazioni, che trae origine dalle
dichiarazioni rese in più riprese da tale La Piana Vincenzo,
trafficante di stupefacenti, nipote acquisito del boss mafioso
Gerlando Alberti, e, tramite questi, in stretti rapporti con
altri esponenti mafiosi ed in particolare con Mangano
Vittorio.
Il G.I.P. fa presente che da tali dichiarazioni non è
scaturito a carico dell'onorevole Dell'Utri, diversamente da
quanto avvenuto per altri coindagati, un compendio indiziario
definibile come grave in relazione al delitto di associazione
a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, delitto
per il quale infatti il P.M. non ha avanzato nei suoi
confronti alcuna richiesta. Tuttavia dette dichiarazioni e le
indagini che ne sono scaturite hanno, ad avviso del G.I.P.,
certamente arricchito ed ulteriormente precisato, nei
riferimenti temporali, il quadro indiziario già emerso a
carico dell'onorevole Dell'Utri nel procedimento concernente
il reato associativo, come già detto attualmente in
trattazione davanti al Tribunale Penale di Palermo, e di tale
arricchimento dovrà necessariamente tenersi conto all'atto
della valutazione della gravità degli indizi e delle esigenze
cautelari connesse ai delitti al medesimo contestati ai capi
a) e c).
Il nucleo essenziale del quadro probatorio è quindi
costituito dalle propalazioni del collaboratore La Piana che,
pur non avendo fatto parte di Cosa Nostra ma avendone
conosciuto uomini, azioni e vicende in ragione del suo
rapporto di parentela con l'Alberti ed in ragione del suo
pieno inserimento in uno specifico settore, quello del
traffico di tabacchi prima e del traffico di stupefacenti
dopo, in cui maggiormente attiva era l'organizzazione ed
avendo ammesso di avere partecipato a pieno titolo
all'associazione finalizzata ai predetti traffici illeciti, ha
dato dimostrazione di volersene dissociare riferendo
all'Autorità Giudiziaria e di Polizia non soltanto ciò che lo
riguardava personalmente ma anche fatti e circostanze relativi
alla vita ed alla struttura dell'associazione e denunciando
crimini e responsabilità individuali di altri associati.
Secondo il G.I.P., le dichiarazioni rese dal collaboratore
di giustizia La Piana Vincenzo sarebbero state puntualmente
riscontrate dalle convergenti dichiarazioni di altri
"attendibili" collaboranti (ed in specie Cucuzza Salvatore e
Zerbo Giovanni) e dall'esito dell'attività di riscontro, di
intercettazione telefonica e dinamica sul territorio.
Le dichiarazioni di La Piana avrebbero dimostrato
l'attualità dei rapporti intrattenuti dall'onorevole Dell'Utri
con personaggi organicamente inseriti nell'associazione
mafiosa Cosa Nostra o comunque stabilmente collegati a tale
sodalizio criminale; il coinvolgimento dell'onorevole
Dell'Utri in attività criminali di particolare gravità (nella
specie progettazione ed organizzazione di traffici
internazionali di stupefacenti); la realizzazione da parte
dell'onorevole Dell'Utri di iniziative finalizzate ad
agevolare Mangano Vittorio (esponente di vertice di Cosa
Nostra e possibile teste a suo carico nel processo in corso a
Palermo) onde ottenere la revoca dello stato di detenzione o,
quantomeno, un alleggerimento del regime carcerario sofferto
dal Mangano; l'organizzazione da parte dell'onorevole
Dell'Utri di attività dirette ad inquinare le fonti probatorie
raccolte dagli organi inquirenti.
Il G.I.P. ricorda ancora che il La Piana, in virtù del
rapporto intrattenuto con Gerlando Alberti (comprovato dai
numerosi colloqui con lui avuti nelle strutture carcerarie in
cui era ristretto), avrebbe avuto modo di conoscere ed
intrattenere rapporti personali con numerosi esponenti di
rilievo di Cosa Nostra, tra cui i fratelli Fidanzati,
Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno, Tommaso
Buscetta, i fratelli Bono, Pippo Calò ed altri. Anche in tempi
recenti, dopo la sua scarcerazione definitiva avvenuta
l'8/7/1994, il La Piana avrebbe mantenuto rapporti con i
reggenti del mandamento mafioso di Porta Nuova, Mangano
Vittorio e Cucuzza Salvatore.
Pag.4
Tali vicissitudini gli consentivano di acquisire un
consistente patrimonio di informazioni sugli appartenenti
all'associazione mafiosa e sulle attività illecite da loro
poste in essere; come emergeva con tutta evidenza sin
dall'inizio della sua collaborazione con la giustizia.
A partire dalla pagina 24 dello stampato il G.I.P. riporta
le varie dichiarazioni rese dal La Piana (dal primo
interrogatorio del 03/12/1997 all'ultimo del 13/03/1998). In
questa sede riteniamo opportuno richiamare soltanto i passaggi
che, coinvolgendo l'onorevole Dell'Utri, assumono rilievo ai
fini della nostra indagine.
Nei primi interrogatori si evincono i rapporti tra La
Piana e Mangano Vittorio ed il genero di quest'ultimo Di Grusa
Enrico che, subito dopo l'arresto del suocero, avvenuto
nell'aprile del 1995, si adopera per ottenerne il
trasferimento dal carcere di Pianosa ad altra struttura,
ricordando i molteplici interventi effettuati da tale Avv.
Crasta, che vantava particolari amicizie con determinati
magistrati operanti all'interno del Ministero di Grazia e
Giustizia.
Nel corso dell'interrogatorio del 05/11/1997 il La Piana
menziona per la prima volta l'onorevole Marcello Dell'Utri
come la persona che, dopo l'Avv. Crasta, era stata interessata
da Enrico Di Grusa per ottenere il trasferimento ed,
addirittura, la scarcerazione del suocero Mangano Vittorio.
Ciò avvenne durante un viaggio verso Milano allorché il Di
Grusa gli disse che sarebbero "andati da Dell'Utri, che
dovevano parlare con lui" il quale "si sarebbe interessato
della cosa (cioè del trasferimento di Mangano)".
Nel corso di tale interrogatorio il La Piana ricorda che
il giorno successivo era stato fissato un appuntamento alle
ore 12.30 in un ristorante vicino a Piazzale Corvetto.
All'appuntamento si trovavano già due persone che il La Piana
non conosceva, uno dei quali si faceva chiamare "Nino".
Entrambi erano "amici" di Mangano mentre il La Piana fu
presentato come nipote di Gerlando Alberti.
Dopo qualche tempo arrivò con la sua auto con autista
l'onorevole Dell'Utri. Ci furono le presentazioni e, secondo
il collaboratore, Dell'Utri già conosceva le due persone di
cui sopra così come Enrico Di Grusa. Soltanto il La Piana non
era da lui conosciuto tant'è che l'onorevole Dell'Utri,
indicandolo, chiese a Di Grusa se fosse stato lui la persona
di cui gli avevano parlato. L'onorevole Dell'Utri aveva
fretta, non si fermò a pranzo e rimase al ristorante circa una
ventina di minuti.
Invitato da Di Grusa, il La Piana espose nell'occasione
all'onorevole Dell'Utri che per il problema di Vittorio
Mangano si erano già recati dall'Avv. Crasta, precisandogli
che quest'ultimo gli aveva detto che "il caso è molto
difficile (...) si tratta di una cosa politica (...) bisogna
trovare qualche persona giusta" e che avrebbe comunque provato
a far ottenere a Mangano il trasferimento da Pianosa al centro
clinico di Pisa.
Dell'Utri disse che non conosceva personalmente l'Avv.
Crasta, ma che ne aveva sentito parlare, aggiungendo però che
"non era sicuro che fosse la persona giusta per saltare questa
quaglia", dato che "è di politica opposta" e che "i giornali
stanno parlando un po' troppo" ma che comunque avrebbe visto
il da farsi concludendo così: "datemi qualche giorno di tempo,
ci teniamo in contatto". Venne poi concordato con l'onorevole
Dell'Utri un appuntamento che avvenne o la sera dopo o due
sere dopo al ristorante Luigi di Via Marcona sempre a Milano.
In occasione di questo secondo incontro furono presenti tutti
quelli dell'incontro precedente.
L'onorevole Dell'Utri confermò che si stava interessando
non solo per ottenere il trasferimento di Vittorio Mangano, ma
addirittura la scarcerazione, aggiungendo peraltro che c'erano
dei problemi in quanto "il Cavaliere sta nelle acque sporche e
brutte e ci dobbiamo tenere abbottonati". L'onorevole
Dell'Utri avrebbe altresì aggiunto che si sarebbe fatto
sentire con il Di Grusa.
Nel corso dell'interrogatorio del 03/12/1997 il La Piana
chiarisce alcuni particolari in merito al terzo incontro con
l'onorevole Marcello Dell'Utri che sarebbe avvenuto in un
immobile di Rozzano.
Nell'occasione il collaboratore precisa che il ristorante
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in zona Piazzale Corvetto dove era avvenuto il primo incontro
conteneva dieci-dodici tavolini al massimo e che serviva anche
piatti pugliesi.
Tale primo incontro era avvenuto perché l'Avv. Crasta gli
aveva detto che c'era necessità di un "intervento politico".
Di Grusa andò a parlare con il Mangano ed in seguito gli disse
che dovevano andare a trovare l'onorevole Dell'Utri. Il
Dell'Utri arrivò con una Mercedes ed il collaboratore non vide
l'autista. Il secondo incontro avvenne al ristorante Luigi
specializzato in pesce. In tale seconda occasione l'onorevole
Dell'Utri rimase quasi due ore e disse: "è troppo martellato
il Cavaliere" e questa frase venne poi commentata dal Di Grusa
(una volta andato via l'onorevole Dell'Utri) dicendo che in
effetti in quel periodo tutti davano addosso a Berlusconi.
Il collaboratore aggiunse che gli incontri e i contatti
tra l'onorevole Dell'Utri e Di Grusa non si erano limitati
alla situazione carceraria del Mangano ma avevano riguardato
un progettato traffico di stupefacenti dalla Colombia, alla
fine non realizzatosi per cause indipendenti dalla volontà
degli associati. A tal proposito già nel corso
dell'interrogatorio del 14/11/1997 il collaborante aveva
riferito di avere proposto, nella seconda metà del 1995, a
Cucuzza Salvatore, a quel tempo latitante e reggente del
mandamento di Porta Nuova, una importazione di cocaina dalla
Colombia che doveva essere fornita da D'Agostino Saro, persona
già implicata in precedenti traffici internazionali di
stupefacenti e residente a Bogotà. In effetti secondo il La
Piana il contatto con il Cucuzza trae origine da una richiesta
di quest'ultimo (preceduta da un'analoga richiesta da parte di
Mangano Vittorio) di recuperare presso il D'Agostino il denaro
investito da Brusca Giovanni in un pregresso traffico di
cocaina dalla Colombia che non era andato a buon fine a causa
della delazione di un infiltrato. Tale contatto con il Cucuzza
offre l'occasione al La Piana per proporre al Cucuzza
l'importazione di cocaina dalla Colombia tramite il D'Agostino
che ivi risiede.
Il racconto del La Piana, peraltro confermato in tutti i
suoi particolari dalle indagini di P.G. e dalle dichiarazioni
rese dagli altri collaboratori interessati personalmente alla
vicenda, prosegue dunque sui ripetuti tentativi di far
arrivare la cocaina in Italia; progetti non portati a termine
a causa dell'arresto del D'Agostino, sorpreso all'aeroporto di
Roma in possesso di cocaina. Tuttavia il progetto non viene
abbandonato, come emerge dalle dichiarazioni rese
nell'interrogatorio del 14/11/1997 dal La Piana, che riferisce
della disponibilità dell'onorevole Dell'Utri a finanziare
l'importazione della cocaina.
Il collaboratore parla di un certo Emanuele di Palermo
che, tornato da Bogotà, si incontrò con lui e con Enrico Di
Grusa riferendo loro che c'era la possibilità di importare 100
kg. di cocaina al prezzo di 25.000.000 al kg. con pagamento
metà alla consegna e metà a 30 giorni. Di Grusa andò a
riferire a Mangano e tornò dicendo che era necessario andare a
Milano "dall'amico" per trovare i soldi specificando che si
trattava, cosa non necessaria perché intuibile, dell'onorevole
Dell'Utri. Andarono entrambi a Milano per reperire la somma di
L. 1.200./1.300.000.000=. Il giorno dopo l'arrivo il Di Grusa
disse al collaborante che avrebbero dovuto attendere alcuni
giorni poiché l'onorevole Dell'Utri era a Roma. Dopo un paio
di giorni venne fissato l'appuntamento con l'onorevole
Dell'Utri a Rozzano e più precisamente in un capannone in
cemento di colore chiaro con ai lati altre strutture simili.
Il collaborante riferisce di essere rimasto qualche tempo di
sotto "per educazione" mentre il Di Grusa salì e dopo qualche
tempo gli disse di salire a sua volta. All'interno del
capannone vi era un bellissimo ufficio, molto elegante. Erano
presenti le due persone incontrate nelle due precedenti
occasioni al ristorante e che erano i gestori del capannone.
C'era anche l'onorevole Dell'Utri.
Parlarono del più e del meno ed anche della posizione di
Mangano per il quale fu chiesto da Di Grusa se sarebbe stato
scarcerato e Dell'Utri rispose: "ci stiamo pensando". Dopo una
ventina di minuti il collaboratore ed il Di Grusa se ne
andarono ed in auto quest'ultimo, parlando del finanziamento,
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gli disse che "tutto era a posto" e che avrebbero dovuto solo
aspettare qualche giorno. Il collaborante aggiunge che in sua
presenza il Di Grusa non affrontò l'argomento con l'onorevole
Dell'Utri.
Tornati a Palermo, si incontrarono con Emanuele a cui
dissero che occorreva attendere 4 o 5 giorni ma nel frattempo
questi fu arrestato per problemi suoi. A quel punto Di Grusa
tornò a parlare con Mangano per concordare il da farsi e dopo
il colloquio gli disse che non se ne faceva più niente dal
momento che secondo Mangano era meglio lasciare perdere tutto
perché "il destino ci va contro". In seguito il collaborante
riferisce di non avere più svolto attività illegali con Di
Grusa che nel frattempo si era trasferito a Milano. Gli ultimi
rapporti con lui sarebbero risaliti a fine 96 inizio 97. Il Di
Grusa viveva a Milano "da latitante" e gli disse che aveva
paura che arrivassero a lui nell'ambito dell'indagine
sull'onorevole Dell'Utri aggiungendo che "era responsabile" il
suo telefono cellulare tanto che gettò il telefonino in una
tinozza d'acqua poi estrasse la scheda e la stracciò.
Nell'ultimo periodo Di Grusa aveva una Ditta in Viale Lucania.
Il collaborante non sa bene quale attività svolgesse. Presso
tale ditta si trovavano spesso anche i due personaggi presenti
agli incontri con l'onorevole Dell'Utri.
Nell'interrogatorio del 06/02/1998 il collaborante
riferisce di avere assistito soltanto ad una delle telefonate
intervenute tra il Di Grusa e l'onorevole Dell'Utri. Si
trovavano fermi all'interno dell'autovettura del Di Grusa.
Rispose direttamente l'onorevole Dell'Utri. In precedenza
assistette ad altra telefonata effettuata ad un ufficio
dell'onorevole Dell'Utri perché il Di Grusa, che
nell'occasione non chiamò dal cellulare, chiese del medesimo
onorevole Dell'Utri presentandosi con nome falso. Il
collaborante non assistette alla telefonata.
Nell'interrogatorio del 13/02/1998 il collaborante
riferisce che informò Gerlando Alberti del previsto incontro
con l'onorevole Dell'Utri. Alberti gli disse che non conosceva
personalmente l'onorevole Dell'Utri aggiungendo peraltro che
"Vittorio (Mangano) era messo molto bene con Dell'Utri". La
Piana fu quindi autorizzato ad andare all'incontro con
Dell'Utri anche perché, come aggiunse Alberti, questo rapporto
poteva tornargli utile. Alberti, che in quel momento era in
carcere, fu tenuto al corrente dei successivi incontri con
Dell'Utri e raccomandò a La Piana di tenersi a disposizione
delle persone alle quali faceva capo il contatto con
Dell'Utri.
Il La Piana aggiunse nell'occasione che anche il
proprietario del secondo ristorante in cui avvenne il nuovo
incontro con l'onorevole Dell'Utri "è al corrente di questo
incontro dato che si avvicinò in modo ossequioso allo stesso
Dell'Utri".
Nel corso di tale interrogatorio vengono sottoposte al La
Piana alcune fotografie ritraenti Currò Antonino che il La
Piana indica come il "Nino" che partecipò agli incontri con
l'onorevole Dell'Utri.
Nell'interrogatorio del 13/3/1998 il La Piana specifica
che negli ambienti mafiosi tutti erano a conoscenza del fatto
che l'onorevole Dell'Utri era legato a Mangano e che
quest'ultimo gli aveva detto che i rapporti erano nati
nell'ambiente ippico milanese. Nel 1983, essendo codetenuto
con il Mangano e con Pullarà Giovanni all'Ucciardone, aveva
avuto modo di assistere ad un diverbio tra i due che
riguardava proprio Dell'Utri Marcello con il quale entrambi
vantavano rapporti. In quell'occasione parteciparono alla
discussione anche altri mafiosi tra cui Montalto Salvatore e
Bontate Giovanni detto l'"avvocato".
Nel 1978-1979, trovandosi insieme al Mangano, era andato
presso un bar di Via Sila ove uno dei fratelli Fidanzati aveva
comunicato al Mangano che era passato Dell'Utri e gli aveva
lasciato detto che lo cercava.
Nel 1994 Mangano gli aveva detto di aver ricevuto ordine
da Rima di non avere più rapporti con Berlusconi e che poteva
però tenere i suoi rapporti personali con Dell'Utri. In
particolare ciò era stato detto al Mangano in quanto - a
seguito degli attentati subiti dalle sedi Standa nella
provincia di Catania egli aveva cercato di intervenire e gli
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era stato detto di rimanere al di fuori e di "farsi i fatti
suoi".
Il Pubblico Ministero, nel corso del predetto ultimo
interrogatorio di La Piana, gli esibisce le fotografie di
Currò Antonino Salvatore e di Sartori Natale che il
collaborante riconosce come le due persone incontrate nel
magazzino di Rozzano. Secondo il G.I.P. importanti conferme in
ordine agli episodi narrati dal La Piana vengono da Cucuzza
Salvatore e Zerbo Giovanni, rispettivamente ex reggente del
mandamento di Porta Nuova ed ex factotum di Mangano
Vittorio e dello stesso Cucuzza, entrambi collaboratori di
giustizia. In particolare, sia il Cucuzza che lo Zerbo
confermano i contatti avuti con il La Piana in relazione al
recupero presso D'Agostino Rosario del denaro investito in un
vecchio traffico di stupefacenti nonché alla progettata e non
conclusa importazione di cocaina dalla Colombia.
Su quest'ultimo punto il G.I.P. evidenzia come entrambi i
dichiaranti nulla dicano dell'interessamento del Dell'Utri a
finanziare l'importazione dello stupefacente; circostanza, ad
avviso del medesimo G.I.P., spiegabile considerato che
l'incontro tra il La Piana e il Dell'Utri nel capannone di
Rozzano (e cioè quando quest'ultimo ha fornito la propria
disponibilità al citato finanziamento) è avvenuto in epoca
sicuramente successiva all'arresto ed alla collaborazione sia
del Cucuzza che dello Zerbo.
Sempre secondo il G.I.P. anche Brusca Giovanni avrebbe
fornito utili indicazioni sulla figura criminale del Di Grusa
nonché dei contatti milanesi di Mangano Vittorio.
In effetti nell'interrogatorio del 15/7/97 il Brusca
riferisce dei rapporti tra il Mangano ed un imprenditore
operante a Milano titolare di un'impresa di pulizia,
anticipando così di alcuni mesi le rivelazioni del La Piana
sul conto di Sartori Natale.
Riferisce il Brusca: "in particolare confermo che seppi
dai giornali delle amicizie che il Mangano aveva al nord e gli
chiesi se fosse vero. Il Mangano mi disse che aveva gestito
l'azienda della villa di Silvio Berlusconi, che "l'amicizia
era rimasta, ma i fili si erano un po' rotti" sino a quando,
negli ultimi anni, non aveva cercato di riprenderne le fila.
In particolare io stesso, per il tramite del Mangano, tentai
di riprendere questi fili e venni interrotto poi dal mio
arresto. Il Mangano mi parlò anche di un suo amico
imprenditore al nord, titolare di un'impresa di pulizia (come
il Sartori ed il Currò) che era in rapporti col Berlusconi e
poteva fare da tramite con quest'ultimo. Nulla mi disse il
Mangano su Dell'Utri Marcello".
Il G.I.P. ricorda in nota che nella rubrica di Dell'Utri è
stato trovato il nominativo del Sartori con accanto il nome
della società ECOSEA.
Dalle attività di P.G. è risultato che il "Nino"
menzionato dal collaboratore come la persona presente ai tre
incontri con il Dell'Utri è Currò Antonino Salvatore.
E' stato altresì individuato il capannone di Rozzano,
luogo del terzo incontro del collaboratore con il Dell'Utri e
l'immobile in Via Monte Penice n. 9 risulta essere di
pertinenza della Soc. Coop. MISTRAL. In data 22/12/1997 veniva
individuato il ristorante trattoria di Via Benaco 17 a circa
300 mt. da Piazzale Corvetto indicato dal collaboratore come
luogo del primo incontro col Dell'Utri.
Mangano Vittorio, dopo l'arresto del 03/04/1995, è stato
più volte trasferito da Pianosa a Pisa e viceversa come
indicato dal La Piana e durante la detenzione a Pianosa egli
ha avuto diversi colloqui con il genero Di Grusa Enrico. Sono
state individuate due ville di proprietà dell'Avv. Crasta
Francesco ed un ristorante con piscina tutti ubicati in
località Cerenova (Roma) poco distanti dalle ville dei
personaggi politici (Scalfaro e Ciampi) menzionati dal La
Piana.
Sulla vicenda del trasferimento di Mangano Vittorio dal
carcere di Pianosa il GIP riferisce che l'11/11/1995 il
deputato Pietro Di Muccio di Forza Italia, in visita a
Pianosa, colloquiò con il Mangano e che il direttore di
Pianosa Dott. Pier Paolo D'Andria ha prima negato ("non ha
avuto colloqui") e poi con altri fax precisato che il
medesimo "ha avuto contatto" con il detenuto.
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Il 02/11/1995 Di Muccio convoca una conferenza stampa e
viene diramato dispaccio ANSA del seguente tenore: "chiedo a
Caselli: è vero o no che magistrati della sua Procura vanno in
giro a domandare a veri o presunti mafiosi se sanno qualcosa
dell'onorevole Berlusconi?".
"Il deputato di Forza Italia Pietro Di Muccio ha rivolto
il quesito a distanza nel corso della conferenza stampa
indetta dal comitato Italia Giusta per illustrare i risultati
della visita di ieri al carcere di Pianosa cui ha partecipato
anche il portavoce del comitato Giorgio Stracquadanio". "Il
Procuratore capo di Palermo - secondo Di Muccio - smentendo
nei giorni scorsi che il nome di Berlusconi fosse iscritto nel
registro degli indagati, si è dato non la zappa sui piedi ma
un carrarmato, perché non avevamo mai affermato questo. Ieri
abbiamo però avuto conferma - ha affermato Stracquadanio - che
il suo nome è stato inserito nel registro "altre notizie" che,
senza porre scadenze di termine, permette ai magistrati di
attingervi per compiere veri e propri atti di indagine".
Indagini che Di Muccio ha definito, se vere, "oblique,
strumentali, con l'unico obbiettivo di incastrare
Berlusconi".
Stracquadanio ha parlato di un detenuto di Pianosa "unico
indagato in un processo per associazione mafiosa, arrestato a
maggio" cui il 28 di quel mese sarebbe stato appunto chiesto
se aveva qualcosa da dire su Berlusconi.
Dopo qualche giorno e cioè l'8/11/95 il Mangano viene
trasferito da Pianosa a Pisa senza che l'ufficio del P.M. ne
venisse informato per la necessaria autorizzazione.
Il 24/09/1998 l'agenzia di stampa ANSA diffondeva la
notizia della collaborazione di La Piana Vincenzo e delle sue
accuse nel confronti di Dell'Utri con il seguente comunicato:
"da mesi un nuovo collaboratore di giustizia Vincenzo La Piana
pregiudicato per traffico di cocaina, che si definisce "amico"
di Paolo Berlusconi, fratello del leader di Forza Italia,
avrebbe formulato nuove accuse nei confronti di Marcello
Dell'Utri, imputato a Palermo in concorso in associazione
mafiosa, su presunti rapporti tra il deputato ed esponenti
della criminalità mafiosa". Tale inopinata fuga di notizie
riguardanti un'attività investigativa rimasta segreta per
oltre un anno (e cioè dal maggio 1997, data delle prime
dichiarazioni del La Piana) determinava una serie di contatti
telefonici poi culminati in un incontro tra il Sartori ed il
Dell'Utri svoltosi in data 12/10/1998 nell'ufficio di
quest'ultimo.
In una prima telefonata del 25/9/98 da un cellulare in uso
a Sartori Natale diretta a Formisano Daniele, nipote di
Mangano Vittorio, si confermava il persistente interessamento
del Sartori e di Currò Antonino ("Nino") relativamente alla
situazione carceraria del Mangano con particolare riferimento
ad una presunta incompatibilità delle condizioni di salute di
quest'ultimo con lo stato di detenzione.
In una seconda telefonata del 30/9/98 Sartori Natale
registrava nella segreteria telefonica di un cellulare in uso
a Currò Antonino il seguente messaggio: "ciao Nino sono le
19.00 volevo solo comunicarti che ho telefonato a quel signore
lì: non c'è a Milano è a Roma. Dovrebbe rientrare in settimana
e appena rientra sicuramente mi fanno incontrare".
In data 08/10/1998 veniva registrata una telefonata nella
quale Albieri Gabriella, segretaria di Dell'Utri, fissava un
appuntamento tra lo stesso Dell'Utri ed il Sartori per il
giorno 12/10 ore 09.30 presso gli uffici di Milano Due. Il
luogo e l'orario programmati venivano poi spostati con una
telefonata del 12/10/1998 dell'Albieri che comunicava al
Sartori che esso si sarebbe svolto negli uffici di Dell'Utri
di Via Senato 14, come in effetti documentato dai servizi di
appostamento e pedinamento effettuati da personale della DIA
di Milano.
Che l'incontro tra il Dell'Utri e il Sartori fosse
determinato dalla preoccupazione di entrambi a seguito della
diffusione a mezzo stampa della collaborazione del La Piana
con gli organi inquirenti, emergerebbe "all'evidenza" (secondo
il GIP) non solo dalla ricostruzione logica e cronologica
degli eventi ma anche dal contenuto di alcune successive
conversazioni telefoniche tra il Sartori, il Currò e Formisano
Daniele intercorse lo stesso giorno dell'incontro.
Pag.9
Nel corso della telefonata delle ore 10.31 tra Formisano e
Sartori quest'ultimo raccontava, pur senza riferimenti
espliciti, dell'incontro appena avuto (precisando che "è stato
là") e verosimilmente riferendosi alla notizia della
collaborazione del la Piana spiegava che il Dell'Utri aveva
espresso incredulità: "mi sembra una cosa assurda (....) sono
tutte chiacchiere (....) la gente chiacchiera (....) mi sembra
assurdo però chiedo (....) mi informo (...) vi faccio
sapere".
Parimenti "significativa" risulterebbe poi la
conversazione telefonica intercorsa sempre il 12/10/1998 nel
corso della quale il Sartori riferisce al Currò l'andamento
dell'incontro con il Dell'Utri: "ma sembra impossibile però
verifico e poi le faccio sapere". Conclusivamente, per quanto
riguarda il capo b), il GIP ritiene che le dichiarazioni
di La Piana siano pienamente attendibili sia sotto il profilo
intrinseco che estrinseco. La collaborazione del La Piana
sarebbe maturata spontaneamente, quando aveva terminato di
scontare la pena e non era sottoposto ad indagine. Le sue
dichiarazioni presenterebbero il carattere della costanza,
della reiterazione, della precisione e ricchezza di
particolari così da avere consentito un'approfondita attività
di ricerca, di conferma e di riscontri anche di carattere
oggettivo.
Per quanto riguarda la posizione dell'onorevole Dell'Utri,
il GIP rileva che sebbene le indagini non abbiano fatto
emergere per lui gravi indizi di colpevolezza, ragione per la
quale non è stata avanzata nei suoi confronti, così come per i
suoi coindagati, richiesta di custodia cautelare in carcere,
esse, tuttavia, hanno delineato un assai allarmante quadro di
rapporti, proseguiti si può dire fino ad oggi - va ricordato
il suo incontro con il Sartori soltanto nell'ottobre 1998 -,
con esponenti della consorteria mafiosa Cosa Nostra come
Mangano Vittorio, del quale non può non essergli nota la
caratura mafiosa o con soggetti ad esso strettamente
collegati, quali Di Grusa Enrico, Sartori Natale e Currò
Antonino: tutti da ritenersi attivi nel lucroso settore del
traffico di stupefacenti e, tutto ciò nonostante il Dell'Utri
si trovi in atto imputato nel processo in corso a Palermo per
il delitto di concorso esterno in quella stessa associazione
mafiosa. Ma le indagini avrebbero altresì fatto emergere come
ai rapporti in questione non sia estraneo l'intento di
tutelare in ogni modo Mangano Vittorio, vero depositario di
ogni conoscenza concernente i rapporti tra lo stesso Dell'Utri
e l'organizzazione mafiosa e, di conseguenza, potenziale
gravissimo pericolo per lo stesso Dell'Utri. Secondo il GIP da
tali rapporti non potrà prescindersi all'atto della
valutazione delle esigenze cautelari evidenziate dal P.M. con
riguardo ai due capi di imputazione per i quali il medesimo ha
avanzato la richiesta di ordinanza di custodia cautelare in
carcere nei confronti di Dell'Utri.
In merito al capo "B" l'onorevole dell'Utri con la sua
memoria pone in evidenza quelli che lui definisce errores
in procedendo, concreti indizi di approccio persecutorio,
da parte dei magistrati palermitani.
Il coinvolgimento dell'onorevole Dell'Utri in tale
definita grottesca vicenda, pur nella inconsistenza degli
elementi a carico, denota secondo il parlamentare un maldestro
disegno denigratorio, finalizzato solo a imbrattare il suo
onore con sinistri sospetti.
Essi traggono origine dagli interrogatori di La Piana
Vincenzo, le cui contraddittorie dichiarazioni non sarebbero
mai state sottoposte a quella elementare attività di verifica,
obbligatoria per investigatori che si prefiggano
l'accertamento della verità processuale e non pervicaci
accanimenti nei confronti di membri delle Istituzioni.
Come è noto, il La Piana riferisce della presenza
dell'onorevole Dell'Utri in tre incontri, cui lo stesso La
Piana avrebbe partecipato unitamente al nipote di Mangano, Di
Grusa Enrico, a Currò Antonino e Sartori Natale.
Quanto affermato dal La Piana in ordine ai primi due
incontri sarebbe totalmente falso, come risulta anche
attraverso le dichiarazioni acquisite dai difensori
dell'onorevole Dell'Utri, ex articolo 38 disp. att. c.p.p.,
del proprietario e gestore - dell'epoca - del ristorante di
via Benaco n. 17, a nome Luigi Giovannetti e l'intervista del
Pag.10
giornalista del quotidiano "La Stampa" Paolo Colonnello,
relativamente a dichiarazioni dei titolari del ristorante "La
Risacca" di via Marcona riportata nel numero dell'11.3.99 in
un articolo dal titolo "Milano un giallo a tavola - i
proprietari di un noto ristorante: "Qui nessun incontro con i
pentiti".
Queste le dichiarazioni del Giovannetti:
"Sono stato gestore e titolare per circa 37 anni, dal
1961, di un ristorante in via Benaco n. 17 di Milano, di un
locale di mia proprietà costituito da due stanze per un totale
di circa 12 tavoli e circa 60 coperti, utilizzati in due
turni. Il primo turno era per lo più frequentato da operai, ed
il secondo che iniziava verso le ore 13,00 frequentato anche
da professionisti e membri delle forze dell'ordine. La mia
cucina era prettamente lombarda ma non pugliese sicuro, salvo
qualche volta facevo orecchiette con le cime di rapa o
broccoletti. Il personale era costituito da me, da mio
fratello Ruggero da mia sorella Gabriella e da mia nipote
Sara, deceduta nel 1997". Mostrata una fotografia
dell'onorevole Dell'Utri insieme al Maestro Muti, il Signor
Giovanetti dichiara: "non ho mai visto la persona con gli
occhiali che mi viene indicata come l'onorevole Marcello
Dell'Utri nel locale, riconosco invece il Maestro Riccardo
Muti nella fotografia, avendolo visto in televisione".
Mostrato quindi di persona l'onorevole Marcello Dell'Utri,
sopraggiunto per richiesta dell'Avv. Federico, il Signor
Giovanetti dichiara: "no, non ho mai vista la persona qui
davanti a me, indicatami e presentatasi come l'onorevole
Marcello Dell'Utri". Il sig. Giovanetti successivamente ha
aggiunto quanto segue: in realtà ho visto l'onorevole Marcello
Dell'Utri in televisione circa 10-8 giorni fa in un programma
di Santoro".
Queste le dichiarazioni del Colonnello:
il giorno 10.3.99 dopo aver appreso che secondo le
dichiarazioni del collaborante di giustizia Vincenzo La Piana,
contenute nella ordinanza di arresto trasmessa alla Camera dei
deputati, in periodo imprecisato, presumibilmente tra il 1995
e il 1997, vi fu un incontro tra lo stesso La Piana,
l'onorevole Dell'Utri, Enrico Di Grusa, e altri presso un
ristorante ubicato in "Via Marcona", in prossimità
dell'incrocio con via Cellini, che il collaborante La Piana
indica con il nome "Da Luigi", decisi di recarmi intorno alle
ore 12 nel suddetto locale. Ricordandomi che nel luogo
indicato dalla Piana esisteva effettivamente un ristorante, ma
noto come "La Risacca" e non con il nome "Da Luigi" indicato
nei verbali di interrogatorio di La Piana. Per una prima
verifica a questa discrasia tra le dichiarazioni del
collaborante e il nome effettivo del ristorante, entrai quindi
nella panetteria ubicata in via Marcona angolo via Cellini, a
fianco del summenzionato ristorante, chiedendo dove si trovava
il locale "Da Luigi" consapevole che nel luogo indicato dal La
Piana non poteva esserci altro locale che "La Risacca". A quel
punto un cliente della panetteria mi disse che nel quartiere
non esisteva alcun ristorante "Da Luigi". Mente la titolare
del negozio specificò invece che il proprietario o uno dei
proprietari del ristorante "La Risacca" si chiamava
effettivamente Luigi. Decisi perciò di entrare a quel punto
nel ristorante "La Risacca" chiedendo di poter parlare con
"Luigi" Mi si presentò un signore dell'età apparente di 60-70
anni, di media altezza con gli occhiali, capelli grigi, che si
qualificò come "Luigi". Dopo avergli spiegato che ero un
giornalista del quotidiano "La Stampa" e dopo avergli
brevemente riassunto i motivi per i quali mi trovavo lì in
quel momento, gli chiesi se aveva mai incontrato o visto nel
suo locale l'onorevole Marcello Dell'Utri, intendendo così
verificare se le dichiarazioni del collaborante La Piana
riportate nell'ordinanza di arresto per l'onorevole Dell'Utri
corrispondessero al vero.
Il Signor Luigi mi rispose di non avere mai incontrato o
visto nel suo locale l'onorevole Dell'Utri. Chiesi al signor
Luigi se conosceva o avesse idea di chi fosse l'onorevole
Dell'Utri, egli mi rispose di aver visto la sua faccia più
volte in televisione o riportata sui giornali. Ripetei questa
domanda più volte ricevendo sempre la stessa risposta. Chiesi
ancora al signor Luigi se egli poteva considerarsi il titolare
Pag.11
di quel ristorante ed egli mi rispose che era soltanto uno dei
soci, anche se il più anziano e di aver aperto con loro questo
ristorante intorno al 1981-1982 e perciò di ricordare di non
aver mai visto da allora l'onorevole Dell'Utri".. Alla
richiesta dell'avv. Federico di precisare tale frase, il
Colonnello ribadisce "che il sig. Luigi gli disse che dal
1981-1982 non aveva mai visto nel suo locale l'onorevole
Dell'Utri". Il Colonnello quindi aggiunge: "Chiesi al sig.
Luigi se il ristorante "La Risacca" era mai stato denominato
"Da Luigi" e lui rispose "che così non era cioè il locale non
aveva mai avuto tale denominazione ma non poteva escludere che
i clienti abituali usassero tra loro riferirsi al suo locale
utilizzando il suo nome proprio. Peraltro precisava che prima
di diventare socio del "La Risacca" aveva effettivamente
gestito un altro ristorante, se non sbaglio in Viale Premuda,
chiamato "Da Luigi", fino ai primi anni '80 quando aveva
chiuso questo ristorante in seguito ad un incendio.
A quel punto, dato che alla conversazione avevano
assistito anche altre due o tre persone che lavoravano nel
ristorante, chiesi prima a loro semmai avessero visto entrare
nel locale l'onorevole Dell'Utri. Mi dissero che si chiamavano
Pippo e Gesualdo, un terzo nome non lo ricordo, credo che
almeno un paio di questi fossero soci proprietari del locale
(almeno così mi hanno detto) e mi risposero sostanzialmente
nello stesso modo in cui mi aveva risposto il sig. Luigi,
escludendo cioè che l'onorevole Dell'Utri, almeno negli ultimi
anni, fosse mai entrato nel loro locale. Inoltre mi mostrarono
un documento appeso all'ingresso del locale che attestava la
proprietà dello stesso a tale Romano Pinocchi, questo per
fugare i miei dubbi su eventuali proprietà che potessero
ricollegarsi alle persone inquisite nelle indagini dalla
Magistratura palermitana e milanese. Infine mi fecero anche
vedere una bacheca posta alle spalle della cassa sulla quale
erano appese le foto di diversi personaggi del mondo dello
sport e dello spettacolo usi a frequentare il loro ristorante,
facendomi intendere che pur conoscendo l'immagine ed il volto
dell'onorevole Dell'Utri potevano escludere di averlo mai
visto nel ristorante. Chiesi a questo punto se altri
giornalisti si fossero presentati per avere le stesse
informazioni e mi fu risposto negativamente. Domandai infine
se nei giorni o nei mesi precedenti si fossero presentati
degli investigatori, Polizia, Carabinieri o Finanza per
verificare quanto io stesso andavo chiedendo. I proprietari
come ho scritto nel mio articolo risposero: "nessuno, né
Polizia o Carabinieri, è mai venuto qui a chiedere se
Dell'Utri era nostro cliente. Anzi, è la prima volta che
qualcuno ce lo chiede".
Alla domanda se avesse o meno richiesto ai soci del "La
Risacca" se conoscevano La Piana, Di Grusa, Antonio Currò o
Natale Sartori, il Colonnello così risponde: "mi sembra di
ricordare che risposero che questi nomi non consentivano loro
di identificarli come loro clienti" A.d.r "non ho fatto
ulteriori accessi dopo quello che ho descritto né ho avuto
ulteriori contatti di qualsiasi natura con i proprietari del
"La Risacca". Ho letto attraverso le agenzie di stampa che, in
una conferenza stampa organizzata dall'onorevole Dell'Utri
all'incirca una settimana o dieci giorni dopo il mio articolo,
che il giorno successivo alla pubblicazione dello stesso nel
ristorante "La Risacca" si erano recati esponenti delle forze
dell'ordine per svolgere, immagino le stesse verifiche".
A.d.r. "come ho scritto nell'articolo ho ritenuto inutile
svolgere identiche verifiche sulla presenza o meno
dell'onorevole Dell'Utri in un altro ristorante in via Benaco
o in un capannone di Rozzano perché stando alle dichiarazioni
del La Piana avrei trovato degli ambienti probabilmente ostili
e quindi impossibilità di ogni verifica".
Il Colonnello ha così concluso: "i soci del ristorante
vollero precisarmi, forse per dimostrare che ben sapevano chi
era Dell'Utri, che nel loro locale si era recato spesso
Adriano Galliani, alcuni giocatori del Milan ma, ad esempio,
non si erano mai visti né Fedele Confalonieri né Silvio
Berlusconi".
E' evidente che l'attività di verifica compiuta da un
giornalista avrebbe dovuto essere immediatamente condotta
Pag.12
anche e con maggiore approfondimento dai magistrati
palermitani, fideisticamente (secondo l'onorevole Dell'Utri)
adagiati sulle popolazioni del collaborante. Tanto più che
l'accertamento relativo alla individuazione del cellulare del
Di Grusa, dal quale sarebbe partita la telefonata per fissare
l'incontro al ristorante "Da Luigi", aveva già fornito, come
emerge dalla ordinanza, eloquente esito negativo, che avrebbe
dovuto provocare diffidenza sulla fonte accusatoria.
Dunque - secondo l'onorevole Dell'Utri - anche le accuse
del La Piana sono totalmente false e ad esse si è voluto
credere ad ogni costo, anche omettendo riscontri che in altre
occasioni e per altri indagati sarebbero stati effettuati.
G1i addebiti contestati all'onorevole Dell'Utri (come si è
visto) si basano esclusivamente sulle rilevazioni del
collaborante Vincenzo La Piana, che riferisce in via diretta
solo i due incontri al ristorante in via Benaco 17, in zona
Piazzale Corvetto, ed al ristorante "Luigi" in via Marcona, in
prossimità dell'incrocio di Via Cellini nonchè il terzo
incontro nello stabile di Via Monte Penice 9, a Rozzano.
La tesi del G.I.P., secondo cui l'onorevole Dell'Utri
sarebbe organico a "Cosa Nostra", si basa sul processo in
corso attualmente davanti al Tribunale di Palermo nel contesto
del quale egli è imputato del delitto di concorso esterno in
associazione mafiosa e sulle predette rivelazioni del La Piana
che però parla del diretto coinvolgimento dell'onorevole
Dell'Utri, come si è detto, unicamente in riferimento ai
predetti tre episodi.
I primi due incontri al ristorante sono stati
categoricamente negati dall'onorevole Dell'Utri e sono stati
altrettanto categoricamente smentiti dalle dichiarazioni
testimoniali acquisite ex articolo 38 disp. att. c.p.p.
Per il terzo incontro con il Sartori presso i propri
uffici di Via Senato 14, l'onorevole Dell'Utri nel corso della
sua audizione ha precisato che detto incontro fu fissato a
richiesta del Sartori che prima non conosceva e nel corso del
quale non si parlò assolutamente di droga. Tutto qui.
Poiché ai primi due incontri al ristorante avrebbero
partecipato oltre all'onorevole Dell'Utri ed al collaboratore
La Piana anche Di Grusa, Currò e Sartori, perché questi ultimi
(nemmeno indagati!) non sono mai stati sentiti?
Dall'ordinanza del GIP emerge che dagli accertamenti di
P.G. "non risulta allo stato alcun Emanuele tra i soggetti
frequentati da Mangano e Di Grusa e non è stato possibile
accertare se qualcuno a nome Emanuele abbia viaggiato nel
1995-1996 con D'Agostino in aereo per la Colombia".
Se questo Emanuele (elemento chiave per il GIP in
riferimento alla pretesa importazione di cocaina) è davvero
esistito, conoscendo approssimativamente la data del suo
arresto, così come individuata dal La Piana, non sarebbe poi
stato così difficile accertarne le generalità presso gli
uffici matricola delle varie case circondariali italiane.
Gli elementi a carico del parlamentare sono quindi, per
quanto riguarda il capo "B", ancora più labili di quanto
ritenuto dal P.M. e dallo stesso GIP che non hanno
rispettivamente chiesto e disposto la custodia cautelare nei
suoi confronti.
Non è pertanto assolutamente da condividersi l'opinione
espressa dal GIP secondo cui tutto quanto correlato al capo
"B" arricchirebbe comunque e meglio preciserebbe il quadro
indiziario a carico dell'onorevole Dell'Utri nel processo
attualmente in corso a Palermo, andando così a supportare gli
indizi e le esigenze cautelari connesse ai reati di cui ai
capi "A" e "C", per i quali è stato disposto l'arresto.
Non essendovi praticamente nulla a carico dell'onorevole
Dell'Utri sul capo "B" nulla può conseguentemente derivarne
per il processo di Palermo (che in questa sede non ci
interessa) sia per quanto riguarda i capi "A" e "C" che
andiamo ora separatamente ad esaminare.
Sul capo "A" - Estorsione tentata.
La contestazione del reato di tentata estorsione aggravata
in concorso con Buffa Michele e Virga Virginio trae origine da
Pag.13
dichiarazioni rese dal Dott. Garraffa Vincenzo al sostituto
procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trapani
Dott. Michele Calvisi in data 28/02/1997 e non verbalizzate in
seguito al rifiuto in tal senso opposto dal medesimo
Garraffa.
Tali dichiarazioni furono rese alla presenza
dell'ispettore Culcasi Giuseppe in servizio presso la Digos di
Trapani.
Il 05/03/1997 perveniva alla Procura della Repubblica di
Palermo il fascicolo n. 347/97 A.N. della Procura della
Repubblica di Trapani inviato dal Procuratore Dott. Gian
Franco Farofalo e contenente due relazioni di servizio
rispettivamente del Dott. Calvisi e dell'ispettore Culcasi che
riferivano le dichiarazicni del Garraffa secondo cui allorchè
egli, nel l990, era presidente della squadra di pallacanestro
di Trapani militante nel campionato di serie A/2 aveva
concluso un contratto pubblicitario con il marchio Birra
Messina per il tramite dell'Agenzia Publitalia di Milano,
veniva ricevuto personalmente dal Dott. Marcello Dell'Utri il
quale, quale corrispettivo per tali prestazioni pubblicitarie,
richiedeva il pagamento in contanti del 5O per cento dell'
importo convenuto in contratto ed ammontante complessivamente
a lire 1.500.000.000.
Al rifiuto del Garraffa di corrispondere un così rilevante
importo "in nero", in periodo successivo veniva sollecitato al
predetto pagamento da due individui legati a "Cosa Nostra".
In particolare, il Garraffa, ottenne tramite Publitalia un
contratto di sponsorizzazione per la propria squadra di
pallacanestro: "giunto a Milano e contattato Marcello
dell'Utri, responsabile della citata società Publitalia,
questi molto cordialmente gli aveva affidato il marchio Birra
Messina per un contratto pubblicitario di 1.500.000.000 di
lire ricordandogli che tutte le società di pallacanestro della
serie A/1 e A/2 del Nord Italia erano legate a Publitalia e
che, successivamente, quando sarebbe capitato a Milano,
avrebbe dovuto pagare i soli diritti di agenzia. Entusiasta
del contratto concluso (aveva creduto di aver firmato per
750.000.000 anziché 1.500.000.000) il Dott. Garraffa era
ritornato a Trapani ed aveva festeggiato con gli altri
soci.
Successivamente era ripartito per Milano per regolarizzare
il pagamento dei diritti di agenzia.
Contattato sempre Dell'Utri ("Presidente ha portato la
provvista?") il Garraffa aveva chiesto a quanto ammontassero
tali diritti e il Dell'Utri gli rispondeva che la Publitalia
chiedeva a tutte le società sportive il 50 per cento
dell'ammontare del contratto in contanti e che i soldi li
avrebbe dovuti portare direttamente da Trapani.
Sempre a dire del Garraffa, quest'ultimo avendo compreso
che si trattava di una vera e propria tangente si era adirato
in quanto se egli fosse stata prospettata prima la condizione
di dover pagare una tangente di 750.000.000 in contanti,
questi non avrebbe accettato.
Il Dell'Utri a quel punto aveva risposto che dovevano
pagare e che bisognava stare attenti perché, se non avessero
fatto ciò non avrebbero avuto in futuro nessuno sponsor atteso
che Publitalia aveva il monopolio. (Difatti la stagione
successiva, malgrado la squadra fosse stata promossa in serie
A/l, la società non riuscì a trovare alcuna sponsorizzazione,
tant'è che per destare l'attenzione dei media e dare una
risposta al sistema aveva assunto la denominazione "L'Altra
Sicilia" Pallacanestro Trapani").
Il Garraffa in ogni caso aveva preso tempo, anche perché
doveva accordarsi con gli altri soci, in quanto gli stessi
avrebbero potuto pensare che i soldi se li era intascati lui.
Ritornando a Trapani non aveva più pagato la tangente
richiesta e per questo era stato più volte contattato dal
Dell'Utri anche in Senato, ove nel frattempo era stato eletto.
Il Dell'Utri inoltre non si era limitato a minacciarlo
verbalmente ricordandogli che se era un uomo d'onore doveva
pagare, ma lo aveva fatto contattare da esponenti della
famiglia mafiosa della provincia, probabilmente dei
Cannata.
Alla richiesta del Dott. Calvisi di verbalizzare quanto
dichiarato perché costituente reato, il Garraffa tergiversava
dichiarando di non poterlo fare perché non aveva le prove di
quanto affermato.
Pag.14
Quest'ultimo, dopo aver soggiunto che anche altri
esponenti della Pallacanestro Trapani erano a conoscenza di
quanto successo, si allontanava dai locali della Procura".
Il Garraffa, esaminato a sommarie informazioni in data
9/10/1997, aveva riferito che una volta raggiunta la serie A/2
di basket nell'anno 90/91 si era posto il problema di trovare
un adeguato sponsor e di avere a tal uopo contattato la
struttura Publitalia su indicazione del Sen. Pietro Pizzo,
deux ex machina della Pallacanestro Marsala che, pur
militando in serie B, aveva già da alcuni anni un ottimo
sponsor quale la FUJI FILM.
Fu quindi il Sen. Pizzo a mettere il Garraffa in contatto
con un funzionario di Publitalia, tale Enzo Piovella. Il
Garraffa fu quindi chiamato a Milano ove andò più volte con il
Piovella e con certo Biraghi, anch'egli di Publitalia. Si era
nel 1990, in estate.
Gli venne proposto come sponsor la Birra Messina che
faceva parte del gruppo Dreher-Heineken. Gli fu fatto
sottoscrivere il relativo contratto ed il Piovella gli disse:
"ci sono da pagare i diritti di agenzia", senza specificare
l'ammontare degli stessi.
Il Garraffa non trattò in alcun modo l'entità economica
del contratto tanto che, uscendo dalla Publitalia fu
"piacevolmente sorpreso dal fatto che il contratto stesso
prevedeva una cifra di 1.500.000.000 di sponsorizzazione al
netto di IVA".
Tale somma gli venne accreditata sulla Comit di Trapani in
due tranches di L. 750.000.000 ciascuna sul conto intestato
alla Pallacanestro Trapani.
Dopo il saldo definitivo, il Piovella gli disse: "quando
vieni a Milano porta l'importo della provvigione", aggiungendo
che avrebbe dovuto portarlo in contanti. Il Garraffa si
informò presso l'Agenzia Plus di Taranto ed in
particolare con il Signor Maurizio Zocco sui diritti di
agenzia spettanti in tali casi, che gli riferì che le stesse
si aggiravano sul 5-10 per "arrivare al massimo al 20".
Recatosi a Milano, il Garraffa portò a Piovella la somma di L.
100.000.000, quale acconto sul 10 dal medesimo previsto. Il
Piovella replicò invece che il dovuto ammontava al 50,
precisando la cifra prima in L. 800.000.000 poi in
750.000.000, riducendola "dopo qualche tempo a 700.000.000".
Tale somma gli venne richiesta sempre "in nero". Il Garraffa
replicò "molto scosso" che quella richiesta non era una
provvigione bensì una tangente. Il Piovella precisò che la
Publitalia aveva contratti con dodici società di serie A e B e
che le stesse avevano il medesimo trattamento.
Piovella e Biraghi, presente in tale circostanza,
aggiunsero che "nel campo della motonautica il 75 dell'importo
della sponsorizzazione andava alla Publitalia". Si interessò
poi con un dirigente del Lecce Calcio, di nome Cataldo, su
quanto loro avessero corrisposto per provvigione e gli venne
risposto: "cosa vuoi, il mondo oggi cammina in una certa
maniera".
Il Garraffa aggiunge che "tornando alle mie difficoltà con
Publitalia dissi a Piovella e Biraghi e successivamente anche
a Dell'Utri Marcello che io potevo anche pagare quella somma
ma avevo bisogno di una fattura di ristorno da potere inserire
nel bilancio della mia società. Specifico che il Dell'Utri
Marcello venne investito della situazione proprio perchè
Piovella e Biraghi non erano riusciti a convincermi. Dopo un
approccio amichevole, di fronte alla persistenza della mia
opposizione, il Dell'Utri mi disse testualmente: "io le
consiglio di ripensarci. Abbiamo uomini e mezzi che la possono
convincere a cambiare opinione". Dopo questa discussione,
passati 3 mesi, in ospedale a Trapani ove io ero primario
radiologo venne a trovarmi un signore, da me conosciuto un
paio di anni prima, titolare della ditta di trasporti Drepanum
di Trapani. Il signore in questione, che si chiama Virga
Vincenzo, ed io già lo conoscevo in quanto avevo affittato
proprio dalla Drepunum come presidente della Pallacanestro
Trapani, e come organizzatore dei campionati juniores di
basket pulmann negli anni 89/90. Il Virga mi disse
testualmente: "sono stato incaricato da amici di vedere com'è
possibile risolvere il problema della Publitalia". Alla mia
richiesta di specificare chi fossero gli amici, mi disse
Pag.15
espressamente "Marcello Dell'Utri". Io allora chiesi anche se
gli amici ricomprendevano solo il Dell'Utri o anche qualcun
altro e lui mi disse che gli amici comprendevano anche una
"persona della provincia di Trapani". In quella occasione io
pensai che potesse riferirsi al senatore Pizzo di Marsala. In
quell'occasione io dissi al Virga che ero disponibile a pagare
ove mi avessero fatto una fattura di ristorno, così come avevo
già detto in Publitalia. Diedi al Virga, però, anche un'altra
strada: gli proposi infatti di considerare il contratto di
1.500.000.000 come un contratto biennale sul quale io avrei
versato la provvigione di mercato. Devo precisare, infatti,
che una sponsorizzazione di 1.500.000.000 era, a quel tempo, a
livello di serie A/1 di basket e che a me sarebbe ben bastata
una sponsorizzazione di 750.000.000. Il Virga a queste mie
proposte disse testualmente: "riferirò". Io da quel momento
non lo vidi più. Continuò invece a telefonarmi più volte lo
stesso Marcello Dell'Utri. In queste occasioni il Dell'Utri mi
sollecitava il pagamento dei restanti 530.000.000 di lire
dicendomi: "io sono sempre in attesa, cosa intende fare?
Ricordi che noi siciliani dobbiamo mantenere sempre la parola
data". Il Garraffa ricorda anche di una telefonata del
dell'Utri al suo studio in Senato e che in tale occasione
disse al Dell'Utri di non chiamarlo più perché già gli aveva
dato 170.000.000. Infatti dopo i primi 100.000.000 "erano
stati consegnati altri 35.000.000 dal direttore della
Pallacanestro Trapani Renzi personalmente al Piovella, nonché
altri 35.000.000 approntati dal Renzi e da me portati al
Piovella a Milano. Posso collocare quest'ultima telefonata tra
la fine del 1992 e l'inizio del 1993. Il Garraffa riferisce
poi che alla fine della stagione 90/91, benché la
Pallacanestro Trapani fosse approdata in serie A/1, non riuscì
a trovare un nuovo sponsor ed il Dott. Paolini della IMAGE
BUILDING di Milano, a cui si era rivolto e che in due
occasioni aveva avviato trattative poi fallite, gli disse che
la causa di ciò era da ricercarsi nel "veto che era stato
opposto da Publitalia". Da qui la decisione
dell'autosponsorizzazione come "L'ALTRA SICILIA -
PALLACANESTRO TRAPANI" che fu molto pubblicizzata sui
giornali, tant'è che il Garraffa medesimo venne anche invitato
al "Maurizio Costanzo Show", ma 24 ore prima della prevista
trasmissione ricevette una telefonata in cui gli fu detto che
"l'invito era stato sospeso a tempo indeterminato". Il
Garraffa si rivolse anche al presidente della regione Rino
Nicolosi che promise un appoggio, ma non se ne fece nulla. In
proposito il Garraffa aggiunse: "Publitalia aveva molti
agganci presso l'assessorato sport turismo e spettacolo della
regione". Garraffa ricorda altresì che nel 92/93 fu invitato a
una trasmissione sportiva di Canale 5 e Italia 1 e che alla
fine di tale trasmissione qualcuno gli disse che Dell'Utri
avrebbe avuto il piacere di riceverlo. Nel corso del colloquio
il Garraffa gli chiese come mai non aveva impedito la sua
partecipazione a tale trasmissione alché Dell'Utri replicò:
"non lo sapevo, altrimenti avrei bloccato la trasmissione,
come ho fatto con il "Maurizio Costanzo Show". Il Garraffa gli
disse delle mancate promesse di Nicolosi alché replicò:
"abbiamo amici dappertutto".
Richiese nuovamente il saldo dei 530.000.000. Il Garraffa
rifiutò. Garraffa ricorda che da quel momento non ebbe più
sponsorizzazioni, che usci dalla Società Pallacanestro Trapani
nel giugno/luglio 94 e che da qualche mese la stessa società
era stata dichiarata fallita.
Sentito nuovamente il 22/12/1997 il Garraffa aggiunge:
devo precisare, ricordandolo solo ora, che il Virga era
accompagnato da Michele Buffa. Ricordo altresì che in
occasione del campionato di A/1 in una trasferta della squadra
Giuseppe Vento commissario della società, gli riferì di essere
stato raggiunto in albergo da Piovella della Publitalia e da
Starace della Birra Messina che reiterarono la richiesta di
pagamento "già sollecitata dal Dell'Utri" e che il Vento "li
mandò a quel paese".
Sentito nuovamente il 27/12/1997, il Garraffa precisa che
della visita fattagli da Virga e da Buffa, antecedente alla
sua elezione a senatore avvenuta il 05/04/1992, parlò con il
Renzi "pur non nominando mai il Virga in sua presenza" per
Pag.16
vedere se la società avesse disponibilità di denaro al fine di
aderire alla predetta richiesta. "Ciò feci anche per evitare
la completa chiusura delle aperture che il Dell'Utri poteva
garantirci a livello nazionale in relazione agli sponsor". Il
Garraffa aggiunge: "circa il Virga, ero a conoscenza del fatto
che fosse un mafioso, dopo che me lo disse Pietro Caruso.
Avevo compreso comunque anche prima che si trattava di persona
di rispetto. A seguito dell'incontro con Virga mi resi conto
dunque che Dell'Utri stava scendendo pesantemente in campo per
ottenere il pagamento da lui richiesto. Il Garraffa ricorda
che della visita del Virga e del Buffa, facendo il loro nome,
parlò solo con Peppe Vento a cui disse che "se mi fosse
successo qualcosa" qualcuno doveva sapere chi poteva essere
responsabile di tali fatti. (...) Dopo il detto incontro del
Virga, ebbi modo di sentire altre volte il Dell'Utri
telefonicamente come ho già detto". Garraffa poi ricorda di
avere conosciuto Filippo Alberto Rapisarda a casa di Maria Pia
Dell'Utri, moglie di Alberto e fratello gemello di Marcello.
Quest'ultima era a conoscenza dei fatti della Pallacanestro
Trapani e che, avendone parlato con Marcello, questi le disse
che riteneva il Garraffa "un mascalzone".
Il Rapisarda, a cui riferì i fatti relativi alla suddetta
sponsorizzazione, assicurò che avrebbe fatto qualcosa che non
portò però ad alcun risultato. Il Garraffa aggiunge che
l'architetto Todaro era a conoscenza dei fatti
Publitalia-Dell'Utri essendo il suo braccio destro all'interno
della Pallacanestro Trapani. Lui ed il Renzi erano a
conoscenza delle richieste di Dell'Utri. In particolare il
Todaro fu il più rigido nel rifiutarle dicendo: "corriamo il
rischio di andare in galera". Todaro però non era stato posto
al corrente dell'intervento di Virga e di Buffa. Il Garraffa
precisa altresì di non sapere come mai i giornali dell'epoca
avessero riportato la notizia della sponsorizzazione di L.
750.000.000 e non di lire 1.500.000.000.
Il Garraffa conferma di aver conosciuto il Virga molto
tempo prima della sua visita in ospedale e che dopo
quest'ultima non lo ebbe più a rivedere.
Il Renzi, sentito il 23/11/1997, ricorda che il Garraffa
aveva trovato uno sponsor grazie a tale Piovella e che la
Publitalia, a dire del Garraffa, pretendeva il 50 di quanto
sponsorizzato confermando altresì una delle due consegne di
somme in danaro al Piovella riferita dal Garraffa nonché il
fatto che quest'ultimo era molto preoccupato per reperire
urgentemente quanto reclamato da Publitalia perchè qualcuno
glielo aveva chiesto.
Il medesimo Renzi il 23/11/1997 confermò il versamento al
Piovella di 35.000.000 e le telefonate di quest'ultimo per
sapere "quando sarebbero avvenuti i pagamenti delle
commissioni".
Il Renzi aggiunse: "la sponsorizzazione ordinariamente
approntata per una squadra di A/2 ammontava allora a circa
700/800.000.000 annui. (...) Una volta Garraffa mi disse che
doveva andare a Milano a vedersi con Dell'Utri. Una volta
Garraffa mi chiamò nel suo studio professionale di Via
Fardella a Trapani e mi disse che dovevamo in tutti i modi
fare un pagamento in relazione alla vertenza con la
Publitalia. Gli chiesi perchè dovevamo pagare dopo che avevamo
preso la decisione di non farlo. Lui mi disse che era stato
avvicinato da una persona che gli aveva detto che doveva
rispettare gli impegni. In quella occasione lo vidi alquanto
preoccupato (...). So che il Garraffa doveva partecipare alla
trasmissione di Maurizio Costanzo e so anche che ciò non
avvenne perchè poi l'appuntamento saltò ma non so per quale
motivo".
Il G.I.P. precisa che "il fatto che l'associazione mafiosa
trapanese fosse stata interessata per il recupero della somma
asseritamente dovuta a Publitalia ed al Dell'Utri risulta
chiaramente dalle dichiarazioni rese a questo ufficio da due
collaboratori di giustizia, Sinacori Vincenzo, già reggente
del mandamento di Mazara del Vallo, e Messina Giuseppe,
commercialista di Virga Vincenzo, capofamiglia di Trapani".
Il 28/01/1998 viene sentito Piovella Renzo che secondo di
G.I.P. "in maniera apparentemente inspiegabile forniva una
versione dei fatti poco credibile, non rispondente a tutte le
Pag.17
precedenti risultanze agli atti e, soprattutto, difficilmente
giustificabile a rigor di logica (il Piovella aveva infatti
sostenuto di aver personalmente curato la sponsorizzazione in
proprio, in modo esterno a Publitalia). Tale impressione
veniva poi confermata dalla audizione di uno dei soggetti
chiamati in causa dal Piovella e cioè il Barbera. Il Barbera,
in particolare, ha riferito come il Piovella sia intervenuto
direttamente su di lui al chiaro fine di inquinare le prove
del presente procedimento.
Barbera Ferruccio viene sentito il 29/10/1998 precisando
che il Piovella il 29/01/1998 era venuto a trovarlo in ufficio
presso la sua società PUBILLA dicendogli di essere stato
sentito dalla Procura di Palermo in relazione alla
sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani, dicendogli di
aver fatto il suo nome anche in relazione a certo Gino
Capponi, persona che lui nemmeno conosceva. Il Barbera
riferisce che a suo tempo il Piovella gli aveva riferito che
in merito alla sponsorizzazione per la Pallacanestro Trapani
della Birra Messina era sorto un problema "in quanto il
Garraffa, presidente della società sportiva, avendo ricevuto
dalla birra Messina 1.500.000.000 di lire si rifiutava di
restituire 750.000.000. (...) Il Piovella mi disse in quella
occasione che lo Starace della Birra Messina (che io in quel
momento non conoscevo ancora) era in difficoltà proprio perché
Garraffa non restituiva i 750.000.000 di lire (...). Il
Piovella si faceva portavoce di avere ristornati i detti
750.000.000 di lire.
Il Piovella mi disse anche che aveva rassicurato Starace
dicendogli che io avrei potuto parlare direttamente con
Marcello Dell'Utri. (...) Il Piovella disse a Starace di
cercarmi personalmente. Ricordo che ciò avvenne nel periodo
estivo (io mi trovavo infatti a Pantelleria) credo nell'anno
successivo alla sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani
da parte della Birra Messina. Lo Starace mi chiese nell'ambito
di queste telefonate un incontro con il Dell'Utri. Presi
quindi un appuntamento con il Dell'Utri, che io conosco da
tempo, ma con il quale non ho mai avuto un rapporto di
amicizia (...). Dell'Utri accettò di effettuare l'incontro,
che avvenne a Milano presso la sede Publitalia di Milano Due.
Partecipammo io stesso, il Dell'Utri e lo Starace. Se ben
ricordo, fui io ad introdurre il problema che mi parve il
Dell'Utri non conoscesse.
Successivamente, non ricordo chi dei tre propose quale
soluzione di recuperare i 750.000.000 tramite una concessione
di spazi pubblicitari da parte di Publitalia alla HEINEKEN. Da
quel momento non so più niente di questi fatti. Non so se
Dell'Utri non conoscesse queste circostanze o se non facesse
trasparire la sua conoscenza dei fatti. Piovella non mi disse
perché lui si faceva portavoce dello Starace, anche se dal suo
comportamento e da alcune frasi da lui dette compresi che ne
aveva curato la sponsorizzazione. Dell'Utri, dopo che io
esposi i fatti, non disse nulla contro il Piovella. Ebbi
comunque la netta sensazione che il rapporto con la società
HEINEKEN era certamente importante per la Publitalia dal punto
di vista pubblicitario".
Rapisarda Filippo Alberto, sentito il 07/02/1998, conferma
che il Garraffa gli aveva parlato di un affare con Marcello
Dell'Utri in conseguenza del quale "erano ai ferri corti" e
che si trattava in particolare di un affare per un importo
complessivo di circa 1.500.000.000. Il Garraffa gli chiese di
intervenire su Dell'Utri. "Io gliene accennai ma mi rispose
che il Garraffa non era da trattare in quanto era un
truffatore". Il Garraffa gli riferì che il Dell'Utri lo aveva
minacciato.
La Malfa Dell'Utri Maria, sentita il 25/06/1998, amica di
Garraffa per comune fede repubblicana, riferisce che questi le
raccontò "che per la squadra era essenziale trovare uno
sponsor e per questo motivo so anche che entrò in contrasto
prima con Gian Franco Miccichè, allora credo responsabile di
Publitalia per la Sicilia, e successivamente con mio cognato
Marcello Dell'Utri (...) Vincenzo Garraffa, tornando
all'incontro a Milano con Marcello, organizzato da mio marito,
mi disse che Marcello lo aveva trattato male e che aveva
creduto alla versione di Miccichè invece che alla sua ...
Pag.18
Ricordo che si trattava del rinnovo della sponsorizzazione
della squadra (...). Questo viaggio di Garraffa a Milano per
parlare con Dell'Utri avvenne nel 1992 (...). Ricordo che una
volta il Garraffa chiese al Rapisarda se poteva metterlo in
contatto con Marcello Dell'Utri e ciò sempre in relazione alla
questione della sponsorizzazione della squadra di
pallacanestro Garraffa mi disse che voleva vendicarsi del
Dell'Utri ed avrebbe fatto il collaboratore di giustizia con
il Dott. Di Pietro. Io rimasi sorpresa e gli dissi di fare
quello che meglio credeva. Non gli chiesi il motivo di tanto
astio. Il Garraffa non mi parlò mai di minacce".
Giuseppe Vento, sentito il 19/01/1998, già commissario
della pallacanestro Trapani, ricorda: "venni a sapere dal
Garraffa che la Birra Messina aveva sponsorizzato la
Pallacanestro Trapani per un importo di 1.500.000.000 oltre
IVA e che da parte della stessa Birra Messina vi era la
richiesta di ottenere indietro, in nero, circa 800.000.000.
(...) Siccome avevamo difficoltà a trovare un nuovo sponsor
per la squadra che era passata in A/1, il Garraffa mi disse
che stava cercando una strada per recuperare il rapporto con
la Birra Messina, in particolare facendo emettere una nuova
fattura di circa 2.000.000.000 e accettando solo 450.000.000
in contanti a fronte di questa fatturazione. L'operazione a
quanto pare falli perché la Birra Messina si rifiutò di
accettare la proposta. Ricordo anche che in un momento
precedente a quello di cui ho parlato il Garraffa mi disse che
doveva portare 300.000.000 di lire a Milano, dicendo che
dovevano servire a pagare non meglio precisati intermediari.
(...) Successivamente mi telefonò Filippo Starace, che mi
chiese di Vincenzo Garraffa, dicendomi che con il Garraffa
aveva un conto di dare-avere non rispettato. (...) Ricordo
ancora che il Garraffa si faceva negare al telefono e che lo
Starace mi telefonò nuovamente. (...) Io avevo già compreso
che qualcosa non funzionava nel rapporto tra la Birra Messina
ed il Garraffa in quanto non vi era alcuna plausibile ragione
perché cessasse la sponsorizzazione. (...) In occasione della
prima telefonata di cui ho parlato, ho consigliato lo Starace
- considerato che non riusciva a contattare il Garraffa - di
venire lui stesso a Milano in occasione della partita contro
la PHILIPS.
Lo Starace venne poi effettivamente alla fine del primo
tempo della gara, ma il Garraffa inspiegabilmente si eclissò.
Starace in queste telefonate mi aveva fatto cenno ad un certo
Piovella, che poi ebbi modo di conoscere personalmente, che a
suo dire rischiava il licenziamento per il comportamento del
Garraffa". Consigliai lo Starace di venire a Torino il
06/10/1991 in occasione della gara che la Pallacanestro
Trapani avrebbe dovuto disputare con la Robe di Kappa di
Torino. In questo caso, contrariamente alla prima occasione,
non preannunziai nulla al Garraffa. Fu così che mentre eravano
nella hall del Jolly Hotel di Torino arrivò lo Starace insieme
ad un altro soggetto che allora ancora non conoscevo.
Quest'ultimo soggetto cominciò a discutere animatamente con il
Garraffa insultandolo pesantemente e ripetutamente. Il
Garraffa, che è solitamente un tipo aggressivo o comunque non
remissivo, girò sui tacchi e andò via. Venni a sapere così che
questo soggetto, che si era così espresso con il Garraffa, era
il Piovella (...). Arrivai a rompere completamente con il
Garraffa quando una volta, con le lacrime agli occhi, lo
stesso mi disse di essere disperato perché aveva ricevuto
pesanti pressioni per consegnare gli 800.000.000 di lire. In
quella occasione mi fece capire che aveva subito delle vere e
proprie minacce e che queste provenivano da ambienti
malavitosi.
Tornando all'invito al Maurizio Costanzo Show ricordo
anche che questo venne inspiegabilmente revocato all'ultimo
momento a mezzo telegramma. Il Garraffa in quell'occasione mi
disse che non avevano voluto che lui partecipasse perché
sapevano che avrebbe sparato a zero sull'allora presidente
della regione siciliana Nicolosi che defini amico di Costanzo.
(...). Il Garraffa non mi parlò di Marcello Dell'Utri. Debbo
anzi dire che il Garraffa non mi fece mai il nome di nessuno
Pag.19
di questi pubblicitari che lo avevano messo in contatto con la
Birra Messina."
Il 22/10/1997 viene sentito Todaro Osvaldo, già tesoriere
della società Pallacanestro Trapani. Riferisce che in seguito
alla sponsorizzazione della Birra Messina "nel corso di una
ulteriore riunione del direttivo il Garraffa ci disse che vi
era una sensalia da pagare, ma non disse in quella occasione
l'importo che dovevamo pagare all'intermediatore né disse il
nome dello stesso (...). Non sono a conoscenza del pagamento
di alcuna somma. Non avendo mai chiesto il nome
dell'intermediario non posso aver sentito parlare di
Publitalia e di Marcello Dell'Utri (...). Nella stagione
1992/93 trovai io stesso uno sponsor alla squadra. Si
trattava della Società Tonno Auriga di Trapani che
sottoscrisse un contratto di sponsorizzazione di circa
750.000.000.
Pietro Pizzo sentito il 07/11/1998, deux ex machina
della società Pallacanestro Trapani, conferma di avere
suggerito al Garraffa, interessato ad una sponsorizzazione, di
rivolgersi al Piovella, che già aveva assicurato la
sponsorizzazione alla propria società. Dario Biraghi, sentito
il 20/11/1998, precisa che "l'iniziativa del Piovella per la
sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani era a titolo
privato, senza alcun coinvolgimento di Publitalia (...).
Escludo che il Dott. Dell'Utri potesse essere informato della
vicenda della Pallacanestro Trapani in quanto, come ho già
detto, si trattava di una iniziativa privata del Piovella".
Starace Filippo, sentito il 26/10/1998, dovendo lanciare
sul mercato il marchio Birra Messina si mise in contatto con
il Biraghi di Publitalia che dopo qualche tempo gli presentò
il Piovella, amico del presidente della Pallacanestro Trapani,
che cercava per l'appunto uno sponsor. Fu quindi
sottoscritto il contratto per l.500.000.000. (...). Il
campionato della Pallacanestro Trapani andò molto bene tanto
che la squadra riuscì a passare in serie A/1. Il risultato
della sponsorizzazione fu invece modesto. (...). Non so nulla
di eventuali richieste di Biraghi e Piovella al Garraffa ed
alla Pallacanestro Trapani.
Per quanto riguarda il capo "A" e cioè la tentata
estorsione, l'onorevole Dell'Utri con la propria memoria
sostiene trattarsi di accuse calunniose, così come emergerebbe
da riscontri peraltro del tutto omessi dai magistrati
palermitani.
Secondo il parlamentare il Garraffa venne a trovano a
Milano per proporre alle reti Finivest diritti di trasmissione
televisiva del campionato di basket della cui Lega
Nazionale era allora componente.
L'onorevole Dell'Utri disse al Garraffa che tali diritti
non gli interessavano e colse l'occasione per riferirgli la
lamentela del dr. Starace in relazione al mancato rispetto
dell'impegno assunto nei suoi confronti.
Ciò al solo fine di contribuire a risolvere un problema
che riguardava uno tra i più importanti clienti di Publitalia.
Non fece, né aveva ragione di fare, alcuna minaccia, anche
perché, come detto, l'operazione non riguardava affatto
Publitalia. Sul fatto poi che non conoscesse gli esatti
termini della vicenda, vi sarebbe conferma nelle dichiarazioni
di Barbera Ferruccio rese al P.M. il 29.10.98 (... "se ben
ricordo fui io ad introdurre il problema che mi parve il
Dell'Utri non conoscesse"). Dopo tale incontro l'onorevole
Dell'Utri non ebbe più occasione di vedere o sentire il
Garraffa.
La falsità delle accuse del Garraffa si trarrebbe, poi,
sia dalle gravi contraddizioni palesate nell'accusa, sia per
mezzo di precisi elementi di discolpa, scaturenti da
dichiarazioni difensive che ben potevano e dovevano trovare
naturale collocazione nel doveroso lavoro di indagine dei
PP.MM., a conferma di una attività investigativa unilaterale,
sintomaticamente persecutoria.
Una grave omissione, da parte dei magistrati palermitani,
scaturirebbe dalla mancata considerazione dei reali rapporti
tra il Garraffa e presunti mafiosi del calibro del Virga, capo
mandamento di Trapani e del Buffa, emergenti dal procedimento
n.4495/94 RGNR, richiamato nella richiesta dei PP.MM. di
custodia cautelare a carico dell'onorevole Dell'Utri. Si
legge, infatti, a pag. 179: "sulla attendibilità specifica
<del Garraffa> non v'è ragione di dubitare, sia in forza della
Pag.20
coincidenza delle sue dichiarazioni, riguardo soprattutto alla
sua conoscenza con Buffa Michele e Virga Vincenzo, con quelle
rese dal Messina, sia dai riscontri evidenziati dalle indagini
di P.G.". Dunque patente di attendibilità conferita al
Garraffa, per la sua profonda conoscenza con i due mafiosi,
che non poteva non essere conosciuta dal GIP Scaduto, che
aveva trattato il procedimento penale n. 4495194 citato nella
richiesta dei PP.MM., in cui risultavano illuminanti le
dichiarazioni di Messina Giuseppe. Questi, in sede di
interrogatorio audioregistrato del 19.11.96 dedicato alla
individuazione degli "uomini cosiddetti vicini a Cosa Nostra"
così si esprime in un paragrafo espressamente riservato ai
rapporti tra senatore Garraffa e Virga Vincenzo".
"(...) i rapporti tra Garaffa Vincenzo ed il Virga
Vincenzo sono diretti e personali. Il Virga Vincenzo conobbe
il Garraffa perché presentatogli dal Caruso Pietro del quale
ho già parlato. Quindi mi risulta che Virga Vincenzo abbia
sostenuto la campagna elettorale del Garraffa a senatore della
Repubblica per quanto appresi direttamente dal medesimo Virga
e per quanto ebbi modo di constatare direttamente nel periodo
elettorale in questione...
Più di una volta ho visto insieme il Garraffa Vincenzo ed
il Virga Vincenzo ed anche il primo in compagnia del Buffa
Michele, con il quale pure il Garraffa manteneva cordiali
rapporti...
Quando Virga Vincenzo decise di farmi terra bruciata
attorno, nel senso che ho meglio specificato nel corso dei
miei precedenti esami, anche al Garraffa venne data
disposizione di non frequentarmi e di togliermi la consulenza
esterna che io avevo di una sua azienda e cioè lo studio
radiologico del Garraffa. A tale disposizione il Garraffa
senza darmi spiegazioni, diede seguito. La circostanza che ho
appena aggiunto l'ho appresa dopo tempo direttamente dal Buffa
Michele al momento in cui questi cercò di riavvicinarsi a
me".
Dunque il Garraffa era un uomo "a disposizione" del Virga,
con rapporti diretti e personali con lui, cui doveva persino
il sostegno nella campagna elettorale che lo portò al mandato
senatoriale, e con altrettanto stretti legami con Buffa
Michele.
Risulterebbe allora totalmente inattendibili, alla luce
della dimostrata familiarità, le dichiarazioni tese ad
affermare una fantomatica condotta intimidatoria e minacciosa
da parte di persone, invece, intensamente legate al Garraffa
da rapporti di amicizia risalenti quantomeno, alla fine degli
anni '80.
Ma l'inaffidabilità del Garraffa sarebbe stata agevolmente
riscontrata ove fosse stata ricostruita nella sua reale
consistenza la personalità del soggetto. Di certo, la Procura
di Palermo, all'atto della richiesta di misura cautelare ai
danni dell'onorevole Dell'Utri, non doveva non conoscere la
condanna subita dal Garraffa il 13.2.98 dal Tribunale Penale
di Catania per il reato di concorso di diffamazione a mezzo
stampa aggravato ai danni del Dr. Gabriele D'Ali, all'epoca
candidato alla carica di Sindaco di Trapani e appartenente ad
uno schieramento politico contrapposto (M.S.I. mentre il
Garraffa era del PRI). Dal testo della sentenza emerge che il
Garraffa, pur di colpire il suo avversario politico D'Ali,
prima della pubblicazione dell'articolo diffamatorio, non
aveva esitato a presentare un esposto alla Procura della
Repubblica di Trapani contro lo stesso e altri dipendenti del
Banco di Sicilia per il delitto di abuso di ufficio, dando
origine ad un procedimento penale conclusosi con una sentenza
in data 25.11.95 di proscioglimento degli imputati, confermata
dalla Corte d'Appello di Palermo con decisione del 17.7.96,
entrambe con la formula "perché il fatto non sussiste", che
ben palesa l'indole del personaggio.
Né ha alcun fondamento poi una valutazione di credibilità,
come quella desunta dal GIP, tratta dall'impegno non
professionale e frutto di hobby del Garraffa nella
Pallacanestro Trapani, come tale del tutto inidonea, sempre
secondo il GIP a dare origine ad una "disinvolta attività
calunniatoria". Infatti, mentre la sentenza del Tribunale di
Catania fornisce elementi circa il notevole giro di affari
Pag.21
legato alla Pallacanestro Trapani, se è vero che "tra la fine
degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 risultava a carico
della Pallacanestro Trapani un'esposizione debitoria nei
confronti del Banco di Sicilia nella misura di circa due
miliardi di lire dovuta ai finanziamenti erogati dall'istituto
di Credito per la costruzione del Palagranata" e che tra il
28.5.91 e il 25.10.93 pervennero alla società sportiva
contributi regionali per poco meno di un miliardo. Tali
informazioni difensive raccolte dal sig. Mazzara Salvatore di
Erice - ex articolo 38 disp. att. - confermano i rilevanti
interessi economici del Garraffa nell'attività sportiva, tanto
da farla ritenere del tutto prevalente rispetto alla sua
attività professionale di medico radiologo.
Una indagine imparziale e avulsa da intenti persecutori,
avrebbe (secondo l'onorevole Dell'Utri) dovuto indurre i
magistrati palermitani a ricostruire i reali interessi e i
campi di attività del Garraffa, oggi coinvolto in numerose
controversie con i suoi familiari, anche più stretti, che lo
accusano di gravi irregolarità nella gestione della Garraffa
Medicina Nucleare s.r.l. di Trapani di cui si sostiene fosse
l'amministratore di fatto, fatti sintomatici della
spregiudicatezza dello stesso. In sede di ricorso per
sequestro conservativo proposto dalla Garraffa Medicina
Nucleare s.r.l. contro Vincenzo Garraffa, quest'ultimo è stato
accusato di aver effettuato operazioni illecite nella sua
veste di amministratore di fatto di detta società per lire
2.618.631.054. Il relativo provvedimento di sequestro
conservativo di beni mobili ed immobili sino alla concorrenza
di lire 1.500.000.000 è stato emesso il 14.1.99 dal Tribunale
Civile di Trapani. Si consideri infine un atto di citazione
per fatti che coprono l'arco che va dal 1980, anno anche di
fondazione della Pallacanestro Trapani, fino ai nostri
giorni.
La gravità del modus procedendi della Procura di
Palermo nell'effettuare le indagini conseguenti alla singolare
informativa del Sostituto Calvisi del 28.2.97, emergerebbe dal
fatto che fin dal 23.7.98 era apparso sul periodico
L'Espresso un articolo a firma di P. Gomez dal titolo
"Finché Dell'Utri mi mandò il Boss " ove era riportata la
vicenda della sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani con
le accuse del Garraffa nei confronti dell'onorevole Dell'Utri.
Ebbene, nel suddetto articolo il Garraffa faceva riferimento
all'affidamento ad un'agenzia di Milano per la ricerca di
sponsorizzazioni a favore della società trapanese per superare
il "cordone sanitario" che secondo il Garraffa sarebbe stato
opposto da Publitalia e dall'onorevole Dell'Utri quale
conseguenza del mancato versamento di 750 milioni derivanti
dalla sponsorizzazione della Birra Messina. Nei confronti
dell'articolista e del periodico l'onorevole Dell'Utri ha
presentato querela per diffamazione aggravata a mezzo stampa
tuttora pendente presso la Procura della Repubblica di Trapani
e di Roma. In tal modo diveniva di pubblico dominio il
riferimento alla Image Building di Milano, già noto alla
Procura di Palermo fin dal 9.10.97. Riporta infatti il Dr.
Scaduto le seguenti già richiamate dichiarazioni del Garraffa:
"...preciso ancora che alla fine della stagione sportiva 90/91
la Pallacanestro Trapani approdò in serie A1. Al fine di
reperire uno sponsor mi affidai al Dott. Paolini della Image
Building di Milano, il quale, anche in considerazione del
fatto che eravamo la prima società siciliana ad approdare in
A1 di basket maschile, riteneva facile ottenere un contratto
prestigioso. Per due volte il Paolini mi disse di essere
arrivato ad un pre-contratto con alcune società (che non mi
specificò). In entrambi i casi mi disse che successivamente il
contratto era andato in fumo per il veto che era stato opposto
da Publitalia. Ricordo anche che il Paolini cercò di
ammorbidire questo veto parlando con un certo Perricone di
Publitalia o della Fininvest, ma non vi fu nulla da fare".
Il reato di tentata estorsione contestato sub a)
sarebbe dedotto dall'intervento dell'onorevole Dell'Utri
"sugli operatori del mercato delle sponsorizzazioni (ed in
specie sulle possibili aziende sponsorizzatrici) per
convincerle a non sponsorizzare la società Pallacanestro
Trapani per l'annata sportiva 1991-92, così costringendo la
Pag.22
detta società ...a partecipare senza alcuno sponsor al
campionato medesimo, e ciò al chiaro fine di costringere il
detto Garraffa e la società Pallacanestro Trapani a versare le
somme illecitamente richieste".
Premesso che anche V. Renzi nelle sommarie informazioni
del 23.11.97 aveva fatto riferimento alla Image Building,
l'onorevole Dell'Utri si sarebbe atteso - in una indagine
serena - un accertamento in tale direzione, trattandosi di
necessario riscontro all'ipotesi di reato: sintomatica e grave
omissione, forse nel timore dei possibili esiti negativi,
confermati dalle successive acquisizioni ex articolo 38 disp.
att.
Da una lettera trasmessa alla difesa dell'onorevole
Dell'Utri dalla dott.ssa Giuliana Paoletti, co-titolare della
Image Building di Milano, tramite il suo legale il 16.3.99,
cui era stata avanzata richiesta dopo un articolo apparso nel
Corriere della Sera dell'11.3.99, si legge:
"Egregio Avvocato Federico,
Le invio la presente in risposta alla sua richiesta di
riferirle quanto a mia conoscenza in ordine ai fatti che sono
stati oggetto dell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera
in data 11 marzo 1999.
In merito non posso che confermare quanto ho già indicato
al giornalista Paolo Foschini del summenzionato quotidiano.
In particolare quanto segue: ho letto sull'articolo
pubblicato sull'Espresso del 23 luglio 1998 a firma di Peter
Gomez dal titolo "finché Dell'Utri mi mandò il boss": che il
Garraffa in ordine alla vicenda relativa all'attività
professionale svolta dalla mia società Image Building avrebbe
affermato: per questo, malgrado ci fossimo affidati a
un'agenzia di Milano, e fossimo per ben due volte arrivati al
precontratto, le grandi aziende che li avevano firmati sono
state stoppate dagli uomini di Dell'Utri. Queste ditte infatti
lavoravano con loro.
Per quanto mi consta tale affermazione non corrisponde al
vero.
Infatti: nessuna fra le grandi e piccole aziende che
contattammo ebbe mai a firmare contratti o precontratti
relativi alla sponsorizzazione della stagione 91/92 della
Pallacanestro Trapani.
E' vero semplicemente che contattammo diverse aziende che
però non mostrarono alcun interesse alla sponsorizzazione
della squadra; la motivazione era che la squadra, pur
militando nella serie maggiore, non vinceva quasi mai.
Quanto all'affermazione, pure contenuta nell'intervista
sull'Espresso, secondo cui "Garraffa afferma: (...) fummo
invitati al Maurizio Costanzo Show. Ma poi, per intervento di
Dell'Utri, saltò tutto".
(...) Osservo che tutto ciò non mi consta. Infatti, la
puntata di cui parla Garraffa risale alll'8 novembre 1991,
puntata per la quale io stessa concordai la presenza di
Garraffa, di Vento, e della squadra (come da fax consegnati
alla Digos). Il contatto avvenne con telefonate mie a
Silvestri, e Gambino della redazione del Costanzo. La sua
presenza fu annullata per normalissime ragioni redazionali,
legate al fatto, mi disse la redazione che le precedenti
puntate sulla mafia avevano destato moltissimo clamore e
preferivano aspettare.
A quanto risulta a me, fra l'altro, seppi dallo stesso
Garraffa che costui protestò con Costanzo a seguito di
un'altra puntata sulla Mafia a cui lo stesso non era stato
invitato, in seguito alla quale egli scrisse una lettera al
Costanzo che mi fece avere in copia, ma tutto ciò avvenne un
anno dopo (7 settembre 1992).
Fatte tali precisazioni, per maggior completezza le
preciso quali sono stati i rapporti tra il Garraffa e la mia
società.
Garraffa contattò Image Building nel luglio 1991 tramite
un consulente aziendale, mi pare fosse il signor Cioffari, che
arrivò a noi su consiglio di Luca Lindner (un noto
pubblicitario) per esigenze di immagine e di sponsor.
Insieme al mio socio di allora, Davide Paolini, spiegammo
a Garraffa che la squadra aveva bisogno, per trovare un nuovo
sponsor, di accrescerne l'immagine e che noi ci saremmo
adoperati a ciò.
Gli chiedemmo con chi aveva già avuto contatti per uno
sponsor e lui ci disse che l'ultimo sponsor era stata la Birra
Messina per la precedente stagione; tramite una persona di sua
Pag.23
conoscenza in Sicilia, ci disse che era una persona in qualche
modo legata a Publitalia, era stato messo in contatto con il
direttore di marketing dell'azienda, Filippo Starace, che gli
aveva offerto un contratto per una cifra molto alta, non
specificandone a noi l'entità, ma che metà di questa cifra
doveva essere restituita alla Birra Messina. Non ci mostrò mai
il contratto in questione pur avendolo noi richiesto.
Qualche tempo dopo parlandoci di un'opportunità legata al
recupero dell'Iva ci disse che la cifra del contratto era di
1500 milioni.
Ci disse anche che non voleva restituire quei soldi, pur
essendo quello d'accordo con l'azienda, e che avrebbe chiesto
a Starace di trasformare il contratto da annuale in biennale,
visto che dai suoi calcoli il contratto totale poteva coprire
le esigenze della squadra per due anni.
Disse anche che stava cercando un contatto importante con
Pubblitalia per raccontare questa storia e per farsi dare una
mano, perché voleva che qualcuno di importante intervenisse
con chi aveva intermediato l'incontro con lo sponsor, affinché
facesse desistere la Birra Messina dal rivolere indietro la
metà dell'ammontare del contratto.
Gli chiesi se per caso conosceva Dell'Utri e Perricone.
Lui disse che a Dell'Utri aveva stretto la mano ma che non si
poteva parlare di un rapporto. Gli consigliai quindi di
parlare con Perricone che, per quanto sapevo io, era
sicuramente più operativo di Dell'Utri e che comunque io
conoscevo e con il quale mi sarebbe stato possibile fissare un
incontro interlocutorio (tutto ciò tra settembre del '91 e
novembre del '91, quindi già a un anno dalla sponsorizzazione
della Birra Messina).
L'incontro fu fissato (non ho più la mia agenda) ma la
data dovrebbe essere la metà di ottobre e prima della fine di
novembre.
L'appuntamento fu fissato, andammo, Garraffa ed io, a
Milano Due da Antonello Perricone, il quale al racconto di
Garraffa che gli diceva le sue difficoltà economiche a causa
di un contratto poco chiaro con la Birra Messina, con cui era
stato messo in contatto dal Piovella di Publitalia, rimase
imbarazzato, e a me apparve con certezza che egli non sapesse
nulla della vicenda; tuttavia fu molto gentile e aggiunse che
si sarebbe informato e che comunque potevo mandargli il
progetto di comunicazione così da verificare se ci potessero
essere possibilità di sponsorizzazioni per le iniziative
speciali.
Non ricordo se Garraffa durante l'incontro con Perricone
fece il nome di Biraghi, Piovella e Starace. A me sicuramente
li fece, tuttavia, io stessa prima di leggere le cronache da
luglio, mi ricordavo solo quello di Starace (è sulla mia
agenda il giorno 7 novembre 1991). Garraffa mi chiese di
chiamare Starace prima del Costanzo per tentare, io, di
chiarire la situazione. Non feci la telefonata, pur avendo
appuntato il numero di Starace, perché non ritenni opportuno
entrare in una vicenda che non conoscevo bene nei particolari,
non volendo Garraffa raccontarmi quei particolari con
chiarezza.
Procurammo a Garraffa incontri importanti ai nostri fini,
quali, per esempio, quelli con il direttore della Gazzetta
dello Sport, Candido Cannavò, al quale regalò un dolce (una
cassata siciliana), con Gilberto Benetton, a Treviso, e con
molti giornalisti che erano ovviamente interessati all'evento
"L'altra Sicilia".
Mi recai almeno due volte a Trapani, una con Paolini e una
sola tra il luglio e i primi di ottobre del 1991. Con la mia
agenda potrei ricostruire anche quando visitammo il palazzetto
dello sport, fummo invitati da Garraffa al ristorante,
conoscemmo la moglie, i figli, Vento, Renzi e tutta la
squadra. Ci recammo con lui a Erice e in quell'occasione ci
disse che lui aveva avuto la fortuna qualche tempo prima di
salvare la vita a un importante personaggio locale. Quello era
il motivo per cui veniva accolto sempre con grande rispetto e
affetto da tutti. Noi rimanemmo davvero stupiti da tanta
notorietà locale.
Nel frattempo il nostro lavoro procedeva, inviammo
progetto di comunicazione, contratto, e ipotesi di lettere da
inviare ad aziende che a nostro parere potevano essere
interessate.
Pag.24
Il campionato era già iniziato e la squadra non andava
bene.
Ricordo che con Garraffa mi recai ad almeno due partite:
una a Torino il 6 ottobre, contro la Robe di Kappa, e il 17 a
Milano dove incontrai Mario Bartoletti (allora capo dello
sport a cui presentai Garraffa).
Ricordo che nell'ambito della partita a Milano a un certo
punto lui tra il primo ed il secondo tempo mi chiese di
andarsene perché c'era una persona che non voleva incontrare.
Mi sembrò molto agitato ma non me ne diede spiegazione. Poi mi
disse che si trattava del direttore marketing della Birra
Messina.
Arriviamo a fine novembre del 1991 e non avendo ancora
trovato alcuno sponsor interessato, lui disse che la soluzione
poteva essere quella di incontrare Dell'Utri, che sicuramente
gli avrebbe dato una mano una volta a conoscenza del suo
problema con la Birra Messina. Non mi risulta, finché io ho
avuto rapporti con Garraffa e cioè fino al settembre del 1992,
che egli avesse incontrato Dell'Utri per discutere della
questione. Ovviamente non ne ho la certezza ma ritengo, tenuto
conto della frequenza dei nostri contatti, che se lo avesse
conosciuto me lo avrebbe sicuramente comunicato.
Visto che già dal gennaio 1992 lui aveva smesso di pagare
le rate relative alle nostre prestazioni professionali, e
continuando noi a lavorare, io continuavo a chiamarlo spesso,
mi raccontò che aveva litigato con Vento e che lo considerava
un traditore, mi mise insomma al corrente anche di cose
personali non richiesto da me.
Per quanto riguarda il nostro rapporto economico (Image
Building e Pallacanestro Trapani), il contratto prevedeva una
collaborazione biennale per 100 milioni. Dato che eravamo
partiti da una richiesta di 100 milioni annuali, mediammo con
un contratto biennale con l'accordo che Garraffa ci avrebbe
versato una percentuale sulla ricerca dello sponsor: il 15 per
cento sotto i 500 milioni (che era la cifra a cui lui ambiva)
il 10 per cento sopra i 500 milioni. Dato che ricercare
sponsor non era la nostra attività precipua, ci accordammo che
ci avrebbe versato una percentuale del 5 per cento anche sugli
sponsor che avesse dovuto trovare da sé medesimo, ma per la
raggiunta notorietà. Mai ci pagò né la percentuale, né
tantomeno il contratto.
Sul ritardo dei pagamenti, avendo ricevuto i suoi
complimenti per il nostro lavoro e continuando lui a chiedere
consulenze su molte sue attività (mi fece anche scrivere un
progetto che lui sosteneva poteva essere finanziato dai fondi
europei, per meglio utilizzare l'Università del mare),
confidai sul fatto che si trattasse di un semplice ritardo.
Parlai anche con Valentino Renzi il quale, molto
dispiaciuto, mi disse che Garraffa "si era montato la testa e
che la politica, che era sempre stato il suo obbiettivo,
l'aveva allontanato da tutti".
Comunque i nostri rapporti rimasero buoni tanto che, dopo
la sua elezione al Senato, mi invitò a fargli visita al
Parlamento, cosa che avvenne nel settembre 1992, il 4 o il
10).
In quell'occasione, al bar del Parlamento, mi fece avere
un suo scritto sullo sport, chiedendomi di divulgarlo e
dicendomi che stava pensando ad un mio ruolo per la sua
comunicazione da parlamentare. Risposi che non era proprio
quello il tipo di lavoro che mi sarebbe piaciuto svolgere per
lui e che avrei preferito prima concludere il contratto già
firmato per il basket.
Gli feci notare, in quell'occasione che mi era giunta voce
che lui avesse usato senza interpellarci, il marchio L'Altra
Sicilia per la sua campagna elettorale. Gli dissi che ero
dispiaciuta, visto che nei nostri accordi il marchio era
nostro (il deposito l'avevo effettuato io) e che almeno
avrebbe potuto informarci. Lui mi rispose (...) siamo uomini
di mondo, saprò come ripagarti. Abbozzai, anche perché,
ricordo, doveva ancora alla società oltre 80 milioni di
lire.
Mi chiamò ancora spesso chiedendomi consulenza e aiuto in
varie situazioni con la stampa; mi raccontò che aveva
conosciuto tanta gente importante e che stava per arrivare (a
suo dire finalmente) a risolvere la questione con la Birra
Pag.25
Messina tramite Dell'Utri che finalmente qualcuno li stava per
presentare. Doveva essere ottobre del 1992.
Insistevo sui pagamenti; lui ci assicurò che l'avrebbe
effettuati, anche per iscritto, cosa mai avvenuta.
Dedussi che Garraffa era persona assolutamente
inaffidabile. Ricordo che gli scrissi una lettera molto dura,
di cui purtroppo non ritrovo copia, nella quale gli scrissi
che da uomo retto quale lui si vantava di essere, mi aspettavo
almeno il rispetto degli impegni presi e reiterati.
Non provo tuttavia alcun astio nei suoi confronti, poiché
purtroppo capita fin troppo spesso nella mia professione di
trovarsi di fronte ad aziende o imprenditori che non onorano i
propri impegni.
Il mio ultimo contatto con Garraffa risale al giugno
1993.
Quando lessi l'Espresso del 23 luglio 1998, chiamai il
vicedirettore, Bruno Manfellotto, dicendogli che stavano
prendendo un granchio. Parlai con moltissime persone di queste
incredibili sviste di Garraffa. Tramite il mio cliente Gaetano
Miccichè (Amministratore delegato del Cotonificio Olcese
Veneziano) chiesi di contattare suo fratello Gianfranco
Miccichè per poter prendere contatto con Dell'Utri, poiché non
avevo altra conoscenza che mi consentisse di incontrarlo.
Incontrai Marcello dell'Utri il 30 luglio alle ore 12,00
presso la Biblioteca di Via Senato.
Durante l'incontro spiegai molto brevemente al dottor
Dell'Utri, che mai avevo incontrato prima, e con il quale non
ho mai intrattenuto alcun tipo di rapporto né personale né
lavorativo, quanto fosse a mia conoscenza su Vincenzo
Garraffa.
Mi ringraziò e mi disse anche che, se le cose stavano come
gli stavo raccontando, sicuramente i giudici mi avrebbero
chiamato a Palermo, visto che l'Espresso parlava di un agenzia
di Milano che era la mia agenzia.
Ci salutammo dopo circa 15 minuti di colloquio. Non ho più
sentito il dott. Dell'Utri.
L'esposizione di cui sopra è frutto dei miei ricordi
personali, e da me resa in totale buona fede.
Sono pertanto a disposizione dell'autorità giudiziaria se
e quando verrà ritenuta opportuna la mia testimonianza.
Dottoressa Giuliana Paoletti".
Ecco dunque secondo l'onorevole Dell'Utri la vera storia
della fantomatica estorsione e la puntuale descrizione del
personaggio Garraffa.
Dunque contrariamente a quanto dichiarato dal Garraffa:
sarebbe falso che siano stati mai firmati contratti o
precontratti relativi alla sponsorizzazione della stagione
91-92 della Pallacanestro Trapani tramite la Image
Building;
sarebbe falso, quindi, che non siano stati conclusi
contratti per il veto di Publitalia, essendo invece vero che i
contratti non furono stipulati perché la squadra, "non vinceva
quasi mai";
sarebbe falso che l'invito al "Maurizio Costanzo Show"
dell'8.11.91 sia saltato per veto dell'onorevole Dell'Utri,
essendo invece stata annullata la partecipazione della
Pallacanestro Trapani per "normalissime ragioni redazionali,
legate al fatto che le precedenti puntate sulla mafia avevano
destato moltissimo clamore", che aveva indotto la redazione a
temporeggiare;
sarebbe falso che esistesse da parte di Publitalia
alcuna pretesa di acquisizione di una somma qualsiasi di
denaro da parte del Garraffa;
sarebbe vero, perché riferito dallo stesso Garraffa alla
dr.ssa Paoletti e al socio dr. Paolini, che all'atto della
sponsorizzazione della Birra Messina il Garraffa ebbe a
pattuire con detta Società la restituzione di metà della somma
versata per il fine di cui sopra, e che detta restituzione
doveva avvenire a favore della Birra Messina e non di
Publitalia, e che nell'ottobre '91 era la Birra Messina
tramite il dr. Starace a richiedere al Garraffa la
restituzione di quanto pattuito con la sponsorizzazione;
Pag.26
sarebbe parimenti riscontrato, perché riferito sempre
dal Garaffa alla dr.ssa Paoletti ed al dr. Paolini, che il
Garraffa "non voleva restituire quei soldi, pur essendo quello
d'accordo con l'azienda, e che avrebbe chiesto a Starace di
trasformare il contratto da annuale in biennale, visto che dai
suoi calcoli il contratto totale poteva coprire le esigenze
della squadra per due anni";
sarebbe accertato che nei mesi di ottobre-novembre 1991,
quando avvenne l'incontro con il dr. Perricone di Publitalia,
del Garraffa e della dr.ssa Paoletti, il predetto dirigente di
Publitalia nulla sapesse della sponsorizzazione della Birra
Messina;
sarebbe falso quanto affermato dal Garraffa in ordine
alla esistenza di un incontro con l'onorevole dell'Utri a
Milano, promosso da Piovella e Biraghi, nel quale il medesimo
avrebbe pronunciato la frase minacciosa "io le consiglio di
ripensarci, abbiamo uomini e mezzi che la possono convincere a
cambiare opinione", collocata temporalmente dal Garraffa prima
della sua elezione al Senato, pacificamente avvenuta il 5
aprile 1992 (pag. 121 dell'ordinanza), dato che la dr.ssa
Paoletti esclude - in ragione della frequenza dei loro
rapporti - qualsiasi incontro del Garraffa con l'onorevole
Dell'Utri fino al settembre 1992; altresì smentendo contatti
tra il parlamentare ed il suo accusatore antecedenti
all'incontro con il dr. Perricone, per risolvere la questione
della Birra Messina, data l'inesistenza dei rapporti tra
l'onorevole Dell'Utri ed il Garraffa a quell'epoca;
sarebbe infine falso che il Garraffa abbia mai ricevuto
minacce, su supposto mandato dell'onorevole Dell'Utri, dal
Virga e dal Buffa nel periodo da lui indicato, essendo lo
stesso, nella descrizione dei fatti, collocato
antecedentemente alla elezione al Senato.
Quanto sopra è stato riportato dall'onorevole Dell'Utri
per evidenziare la manifesta infondatezza dell'accusa e la
totale inaffidabilità e inattendibilità del Garraffa, anche al
fine della configurabilità del fumus persecutionis in
capo alla Procura di Palermo, che avrebbe volutamente omesso
riscontri elementari per qualsiasi P.M. o organo di P.G., e
che emergevano come necessari dalle stesse dichiarazioni del
Garraffa, e la altrettanto condotta anomala del GIP che non ha
minimamente riconosciuto la palese incompletezza delle
indagini.
In relazione alla configurabilità astratta del reato di
tentata estorsione di cui al capo A) della rubrica - e sempre
ribadendo la sua totale estraneità alla condotta addebitatagli
- dalla lettura dell'ordinanza in oggetto, l'onorevole
Dell'Utri rileva un "macroscopico errore di diritto"
rivelatore dell'intento persecutorio dei magistrati
palermitani.
La contestazione concerne un tentativo di reato non
portato a compimento "per cause indipendenti dalla propria
volontà". Senonché, scorrendo le dichiarazioni del Garraffa,
emerge un complesso di richieste cui l'accusatore non avrebbe
ceduto. La mancata realizzazione del profitto - o del danno
ingiusto - e, quindi, dell'evento, non sono dipesi
dall'arresto degli autori delle minacce, cessate nel 1993,
bensì dal fatto - sempre a voler dar credito al Garraffa - che
l'onorevole Dell'Utri avrebbe spontaneamente receduto
dall'iniziale suo "disegno" non insistendo nel fantomatico
programma delittuoso.
Non emergono dall'ordinanza ulteriori impedimenti alla
consumazione del reato e, più in particolare, le "cause
indipendenti dalla volontà" dell'indagato, indispensabili alla
configurazione del tentativo.
Dunque il mancato perfezionamento del delitto attribuibile
ad uno spontaneo recesso di atteggiamento, deborderebbe dal
modello legale fissato dai primi due commi dell'articolo 56
c.p., rientrando, invece, nello schema tipico del terzo comma
della stessa norma che dispone: "Se il colpevole
volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla
pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per
sé un reato diverso".
Sicché, anche se fosse rispondente al vero, e non lo
sarebbe, l'accusa del Garraffa non risulterebbe configurabile
Pag.27
neppure in astratto il reato di tentata estorsione. Sarebbe,
al massimo, configurabile la diversa fattispecie di minacce
punite con pena fino a un anno e, dunque, una fattispecie non
legittimante l'adozione di provvedimenti restrittivi.
Gli addebiti contestati all'onorevole Dell'Utri si basano
tutti sulle dichiarazioni rese dal Garraffa a circa sette anni
(!) di distanza dai fatti da lui lamentati. Le minacce subite
sono state dal medesimo riferite a Renzi e Vento e sono state
solo in minima parte confermate dai collaboranti Sinacori
Vincenzo e Messina Giuseppe, le cui dichiarazioni meritano un
minimo di attenzione.
Sinacori, interrogato il 14 marzo 1997, riferisce un
episodio avvenuto nel lontano 1990.
Riproduciamo comunque in questa sede integralmente le sue
dichiarazioni, accompagnate da alcune nostre annotazioni:
"Ho sentito parlare di Garraffa Vincenzo, ex senatore e
radiologo di Trapani, essendo persona molto nota in città. Del
Garraffa ricordo che negli anni 90 Messina Denaro Matteo mi
riferì che dal carcere era arrivata la voce di chiedere dei
soldi (circa 800.000.000) al Garraffa, che li doveva ad una
persona di cui non mi venne detto il nome. Il Messina Denaro
mi disse di contattare Virga Vincenzo (e perché proprio
lui?), che sicuramente era a conoscenza (e perché?)
del nominativo della persona interessata. Rivoltomi poi al
Virga lo stesso mi disse che l'interessato poteva essere
(?) Mangano Vittorio e, non ricordo se Dell'Utri
Marcello. Non so chi mandò poi Virga, ma mi disse comunque che
qualcuno aveva mandato dal Garraffa e che questo aveva detto
che non avrebbe dato nulla perché nulla doveva. Non so
null'altro su Dell'Utri Marcello".
Messina Giuseppe, interrogato il 17.6.97, riferisce: "Di
tale società (la Pallacanestro Trapani) ho saputo, per bocca
di Michele Buffa, che Dell'Utri Marcello cercava di entrare in
possesso di 400 milioni di lire, che il Garraffa gli avrebbe
dovuto dare (in quanto promessogli) quale ristorno in nero di
una operazione di sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani
da parte della Birra Messina. Tale ristorno non venne poi
fatto ed i rapporti tra Dell'Utri e Garraffa si incrinarono.
La mia fonte mi disse anche che il Garraffa aveva utilizzato i
400 milioni non per sé stesso, ma per ripianare debiti della
società sportiva. Colloco questi fatti (ma non ne sono certo)
circa tre o quattro anni fa. Sempre su questo argomento seppi
da Buffa Michele che Dell'Utri rivolgeva al Garraffa inviti
pressanti per entrare in possesso della detta somma di
denaro.
Non so se il Buffa abbia saputo tali fatti dal Virga, cui
era molto vicino, ovvero dallo stesso Garraffa, di cui era
amico. Nel caso in cui avesse saputo tali fatti dal Virga, è
chiaro che il Virga ne era a conoscenza perché aveva avuto
incarico di recuperare questi soldi. Non so se il Virga avesse
ricevuto una richiesta in tal senso da altri associati
mafiosi. Il Buffa mi disse, poi, che il Garraffa - da lui
interpellato - aveva assolutamente negato la circostanza di
dovere quella somma di denaro al Dell'Utri... Ho già riferito
sui rapporti tra il Virga e Cosa Nostra".
Si tratta di inutilizzabili riferimenti de relato
che comunque non confermano affatto il preteso tentativo di
estorsione.
Dal contesto degli atti emerge però inequivocabilmente che
l'unica interessata al recupero dell'importo di lire 750
milioni era certamente la Birra Messina che aveva sborsato la
somma di lire un miliardo e 500 milioni e non Pubblitalia che
direttamente, indirettamente o addirittura a sua insaputa
tramite il Piovella poteva aver favorito tale
sponsorizzazione.
Sono stati infatti compiutamente provati i ripetuti
interventi di Starace per la Birra Messina finalizzati al
recupero di tale somma, mentre analoga prova è mancata (al di
là della sola denuncia di Garraffa) per quanto riguarda un
corrispondente comportamento tenuto dall'onorevole Dell'Utri
che, anzi, si sarebbe in seguito addirittura rifiutato di
ricevere il Garraffa medesimo; circostanza che contrasterebbe
clamorosamente con la tesi secondo cui l'onorevole Dell'Utri
sarebbe stato direttamente e personalmente interessato al
predetto rimborso.
Pag.28
Altra circostanza che emerge inequivocabilmente è che nel
1990-1991 una sponsorizzazione quale fu quella intervenuta con
la Birra Messina avrebbe dovuto comportare un esborso di L.
750.000.000 pari esattamente alla metà di quella convenuta.
Perché questo accadde? E' agevole immaginare che nel rapporto
Pallacanestro Trapani-Birra Messina fosse stato pattuito che
la prima restituisse alla seconda, proprio in nero, il 50 per
cento di quanto ricevuto.
E' notorio, alla luce anche delle ripetute verifiche
compiute nel settore dalla Guardia di Finanza che hanno avuto
e che hanno sempre notevole risalto sulla stampa, come
purtroppo nel campo delle sponsorizzazioni sportive questa sia
la regola e non la eccezione. Ciò premesso, occorre
considerare che il carico fiscale sulla Birra Messina (Gruppo
Heineken) era superiore al 50 per cento (36 per cento di IRPEG
+ 16,20 per cento di ILOR), sicché su un utile di L.
1.500.000.000 la medesima avrebbe dovuto versare di imposte
annue appunto circa 750.000.000. Se poi si considera che la
Pallacanestro Trapani in realtà si attendeva solo una
sponsorizzazione di L. 750.000.000, la restituzione della
differenza "in nero" avrebbe determinato un evidentissimo
vantaggio per lo sponsor, notoriamente non un ente di
beneficenza quale sarebbe stato se avesse versato il doppio di
quanto effettivamente dovuto, a prescindere dal ritorno
pubblicitario dell'operazione, che comunque c'è stato.
E' più che probabile che le cose siano andate proprio così
e se sono andate così, perché mai l'onorevole Dell'Utri
avrebbe dovuto minacciare il Garraffa? Il Gip si è posto il
problema del cui prodest?...
Anche in funzione degli elementi di conoscenza portati
dall'onorevole Dell'Utri, gli indizi a suo carico per il capo
"A" sono davvero inconsistenti.
Sul Capo "C": concorso nel reato di calunnia.
La contestazione del reato di calunnia aggravata in
concorso con Chiofalo Giuseppe e Cirfeta Cosimo trae origine
dalle dichiarazioni rese in più sedi dal primo ed aventi per
oggetto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia
dissociatisi da Cosa Nostra, accusatorie nei confronti
dell'onorevole Marcello Dell'Utri imputato, come si è già
ripetutamente detto, del delitto di concorso esterno in
associazione mafiosa nel processo che si celebra davanti alla
seconda sezione del Tribunale di Palermo.
Secondo il GIP, il collaboratore Cirfeta avrebbe tentato
di screditare vari collaboratori di giustizia (Di Carlo
Francesco, Guglielmini Giuseppe e Onorato Francesco) con la
più grave delle accuse per soggetti legati ad un "contratto"
con lo Stato che li obbliga a dire la verità, all'evidente
fine di inserirsi in quella vera e propria campagna di
delegittimazione dell'intero fenomeno dei collaboratori da
tempo avviata. Secondo il GIP "le dichiarazioni di Cirfeta non
costituiscono soltanto il dissennato tentativo di un
calunniatore, ex pentito caduto in disgrazia, alla ricerca di
sponsor danarosi e politicamente influenti, ma anche il
frutto di un ben preciso, complesso ed ambizioso disegno
criminoso finalizzato non solo ad offrire all'imputato
Dell'Utri Marcello falsi elementi di prova a discarico, ma
anche a minare l'attendibilità di alcuni dei più importanti
collaboratori di giustizia degli ultimi anni, sulle
dichiarazioni dei quali sono fondati numerosi processi per
gravissimi delitti nei quali sono imputati tutti gli esponenti
di spicco di Cosa Nostra.
Le dichiarazioni di Cirfeta, ad avviso sempre del GIP,
sono finalizzate a destabilizzare l'intero sistema normativo
in materia di valutazione delle dichiarazioni dei
collaboranti, tentando di metterlo in crisi dal suo interno...
si è verificato quanto vari collaboranti avevano preannunciato
negli anni passati: l'utilizzo di falsi pentiti per smentire i
veri collaboratori di giustizia al fine di creare un
polverone, così da determinare le condizioni più idonee per
una radicale revisione della normativa in materia tale da
azzerare l'intero fenomeno e neutralizzare quello che, in
questi anni di duri colpi per l'organizzazione mafiosa, è
Pag.29
stato uno dei più efficaci ed irrinunciabili strumenti a
disposizione per il contrasto al potere mafioso, vera e
propria spina nel fianco di Cosa Nostra. E ciò può apparire
efficace agli occhi di Cosa Nostra tanto più in un momento
come quello attuale in cui si discute di una possibile
revisione dei canoni di valutazione probatoria delle
dichiarazioni dei collaboranti mediante una modifica
legislativa dell'articolo 192 del codice di procedura penale,
essendo evidente che niente di meglio di un eclatante caso di
due contrastanti schieramenti di dichiarazioni incrociate di
collaboratori (di cui uno artificiosamente creato da pentiti
costruiti o comunque falsi) potrebbe indurre a ritenere
sufficientemente neutralizzata la validità del principio
giuridico della convergenza del molteplice".
Tutto ha inizio quando il 24 agosto 1997 con una lettera
consegnata da Cirfeta a personale del Servizio Centrale perché
sia inoltrata ai magistrati della Direzione Distrettuale
Antimafia di Lecce il Cirfeta chiede di poter conferire con la
stessa in quanto nel suo ultimo periodo di carcerazione
protrattosi dal 7 giugno 1997 al 10 luglio 1997 veniva a
sapere da tale Guglielmini Giuseppe che lo stesso si era messo
d'accordo con altri due collaboratori di giustizia parimenti
presenti nel carcere per volgere delle accuse false nei
confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi e dell'onorevole
Marcello Dell'Utri.
Il 26 settembre 1997 il Cirfeta invia una missiva al
dottor Michele Emiliano, magistrato della Direzione
Distrettuale Antimafia di Bari con cui chiede dl avere un
colloquio con lui per informarlo del fatto che altri detenuti,
quando egli si trovava nel carcere di Rebibbia nel giugno del
1997, volevano costruire false accuse nei confronti di
Dell'Utri e di Berlusconi.
Il 27 settembre 1997 personale della polizia penitenziaria
di Paliano, su delega della D.D.A. di Lecce, sente a verbale
il Cirfeta che conferma come nel giugno precedente, mentre
trovavasi recluso a Rebibbia, apprese da Guglielmini Giuseppe
che Onorato Francesco stava parlando con Di Carlo Francesco in
quanto doveva essere quella mattina interrogato dai giudici
che gli avevano chiesto precedentemente se fosse a conoscenza
di collusione con la mafia da parte dell'onorevole Berlusconi
e dell'onorevole Dell'Utri in considerazione del fatto che Di
Carlo doveva essere sentito anche lui dai magistrati. Il
Guglielmini riferì al Cirfeta che si stavano mettendo
d'accordo. Alcuni giorni dopo Guglielmini riferì al Cirfeta
che gli accordi presi con Di Carlo erano i seguenti: "questi
avrebbe accusato Berlusconi di essere stato in contatto con lo
stesso e con Stefano Bontade e di essersi incontrato con
l'onorevole Berlusconi medesimo a Milano. Onorato Francesco il
giorno in cui furono presi gli accordi di cui sopra fu sentito
dal magistrati e avrebbe dichiarato di aver avuto contatti con
l'onorevole Dell'Utri dal quale lo stesso o il suo gruppo
avrebbero riscosso percentuali inerenti l'installazione dei
ripetitori televisivi a Palermo ed in Sicilia. Guglielmini dal
canto suo avrebbe atteso che il magistrato lo sentisse ed
avrebbe confermato le tesi del Di Carlo e dell'Onorato, questo
in virtù del fatto che il Guglielmini era stato molto vicino a
Inzerillo che a sua volta era alleato di Bontade.
In tale circostanza il Guglielmini avrebbe chiesto al
Cirfeta se fosse stato a sua volta disposto a costruire una
valida accusa nei confronti non di Berlusconi e Dell'Utri in
quanto a quello ci avrebbero pensato loro, ma contro il
partito di Forza Italia del quale l'onorevole Berlusconi era
presidente. Questo il Guglielmini avrebbe chiesto al Cirfeta
sapendo che quest'ultimo era uno dei collaboratori più
importanti della Puglia. Il Cirfeta gli rispose che la cosa
non gli interessava perché sarebbe dovuto uscire dal carcere
dopo pochi giorni.
Il 10 ottobre 1997 il Cirfeta scrive una lettera al
Procuratore Nazionale Antimafia ed a vari magistrati delle DDA
di Lecce e di Bari denunziando la scomparsa avvenuta due
giorni prima, dalla sua cella, di due block notes contenenti
appunti relativi ad "un processo dove andrò a deporre in
favore di Dell'Utri Marcello e dell'onorevole Berlusconi" e
lamentando un deteriore trattamento carcerario (isolamento,
minacce e maltrattamenti).
Pag.30
L'11 ottobre 1997 il Cirfeta scrive un'altra lettera
indirizzata ad altri magistrati della Procura Nazionale
Antimafia, delle DDA di Bari e di Roma nonché ad ufficiali
anche dei carabinieri con cui lamentava che dopo aver saputo
che egli avrebbe deposto a favore di Berlusconi e di Dell'Utri
era stato portato in isolamento senza spiegazioni, aggiungendo
altresì di essere stato minacciato anche di morte per non dire
più niente in ordine alla vicenda di collaboratori che si
erano messi d'accordo per accusare Berlusconi e Dell'Utri.
Analoga lettera il Cirfeta invia il 13 ottobre 1997 a vari
magistrati.
Il 18 maggio 1998 il Cirfeta invia una nuova missiva a
varie autorità istituzionali ribadendo le proprie accuse nei
confronti di Guglielmini, Onorato e Di Carlo aggiungendo
altresì che collaboratori di giustizia detenuti nel carcere di
Paliano (Giuseppe Pulvirenti, Bruno Tano e Cucuzza Salvatore)
lo avevano insultato quale "infame" perché aveva "rifiutato di
aderire ad un complotto contro alcuni politici" e di aver
sparso la voce fra gli altri co-detenuti collaboratori che
occorreva una dichiarazione di ciascuno di "incompatibilità"
con il Cirfeta, aggiungendo che l'unico che si era rifiutato e
che lo aveva difeso era Ciro Vollaro.
Dopo aver richiesto ed ottenuto un colloquio telefonico
con il Sostituto Procuratore della DDA di Bari, Michele
Emiliano, il 19 maggio 1998 lo stesso veniva registrato.
Risulta che i tre collaboratori già menzionati (Di Carlo,
Onorato e Guglielmini) avrebbero cercato di convincerlo ad
inventarsi false accuse nei confronti non solo dell'onorevole
Berlusconi e dell'onorevole Dell'Utri, ma anche nei confronti
dell'onorevole Massimo D'Alema. Cirfeta aggiunge di aver
conosciuto i tre collaboratori nel carcere di Rebibbia e che i
medesimi gli avevano assicurato, se avesse accettato la nota
proposta, che i "loro magistrati" lo avrebbero fatto uscire al
più presto dal carcere. Cirfeta precisa che nel novembre del
1997, durante la co-detenzione nel carcere di Prato, il
collaboratore Lo Forte Vito lo avrebbe qualificato "infamone"
perché egli si era sottratto al piano che avrebbe dovuto
coinvolgere anche il capitano De Donno aggiungendo infine che
del complotto sarebbe stato partecipe anche il collaborante
Giuseppe Pulvirenti. Ad avviso del GIP le dichiarazioni del
Cirfeta sarebbero totalmente infondate e false dal momento che
risulterebbe destituito di fondamento il fatto che Onorato
Francesco sarebbe stato interrogato dai magistrati nel
giugno-luglio 1997 su Dell'Utri e su Berlusconi. Onorato
infatti rese le sue dichiarazioni sul conto del solo Dell'Utri
e non anche di Berlusconi il 12 febbraio 1997 e cioè ben
quattro mesi prima degli episodi "inventati" dal Cirfeta.
Secondo il GIP il Cirfeta avrebbe mentito anche in
riferimento a Di Carlo che aveva reso le sue dichiarazioni
sugli incontri con Dell'Utri e Berlusconi il 30 luglio 1996
cioè ben un anno prima del momento in cui tali dichiarazioni
sarebbero state costruite a tavolino.
Il GIP ricorda infine che nessuna dichiarazione è stata
resa da Di Carlo nel giugno-luglio 1997 sui temi indicati da
Cirfeta e che il Guglielmini, cioè la principale fonte di
Cirfeta, non ha mai reso dichiarazioni riguardanti Dell'Utri o
Berlusconi.
Di Carlo Francesco, interrogato il 15 ottobre 1997, nega
di aver mai parlato con Onorato e Guglielmini degli argomenti
di cui alla sua collaborazione. Aggiungendo di aver parlato
"per la prima volta di Silvio Berlusconi il 31 luglio 1996",
mentre il Guglielmini era arrivato a Rebibbia nel maggio del
1997.
Onorato Francesco, interrogato il l7 ottobre l997 ed il 7
aprile 1998 riferisce di non aver mai reso dichiarazioni in
ordine a Berlusconi, anche perché non sa nulla del medesimo,
come già detto ai P.M. Nega la veridicità di quanto riferito
da Cirfeta, aggiungendo anzi che quest'ultimo lo aveva
istigato a non collaborare più.
Guglielmini Giuseppe interrogato il 18 dicembre 1997
contesta a sua volta la veridicità di quanto riferito dal
Cirfeta "non avendo mai parlato né con lui né con altri del
dottor Berlusconi", concludendo che "il Cirfeta è un drogato e
che ha reso queste dichiarazioni solo perché aveva saputo in
Pag.31
precedenza dalla stampa che Di Carlo e Onorato avevano parlato
di Berlusconi".
Secondo il GIP il Cirfeta è inaffidabile siccome
tossicodipendente: un collaboratore deluso dalla sua
esperienza, tanto da prospettare ad Onorato e Guglielmini gli
svantaggi derivanti dalla collaborazione e a istigarli a
rinunziarvi.
Ad avviso del GIP le dichiarazioni di Cirfeta risultano
smentite anche da altri collaboratori la cui attendibilità
sarebbe già stata sperimentata in numerosi e rilevanti
procedimenti penali e comunque del tutto indifferenti rispetto
alle dichiarazioni rese dal Cirfeta, non solo perché mai
chiamati in causa dal Cirfeta stesso, ma anche perché mai
sentiti nel procedimento penale instauratosi a carico di
Dell'Utri Marcello. Si tratta altresì di soggetti che hanno
avuto modo di apprendere dalla viva voce di Cirfeta e del suo
complice Chiofalo Giuseppe elementi che comprovano in modo
inequivocabile non solo le dichiarazioni accusatorie di
Cirfeta, ma anche la piena consapevolezza da parte di questi e
dei suoi correi della falsità e quindi del contenuto
calunniatorio delle stesse.
Il 25 novembre 1997 la Questura di Milano trasmette una
lettera di Izzo Angelo detenuto a Prato il quale definiva
"ridicole" le accuse mosse dal Cirfeta ed anticipate dalla
stampa in quanto l'Onorato ed il Di Carlo "non tenevano in
alcuna considerazione, confidenza e amicizia Cirfeta".
Avendolo peraltro reincontrato nel carcere di Prato il Cirfeta
"messo alle strette", aveva "praticamente ammesso di essersi
inventato questa storia".
Izzo Angelo sentito a sommarie informazioni il 17 dicembre
1997 conferma il contenuto della predetta comunicazione
aggiungendo testualmente: "il Cirfeta non mi parlò
esplicitamente dei rapporti che aveva avuto con il Dell'Utri
ma mi fece capire che da queste sue rivelazioni si aspettava
dei vantaggi che lo Stato non gli aveva garantito".
Il 27 novembre 1997 la Procura Distrettuale Antimafia
inviava la missiva di un altro detenuto del carcere di Prato,
tale Pagano Giuseppe il quale confermava il contenuto della
lettera di Angelo Izzo.
Pagano Giuseppe, sentito il 17 dicembre 1997, aggiunse:
"Il Cirfeta ammise di avere sbagliato e subito dopo prese a
parlare delle ingiustizie di cui sarebbe stato vittima da
parte della magistratura (...) il Cirfeta non disse
espressamente che si era inventato le accuse nei confronti del
Di Carlo e dell'Onorato ma quando ammise di avere sbagliato,
lo fece capire chiaramente".
Perveniva poi dalla casa di reclusione di Rebibbia una
lettera 6 dicembre 1997 del collaborante Andriotta Francesco
che veniva sentito il 18 dicembre 1997. Egli riferì: "conosco
molto bene Di Carlo, con il quale sono stato detenuto presso
il carcere di Rebibbia e posso assicurare che il Di Carlo non
parlava con nessuno di argomenti oggetto di procedimenti
penali (...) escludo che Di Carlo mi abbia mai parlato del
contenuto delle sue dichiarazioni".
Cariolo Antonio, sentito il 18 dicembre 1998: "Ho
conosciuto Cirfeta Cosimo e Pino Chiofalo presso il carcere di
Prato nel novembre del 1997. Già in quel periodo mi fecero
cenno alla necessità di avvalorare la tesi portata avanti da
alcuni esponenti politici di Forza Italia secondo la quale
alcuni collaboratori di giustizia palermitani avevano
concordato delle false accuse contro l'onorevole Dell'Utri.
Ricordo che all'epoca mi fecero i nomi di tre collaboratori di
giustizia già detenuti presso il carcere di Rebibbia e cioè
Guglielmini Giuseppe, Onorato Francesco e Di Carlo. Ricordo
che il Chiofalo si mostrò con me non del tutto convinto della
fondatezza di questa tesi ma mi disse che comunque avvalorarla
sarebbe stata una cosa utile perché ci avrebbe consentito di
uscire dal carcere. Il Cirfeta (...) non mi ha mai ribadito
con convinzione che si trattava di cose vere ma mi ha
prospettato i vantaggi che potevano derivare anche a me se li
avessi aiutati ad avvalorare quella tesi. Tra l'altro mi
fecero anche cenno alla possibilità di guadagnare somme di
denaro (...).
Ci siamo poi rivisti al carcere di Paliano dove ho appreso
da altri detenuti (i fratelli Sparta Leonardi e Mercurio
Pasquale) che Chiofalo e Cirfeta hanno fatto analoghi discorsi
Pag.32
a vari collaboratori all'interno di quel carcere... ho in
particolare appreso che il Chiofalo e il Cirfeta hanno fatto
specifico riferimento ad alcuni uomini politici che li
avrebbero tutelati se avessero proseguito nella loro
azione".
Sparta Leonardi, sentito il 18 dicembre 1995: "ho
conosciuto Cirfeta Cosimo nel 1997 all'interno del carcere di
Paliano... già in quel periodo ho appreso dallo Strazzullo che
il Cirfeta aveva scritto una missiva all'onorevole Silvio
Berlusconi, lettera che lo Strazzullo mi disse di avere
redatto personalmente lui su incarico di Cirfeta. Ho rivisto
Il Cirfeta nel 1998 quando egli si trovava in cella con Pino
Chiofalo mentre io ero in cella con mio fratello Francesco
(...) Proposero prima a mio fratello ed in seguito anche a me
di avvalorare le accuse di Cirfeta contro altri collaboratori
di giustizia dichiarando di essere anche noi a conoscenza del
fatto che questi collaboratori si erano messi d'accordo per
accusare falsamente l'onorevole Dell'Utri e l'onorevole
Berlusconi (...) il Chiofalo ha ammesso con mio fratello in
mia presenza che si trattava di una montatura ma per
convincerci ci ha detto che se avessimo accettato la loro
proposta ne avremmo ricavati benefìci sia in denaro sia con
l'intervento di un avvocato e di un senatore di Forza Italia"
(...) Di tale senatore e di un avvocato che sarebbe venuto a
fare i colloqui con me mi ha parlato anche il Cirfeta".
Sparta Leonardi Francesco, sentito il 18 dicembre 1998:
"...il Chiofalo prima ed il Cirfeta dopo proposero a me e mio
fratello di avvalorare le accuse fatte dal Cirfeta contro
altri collaboratori di giustizia... Che questi fatti non erano
veri eravamo ben consapevoli tutti (compresi Cirfeta e
Chiofalo, che è la vera mente mentre Cirfeta é il braccio). Il
Chiofalo mi ha detto che se avessimo accettato la loro
proposta ne avremmo ricavato benefìci sia in denaro sia per
l'intervento prima di un avvocato e successivamente di un
altro avvocato, nonché di un senatore di Forza Italia. (...)
Infine preciso che il Cirfeta che è stato posto in isolamento
a seguito di una istanza di molti collaboratori ristretti a
Paliano per non incontrarlo; da quel momento minaccia
costantemente tutti, compresi i familiari dei
collaboratori".
Veniva poi acquisito dalla Direzione Antimafia di Messina
verbale di interrogatorio reso il 6 novembre 1998 da Cariolo
Antonino che precisò che presso il carcere di Prato Cirfeta
Cosimo e Chiofalo Giuseppe portavano avanti un programma volto
a destabilizzare i processi e le indagini condotte dalla
autorità giudiziaria di Palermo nei confronti di Marcello
Dell'Utri. I collaboratori avrebbero dovuto dichiarare di
essere stati avvicinati da Onorato, Ferrante, Cucuzza e
Guglielmini al fine di concordare false dichiarazioni
accusatorie a carico di Dell'Utri e Berlusconi. La ragione di
ciò, secondo quanto riferitogli da Cirfeta e Chiofalo, stava
nel fatto che bisognava ingraziarsi gli esponenti di Forza
Italia, facendo risultare come non veritiere e frutto di
preventivi accordi calunniosi tra i pentiti e la Procura della
Repubblica di Palermo, le dichiarazioni che essi avevano e
avrebbero fatto in ordine alle collusioni mafiose di Dell'Utri
e Berlusconi. Secondo il Cirfeta occorreva dare una mano a
Forza Italia per avere maggiori vantaggi di quanto i pentiti
stavano ottenendo col Governo di sinistra. Analogo progetto fu
poi portato avanti presso il carcere di Paliano dove il
Cariolo medesimo si ritrovò con Chiofalo e Cirfeta.
Ad avviso del GIP tutto ciò costituisce definitiva e
troncante conferma delle accuse di Cirfeta e della piena
consapevolezza da parte del medesimo Cirfeta e del suo
complice Chiofalo del contenuto falso delle accuse rivolte nei
confronti dei collaboratori Di Carlo, Onorato e Guglielmini Il
GIP riferisce poi di una lettera trasmessa l'8 gennaio 1999
dalla Direzione Nazionale Antimafia ed inviata a quell'ufficio
da Mercurio Pasquale collaboratore detenuto a Paliano, in
ordine ai progetti criminosi di Chiofalo e Cirfeta.
In data 13 dicembre 1998 egli scriveva che sei mesi prima
a Paliano erano giunti Cirfeta e Chiofalo che "assieme a dei
politici che sono venuti in visita, essendo loro dei
Pag.33
parlamentari tramavano per screditare i pentiti di Cosa Nostra
per il processo Dell'Utri... i due sopra menzionati mi
invitavano ad aderire ai loro progetti e mi dicevano pure che
una volta usciti avremmo avuto un passaporto per fuggire in
Sudamerica e Chiofalo in particolare diceva che doveva
vendicare prima un suo figlio ucciso".
Lo stesso Mercurio viene recentemente sentito il 28
gennaio 1999 precisando tra l'altro che "il Cirfeta cominciò a
parlarmi proprio di queste cose, ammettendo esplicitamente la
falsità delle sue accuse contro quei collaboratori... Il
Cirfeta sosteneva di avere importanti contatti con personaggi
di Forza Italia che lo avrebbero agevolato. Diceva sempre che
solo aiutando Dell'Utri e scagionandolo dalle accuse dei
collaboratori palermitani si poteva riuscire a far tornare al
potere gli uomini politici a lui vicini, così ottenendo un
buon trattamento per chi gli aveva dato una mano... In
particolare, il Cirfeta, per convincermi a calunniare il
Cucuzza e il Ferrante mi disse che c'era la possibilità non
solo di uscire dal carcere, ma dopo, di avere valige di soldi,
passaporti diplomatici e quindi la possibilità di andare
all'estero... Mi disse che avremmo potuto organizzare un
traffico di cocaina dal Perù (parlò di 500 chilogrammi...); il
Chiofalo mi precisò che bisognava accusare i collaboratori
palermitani di essersi inventati le dichiarazioni contro
Dell'Utri e Berlusconi, sostenendo che questi collaboratori si
volevano così vendicare del fatto che Berlusconi aveva fatto
capire che sarebbe stato abolito il 41 bis e poi non
aveva mantenuto la promessa... Anche il Chiofalo era
perfettamente consapevole che si trattava di inventarsi accuse
fasulle... Tra l'altro Chiofalo diceva che prima di fuggire
all'estero voleva vendicarsi dell'uccisione di un suo figlio
servendosi di alcune armi che Cirfeta teneva nascoste da
qualche parte. Il Mercurio aggiunse che Cirfeta, in più di una
occasione gli aveva fatto presente la sua intenzione di
evadere qualora gli fosse stato concesso un permesso per
motivi familiari. Da quanto sopra emerge, secondo il GIP, il
disegno criminoso portato avanti da Cirfeta e da Chiofalo.
Andando ad esaminare il ruolo rivestito dall'onorevole
Dell'Utri il GIP ricorda che fu proprio lui a rivelare di
avere avuto contatti diretti con Cirfeta e Chiofalo
all'udienza del 22 settembre 1998 nel processo in cui egli è
imputato davanti al Tribunale di Palermo.
In particolare, in quella occasione l'onorevole Dell'Utri
ricordò che fu il Cirfeta a telefonargli l'anno precedente per
la prima volta raccontandogli della "combine" tra Guglielmini,
Onorato e Di Carlo. Dell'Utri lamentava le persecuzioni
fisiche e morali subite dal Cirfeta dopo che aveva
verbalizzato le dichiarazioni di cui sopra. L'onorevole
Dell'Utri precisò che altro collaboratore, Pino Chiofalo, gli
aveva chiesto un incontro in occasione del parto della moglie,
incontro che avvenne ed in occasione del quale il collaborante
confermò quanto riferito dal Cirfeta.
La prova della compartecipazione dell'onorevole Dell'Utri
nel piano criminoso ordito da Cirfeta e da Chiofalo
emergerebbe dal fatto che sull'utenza cellulare intestata alla
madre del Cirfeta ed in uso a quest'ultimo risulterebbe il 12
settembre 1997 una chiamata in entrata proveniente dalla
Fininvest di Milano.
Il GIP ricorda altresì che il 18 dicembre 1998 Antonio
Cariolo aveva riferito: "nei prossimi giorni, il 23 p.v., il
Chiofalo uscirà per dieci giorni di permesso, durante il quale
periodo egli, secondo quanto da lui anticipato a Pasquale
Mercurio, prenderà contatti con personaggi politici a lui
vicini". In funzione di ciò, per verificare se quanto riferito
da Cariolo rispondesse a verità la DIA predisponeva un
accurato dispositivo investigativo finalizzato a svolgere una
costante attività di osservazione e di pedinamento del
Chiofalo nell'ambito della località protetta, nel comune di
Rimini, ove egli raggiungeva il suo nucleo familiare la sera
del 23 dicembre 1998. Veniva inoltre sottoposta ad
intercettazione telefonica l'utenza cellulare intestata a
Fedele Pasqualina ed in uso al Chiofalo medesimo.
Pag.34
Nell'ambito di tale attività venivano intercettate
numerose telefonate la prima delle quali il 23 dicembre 1998
alle ore 20.43 tra il medesimo e l'onorevole Marcello
Dell'Utri.
Una seconda telefonata è quella del 30 dicembre 1998 ore
9.30 sempre in uscita, come la prima, dall'utenza in uso al
Chiofalo verso l'utenza in uso all'onorevole Dell'Utri.
Vengono poi intercettate altre due telefonate
rispettivamente delle ore 13.17 in uscita dall'utenza di
Chiofalo e diretta sempre a quella dell'onorevole Dell'Utri ed
ancora quella delle 13.49 con cui è l'onorevole Dell'Utri a
chiamare Chiofalo.
A questo punto Chiofalo e l'onorevole Dell'Utri si
incontrano alle ore 13.55 al casello di Rimini Sud, come
concordato in una telefonata.
Il Chiofalo scende dalla propria auto si avvicina a quella
dell'onorevole Dell'Utri, si salutano con una stretta di mano
e quindi dopo pochi minuti le due auto ripartono. L'incontro
viene filmato. Alle ore 14.00 viene intercettata una
telefonata dall'onorevole Dell'Utri al Chiofalo.
La pattuglia della DIA, avvertita del contenuto di
quest'ultima telefonata intercettata, sospende il pedinamento
e prosegue l'attività di osservazione intrapresa da altre
pattuglie davanti alla casa di Chiofalo, ove vengono viste
sopraggiungere le due auto Lancia K da cui scendono i relativi
passeggeri. Il Chiofalo entra in un box di pertinenza del
proprio appartamento seguito dall'onorevole Dell'Utri, mentre
il suo autista rimane nel piazzale.
Dopo una decina di minuti i due escono dal box, si
ricongiungono all'autista e proseguono la conversazione nel
piazzale antistante il box e la casa. Dopo qualche minuto di
conversazione, l'autista apre il cofano posteriore
dell'autovettura da lui precedentemente condotta dal quale
estrae un involucro di colore chiaro, che consegna al Chiofalo
e due sacchetti muniti di manici, e con il Chiofalo sale le
scale che dal piazzale del box portano al ballatolo che
consente l'accesso agli appartamenti ubicati al primo piano,
dove si trova quello del Chiofalo. L'onorevole Dell'Utri
rimane in attesa passeggiando per il cortile e solo in questo
momento secondo l'ordinanza del GIP, il personale operante
avrebbe avuto modo di riconoscere l'onorevole Dell'Utri. Dopo
qualche minuto, ridiscesi nel piazzale Chiofalo e l'autista, è
Dell'Utri a salire a casa del Chiofalo, accompagnato da
quest'ultimo, ove si intrattiene per una decina di minuti.
Dopo di che verso le ore 14.55 Dell'Utri sale a bordo della
propria auto e con il suo autista si allontana dalla casa di
Chiofalo.
Alle ore 15.15 viene intercettata una nuova telefonata
fatta da Chiofalo a Dell'Utri.
Essendo caduta la linea alle ore 15.19 egli richiama
nuovamente Dell'Utri.
Tutte queste telefonate vengono registrate ed
integralmente trascritte nell'ordinanza con cui il GIP ha
disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei
confronti dell'onorevole Dell'Utri.
Il Chiofalo fa in seguito altre telefonate (alcune al suo
avvocato, altre al dottor Mollace della DDA di Reggio
Calabria) nelle quali racconta l'episodio dell'appuntamento
con Dell'Utri all'uscita dell'autostrada omettendo del tutto
(secondo il GIP) ogni riferimento all'incontro avvenuto presso
la propria abitazione anzi, come riportato dal GIP, riferendo
una cosa falsa e cioè che egli non ha comunicato a Dell'Utri
il luogo della sua residenza protetta e che l'incontro si
sarebbe esaurito sul luogo dell'appuntamento in quanto il
Chiofalo, non appena resosi conto dell'assenza dell'avvocato,
avrebbe fatto presente al Dell'Utri stesso di non essere più
disponibile a rendergli alcun tipo di dichiarazione.
Secondo il GIP la reale finalità dell'incontro era ben
diversa dall'assunzione da parte della difesa di Dell'Utri
delle dichiarazioni a lui favorevoli eventualmente rese da
Chiofalo in quanto sia l'uno che l'altro erano ben consapevoli
che per la verbalizzazione difensiva sarebbe stata necessaria
la presenza del legale la cui presenza non era affatto
prevista.
Il GIP segnala infine che dal febbraio 1998 al 13 dicembre
1998 vi sarebbero stati ben 29 contatti telefonici tra
Chiofalo e Dell'Utri.
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Secondo il GIP gli incontri tra Chiofalo e Dell'Utri
sarebbero stati peraltro superiori ai due fino ad oggi noti:
il primo, rivelato da Dell'Utri nel corso delle sue
dichiarazioni dibattimentali spontanee del 22 settembre 1998
ed il secondo il 31 dicembre 1998. Gli incontri sarebbero
stati invece almeno tre dal momento che sia il 21 giugno 1998
sia il 31 agosto 1995 le chiamate in entrata sull'utenza di
Chiofalo (in permesso), perché provenienti dall'utenza
cellulare dell'onorevole Dell'Utri, impegnano la stessa
stazione radio base di quella impegnata dal cellulare in uso
al Chiofalo.
Il GIP come elemento giustificativo del provvedimento
cautelare adottato nei confronti dell'onorevole Dell'Utri cita
il contenuto dell'intervista rilasciata dal medesimo al
Corriere della Sera allorché, in merito all'incontro con
il Chiofalo, riferisce: "mi ha contattato lui. Io ero in
autostrada. Rispondo al telefonino mi pare a Forlì Sud. Arrivo
in 15-20 minuti e trovo un'auto civetta già lì per pedinarci e
fotografarci in modo tanto maldestro che ce ne siamo accorti.
In così breve tempo quell'incontro si poteva scoprire solo
intercettandomi abusivamente... Io ho cercato subito un
avvocato per raccogliere le utilissime parole di quel pentito
nella forma dei verbali difensivi. Ma era la vigilia di Natale
e non sono riuscito a trovare nessun legale... Ne ho
incontrati tanti di pentiti siciliani e non".
Secondo il GIP "appare evidente il tentativo del Dell'Utri
di inquinare le prove: accortosi già il 31 dicembre 1998 che
qualcuno aveva visto (e lui pensa filmato) il suo incontro con
il Chiofalo e rendendosi ben conto di una tale prova a suo
carico, il Dell'Utri, proprio perché non è a conoscenza
integrale delle investigazioni condotte, cerca di influenzare,
con i notevoli mezzi che ha a disposizione e quindi anche
tramite la stampa, eventuali audizioni del Chiofalo o di altri
soggetti a conoscenza dei fatti.
Secondo il GIP "va anzitutto ribadito in assoluta adesione
a precedenti pronunce della stessa Giunta per le
autorizzazioni a procedere (vedi da ultimo proposta di
autorizzazione all'arresto dell'onorevole Giudice del 13
luglio 1999) la piena ed immediata utilizzabilità delle
intercettazioni nei confronti dei soggetti estranei
all'istituzione parlamentare, pena la violazione del principio
di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge
(articolo 3 della Costituzione) e del principio
dell'obbligatorietà dell'azione penale (articolo 102 della
Costituzione), princìpi ai quali l'articolo 68 citato pone una
eccezionale deroga ad esclusiva tutela della funzione
parlamentare. Nulla osta, dunque, alla valutazione delle
conversazioni intercettate quali elementi indiziari nei
confronti del Chiofalo nonché per gli inevitabili collegamenti
logici anche nei confronti del Cirfeta.
Il problema della loro utilizzabilità si pone viceversa,
con riguardo al Dell'Utri, nei cui confronti è pienamente
operativa la garanzia costituzionale di cui all'articolo 68
della Costituzione.
Ebbene, ritiene questo giudice che vada condiviso il
rigoroso orientamento già in precedenza espresso dalla Camera
dei Deputati, secondo cui anche nell'ipotesi di comunicazioni
indirette, cioè di comunicazioni intercettate su una utenza
estranea al membro del Parlamento, in cui uno degli
interlocutori sia, per avventura, un parlamentare, è
necessaria, ai fini della loro utilizzabilità nei confronti
del predetto, l'autorizzazione, inevitabilmente postuma della
Camera di appartenenza. E' la stessa Camera di appartenenza,
infatti che dovrà valutare la rilevanza della comunicazione
intercettata rispetto al tema dell'indagine e l'assenza di
maliziosità, cioè di modalità elusive della garanzia posta a
tutela del parlamentare.
Per tale ragione in attesa della predetta autorizzazione,
delle comunicazioni intervenute tra il Dell'Utri ed il
Chiofalo non verrà, allo stato, tenuto alcun conto nella
valutazione della gravità degli indizi emersi nei confronti
del primo.
Diversamente deve, invece, ritenersi con riguardo ai
tabulati telefonici. In questo caso, infatti, si tratta di
documenti disponibili presso i gestori della rete, che
riportano dati statici, privi di contenuto descrittivo o
rappresentativo, concernenti l'utenza cui si riferiscono e che
Pag.36
in alcun modo possono interferire con l'esercizio della
funzione parlamentare, a cui garanzia è prevista
l'autorizzazione in materia di intercettazioni telefoniche.
Peraltro, attesa l'ontologica differenza esistente tra
l'intercettazione della conversazione telefonica e
l'acquisizione del tabulato relativo al traffico telefonico di
una utenza, la circostanza che l'articolo 68 della
Costituzione, modificato solo nel 1993 nel dettare
l'eccezionale deroga ai princìpi di cui agli articoli 3 e 102
della Costituzione non contempli tra i casi di necessaria
autorizzazione, l'acquisizione dei tabulati, pare impedirne
l'inclusione per analogia tra le ipotesi garantite.
Infine non appare irrilevante evidenziare che i tabulati
acquisiti non riguardano utenze riferibili al Dell'Utri e che
i dati in questa sede utilizzati non riguardano contatti tra
dette utenze ed utenze intestate al predetto ma soltanto
contatti con utenze riferibili alla FININVEST o a società a
questa collegate".
L'On. Dell'Utri nella propria memoria ricorda che poco
prima dell'inizio del giudizio che si celebra presso il
Tribunale di Palermo egli veniva contattato da tale Cirfeta
Cosimo, mai da lui precedentemente conosciuto, il quale
qualificatosi come collaboratore di giustizia col nome di
copertura "Delfino", gli rendeva noto di essere a conoscenza
che taluni collaboratori di giustizia avevano concordato una
serie di dichiarazioni da rendere nell'ambito del suo processo
e che di ciò aveva già provveduto ad informare le competenti
autorità alle quali aveva chiesto di essere sentito.
L'onorevole Dell'Utri prendeva atto della inquietante
notizia e ne informava i suoi difensori.
Successivamente il predetto Cirfeta lo contattava
nuovamente: questa volta con il suo vero nome.
Gli confermava le precedenti notizie riferitegli e, da
parte sua, lo invitò ad ufficializzare all'A.G. quanto a sua
conoscenza.
Il Cirfeta gli disse di averlo già fatto, come d'altra
parte aveva avuto modo di dirgli in occasione della prima
telefonata, e di attendere di essere sentito.
A questo punto, poiché il Cirfeta era comunque a
conoscenza di fatti e circostanze che avevano sicura refluenza
nell'ambito del procedimento penale che poco dopo sarebbe
iniziato presso il Tribunale di Palermo, l'onorevole Dell'Utri
lo indicava nella sua lista testimoniale che, come è noto, va
depositata sette giorni prima dell'inizio del dibattimento.
Non deve sfuggire la circostanza che oltre al nome del
Cirfeta Cosimo la difesa dell'onorevole Dell'Utri specificava
i capitoli della prova e cioè la circostanza di fatto oggetto
dell'escussione dibattimentale.
L'onorevole Dell'Utri si dice convinto che proprio da tale
momento i PP.MM. di Palermo abbiano scatenato una serie di
attività volte a delegittimare le dichiarazioni del Cirfeta
che, attraverso il sopra indicato articolato di prova,
conoscevano nel dettaglio.
Ciò facevano i PP.MM. aprendo un processo parallelo e
segreto e del tutto disgiunto da quello del Tribunale di
Palermo.
L'onorevole Dell'Utri ritiene anche che da tale attività
abnorme ed occulta sia derivato un inquinamento della prova,
per il quale invece e per un tragico paradosso egli viene
chiamato a rispondere, solo perché non dispone della forza
intimidatoria utilizzata dal "temibile ordigno giudiziario che
ha deciso di colpirlo".
Quello che intende precisare l'onorevole Dell'Utri è che
la sua attività si è semplicemente e correttamente
concretizzata nella indicazione della fonte testimoniale al
suo giudice naturale (il Tribunale di Palermo) per dar modo a
questi di apprezzare il significato delle indicazioni del
Cirfeta e valutarne la attendibilità intrinseca ed esterna.
L'onorevole Dell'Utri non può sapere se il Cirfeta gli
abbia riferito notizie vere o fasulle né se il suo
atteggiamento potesse costituire un tranello nei suoi
confronti, anche se è intimamente convinto della loro
veridicità.
Questa è comunque materia che compete al Giudice.
All'onorevole Dell'Utri correva solo l'obbligo, una volta
apprese notizie utili alla sua difesa, di indicare il Cirfeta
Pag.37
nella sua lista testimoniale, rappresentando al Tribunale le
circostanze sulle quali avrebbe dovuto riferire.
E', comunque, certo che proprio attraverso le precise
indicazioni del Cirfeta si è saputo che alcuni collaboratori,
indicati dall'accusa nell'ambito del suo processo, si
incontravano e pranzavano assieme mentre erano sottoposti a
"programma di protezione" e rendevano le loro sovrapponibili
dichiarazioni in diversi giudizi.
In questo senso sono le dichiarazioni dibattimentali rese,
nell'ambito del processo che lo vede imputato, da Di Carlo F.
e Onorato F..
Va anche precisato che successivamente alla indicazione
del Cirfeta nella sua lista testimoniale, l'onorevole
Dell'Utri veniva a conoscenza che lo stesso era stato oggetto
di notevoli maltrattamenti nell'ambito della struttura
carceraria ove era ristretto e che era stata arrestata anche
la madre.
L'onorevole Dell'Utri venne ancora a sapere che il Cirfeta
era stato minacciato, picchiato ed invitato a ritrattare le
notizie che aveva già comunicato alle varie autorità
giudiziarie.
Proprio a motivo delle vessazioni e delle ulteriori
pressioni cui era sottoposto il Cirfeta, l'onorevole Dell'Utri
denunziò nella sede istituzionale più appropriata e quindi
nell'ambito del suo processo dibattimentale tale preoccupante
situazione, chiedendo più volte, a mezzo dei suoi difensori,
la anticipazione dell'audizione del Cirfeta, proprio per
evitare che lo stesso potesse subire ulteriori coartazioni
della sua volontà.
E' sintomatico che i PP.MM. abbiano decisamente negato il
loro consenso alla anticipazione dell'audizione del
Cirfeta.
Il Tribunale rigettava pertanto la richiesta anticipazione
di prova.
Il descritto atteggiamento dei PP.MM. era ad avviso
dell'onorevole Dell'Utri evidentemente nutrito da due ordini
di motivazione:
1. la prima costituita dalla esigenza di proseguire in
un processo parallelo e segreto l'attività di discredito posta
in essere da altri collaboratori di giustizia nei confronti
del Cirfeta, per giungere poi alla richiesta di emissione di
ordinanza custodiale per il reato di calunnia;
2. la seconda costituita dalla preordinata scelta di
sottrarre al giudice naturale del dibattimento la valutazione
di una prova da lui tempestivamente indicata ed affidata alla
loro cognizione.
L'intendimento dei PP.MM. sarebbe ulteriormente avvalorato
dalla circostanza che gli stessi in un primo tempo
depositarono alcuni atti integrativi di indagine nell'ambito
del processo dibattimentale, come era giuridicamente logico e
corretto, per poi invece aprire una inchiesta parallela col
fine di sottrarre sia alla difesa ma, soprattutto, al
Tribunale gli ulteriori sviluppi che la vicenda Cirfeta aveva
determinato.
Nelle more delle sue pressanti richieste rivolte al
Tribunale di anticipazione dell'audizione del Cirfeta che
l'onorevole Dell'Utri non ha mai visto né incontrato, il
parlamentare veniva contattato da altro collaboratore di
giustizia, tale Chiofalo Giuseppe.
Costui lo chiamò all'utenza telefonica del suo ufficio di
Milano dicendogli che era amico del Cirfeta e che aveva delle
notizie importanti da riferirgli.
Lo stesso quindi gli chiese espressamente di incontrarlo,
giacché in quel periodo si trovava in permesso, dovendo
rientrare nel carcere di Paliano ove era detenuto assieme al
Cirfeta. In assenza dei suoi avvocati per le ferie natalizie,
l'onorevole Dell'Utri decise di incontrarlo personalmente,
visto che non sarebbe stato possibile farlo
successivamente.
In tale occasione il Chiofalo gli confermò le vessazioni
subite in carcere dal Cirfeta, violenze che il parlamentare
ritenne di denunziare mediante dichiarazioni spontanee che
rese nell'ambito del suo processo dibattimentale.
Nel gennaio del 1999, sempre nell'ambito del suo processo
a Palermo, l'onorevole Dell'Utri segnalò al Tribunale la
circostanza di essere stato pedinato ed intercettato in un
incontro che nel dicembre 1998 aveva avuto con il predetto
Chiofalo.
Pag.38
Chiese altresì in quella occasione al Tribunale di inviare
copia delle sue dichiarazioni spontanee al Presidente della
Camera dei Deputati cui appartiene.
L'onorevole Dell'Utri ha ribadito di aver ritenuto sempre
assolutamente legittima la sua attività di ricerca della prova
a discarico che ha posto in essere accettando i contatti
telefonici col Cirfeta e gli incontri personali con il
Chiofalo.
Già all'udienza del 22 settembre 1998 l'onorevole
Dell'Utri rendeva noto al Tribunale di Palermo sia il suo
incontro col Chiofalo, sia le vessazioni di ogni tipo cui era
sottoposto il Cirfeta e ne chiedeva quindi, attraverso i suoi
difensori, come già detto, la tempestiva audizione.
E' utile sottolineare che l'onorevole Dell'Utri ed i suoi
difensori abbiano demandato al Tribunale la verifica della
veridicità delle affermazioni del Chiofalo e del Cirfeta
segnalando la necessità di anticiparne l'audizione al fine di
rendere più genuina l'acquisizione della fonte di prova.
L'onorevole Dell'Utri deve purtroppo constatare che senza
il perentorio diniego dei PP.MM. di Palermo a consentire
all'anticipata audizione di questi suoi due testi a discolpa,
oggi non dovrebbe difendersi da una grave, pretestuosa e
gratuita accusa di calunnia.
Ed è proprio nell'atteggiamento dei PP.MM. di Palermo, che
hanno indagato, all'insaputa del Tribunale e della difesa, nei
confronti di un suo teste, che sarebbe ulteriormente
ravvisabile l'intento persecutorio nei suoi confronti.
Il disegno dei PP.MM. procedenti sarebbe fin troppo
chiaro.
Essi hanno chiesto ed ottenuto l'emissione di un
provvedimento custodiale nei suoi confronti che scaturiva da
un'indagine da essi gestita e che andava invece affidata alla
valutazione del Tribunale e alle sue determinazioni.
Lo si accusa di avere addirittura concertato, unitamente
al Cirfeta ed al Chiofalo, un piano per la destabilizzazione
dei collaboratori di giustizia e di essere stato perfettamente
consapevole delle presunte mendaci dichiarazioni del Cirfeta e
del Chiofalo nei confronti di altri collaboranti.
L'onorevole Dell'Utri non ha mai dichiarato che quanto da
loro riferitogli corrispondesse a verità; questo è un problema
che ha demandato alla valutazione del Tribunale, limitandosi
ad indicare nella sua "lista testi", i nomi delle persone che
potevano rendere dichiarazioni utili alla sua difesa e
affidando, alla esclusiva valutazione del Tribunale il
contenuto delle loro deposizioni.
L'onorevole Dell'Utri sottolinea anche che le persone che
lo hanno contattato si erano assolutamente dissociate dalle
associazioni criminali, che prestavano da tempo la loro
collaborazione alle varie autorità giudiziarie, che
rientravano nello speciale programma di protezione previsto
dalla legislazione premiale sui collaboranti e che avevano
altresì consentito, attraverso le proprie dichiarazioni
utilizzate dai vari PP.MM., la pronuncia di pesantissime
condanne nei confronti di centinaia di criminali.
E tutto questo nelle indagini che i PP.MM. hanno svolto
nei suoi confronti non viene assolutamente evidenziato; è
stato, anzi, dimenticato; il Cirfeta ed il Chiofalo, solo
perché divenuti testi a sua discolpa, sono divenuti
improvvisamente i peggiori criminali venendo dipinti come
drogati, prezzolati e calunniatori; mentre, al contrario, la
posizione del Di Carlo, del Guglielmini e dell'Onorato viene
esaltata come se gli stessi fossero depositari del vero.
Nessuna indagine sarebbe stata svolta per verificare
l'esistenza di eventuali riscontri alle dichiarazioni del
Cirfeta, nonostante le molteplici circostanze riferite e
quindi agevolmente verificabili. Il Cirfeta nella audizione
del 21 gennaio 1999, avvenuta presso la Casa di reclusione di
Paliano da parte della Commissione Parlamentare di Inchiesta
sulla Mafia, ha riferito della esistenza di un biglietto
scritto dal collaborante Vito Lo Forte a Francesco Onorato e
portato su suo incarico a Rebibbia da altro detenuto a nome
Masecchia Mario, proveniente dal carcere di Prato, dove si
trovava il Lo Forte, biglietto contenente l'invito a
concordare accuse ai danni dell'onorevole Dell'Utri. Tale
Pag.39
scritto in realtà risulterebbe pervenuto al Comandante degli
agenti di custodia. Fino ad oggi non è stata svolta alcuna
indagine per accertare la veridicità di dichiarazioni
riscontrabili oggettivamente.
In realtà la Procura di Palermo ed il GIP Scaduto avrebbe
ritenuto di dare esclusivo credito alle accuse di collaboranti
che avrebbero dovuto essere valutati con estremo rigore,
considerato che il Di Carlo risulta rinviato a giudizio
proprio dal medesimo Ufficio GIP di Palermo per il delitto di
calunnia ai danni del dottor Niccolò Nicolosi per un presunto
sostegno mafioso di Saro Riccobono e Michele Micalizzi nella
campagna elettorale del 1981, con procedimento fissato per
l'udienza del 21 ottobre 1999 davanti alla Seconda Sezione
penale del Tribunale di Palermo.
Il rinvio a giudizio nei confronti del Di Carlo sarebbe
avvenuto nonostante una sospetta richiesta di archiviazione
della Procura di Palermo a firma di Domenico Gozzo, uno degli
autori della richiesta di arresto a carico dell'onorevole
Dell'Utri.
L'Onorato, a sua volta, è stato qualificato come
inattendibile in un recente procedimento tenutosi in primo
grado presso la Corte d'Assise di Milano, con sentenza del 2
settembre 1997, n. 20/97, confermata dalla Corte d'Assise
d'Appello il 23 luglio 1998 con decisione n. 21/98, relativo
all'omicidio del gioielliere Mario Malusardi.
L'ordinanza di custodia di cui si discute rappresenta,
secondo l'onorevole Dell'Utri, pertanto l'amaro ed
inaccettabile prezzo da lui pagato per aver avuto la
presunzione di ritenere un suo preciso diritto, quello di
difendersi.
Non interessa più di tanto in questa sede addentrarci
sulle valutazioni, da taluno ritenute improprie, espresse dal
G.I.P in ordine alle possibili modifiche legislative
dell'articolo 192 c.p.p. che vivaci polemiche hanno suscitato
anche all'interno del Parlamento, in funzione di un possibile
sconfinamento del GIP medesimo nelle prerogative del potere
legislativo.
Ci interessa invece, eccome, evidenziare che il GIP dopo
avere integralmente trascritto nella propria ordinanza tutte
le telefonate intercettate tra il Chiofalo e l'onorevole
Dell'Utri, dopo averle puntualmente commentate e valorizzate
per evidenziare il comune intento criminoso, ha poi ritenuto
di non poterle utilizzare ai fini della richiesta cautelare
mancando l'autorizzazione, seppure postuma, di questa
Camera.
Occorre mettere subito in chiaro che le intercettazioni
non sono avvenute incidentalmente ed in maniera casuale ma in
funzione di un preciso piano predeterminato in precedenza, con
il quale si è inteso intercettare l'onorevole Dell'Utri,
mettendo sotto controllo l'utenza del Chiofalo. E si è
continuato dopo la prima, la seconda, la terza fino all'ultima
telefonata intercorsa tra i medesimi. Siamo quindi in presenza
di una evidentissima "maliziosità" con cui si è elusa una
garanzia costituzionalmente posta a tutela del parlamentare.
E' a nostro avviso altresì, come già detto, particolarmente
inquietante che il GIP, ben consapevole della giuridica non
utilizzabilità delle suddette intercettazioni, le abbia però
volutamente ed integralmente trascritte nella propria
ordinanza commentandole ad una ad una per supportare
surrettiziamente la tesi accusatoria.
Ben più grave quindi, per quel che ci interessa, appare
tale comportamento rispetto alla da più parti lamentata
"invasione di campo" effettuata in riferimento alle possibili
modifiche dell'articolo 192 c.p.p. da parte del Parlamento.
La Camera non dovrà tenere in alcun conto le suddette
trascrizioni ma i deputati le avranno prima lette ed
inevitabilmente considerate. Ci sembra questo un fatto
estremamente lesivo delle prerogative di cui all'articolo 68
della Costituzione il cui dettato è stato nella specie davvero
irriso e calpestato.
Per quanto riguarda poi la utilizzabilità o meno dei
tabulati telefonici, il diritto alla riservatezza del
parlamentare è tutelato dall'ultimo comma dell'articolo 68
della Costituzione, che prevede l'autorizzazione alla
intercettazione di conversazioni e tale principio vale anche
per i tabulati riportanti le conversazioni medesime, in quanto
Pag.40
da essi si possono agevolmente individuare le persone che
hanno rapporti telefonici con i parlamentari. Né varrebbe la
considerazione del GIP secondo cui i tabulati non si
riferirebbero tutti ad utenze proprie dell'onorevole Dell'Utri
quando, lo stesso GIP, nel dare valenza ad essi, li collega
espressamente al suddetto parlamentare. E' quindi il GIP che
riconosce che con i tabulati in argomento vuole supportare la
tesi accusatoria in ordine alle intervenute telefonate tra i
due coindagati nel contesto del noto disegno criminoso tra gli
stessi da tempo in essere.
Tale questione è già stata peraltro affrontata nella
seduta della Camera del 16 luglio 1998 allorché si discuteva
sulla domanda di autorizzazione all'arresto del deputato
Giudice.
In tale occasione l'onorevole La Russa, in merito
all'acquisizione dei tabulati del telefono del predetto
parlamentare, disse: "...la questione non attiene più soltanto
all'onorevole Giudice ma a tutti noi. Con la stessa forza
pertanto io dico che dobbiamo respingere questa richiesta
perché se è vero che quei tabulati potrebbero in teoria - ma
solo in teoria perché la richiesta è formulata senza quella
acquisizione - essere in qualche modo forse utili per vedere
chi telefonasse al parlamentare, è altrettanto vero e pacifico
che la violazione dello spirito dell'articolo 68 della
Costituzione, consentendo l'acquisizione del tabulato di un
parlamentare e facendo venir meno la riservatezza dei rapporti
politici di un componente del Parlamento, aprirebbe la strada
ad una interpretazione dell'articolo 68 contraria alle sue
ragioni di esistere ed al suo spirito. Per queste ragioni
concludo dichiarando che voteremo contro (...)
l'autorizzazione alla acquisizione del tabulato del suo
telefono personale".
Da quanto sopra emerge che riguardo ai tabulati
telefonici, per quanto riguarda il caso dell'onorevole
Giudice, l'autorità giudiziaria chiese alla Camera
l'autorizzazione al relativo utilizzo. Analoga richiesta fu
effettuata per l'acquisizione dei tabulati telefonici nei
confronti del deputato Scoca nella sua qualità di persona
offesa in un procedimento penale.
Se, quindi, in tali casi fu chiesta l'autorizzazione,
analogamente si sarebbe dovuto procedere per il caso
dell'onorevole Dell'Utri.
A nostro avviso l'onorevole Dell'Utri per quanto concerne
il capo "C" ha operato per verificare ed acquisire
legittimamente prove a suo favore.
Tutto qui e null'altro. I predetti indizi a suo carico
sono quindi di solare inconsistenza e frutto di un teorema
costruito a tavolino ma lontano dalla realtà.
Fumus persecutionis.
Secondo la prospettazione dell'onorevole Dell'Utri, la
nozione di fumus persecutionis, che costituirebbe il
presupposto per la negazione dell'autorizzazione a procedere
all'esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, non va
confusa con la vera e propria esistenza di condotte conclamate
poste in essere dall'autorità giudiziaria nei confronti di un
parlamentare e dirette a colpirne la funzione.
Adottando una simile interpretazione restrittiva si
finirebbe per negare di fatto al Parlamento l'esercizio della
fondamentale funzione autorizzatoria ex articolo 68 della
Costituzione.
Si consideri infatti che:
a) il Parlamento non dispone di poteri accertativi
o istruttori per verificare l'effettiva commissione da parte
dell'autorità giudiziaria di azioni persecutorie nei confronti
di un parlamentare;
b) il singolo parlamentare colpito dalla misura
coercitiva, non può comunque disporre in proprio di poteri o
strumenti idonei a dimostrare il compimento di tali azioni;
c) il singolo parlamentare ha esclusivamente la
facoltà di denunciare una persecuzione giudiziaria
eventualmente posta in essere nei suoi confronti (circostanza
che si assume avvenuta nel caso concreto, considerato che lo
stesso onorevole Dell'Utri ha denunciato nelle sedi
giudiziarie competenti una serie di abusi commessi ai suoi
Pag.41
danni attraverso l'uso indiscriminato di "pentiti" e "testi"
compiacenti), inevitabilmente rimettendo l'accertamento dei
fatti denunciati alla stessa magistratura e cioè allo stesso
organismo che ne potrebbe risultare l'autore e in ogni caso
rinviando molto nel tempo l'accertamento stesso, considerate
le interminabili scadenze temporali nelle quali solitamente si
snodano i percorsi giudiziari della magistratura ordinaria;
d) il Parlamento non potrebbe comunque diventare
"giudice dei giudici", impegnandosi nella verifica di fatti
illeciti eventualmente commessi ai danni di un
parlamentare;
e) l'autorità giudiziaria che avesse
effettivamente agito a fini persecutori nei confronti di un
parlamentare, certamente eviterebbe di inserire le prove di
una simile condotta nel testo dell'ordinanza sottoposta
all'autorizzazione del Parlamento e negli atti a questo
inviati.
In senso giuridico il termine fumus indicherebbe la
mera "possibilità", fondamento del semplice "sospetto", e si
distinguerebbe nettamente dal concetto di "probabilità",
fondamento viceversa della prova logica o indiziaria.
Così, mentre il "sospetto" nasce da un'ipotesi, da una
ragionevole congettura relativamente al possibile verificarsi
di un evento, l'"indizio" come prova indiretta, scaturisce da
uno o più circostanze di fatto accertate e ritenute vere,
poste a base di un ragionamento dimostrativo di tipo
induttivo.
Dalle considerazioni prospettate emergerebbe che in sede
di valutazione del c.d. fumus persecutionis il
Parlamento non deve "giudicare" i giudici procedenti, né
quindi deve acquisire e valutare le prove indiziarie
dell'eventuale persecuzione posta in essere nei confronti del
parlamentare, ma semplicemente verificare, in base alla
lettura degli atti, la sussistenza di un "rischio", anche
minimo, che al parlamentare sottoposto a procedimento sia
riservato un trattamento giudiziario anomalo, tale cioè da
indurre a ritenere la possibile volontà di colpirne le
funzioni e le attività politiche.
In conclusione, il Parlamento dovrebbe semplicemente
formulare un giudizio di "possibilità" desunto da "indici"
significativi circa la possibile strumentalizzazione delle
funzioni giudiziarie ai danni di un parlamentare.
Il "caso Dell'Utri", caratterizzato persino dalla
ostentata "personalizzazione" dell'ufficio da parte del
giudice che ha disposto la carcerazione cautelare, apparirebbe
fortemente sintomatico dell'uso anomalo delle funzioni
giudiziarie ai danni di un parlamentare colpito non solo "in
proprio" ma anche in quanto esponente di un intero movimento
politico.
Violazione del segreto investigativo. Risulterebbe
dimostrato da una serie di articoli giornalistici depositati
dall'onorevole Dell'Utri che la vicenda giudiziaria che lo ha
coinvolto è stata integralmente divulgata presso le principali
testate giornalistiche nazionali ad evidenti fini di
spettacolarizzazione dell'intervento dell'autorità giudiziaria
palermitana. Ultimo episodio, aggiungiamo noi, sarebbe quello
della pubblicazione, da parte di numerosi quotidiani, di
documenti inviati alla Giunta da parte della Procura di
Palermo prima che il 6 aprile 1999 i componenti della Giunta
medesima potessero esaminarli.
La divulgazione mediatica di atti di indagine coperti dal
più stretto segreto investigativo e persino del provvedimento
di arresto (per definizione segreto) che configurerebbe reati
gravissimi, tra i quali il delitto ex articolo 326 c.p.
(rivelazione di segreti d'ufficio, punita con la pena della
reclusione da sei mesi a tre anni), risalirebbe non solo
all'Ufficio della Procura palermitana, ma addirittura allo
stesso Ufficio GIP, come riferito in un articolo apparso sul
quotidiano "La Repubblica", nel quale si dà conto che le
dettagliate informazioni illecitamente propalate sarebbero
provenute da tale ufficio.
Si consideri inoltre che il GIP che oggi richiede la
carcerazione avrebbe respinto l'istanza dei difensori
dell'onorevole Dell'Utri di avere accesso agli atti che
ex articolo 293 c.p.p. hanno costituito il fondamento
Pag.42
dell'intervenuto provvedimento di carcerazione cautelare.
Si sarebbe realizzato così un tragico paradosso,
sintomatico della non imparzialità e dell'intenzione
extragiudiziaria del giudice procedente, il quale, da un lato,
ha voluto o consentito colposamente l'illecita propalazione
mediatica ai danni dell'onorevole Dell'Utri di atti di
indagine coperti dal segreto investigativo, e poi dall'altro
ha vietato al medesimo deputato e ai suoi difensori di
prendere visione di quegli stessi atti, incorrendo nella
macroscopica negazione del diritto di difesa, riconosciuto
come inviolabile dall'articolo 24 Cost. in ogni "stato" del
"procedimento" e dall'articolo 6 della Convenzione europea dei
diritti dell'uomo che garantisce all'imputato il diritto di
conoscere tutti gli elementi sulla base dei quali è stata
formulata l'accusa elevata nei suoi confronti.
Sintomo preoccupante dell'anomalia giudiziaria che ha
investito l'onorevole Dell'Utri risulterebbe dunque la
condotta del giudice Scaduto che ha sottratto alla legittima
conoscenza del parlamentare gli stessi atti che invece ha
illegittimamente consegnato (o lasciato per colpevole
negligenza che venissero consegnati) alla stampa.
Sotto altro aspetto, si consideri che la campagna
mediatica avvenuta contro l'onorevole Dell'Utri sarebbe stata
resa possibile (prima e dopo l'invio alla Camera dei Deputati
dell'ordinanza custodiale) esclusivamente grazie alle illecite
propalazioni provenute dagli uffici giudiziari palermitani
procedenti.
Ciò significherebbe che i magistrati palermitani
procedenti, poiché non avrebbero potuto ignorare gli effetti
devastanti della citata campagna mediatica, evidentemente ne
hanno voluto la realizzazione; il che automaticamente
dimostrerebbe che il fine dell'azione giudiziaria inscenata
nei confronti dell'onorevole Dell'Utri sarebbe quanto meno in
parte, di natura extragiuridica.
Una simile "inconfutabile conclusione" sarebbe
ulteriormente dimostrata dall'inerzia assoluta che la Procura
palermitana ha mostrato e mostra tuttora in ordine alla
procedibilità per il già segnalato delitto di rivelazione di
segreti d'ufficio ex articolo 326 c.p.: trattandosi di
delitto procedibile d'ufficio e stante il principio, di rango
persino costituzionale, di obbligatorietà dell'azione penale,
la Procura di Palermo avrebbe dovuto procedere ad indagini
immediate per accertare gli autori delle illecite
propalazioni; l'assenza di un simile doveroso intervento
dimostrerebbe allora, ulteriormente, l'esistenza di un
concorso nel grave delitto, sia pure per colpevole negligenza,
nella custodia di atti riservatissimi.
Il GIP difende il sistema di gestione dei pentiti.
Con frasi dallo sfondo apocalittico, del tutto inconsuete
per un giudice, il GIP palermitano accusa l'onorevole
Dell'Utri di "destabllizzare l'intero sistema normativo in
materia di valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti,
tentando di metterlo in crisi dal suo interno".
L'accusa si snoda nei seguenti passaggi:
a) l'onorevole Dell'Utri avrebbe concordato con
due "collaboranti" una serie di dichiarazioni false e
calunniose per screditare altri "collaboranti" utilizzati
contro di lui dalla Procura di Palermo legati ad un "obbligo
di verità" in forza di un "contratto con lo Stato";
b) la condotta "eversiva" del sistema repressivo
fondato sulla gestione dei "pentiti" attribuita all'onorevole
Dell'Utri sarebbe condivisa anche da altri parlamentari dello
stesso orientamento politico che avrebbero avuto colloqui in
carcere con i "collaboranti" da lui contattati e dall'intero
movimento politico di "Forza Italia", espressione politica
della mafia che avrebbe cambiato la strategia della lotta allo
Stato, decidendo di colpire quest'ultimo dall'interno,
destabilizzandone le leggi;
c) in particolare l'onorevole Dell'Utri e il
movimento politico cui appartiene, solleciterebbero, in
Parlamento, in perfetta sintonia con i più pericolosi ambienti
criminali mafiosi, la modifica dell'articolo 192 c.p.p., una
sorta di architrave della lotta alla mafia, fonte
dell'indiscutibile principio, presentato come "articolo di
Pag.43
fede", della "convergenza del molteplice" (espressione
criptica che allude all'ammissibilità in sede di valutazione
delle accuse dei pentiti di mafia del pericolosissimo criterio
dei "riscontro incrociato");
d) i recenti interventi parlamentari a sostegno
della modifica legislativa dell'articolo 192 c.p.p.
costituirebbero la prova che l'onorevole Dell'Utri e il
movimento politico agirebbero come complici delle
organizzazioni criminali mafiose;
e) qualsiasi intervento dell'onorevole Dell'Utri
per sapere se alcuni pentiti di mafia, molti dei quali già
dichiarati con sentenze irrevocabili calunniatori o
delinquenti abituali, abbiano concordato false accuse nei suoi
confronti, compresi i contatti con persone già indicate come
suoi testimoni nel dibattimento pendente dinanzi al Tribunale
di Palermo, sarebbe automaticamente un tentativo di
"inquinamento" della prova poiché ciò che sostengono i pentiti
utilizzati dalla Procura di Palermo sarebbe per definizione
vero ed indiscutibile.
I passaggi dell'inquietante ragionamento del GIP, così
definito dall'onorevole Dell'Utri, si commenterebbero da soli,
denotando gravissimi travalicamenti dalla funzione
giurisdizionale, fino all'aggressione sconsiderata delle
prerogative dei singoli parlamentari e del Parlamento nel suo
insieme.
La stessa descrizione del rapporto tra "pentito" di mafia
e autorità statale, presentata dal GIP, dimostrerebbe non solo
una grave ignoranza di concetti giuridici elementari, ma
l'esistenza di un pregiudizio accusatorio del tutto
incompatibile con l'esercizio della funzione
giurisdizionale.
Citare l'"obbligo di verità" in capo a soggetti che in
quanto indagati o imputati di reati connessi o collegati,
ex articolo 210 c.p.p., per definizione non assumono
alcun obbligo di dire la verità, ed indicare come fonte di
tale inesistente obbligo un "contratto con lo Stato" che
presuppone invece il pagamento da parte di organismi
controllati dalla Procura palermitana di compensi miliardari o
di altri benefici rilevantissimi (compresa l'impunità rispetto
a gravissimi delitti commessi) in cambio di dichiarazioni
"utili" alle indagini, significherebbe infatti occultare con
artifici dialettici la realtà delle cose e che cioè i
"pentiti" utilizzati dalla Procura di Palermo, tutti
pericolosissimi assassini e smentiti in numerose occasioni
giudiziarie, potrebbero essere dei perfidi e prezzolati
calunniatori indotti a mentire per convenienza.
Sul punto sarebbe sufficiente osservare che l'ipotesi che
i "pentiti" di mafia utilizzati dalla Procura di Palermo
abbiano potuto concordare una gigantesca calunnia ai danni
dell'onorevole Dell'Utri, non solo è prospettabile, ma
risulterebbe addirittura confermata da una serie di
indiscutibili dati oggettivi.
Se dunque l'autorità giudiziaria palermitana ha
artificiosamente eliminato una simile prospettiva, evitando le
indagini che potessero smentire i nuovi "oracoli" della
giustizia palermitana e occultando dati di fatto decisivi,
come ad esempio alcune sentenze irrevocabili che hanno
qualificato tali persone come assassini, calunniatori e
delinquenti abituali, ciò significherebbe che un "sospetto" di
gravi irregolarità commesse nei confronti dell'onorevole
Dell'Utri e quindi l'esistenza del "fumus
persecutionis", non potrebbero essere negati da nessuna
persona di buon senso.
Per definizione "politici" apparirebbero gli inquietanti
argomenti del giudice Scaduto diretti a censurare l'attività
parlamentare dell'onorevole Dell'Utri, di altri parlamentari e
di un intero movimento politico.
Nel momento in cui un giudice della Repubblica,
esorbitando dalle proprie funzioni, si spinge sino al giudizio
politico, peraltro rozzo e gravemente errato, nei confronti di
una parte del Parlamento o di alcuni suoi membri,
espressamente affermando che determinate attività politiche
siano poste in essere in favore di pericolose organizzazioni
criminali, si realizzerebbe per l'On. Dell'Utri un turbamento
delle funzioni parlamentari che per definizione devono essere
Pag.44
libere, non potendo soffrire alcun condizionamento da parte di
altri poteri dello Stato.
Lette in senso politico le pesanti affermazioni del
giudice Scaduto suonerebbero come un'intimidazione al
Parlamento e ai singoli parlamentari da parte di un
rappresentante di un apparato giudiziario che dispone di
fortissimi e penetranti poteri coercitivi, come quello appunto
della privazione della libertà personale, al fine di impedire
le attività politiche e parlamentari ritenute sgradite.
Quanto al merito dell'accorata difesa dell'articolo 192
codice di procedura penale sarebbe sufficiente ricordare che
l'attuale formulazione normativa, consentendo lo scempio del
"riscontro incrociato" e che cioè le dichiarazioni concertate
tra due o più "pentiti" di mafia assurgano ipso jure al
rango di prova, costituirebbe il viatico dei più gravi abusi
giudiziari degli ultimi anni, come risulta da una qualunque
rassegna di cronaca giudiziaria.
Anticipazione del rinvio a giudizio. Un'ulteriore
dimostrazione della non imparzialità del giudice Scaduto si
ricaverebbe da una frase contenuta nell'ordinanza di
carcerazione cautelare, con la quale si allude al rinvio a
giudizio dell'onorevole Dell'Utri.
Saremmo di fronte ad un'anticipazione di giudizio che
tradisce l'intenzione del giudice di disporre il rinvio a
giudizio dell'imputato, a prescindere dall'esercizio del
diritto di difesa, considerato nullo al punto da essere
omesso.
Il giudice, infatti, trascurerebbe che prima della
chiusura delle indagini preliminari potrebbe essere chiamato
ad emettere un provvedimento di archiviazione e che comunque,
prima di disporre il rinvio a giudizio, dell'onorevole
Dell'Utri dovrà valutare in sede di udienza preliminare, nel
contraddittorio tra le parti, la fondatezza dell'imputazione,
emettendo, se del caso, sentenza di non luogo a procedere. La
decisione sarebbe già presa: sarò rinviato a giudizio e così,
finalmente, il procedimento attualmente pendente in sede di
indagini preliminari potrà riunirsi a quello pendente in
dibattimento dinanzi al Tribunale di Palermo.
E' indubitabile che la "parzialità" e la mancanza di
serenità del giudice procedente sarebbero sintomi
inequivocabili di un insolito accanimento giudiziario.
L'utilizzo dei tabulati telefonici riportanti il
traffico anche dell'onorevole Dell'Utri senza la preventiva
autorizzazione della Camera.
L'imputato deve essere arrestato. E' documentato che
all'indomani della fuga di notizie concernenti l'imminente
arresto, la difesa dell'onorevole Dell'Utri si attivò
tempestivamente, comunicando alla Procura di Palermo la sua
disponibilità per un interrogatorio immediato che poteva
servire per spiegare i fatti e scongiurare un devastante
provvedimento.
Eppure, la Procura di Palermo ha totalmente trascurato la
citata disponibilità per rendere interrogatorio, procedendo a
richiedere il suo arresto.
Un simile spaccato di arroganza giudiziaria dimostrerebbe
che lo scopo dell'autorità procedente non doveva essere quello
di accertare i fatti, (essendo a tal fine ben più proficuo
l'interrogatorio dell'imputato che sa in ogni caso quanto
basta per risolvere il procedimento), quanto piuttosto il
compimento di un atto eclatante e dimostrativo, quale appunto
l'arresto di un parlamentare, compiuto per evidenti finalità
extragiudiziarie.
Il fatto è più grave se l'autore è divenuto
parlamentare dopo averlo commesso. Nel commentare uno degli
addebiti all'onorevole Dell'Utri, il giudice Scaduto giunge ad
affermare che il fatto di reato sarebbe reso grave dalla
circostanza che egli è divenuto parlamentare.
Si tratterebbe di una considerazione non solo totalmente
errata in diritto posto che la gravità del reato non può avere
nulla a che vedere con la qualifica personale dell'agente
acquisita successivamente alla data del presunto reato, ma
rivelatrice dell'intenzione del giudice di colpire l'onorevole
Dell'Utri in quanto parlamentare: il riferimento alla gravità
del fatto legata alla qualifica postuma del suo autore serve
cioè a colpire quest'ultimo in funzione dell'acquisto di tale
qualifica. Nel caso di specie l'onorevole Dell'Utri doveva
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essere colpito perché divenuto parlamentare. Viene così
direttamente colpita la funzione di parlamentare. Il " fumus
persecutionis " sarebbe evidente.
Violazione del principio del giudice naturale: il
mostro giudiziario "bicefalo" che si sarebbe scagliato contro
l'onorevole Dell'Utri costituito dal binomio P.M.-GIP, si
sarebbe arbitrariamente autoattribuito la competenza
territoriale-funzionale per fatti spettanti ad altre autorità
giudiziarie, in base ad un vero e proprio artificio
processuale.
In pratica anche se i fatti contestatigli fossero avvenuti
in luoghi diversi da Palermo, tuttavia la competenza
spetterebbe al binomio P.M.-GIP di tale luogo per connessione
con altri fatti in relazione ai quali l'onorevole Dell'Utri è
attualmente imputato dinanzi al Tribunale di Palermo.
Dunque il capo di imputazione di un processo già giunto
alla fase dibattimentale eserciterebbe forza attrattiva
rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento.
Singolarmente la detta attrazione di competenza è stata
ritenuta valida soltanto ai fini territoriali e non anche
funzionali, giacchè competente ad emettere la misura cautelare
sarebbe stato un organo diverso dal binomio P.M.-GIP e cioè il
Tribunale di Palermo cui spetterebbe, come "giudice
procedente", il potere-dovere di applicare una misura
cautelare in presenza di un rischio di inquinamento della
prova quale quello contestato con l'accusa di avere cercato di
concordare versioni di comodo con due "collaboranti" già
indicati nella lista testimoniale presentata dall'On.
Dell'Utri per il dibattimento.
Insomma, attraverso il "sapiente" e "spregiudicato" uso di
perverse alchimie procedurali P.M. e GIP di Palermo avrebbero
sottratto al Tribunale il potere di applicazione della
custodia cautelare realizzando al tempo stesso la violazione
del principio costituzionale del giudice naturale
precostituito per legge e l'indebita interferenza in un
dibattimento già in corso, attraverso una pesantissima
intimidazione nei confronti di tutti coloro che non sono stati
ancora chiamati a deporre.
La competenza territoriale.
L'onorevole Dell'Utri sviluppa una questione già
anticipata dall'odierno relatore alla Giunta.
Il binomio P.M.-GIP, con artificiosi ed acrobatici
aggiornamenti delle norme processuali, sarebbe riuscito ad
autoattribuirsi la competenza ad emettere la misura custodiale
nei confronti dell'onorevole Dell'Utri investendosi
indebitamente di un'abnorme competenza "ad hominem".
La presunta connessione teleologica del reato di calunnia
con il delitto di concorso in associazione mafiosa - per cui è
in corso il processo innanzi al Tribunale di Palermo - posta
dal Gip a sostegno della propria qiurisdizione, risulterebbe
destituita di qualsiasi fondamento.
La disciplina dell'istituto della connessione - ex
articolo 12 c.p.p. - proprio perché interferente sulla
competenza territoriale, è stata regolata dal legislatore in
modo tassativo in ossequio al punto 14 della legge delega del
nostro codice processuale (1) e al precetto costituzionale
sancito dall'articolo 25 Cost., per cui "nessuno può essere
distolto dal giudice naturale precostituito per legge".
Tra i reati contestati con la richiesta di non ci sarebbe
alcuna connessione ed anzi la stessa è esclusa
dall'inderogabile schema fissato dalla legge: è quindi
assolutamente improponibile un assorbimento della competenza
territoriale ex articolo 16 c.p.p., con la coseguente esigenza
di individuare il giudice competente per ciascun singolo
episodio, cui dovrebbero essere rimessi gli atti.
La tentata estorsione di cui al capo A), sebbene
speciosamente contestata come commessa tra Trapani, Palermo e
Milano tra il 1990 e il 1993, non risulta invece
(1) Disciplina dell'istituto della connessione con
espressa previsione dei relativi casi; esclusione di ogni
discrezionalità nella determinazione del giudice
competente...".
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supportata da alcuna condotta materiale realizzata a Palermo
(forse una involontaria ammissione di debolezza tecnica cui si
è tentato di sopperire con una evidente mistificazione degli
atti processuali). La fonte accusatoria ha narrato di
fantomatiche richieste estorsive avanzate solo tra Trapani e
Milano. Certo è che l'A.G. palermitana è incompetente non
essendosi compiuta in quel territorio neanche una minima
frazione del contegno a me imputato.
In ordine alla calunnia, "per la prima volta il Cirfeta
riferisce quanto a sua conoscenza con una lettera che egli
consegna il 24 Agosto 1997 a Personale del Servizio Centrale
di Protezione perché sia inoltrata ai magistrati della
Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce..." (p. 188
ordinanza Gip Palermo). Posto che "la calunnia è reato formale
e istantaneo che si consuma nel momento in cui viene
presentata la denuncia all'Autorità giudiziaria ovvero ad
autorità che a quella abbia l'obbligo di riferire", e che "se
si tratta di reato permanente, è competente il giudice del
luogo in cui ha avuto inizio la consumazione..." (articolo 8
comma 3 c.p.p.), non si comprende da dove tragga origine la
competenza palermitana, radicandosi la stessa nella
circoscrizione del giudice avente giurisdizione nel luogo in
cui Cirfeta consegnò la prima lettera agli uomini del Servizio
Centrale di Protezione.
E' scritto a p. 5 dell'ordinanza cautelare:
"...L'episodio criminoso di cui al capo C) dell'epigrafe,
per il quale il Pubblico Ministero ha richiesto l'emissione
del provvedimento cautelare nei confronti del Dell'Utri, del
Cirfeta e del Chiofalo, è connesso teleologicamente al delitto
di concorso in associazione mafiosa, reato permanente, per il
quale il primo è imputato davanti al Tribunale di Palermo,
essendo stato commesso, in primo luogo, al fine di procurare
al Dell'Utri l'impunità, attraverso l'inquinamento della
genuinità delle fonti di prova ed in secondo luogo, al fine di
agevolare l'organizzazione mafiosa Cosa Nostra ed è proprio in
forza di tale connessione che le indagini sono state condotte
dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, alla quale le
iniziali missive di contenuto calunnioso, risultano essere
state trasmesse dalle altre Autorità Giudiziarie alle quali
erano state indirizzate.
Nel nostro ordinamento, peraltro, la connessione si
atteggia come criterio originario ed autonomo di attribuzione
della competenza, la cui operatività presuppone soltanto che
il procedimento per il reato più grave, cui quello per cui si
procede è connesso, non sia stato ancora definito con sentenza
passata in giudicato cosicché sia ancora possibile ipotizzarne
la riunione...
Ora nel caso in esame, seppure al momento i due
procedimenti si trovano in fasi diverse, non solo non è
possibile escludere una loro successiva riunione ma, al
contrario, proprio per le ineludibili ragioni di connessione,
tale riunione può essere invece fondatamente prevista...".
L'errore compiuto dal GIP consiste nell'equiparazione
dell'istituto della connessione con quello della riunione,
aventi, invece, disciplina e presupposti contrastanti. La
connessione è, come già sottolineato, criterio di attribuzione
di competenza in ristrettissima deroga rispetto ai canoni
stabiliti dagli artt. 8 e seguenti c.p.p.; la riunione - così
come la separazione - è uno strumento attivabile solo a
seguito dell'esercizio dell'azione penale, e, quindi, al
rinvio a giudizio, e rispondente solo a ragioni di economia
processuale o di opportunità probatoria, ma non incidente
sulla determinazione della competenza. Anche sul piano
lessicale, mentre la connessione opera, ex articolo 12, tra
"procedimenti", la riunione - ex articolo 17 - riguarda
esclusivamente "processi", potendosi solo in questa fase
stabilire in concreto il pregiudizio o meno alla rapida
definizione delle stesse, causa ostativa alla
concentrazione.
Ulteriore, e più importante, requisito per accedere alla
riunione è, sempre secondo l'articolo 17, "la pendenza nello
stesso stato e grado" dei processi, non potendosi ipotizzare,
neanche concettualmente, l'accorpamento di un fatto già
sottoposto al vaglio dibattimentale - con tutte le conseguenze
in materia "strategica" e probatoria - con altra ancora in
fase di indagine preliminare dallo sviluppo aleatorio (sia con
Pag.47
riferimento all'esito, che al rito). Una siffatta estensione
dell'ambito applicativo dell'istituto in questione, oltre che
collidente tecnicamente e logicamente con le norme che
regolano il nostro processo, sarebbe pure contrastante con la
tassativa disposizione stabilita dal ricordato punto 14) della
legge delega per l'emanazione del nuovo codice, consentendo
mutamenti del giudice competente oltre i rigidi schemi fissati
dal legislatore, e in palese contrasto con il ricordato
articolo 25 della Costituzione.
Logico corollario è che, proprio perché parametro
originario di fissazione della competenza, la connessione non
potrà, altresì, operare tra vicende processuali pendenti in
fasi diverse (dovendosi altrimenti infierire l'aberrante
possibilità della regressione di un processo in avanzata fase
dibattimentale al Giudice per le Indagini Preliminari di altro
Tribunale), allorquando il "processo" abbia ad oggetto reato
meno grave rispetto ad altro "procedimento" cui si intenda
"connetterlo", secondo quanto stabilito dall'articolo 16
c.p.p.
Ogni diversa interpretazione, oltre che contraria ai
principi fissati nelle nostre norme procedurali, comporterebbe
una grave compromissione del sistema, determinando una impasse
esegetica non facilmente risolvibile. La stessa Suprema Corte
si è espressa coerentemente con le evidenziate ragioni di
ermeneutica processuale, fissando concetti corroboranti la
presente impostazione:
"Nell'attuale sistema processuale la connessione, pur
costituendo un criterio originario ed autonomo di
determinazione della competenza, postula necessariamente, per
la sua operatività, che i procedimenti da riunire si trovino
nella medesima fase cognitiva". Sez. I, sent. n. 6092 del
31-01-1996 (ud. del 27-11-1995), Pavan (rv 203555).
"Il principio, affermato sotto il vigore del codice di
procedura penale del 1930, secondo il quale le norme sulla
competenza per connessione sono operanti soltanto tra
procedimenti pendenti nella medesima fase processuale, è
valido anche con riferimento alla normativa dettata dagli
artt. 12 cod. proc. pen. e segg., tanto più che in questo la
connessione è regolata in modo più restrittivo". Sez. I, sent.
n. 4444 del 21-11-1994 (ud. del 11-10-1994), Polverino (rv
199663).
"Nel vigente sistema processuale la pendenza di più
procedimenti nel medesimo grado costituisce presupposto
indispensabile per l'operatività del criterio di competenza
fondato sulla connessione. (Fattispecie relativa ad asserita
competenza per connessione dell'A.G. ordinaria - procedente
per il delitto di concussione, ancora nella fase delle
indagini preliminari - anche in ordine a delitto di truffa
militare, già pervenuto al giudizio del giudice militare)".
Sez. I, sent. n. 2794 del 04-03-1998 (ud. del 29-01-1998),
Presti (rv 210004).
La sentenza della Sez. I del 12/6/1997 citata dal Gip di
Palermo, lungi dal corroborare quanto assunto nell'ordinanza
restrittiva, regola tutt'altra situazione processuale,
conformemente a quanto stabilito da Sez. VI, sent. n. 1318 del
13-02-1997 (ud. del 30-09-1996), Penna (rv 208177), ove si
legge:
"In tema di competenza per connessione, la regola della
"perpetuatio iurisdictionis" è stata confermata e anzi
rafforzata dal nuovo codice di procedura penale, stante la
natura di criterio originario e autonomo di attribuzione della
competenza riconosciuto al vincolo della connessione. Ne
consegue che le vicende relative ai procedimenti connessi, già
riuniti, come quella della loro separazione per la definizione
anticipata di alcuni di essi, non interferiscono in alcun modo
sulla competenza unitariamente determinatasi, con riferimento
a tutte le regiudicande, al momento della "vocatio in
iudicium".".
Nel caso in cui, infatti, per vicende sopravvenute,
procedimenti originariamente connessi siano stati
successivamente separati (per accesso a riti alternativi di un
imputato, per stralcio di una posizione, e così via) per il
principio della perpetuatio iurisdictionis la competenza
territoriale ormai stabilita in forza dell'articolo 16, non
può subire variazioni per l'eventuale venir meno della
Pag.48
iniziale causa di connessione. Sicché è agevole ritenere che
la massima riportata dal Gip sia riferita a un caso del tutto
opposto a quello dell'onorevole Dell'Utri.
Non si colgono le controindicazioni, per l'accusa,
all'adesione alla interpretazione qui sostenuta: la
riverberazione del thema probandum scaturente dal reato
di cui al capo C) sul processo in corso a Palermo -
asseritamente esigente la concentrazione delle due vicende -,
non impedirebbe ai PP.MM. di sottoporre alla valutazione del
Tribunale le acquisite risultanze per confutare
l'attendibilità del teste di difesa Cirfeta, avendo il
legislatore previsto - con l'articolo 495 comma 2 c.p.p. -
specifici strumenti di verifica, azionabili in qualunque
momento del processo, non pregiudicando, dunque, il corso
dell'accusa. Rebus sic stantibus, la ricerca della
competenza palermitana di P.M. e Gip costituirebbe per
l'onorevole Dell'Utri solo l'inequivocabile indizio di un
ostinato disegno persecutorio.
Sulla questione relativa alla competenza territoriale non
possiamo che convenire sulla memoria dell'onorevole Dell'Utri.
Il reato di associazione di cui al capo "A" sarebbe stato
commesso a Milano con le minacce di Dell'Utri, cui sarebbero
seguite quelle di Vigna e di Buffa a Trapani ed infine quelle
telefoniche di Dell'Utri da Milano, in occasione delle quali
egli disse: "Io sono sempre in attesa, cosa intende fare?
Ricordi che noi siciliani dobbiamo sempre mantenere la parola
data". Frase riportata in grassetto dal GIP per evidenziarne
l'intento minaccioso ed intimidatorio (cfr. sommarie
informazioni di Garraffa del 9/10/1997). La competenza per
tale reato appare quindi del capoluogo lombardo ed il
riferimento a Palermo in calce al capo di imputazione è privo
di qualsiasi significato.
Il reato di calunnia aggravata di cui al capo "C" è stato
commesso a Paliano (Frosinone) luogo in cui il Cirfeta fa le
varie dichiarazioni trascritte nella ordinanza. Anche qui il
riferimento a Palermo non ha davvero senso.
Anche in presenza della pretesa competenza di Palermo in
riferimento al reato di cui al capo "B" (reato "commesso in
Palermo, Milano, Caracas oltre che in altre località del
territorio nazionale ed estero"), occorre esaminare se lo
stesso, certamente più grave rispetto a quelli di cui ai capi
"A" e "C", attragga nella propria competenza anche questi
ultimi.
Nella specie l'onorevole Dell'Utri è l'unico anello di
collegamento tra i tre capi di imputazione, non essendovi
altri coimputati dei medesimi reati. Si pone il problema se
tale condizione sia sufficiente per determinare la competenza
per connessione del capoluogo siciliano, non ricorrendo alcuno
dei casi contemplati dall'articolo 12 c.p.p., sicché per quei
due reati il GIP avrebbe dovuto provvedere ai sensi e per gli
effetti di cui al 1^ comma dell'articolo 22 c.p.p.,
restituendo gli atti al Pubblico Ministero.
Per quanto riguarda i reati di cui ai capi "A" e "C",
anche invocando il disposto di cui al comma 3- bis
dell'articolo 51 c.p.p. secondo cui per determinati delitti le
indagini preliminari sono attribuite all'ufficio del Pubblico
Ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel
cui ambito ha sede il giudice competente, la competenza
rimarrebbe sempre e comunque per il primo di essi su Milano e
per il secondo su Roma (all'interno del cui distretto si trova
Paliano) o eventualmente su Lecce o su Bari (capoluoghi dei
rispettivi distretti) dove il Cirfeta inviò le varie
missive-denunce.
Né ci si opponga che la questione della competenza
territoriale non dovrebbe interessare questa Giunta essendo la
stessa estranea alla nostra indagine.
Se la Procura di Palermo non era competente ad avviare le
indagini ed a richiedere l'arresto dell'onorevole Dell'Utri
poi disposta dal GIP, si potrebbe ipotizzare che quella
Procura avrebbe sottratto il suddetto parlamentare al proprio
giudice naturale, chiedendo e vedendo adottare nei suoi
confronti un provvedimento restrittivo della libertà personale
che altra Procura ed altro GIP, quelli sì competenti, non
avrebbero forse richiesto e adottato.
Pag.49
Sul dossier integrativo inviato dalla Procura della
Repubblica presso il Tribunale di Palermo dopo l'ordinanza del
G.I.P. che disponeva la misura cautelare carceraria nei
confronti dell'onorevole Dell'Utri.
Noi dovremmo esaminare la richiesta di autorizzazione
all'arresto rebus sic stantibus all'epoca della
ordinanza del G.I.P., senza prendere in considerazione atti e
documenti successivi ed integrativi non passati al vaglio di
tale magistrato.
Nondimeno, essendo il tutto stato sottoposto all'esame
della Giunta, facciamo alcune sintetiche considerazioni sui
punti ritenuti dalla Procura di maggior interesse.
Da un lato, si tratta di documenti sequestrati a Starace,
a Piovella ed alla Padetti che dovrebbero dimostrare, secondo
la Procura, "ripetuti tentativi di inquinamento probatorio
provenienti da una pluralità di soggetti legati a Publitalia e
alla Dreher, ma comunque tutti inequivocabilmente tendenti ad
alleggerire la posizione processuale di Marcello Dell'Utri o
ancor di più a negare un suo coinvolgimento nei fatti oggetto
di indagine". Attività che si sarebbero concretizzate:
1) nell'avvicinamento di possibili testi, così come
emergerebbe dalle dichiarazioni del Barbera;
2) nell'occultamento di possibili prove del suo
coinvolgimento, come risulterebbe dai documenti sequestrati
presso Starace e Piovella;
3) dalle false dichiarazioni rese da una serie di testi
o da persone oggi coindagate come Piovella, Starace, Biraghi,
Paoletti e Pizzo.
Questi tre punti meritano un breve commento:
1) per quanto riguarda il Barbera, non risponde
assolutamente a verità che lo stesso abbia dichiarato di
essere stato in qualche modo avvicinato dall'on. Dell'Utri;
2) per quanto riguarda i documenti che comproverebbero
il coinvolgimento del Dell'Utri precisiamo, a tutto concedere
ed aderendo alla prospettazione del P.M., che il
coinvolgimento sarebbe eventualmente della struttura locale di
Publitalia e mai dall'on. Dell'Utri che, come da lui precisato
in sede di audizione, all'epoca era il responsabile di vertice
di una azienda che fatturava tremila miliardi all'anno e che
verosimilmente non seguiva tutte le operazioni effettuate
dalle strutture territoriali della stessa. Dato e non concesso
che queste ultime siano state davvero coinvolte e non invece
il Piovella in proprio come sostenuto dal medesimo e dallo
stesso on. Dell'Utri;
3) per quanto riguarda le pretese false dichiarazioni
rese da alcuni personaggi, dato e non concesso che le stesse
siano davvero menzognere, per coinvolgere l'onorevole
Dell'Utri in una vasta operazione di inquinamento probatorio
si sarebbe dovuto dimostrare dal P.M., ma non è stato fatto,
che il predetto parlamentare avesse avuto previamente un
qualsivoglia contatto con i medesimi per concordare con loro
le predette false dichiarazioni.
La Procura prende poi spunto da una sentenza di condanna
dell'on. Dell'Utri pronunciata dall'autorità giudiziaria di
Torino per desumere dalla motivazione della medesima la
"capacità di inquinamento probatorio del Dell'Utri in presenza
di una intensa e costante attività volta a rendere più
difficoltose e problematiche le investigazioni in corso".
Dato anche qui e non concesso che in quel processo
l'onorevole Dell'Utri abbia davvero posto in essere attività
di inquinamento, per giustificare nel nostro caso una misura
cautelare carceraria sul presupposto di un pericolo di
inquinamento probatorio sarebbe indispensabile che tale
pericolo fosse davvero concreto e non presunto, desunto o
addirittura indotto da altro processo.
La Procura poi riferisce che tale Leonardo Canino,
recatosi il giorno di capodanno del 1999 a casa del Chiofalo,
avrebbe visto costui sventolargli in faccia una quindicina di
banconote da lire 500.000 ciascuna. In quell'occasione il
Pag.50
Canino vide altresì le due ceste di frutta esotica portate il
giorno precedente dall'on. Dell'Utri.
Successivamente presso l'abitazione del Chiofalo fu
rinvenuta la somma in contanti di lire 80 milioni che la di
lui moglie giustificò come provento di una vendita immobiliare
risalente al 1994. E' poi risultato vero che il pagamento fu
effettuato in contanti per tale cifra. In una foto scattata il
31 dicembre 1998 davanti all'abitazione del Chiofalo
apparirebbe Gianfranco Piccolo, autista dell'on. Dell'Utri,
con una borsa in mano. Esibita tale foto al Piccolo che
precedentemente aveva escluso che l'on. Dell'Utri avesse
alcuna borsa, ammise poi che probabilmente l'aveva.
La Procura in funzione di ciò ipotizza che il 31 dicembre
1998 l'on. Dell'Utri abbia consegnato al Chiofalo una borsa
contenente la somma di lire 80 milioni.
Tale ragionamento rappresenta una mera ipotesi non
suffragata da alcun riscontro per i seguenti motivi:
1) Non vi è la prova certa che l'on. Dell'Utri abbia
portato e lasciato presso la casa del Chiofalo la famosa borsa
dal momento che la foto che la riprenderebbe appare ben poco
chiara.
2) Il Piccolo soltanto dopo che la Procura gli aveva
contestato che quella foto lo riprendeva con una borsa
dichiarò: "prendo atto della fotografia contraddistinta dal n.
29 che mi ponete in visione, dove effettivamente riconosco di
mettere in mano una borsa".
3) L'on. Dell'Utri si accorse al casello di Rimini sud
di essere oggetto di pedinamento. Sarebbe stato in tal caso
davvero un folle a consegnare una borsa contenente denaro al
Chiofalo dal momento che la stessa poteva venire
immediatamente sequestrata.
4) E' la stessa Procura che manifesta evidenti
perplessità:
"questa borsa non è stata rinvenuta nel corso delle
perquisizioni presso l'abitazione del Chiofalo; (...)
che ne ha fatto il Chiofalo? L'ha forse occultata o se
ne è disfatto e perché? Cosa conteneva la borsa?".
Conclusioni.
Abbiamo ritenuto di sottoporre all'aula una relazione
particolarmente lunga nella riportando i passaggi più
significativi dell'ordinanza del GIP e della memoria
dell'onorevole dell'Utri per consentire ai Colleghi di farsi
un'opinione personale ed individuale mettendo a confronto la
tesi dell'accusa e quella della difesa.
Confidando di aver svolto questo incarico con obbiettività
è ora nostro dovere assumere le conclusioni da sottoporre
all'Assemblea.
Delle circa trecento pagine dell'ordinanza del GIP
soltanto quattro sono dedicate alle cosiddette esigenze
cautelari la cui presenza giustificherebbe l'adozione della
misura al nostro esame.
In riferimento al capo "A", il GIP le limita in "gravi,
concrete esigenze di tutela della genuinità delle fonti di
prova" soprattutto, se non esclusivamente "in ragione della
reticenza manifestata da diversi soggetti, nel corso delle
dichiarazioni rese al Pubblico Ministero e dal palese
tentativo di inquinamento probatorio condotto dal
Piovella".
Come già detto, non può integrare l'ipotesi di "concreto
ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della
prova" non un fatto che si assume commesso dall'onorevole
Dell'Utri, magari contattando previamente i vari testimoni, ma
la loro eventuale reticenza od il tentativo di inquinamento di
prove (sarebbe il caso del Piovella), commesso eventualmente
da uno di essi senza intervento alcuno da parte del deputato
indagato.
Ricordiamo altresì che i fatti risalgono a oltre 7 anni fa
e che la Procura della Repubblica di Palermo ha atteso oltre 2
anni dalle iniziali dichiarazione del Garaffa per chiedere la
misura cautelare carceraria per l'onorevole Dell'Utri che il
Pag.51
GIP ha limitato a 4 mesi. Si tratta all'evidenza di una misura
tardivamente disposta e non necessaria.
Per quanto riguarda la calunnia di cui al capo "C",
parimenti il GIP adduce la sussistenza di "un concreto
pericolo per la conservazione della genuinità delle fonti di
prova" nonché "un concreto pericolo di reiterazione del
reato".
Il GIP assume "che il pericolo di reiterazione del reato
risulta particolarmente grave in ragione anche dello status
istituzionale del Dell'Utri, deputato della Repubblica, che
gli fornisce una capacità di manovra certamente superiore a
quella del comune cittadino e che l'evidenziato pericolo
risulta particolarmente concreto in ragione della sazi
personalità, quali emergono dai comportamenti esaminati".
La Camera dovrà esprimersi sul fatto che un deputato della
Repubblica, chiunque esso sia, debba, proprio perché tale e
per precisa specificità soggettiva, presumersi di pericolo per
l'inquinamento delle prove e per la reiterazione dei reati.
Per quanto riguarda il pericolo di inquinamento probatorio
il GIP lo collega ai contatti telefonici intervenuti tra
l'onorevole Dell'Utri ed il Cirfeta ed agli incontri avuti dal
deputato con il Chiofalo quando già si era consumata la
pretesa attività calunniatoria posta in essere da questi due
collaboranti senza alcuna preliminare intesa con l'onorevole
Dell'Utri medesimo.
E' più credibile la tesi accusatoria secondo cui
l'onorevole Dell'Utri andava a concorrere in un reato di
calunnia già posto in essere, oppure la tesi difensiva secondo
cui il parlamentare, contattato dai due predetti pentiti,
cercava di verificare la loro attendibilità per poterli citare
come testimoni nel processo a suo carico a Palermo?
Il vecchio codice di procedura penale prevedeva la
necessità di "sufficienti" indizi di colpevolezza per
l'adozione di misure cautelari mentre, per quello attualmente
in vigore gli indizi non devono essere più sufficienti ma
"gravi" e cioè indizi di maggior consistenza.
Un indizio può essere "sufficiente" sostenere l'accusa ma
non per poter disporre la custodia cautelare.
Per la Suprema Corte (cfr. Cass. S.U. 21 aprile 1995,
Cass. 25 ottobre 1995 e Cass. 15 maggio 1992 n. 1198) gli
indizi debbono essere tali che consentano di pervenire ad un
giudizio di alta probabilità di commissione del reato e di
attribuibilità all'indagato. Occorre pertanto, cosi come
insegna la Suprema Corte, un prudente apprezzamento del
Magistrato.
Noi non vogliamo credere alla congiura prospettata
dall'On. Dell'Utri ed in qualche modo da lui anche
documentata, ma è certo che da parte della magistratura
palermitana sia mancato quel "prudente apprezzamento" che da
più parti si è ritenuto risolversi in un vero e proprio
accanimento giudiziario nei suoi confronti, con cui si sono
trasformati semplici indizi in gravi indizi, tali da
determinare la di lui custodia cautelare.
Il GIP assume che nella specie le esigenze cautelari
sarebbero quelle previste dalla lettera a) (pericolo di
inquinamento delle prove) e dalla lettera c) (pericolo
di reiterazione dei reati) dell'articolo 274 c.p.p.
La Corte di cassazione ha statuito che "in tema di misure
cautelari il pericolo per l'acquisizione e la genuinità della
prova deve essere concreto e va identificato in tutte quelle
situazioni in cui si possa desumere secondo la regola
dell' id quod plerunque accidit, che l'indagato possa
realmente turbare il processo formativo della prova
ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti. E'
necessario che il giudice indichi con riferimento all'indagato
le specifiche circostanze di fatto con le quali è desunto e
fornisca sul punto adeguata e logica motivazione" (Cass. n.
1460 del 19 aprile 1995). Tutto ciò nel caso dell'onorevole
dell'Utri non è però accaduto.
Come già detto, si è sostenuto che se non saremmo in
presenza di una congiura ci troveremmo però di fronte ad un
effettivo accanimento giudiziario che sulla base di semplici
indizi e in assenza di esigenze cautelari serie potrebbe anche
integrare il fumus persecutionis in funzione del quale
la richiesta di arresto non potrebbe che venire respinta.
Pag.52
Ricordiamo che sono stati peraltro numerosi (oltre
cinquanta) i casi di richiesta di arresto nei confronti di
deputati nel corso delle varie legislature. Di quelli
sottoposti alla valutazione della Camera dei deputati,
soltanto quattro hanno visto l'accoglimento della richiesta di
arresto formulata nei confronti di deputati. In tutti gli
altri casi la richiesta non è stata accolta. Poiché il tema
prevalente del nostro dibattito riguarderà l'esistenza e la
necessità di un fumus persecutionis per poter giungere
al diniego dell'arresto, crediamo sia nostro dovere rassegnare
ai colleghi della Camera un convincimento che nasce
dall'attenta lettura delle carte. Solo in due o tre casi,
rispetto agli oltre cinquanta in cui è stata respinta la
richiesta di arresto, la motivazione che la Giunta ha portato
all'Assemblea e che quest'ultima ha poi accolto, faceva
riferimento al fumus persecutionis. Negli altri casi,
quindi nella stragrande maggioranza, la ragione addotta dalla
Camera per respingere l'autorizzazione all'arresto del
parlamentare è stata basata su altre argomentazioni. Non
dobbiamo tra l'altro dimenticare che il fumus
persecutionis, ha comunque avuto applicazione nei confronti
delle richieste di autorizzazione a procedere che fino al 1993
necessariamente si accompagnavano anche alla richiesta di
arresto. Accanto alla richiesta di autorizzazione a procedere,
contestualmente giungeva alla Camera, ove si trattasse di casi
in cui il mandato di cattura fosse obbligatorio o comunque
qualora la magistratura lo ritenesse necessario, la richiesta
di poter procedere nel procedimento penale anche con
l'arresto. In assenza del fumus persecutionis veniva
concessa l'autorizzazione a procedere ma nonostante ciò veniva
respinta la richiesta di arresto non ritenendosi pertanto il
predetto fumus necessario al fine di negare
l'autorizzazione all'arresto medesimo. Esaminando i casi ad
uno ad uno, ci accorgiamo - come dicevamo prima - che tale
criterio non è praticamente mai stato utilizzato. Al
contrario, le ragioni che hanno indotto la Camera a respingere
in quasi tutti i casi (indicheremo in quali non è stato così)
la richiesta della magistratura hanno trovato il loro
fondamento nell'esigenza di salvaguardare l'integrità numerica
della Camera stessa. In altri casi si è ritenuto tollerabile
un sacrificio dell'interesse di giustizia.
Intendiamo cioè sostenere che la contrapposizione che vede
da un lato il Parlamento e dall'altro la magistratura, un
risultato che suona come sconfitta per l'uno o per l'altro, o
come delegittimazione della magistratura o del Parlamento, non
ha mai trovato accoglimento in quest'aula. I soli casi in cui
l'autorizzazione a procedere è stata accolta avevano di
particolare (questo è un dato fondamentale che sottoponiamo
alla vostra attenzione) la eccezionale gravità dei reati
contestati al Parlamentare. All'onorevole Moranino venivano
contestati i reati di omicidio continuato e doppiamente
aggravato, occultamento continuato e aggravato di cadavere,
tentato omicidio continuato. All'onorevole Saccucci venivano
contestati, tra gli altri i reati di omicidio e tentato
omicidio. L'onorevole Antonio Negri doveva rispondere, tra gli
altri dei reati di insurrezione armata contro i poteri dello
Stato, formazione e partecipazione a più bande armate,
promozione, costituzione, organizzazione e direzione di
associazioni sovversive, sequestro di più persone pluri
aggravato, devastazione e saccheggio aggravati. Per
l'onorevole Abbattangelo si trattò invece di dare esecuzione
ad una sentenza irrevocabile e fa quindi una decisione
sostanzialmente dovuta.
Questi che ho richiamato sono stati gli unici casi in cui
la Camera ha ritenuto di far prevalere l'interesse di
giustizia - a che cioè il provvedimento del magistrato potesse
avere corso - sull'altro interesse, ugualmente
costituzionalmente protetto, che è quello del mantenimento del
proprio plenum.
Quindi, il problema non è di porre il voto di ciascuno di
noi in alternativa all'azione dci magistrati; si può
rispettarla e si può essere tranquillamente fiduciosi che i
magistrati facciano la loro opera, si può pensare che essi
l'abbiano svolta al meglio e contemporaneamente, come quasi
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sempre è avvenuto, negare l'autorizzazione all'arresto. E
fonte di confusione sostenere che il nostro operato debba
essere in contrapposizione a qualcuno.
Dobbiamo allora valutare in questa sede se gli elementi
che i magistrati ci hanno rassegnato integrino i requisiti
previsti dall'articolo 274 c.p.p., se ci indichino indizi ed
elementi di colpevolezza tali da rendere inderogabile
l'arresto e se i reati commessi siano di particolare gravità.
Questo dobbiamo valutare e contrapporlo all'esigenza che,
salvo casi eccezionali questa Camera deve poter decidere con
il numero complessivo che gli elettori hanno stabilito in
ossequio alla Costituzione.
Riteniamo che nel caso specifico non ci siano stati
forniti né indirizzi né elementi di colpevolezza così
evidenti, schiaccianti e chiari - si potrebbe addirittura
sostenere il contrario -, da far venir meno quell'esigenza di
mantenimento del plenum e, ancor di più riteniamo che non
sussistano gli elementi indicati nell'articolo 274 c.p.p. e
neanche quelli di cui al terzo comma dell'articolo 275
c.p.p.
Il caso dell'on. Dell'Utri è senz'altro simile a quello
degli oltre 50 parlamentari - semmai, è molto meno grave - per
i quali questo Parlamento ha rifiutato di concedere
l'autorizzazione all'arresto richiesta dalla magistratura,
mentre è assai dissimile dai casi di Moranino, di Toni Negri e
di Saccucci per i quali, in via del tutto eccezionale, il
Parlamento concesse tale autorizzazione.
Anche a prescindere dal complesso degli argomenti sopra
esposti, come è stato giustamente rilevato in Giunta dall'on.
Ceremigna, ci troviamo di fronte ad una evidente sproporzione
tra la misura cautelare adottata nei confronti dell'on.
Dell'Utri e i reati a lui contestati.
La Giunta propone quindi all'Assemblea di non concedere
l'autorizzazione all'arresto nei confronti dell'onorevole
Dell'Utri.
Filippo BERSELLI, Relatore
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