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Domande di autorizzazioni a procedere della XIII Legislatura

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18
DOC4-0017
DOC IV n. 17 Legisl. XIII
09-03-99 [ DOC13-4-17 DO C134 0017 13DOC4 00017 DOC13-4-17A 13DOC4 00017 A 000700532 DOC4 00017 000004 001700000101000717SI1 7 000101005335SI1 53 0000 00 00 ]
           DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE
              DI ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE
                  nei confronti del deputato
                          DELL'UTRI
   nell'ambito di un procedimento penale pendente nei suoi
  confronti (5222/97) e in relazione ai seguenti capi di
  imputazione: per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del
  codice penale - nel reato di cui agli articoli 56 e 629, primo
  e secondo comma, quest'ultimo in relazione all'articolo 628,
  comma terzo, nn. 1 e 3, dello stesso codice (estorsione
  tentata ed aggravata); per concorso - ai sensi dell'articolo
  110 del codice penale - nel reato di cui agli articoli 61 n.
  2, 81 capoverso e 368 dello stesso codice e 7 del
     decreto-legge n. 152 del 1998 (calunnia aggravata).
          TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
             PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
                       il 9 marzo 1999
 
                              Pag.2
 
  All'onorevole Presidente
  della Camera dei Deputati
                                                          Roma
                                        Palermo, 8 marzo 1999.
  Oggetto: Richiesta di autorizzazione all'arresto
  dell'onorevole Marcello Dell'Utri.
     Con ordinanza del 5 marzo 1999 il G.I.P. del Tribunale di
  Palermo ha disposto la custodia cautelare in carcere di Buffa
  Michele ed altre sette persone, tra cui l'onorevole Marcello
  Dell'Utri, indagate per vari reati.
     All'onorevole Dell'Utri sono ascritti, in particolare, i
  delitti di estorsione tentata ed aggravata e di calunnia
  aggravata, in concorso sempre con altri soggetti.
     In data odierna mi è pervenuta, da parte del Procuratore
  della Repubblica presso il Tribunale di Palermo, la richiesta
  di autorizzazione all'esecuzione della predetta misura
  cautelare, giusta nota che allego, accludendo anche la
  relativa documentazione che mi è stata fatta pervenire per
  l'inoltro alla S.V.
     Con i sensi della più alta considerazione.
                        Il Procuratore
                  Generale della Repubblica
                       Vincenzo Rovello
                                         Palermo, 8 marzo 1999
  Al Sig.  Procuratore generale
  della Repubblica presso la Corte di appello di Palermo
     Mi pregio inviare, per quanto di Sua competenza,
  l'allegato plico contenente ordinanza di custodia cautelare
  emessa dal Giudice per le indagini preliminari presso il
  Tribunale di Palermo, nonché richiesta di autorizzazione
  all'arresto nei confronti dell'onorevole Marcello Dell'Utri,
  diretta al Presidente della Camera dei Deputati.
                        Il Procuratore
                       della Repubblica
                      Gian Carlo Caselli
 
                              Pag.3
 
                   PROCURA DELLA REPUBBLICA
                PRESSO IL TRIBUNALE DI PALERMO
               DIREZIONE DISTRETTUALE ANTIMAFIA
  Procedimento penale n. 5222/97 R.G.N.R.
  RICHIESTA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE DI ORDINANZA DI
  CUSTODIA CAUTELARE NEI CONFRONTI DELL'ON.  MARCELLO
                          DELL'UTRI
  All'onorevole PRESIDENTE della CAMERA dei DEPUTATI
                                                          ROMA
                    IL PUBBLICO MINISTERO
      Letti gli atti del procedimento penale n. 5222/97
  R.G.N.R. a carico dei seguenti indagati:
      1) BUFFA Michele, nato a Trapani il 9 dicembre 1937;
      2) CHIOFALO Giuseppe, nato a Castroreale Terme (Messina)
  il 16 giugno 1950;
      3) CIRFETA Cosimo, nato a Copertino (Lecce) il 23
  novembre 1965;
      4) D'AGOSTINO Fabio, nato a Palermo il 29 marzo 1974;
      5) D'AGOSTINO Rosario, nato a Roncà (Verona) il 6 marzo
  1945;
      6) DELL'UTRI Marcello, nato a Palermo l'11 settembre
  1941;
      7) DI GRUSA Enrico, nato a Palermo il 28 dicembre
  1967;
      8) MANGANO Vittorio, nato a Palermo il 18 agosto 1940;
      9) VIRGA Vincenzo, nato ad Erice l'11 settembre 1936.
                           INDAGATI
  BUFFA Michele, DELL'UTRI Marcello e VIRGA Vincenzo:
      1) Estorsione tentata ed aggravata in concorso (articoli
  56, 110, 629 primo e secondo comma, quest'ultimo in relazione
  all'articolo 628 comma terzo n. 1 e 3, Codice Penale), per
  avere l'onorevole DELL'UTRI, nella qualità di Presidente della
  società "PUBLITALIA '80", interponendosi tra l'associazione
  sportiva "PALLACANESTRO TRAPANI" (ed in specie il suo
  Presidente, senatore Vincenzo GARRAFFA) e la società "BIRRA
 
                              Pag.4
 
  MESSINA" del gruppo DREHER-HEINEKEN, posto in essere una serie
  di atti, tutti diretti in modo non equivoco a commettere il
  delitto di estorsione, non riuscendo a commetterlo per cause
  indipendenti dalla propria volontà ed in particolare per
  avere:
        richiesto una somma pari al 50 per cento del contratto
  di sponsorizzazione intervenuto tra queste due ultime società,
  e cioè a circa lire 800.000.000 (800 milioni) - contro una
  somma ordinariamente dovuta in questi casi pari a circa il 10
  per cento dell'importo della sponsorizzazione - ed, al rifiuto
  del GARRAFFA e degli organismi dirigenti della associazione
  sportiva "PALLACANESTRO TRAPANI" di rendere tale somma,
  minacciato in primo luogo DELL'UTRI Marcello il GARRAFFA,
  pronunziando la frase: "Io le consiglio di ripensarci.  Abbiamo
  uomini e mezzi che la possono convincere a cambiare
  opinione";
        successivamente utilizzato l'onorevole DELL'UTRI i suoi
  duraturi contatti con l'associazione mafiosa denominata "Cosa
  Nostra", ottenendo che VIRGA Vincenzo, Rappresentante del
  Mandamento di Trapani e BUFFA Michele, associato mafioso della
  Famiglia di Trapani insistessero per ottenere il pagamento
  dell'intera somma illecitamente richiesta anche tramite
  minacce che il VIRGA ed il BUFFA rivolsero al GARRAFFA, a
  mezzo di un contatto diretto, nel corso del quale il VIRGA,
  esponente di vertice di "Cosa Nostra", chiedeva al GARRAFFA di
  "risolvere il problema" per il suo "amico" Marcello
  DELL'UTRI;
        costringendo, così, il GARRAFFA - per il tramite del
  VIRGA e del BUFFA - a ricercare, anche a mezzo di Valentino
  RENZI, allora manager sportivo della associazione
  "PALLACANESTRO TRAPANI", ulteriori risorse finanziarie da
  destinare alle richieste dell'onorevole DELL'UTRI, al quale
  era già stata versata (anche per il tramite del PIOVELLA) la
  somma di 170 milioni di lire.
        proseguendo nell'opera estorsiva l'onorevole DELL'UTRI
  intervenendo sugli operatori del mercato delle
  sponsorizzazioni (ed, in specie, sulle possibili aziende
  sponsorizzatrici) per "convincerle" a non sponsorizzare la
  società PALLACANESTRO TRAPANI per l'annata sportiva 1991-1992,
  così costringendo la detta società (in quell'anno nella
  massima serie di pallacanestro maschile) a partecipare senza
  alcuno sponsor al campionato medesimo e ciò al chiaro fine di
  costringere il detto GARRAFFA e la società PALLACANESTRO
  TRAPANI, a versare le somme illecitamente richieste.
      Con la consapevolezza che tutto ciò avrebbe portato ad
  ingiusto profitto del detto DELL'UTRI e di soggetti a lui
  comunque riferibili e/o terzi (in specie appartenenti alla
  società "BIRRA MESSINA");
      Commesso in Trapani, Palermo e Milano, dal 1990 al
  1993.
  D'AGOSTINO Rosario (detto "Saro"), D'AGOSTINO Fabio, DI GRUSA
  Enrico, MANGANO Vittorio (in concorso con DELL'UTRI Marcello,
  LA PIANA Vincenzo, CUCUZZA Salvatore e ZERBO Giovanni):
 
                              Pag.5
 
      2) Partecipazione ad associazione per delinquere diretta
  al traffico internazionale di sostanze stupefacenti (articolo
  74 decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n.
  309), per essersi associati LA PIANA Vincenzo, MANGANO
  Vittorio (anche dopo la sua incarcerazione, avvenuta il 4
  aprile 1995) e DI GRUSA Enrico, in concorso con D'AGOSTINO
  Saro (che assicurava l'appoggio logistico in Colombia) al fine
  di organizzare una serie indeterminata di traffici
  internazionali (Colombia-Italia) di cocaina:
        apprestando i primi tre una parte dei mezzi economici
  necessari a tal fine (nella specie, per i primi 100
  chilogrammi di cocaina era previsto il pagamento di 2 miliardi
  e 500 milioni di lire, pari a 25 milioni di lire al
  chilogrammo);
        provvedendo, inoltre, a contattare a Palermo la
  famiglia mafiosa di "Porta Nuova" - ed, in specie, CUCUZZA
  Salvatore, allora capo-famiglia (direttamente e per il tramite
  di ZERBO Giovanni) - "famiglia" di cui fa parte anche MANGANO
  Vittorio e cui sono associati anche LA PIANA Vincenzo e DI
  GRUSA Enrico, ed ottenendo da questi soggetti un "anticipo"
  sulle prime spese;
        provvedendo, altresì, a contattare a Milano DELL'UTRI
  Marcello (alla presenza degli associati mafiosi CURRO'
  Antonino e SARTORI Natale) per il reperimento del 50 per cento
  della somma come sopra determinata (e quindi, per reperire la
  somma di 1 miliardo e 250 milioni di lire circa);
        nonché concorrendo ad ideare e porre in essere tutte le
  condizioni necessarie per l'importazione della cocaina dalla
  Colombia, concorrendo in tali condotte e partecipando alla
  associazione anche D'AGOSTINO Fabio (figlio di Rosario) e tale
  "Emanuele", ancora non identificato, non realizzando - almeno
  sino al 1996 - le importazioni della sostanza stupefacente,
  unicamente a causa dei ripetuti arresti compiuti dalle forze
  dell'ordine nei confronti di MANGANO Vittorio, CUCUZZA
  Salvatore, ZERBO Giovanni e D'AGOSTINO Saro, quest'ultimo
  arrestato all'aeroporto di Fiumicino proprio mentre
  trasportava un ingente quantitativo di cocaina dalla Colombia
  in Italia.
      Commesso in Palermo, Milano ed in Caracas, oltre che in
  altre località del territorio nazionale ed estero,
  dall'ottobre del 1995 sino a tutto il 1996.
  CHIOFALO Giuseppe, CIRFETA Cosimo, DELL'UTRI Marcello:
      3) Calunnia aggravata in concorso (reato p. e p. dagli
  articoli 110, 61 n. 2, 81 cpv. 2, 368 c.p. e 7 decreto-legge
  n. 152/91), perché, in concorso fra loro, al fine di agevolare
  l'associazione di tipo mafioso denominata Cosa Nostra (in
  particolare, contribuendo a screditare e delegittimare alcuni
  importanti collaboratori di giustizia dissociatisi da Cosa
  Nostra), ed i primi due anche al fine di assicurare l'impunità
  a DELL'UTRI Marcello, imputato davanti al Tribunale di Palermo
  per il reato di cui agli articoli 110 e 416-bis c.p.,
  incolpavano - pur sapendoli innocenti - del delitto di
  calunnia aggravata in concorso i collaboratori di giustizia DI
  CARLO Francesco, GUGLIELMINI Giuseppe e ONORATO Francesco,
 
                              Pag.6
 
  agendo in concorso con altri, e con più azioni esecutive del
  medesimo disegno criminoso, in particolare accusandoli
  falsamente di essersi inventati false accuse nei confronti del
  predetto DELL'UTRI Marcello ed altri concernenti presunte
  collusioni di questi ultimi con Cosa Nostra, nonché di avere
  proposto al CIRFETA Cosimo di inventarsi false accuse di
  analogo contenuto al fine di confermare le loro dichiarazioni,
  commettendo tale reato il CIRFETA nell'inoltrare a varie
  Autorità numerose missive contenenti le predette accuse, che
  poi confermava in dichiarazioni rese a personale della polizia
  penitenziaria e CHIOFALO Giuseppe e DELL'UTRI Marcello
  nell'istigare il CIRFETA alla commissione di detto reato e nel
  rafforzarlo nel suo proposito criminoso anche tentando -
  unitamente al CIRFETA - di convincere altri collaboratori a
  confermarne le accuse.
      Commesso in Paliano, Palermo ed altre località del
  territorio nazionale il 27 luglio 1997, ed in data anteriore e
  successiva.
                           RILEVATO
      che su richiesta di questo Ufficio il G.I.P. presso il
  Tribunale di Palermo in data 5 marzo 1999, ha emesso una
  ordinanza di custodia cautelare in carcere nei confronti
  dell'onorevole Marcello DELL'UTRI, attuale membro della Camera
  dei Deputati riconoscendo la sussistenza dei gravi indizi di
  colpevolezza per i reati di cui ai capi A) e C), in premessa
  analiticamente specificati nonché la ricorrenza delle esigenze
  cautelari previste dall'articolo 275 c.p.p.;
                         CONSIDERATO
      che a norma dell'articolo 68 della Costituzione alla
  stregua dell'interpretazione recentemente fornita dal
  Parlamento, deve ritenersi che - pur in assenza di una
  normativa attuativa specifica - l'autorizzazione a procedere
  concerna l'eseguibilità del provvedimento limitativo della
  libertà personale gia emesso dal competente Giudice per le
  Indagini Preliminari, l'unico organo legittimato a valutare la
  sussistenza dei presupposti previsti dagli articoli 273 e 274
  c.p.p. anche nei confronti di un parlamentare;
      che, pertanto, si rende necessario trasmettere copia dei
  relativi atti al Presidente della Camera per il seguito di
  competenza ai sensi dell'articolo 68 della Costituzione, in
  ordine alla autorizzazione ad eseguire nei confronti
  dell'onorevole Marcello DELL'UTRI la misura della custodia
  cautelare in carcere disposta dal competente G.I.P. con
  ordinanza del 5 marzo 1999;
      visti gli articoli 68 della Costituzione e 343 e 344
  c.p.p.
 
                              Pag.7
 
                           P. Q. M.
                            CHIEDE
      al signor Presidente della Camera dei Deputati
  l'autorizzazione all'esecuzione della misura della custodia
  cautelare nei confronti dell'onorevole Marcello DELL'UTRI
  disposta dal competente G.I.P. con ordinanza del 5 marzo
  1999.
      Palermo, 8 marzo 1999.
          I sostituti procuratori della Repubblica:
                        Domenico Gozzo
                       Antonio Ingroia
                       Mauro Terranova
                           Lia Sava
                      Umberto De Giglio
             Il procuratore della Repubblica agg.
                        Guido Lo Forte
               Il procuratore della Repubblica
                      Gian Carlo Caselli
 
                    RELAZIONE DELLA GIUNTA
        PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
                  (Relatore:  BERSELLI) 
                            sulla
           DOMANDA DI AUTORIZZAZIONE ALL'ESECUZIONE
              DI ORDINANZA DI CUSTODIA CAUTELARE
                  nei confronti del deputato
                          DELL'UTRI
  nell'ambito di un procedimento penale pendente nei suoi
  confronti (5222/97) e in relazione ai seguenti capi di
  imputazione: per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del
  codice penale - nel reato di cui agli articoli 56 e 629, primo
  e secondo comma, quest'ultimo in relazione all'articolo 628,
  comma terzo, nn. 1 e 3, dello stesso codice (estorsione
  tentata ed aggravata); per concorso - ai sensi dell'articolo
  110 del codice penale - nel reato di cui agli articoli 61 n.
  2, 81 capoverso e 368 dello stesso codice e 7 del
     decreto-legge n. 152 del 1998 (calunnia aggravata).
          TRASMESSA DAL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA
             PRESSO LA CORTE D'APPELLO DI PALERMO
                       il 9 marzo 1999
         Presentata alla Presidenza il 9 aprile 1999
 
                              Pag.2
 
     Onorevoli Colleghi! - Il Giudice per le Indagini
  Preliminari presso il Tribunale di Palermo Dott. Gioacchino
  Scaduto con propria ordinanza 05/03/1999 ha disposto la
  custodia cautelare in carcere di Buffa Michele, e di altre 7
  persone, tra cui l'onorevole Marcello Dell'Utri indagate per
  vari reati.
     All'onorevole Dell'Utri sono ascritti, in particolare, i
  delitti di estorsione tentata ed aggravata e di calunnia
  aggravata, in concorso sempre con altri soggetti.
     L'8 marzo successivo il Procuratore della Repubblica
  presso il Tribunale di Palermo Dott. Gian Carlo Caselli
  trasmetteva al Procuratore Generale della Repubblica presso la
  locale Corte d'Appello il plico contenente la predetta
  ordinanza nonché richiesta di autorizzazione all'arresto nei
  confronti dell'onorevole Marcello Dell'Utri, diretta al
  Presidente della Camera dei Deputati.  In pari data il
  Procuratore Generale Dott. Vincenzo Rovello rimetteva al
  Presidente della Camera dei Deputati l'ordinanza di cui sopra
  nonché la richiesta di autorizzazione all'esecuzione della
  misura cautelare accludendo anche la relativa
  documentazione.
     Come si evince dalla ordinanza del G.I.P. Dott. Scaduto,
  all'onorevole Dell'Utri sono contestate tre distinte ipotesi
  di reato:
       a)  Estorsione tentata ed aggravata in concorso.  In
  Trapani, Palermo e Milano dal 1990 al 1993.
       b)  Partecipazione ad associazione per delinquere
  diretta al traffico internazionale di sostanze stupefacenti.
  In Palermo, Milano e Caracas oltre che in altre località del
  territorio nazionale ed estero dall'ottobre del 1995 sino a
  tutto il 1996.
       c)  Calunnia aggravata in concorso.  In Paliano,
  Palermo ed in altre località del territorio nazionale il
  27/07/1997 ed in data anteriore e successiva.
     Per i reati di cui ai capi "a" e "c" è stata disposta dal
  GIP la custodia cautelare, rispettivamente per quattro mesi ed
  a tempo indeterminato, per quello di cui al capo "b", tale
  misura non è stata disposta.
     Il GIP riferisce che in data 22/10/1996 la Procura della
  Repubblica di Palermo, Direzione Distrettuale Antimafia,
  chiedeva che fosse emesso nei confronti dell'onorevole
  Dell'Utri, già presidente della società Publitalia 80 ed
  attuale deputato del Parlamento italiano, decreto di rinvio a
  giudizio per rispondere del delitto di concorso esterno in
  associazione mafiosa.
     Il G.I.P. ricorda che dal ponderoso materiale
  investigativo raccolto dall'accusa era emerso a carico
  dell'onorevole Dell'Utri un complesso quadro indiziario che ne
  delineava duraturi collegamenti, risalenti agli anni 60, con
  l'associazione mafiosa "Cosa Nostra" perpetuatisi e
  consolidatisi, in un più generale quadro di reciproci
  interessi e scambio di favori, contestualmente alla crescita
  ed alla affermazione dell'onorevole Dell'Utri, quale esponente
  del mondo imprenditoriale e finanziario milanese, prima, e
  quale esponente del mondo politico, dopo.
     Il G.I.P. ricorda altresì che in data 19/05/1997
  l'onorevole Dell'Utri veniva rinviato a giudizio per
  rispondere di tutti i delitti al medesimo iscritti.
     Il processo in questione è tuttora in trattazione davanti
  al Tribunale di Palermo.
 
                              Pag.3
 
  Sul capo "B" "Partecipazione ad associazione per
  delinquere diretta al traffico internazionale di sostanze
  stupefacenti".
     L'ordinanza oggetto del nostro esame, invertendo l'ordine
  seguito dal P.M., affronta come primo punto la vicenda di cui
  al capo  b)  delle imputazioni, che trae origine dalle
  dichiarazioni rese in più riprese da tale La Piana Vincenzo,
  trafficante di stupefacenti, nipote acquisito del boss mafioso
  Gerlando Alberti, e, tramite questi, in stretti rapporti con
  altri esponenti mafiosi ed in particolare con Mangano
  Vittorio.
     Il G.I.P. fa presente che da tali dichiarazioni non è
  scaturito a carico dell'onorevole Dell'Utri, diversamente da
  quanto avvenuto per altri coindagati, un compendio indiziario
  definibile come grave in relazione al delitto di associazione
  a delinquere finalizzata al traffico di stupefacenti, delitto
  per il quale infatti il P.M. non ha avanzato nei suoi
  confronti alcuna richiesta.  Tuttavia dette dichiarazioni e le
  indagini che ne sono scaturite hanno, ad avviso del G.I.P.,
  certamente arricchito ed ulteriormente precisato, nei
  riferimenti temporali, il quadro indiziario già emerso a
  carico dell'onorevole Dell'Utri nel procedimento concernente
  il reato associativo, come già detto attualmente in
  trattazione davanti al Tribunale Penale di Palermo, e di tale
  arricchimento dovrà necessariamente tenersi conto all'atto
  della valutazione della gravità degli indizi e delle esigenze
  cautelari connesse ai delitti al medesimo contestati ai capi
  a)  e  c). 
     Il nucleo essenziale del quadro probatorio è quindi
  costituito dalle propalazioni del collaboratore La Piana che,
  pur non avendo fatto parte di Cosa Nostra ma avendone
  conosciuto uomini, azioni e vicende in ragione del suo
  rapporto di parentela con l'Alberti ed in ragione del suo
  pieno inserimento in uno specifico settore, quello del
  traffico di tabacchi prima e del traffico di stupefacenti
  dopo, in cui maggiormente attiva era l'organizzazione ed
  avendo ammesso di avere partecipato a pieno titolo
  all'associazione finalizzata ai predetti traffici illeciti, ha
  dato dimostrazione di volersene dissociare riferendo
  all'Autorità Giudiziaria e di Polizia non soltanto ciò che lo
  riguardava personalmente ma anche fatti e circostanze relativi
  alla vita ed alla struttura dell'associazione e denunciando
  crimini e responsabilità individuali di altri associati.
     Secondo il G.I.P., le dichiarazioni rese dal collaboratore
  di giustizia La Piana Vincenzo sarebbero state puntualmente
  riscontrate dalle convergenti dichiarazioni di altri
  "attendibili" collaboranti (ed in specie Cucuzza Salvatore e
  Zerbo Giovanni) e dall'esito dell'attività di riscontro, di
  intercettazione telefonica e dinamica sul territorio.
     Le dichiarazioni di La Piana avrebbero dimostrato
  l'attualità dei rapporti intrattenuti dall'onorevole Dell'Utri
  con personaggi organicamente inseriti nell'associazione
  mafiosa Cosa Nostra o comunque stabilmente collegati a tale
  sodalizio criminale; il coinvolgimento dell'onorevole
  Dell'Utri in attività criminali di particolare gravità (nella
  specie progettazione ed organizzazione di traffici
  internazionali di stupefacenti); la realizzazione da parte
  dell'onorevole Dell'Utri di iniziative finalizzate ad
  agevolare Mangano Vittorio (esponente di vertice di Cosa
  Nostra e possibile teste a suo carico nel processo in corso a
  Palermo) onde ottenere la revoca dello stato di detenzione o,
  quantomeno, un alleggerimento del regime carcerario sofferto
  dal Mangano; l'organizzazione da parte dell'onorevole
  Dell'Utri di attività dirette ad inquinare le fonti probatorie
  raccolte dagli organi inquirenti.
     Il G.I.P. ricorda ancora che il La Piana, in virtù del
  rapporto intrattenuto con Gerlando Alberti (comprovato dai
  numerosi colloqui con lui avuti nelle strutture carcerarie in
  cui era ristretto), avrebbe avuto modo di conoscere ed
  intrattenere rapporti personali con numerosi esponenti di
  rilievo di Cosa Nostra, tra cui i fratelli Fidanzati,
  Francesco Marino Mannoia, Salvatore Contorno, Tommaso
  Buscetta, i fratelli Bono, Pippo Calò ed altri.  Anche in tempi
  recenti, dopo la sua scarcerazione definitiva avvenuta
  l'8/7/1994, il La Piana avrebbe mantenuto rapporti con i
  reggenti del mandamento mafioso di Porta Nuova, Mangano
  Vittorio e Cucuzza Salvatore.
 
                              Pag.4
 
     Tali vicissitudini gli consentivano di acquisire un
  consistente patrimonio di informazioni sugli appartenenti
  all'associazione mafiosa e sulle attività illecite da loro
  poste in essere; come emergeva con tutta evidenza sin
  dall'inizio della sua collaborazione con la giustizia.
     A partire dalla pagina 24 dello stampato il G.I.P. riporta
  le varie dichiarazioni rese dal La Piana (dal primo
  interrogatorio del 03/12/1997 all'ultimo del 13/03/1998).  In
  questa sede riteniamo opportuno richiamare soltanto i passaggi
  che, coinvolgendo l'onorevole Dell'Utri, assumono rilievo ai
  fini della nostra indagine.
     Nei primi interrogatori si evincono i rapporti tra La
  Piana e Mangano Vittorio ed il genero di quest'ultimo Di Grusa
  Enrico che, subito dopo l'arresto del suocero, avvenuto
  nell'aprile del 1995, si adopera per ottenerne il
  trasferimento dal carcere di Pianosa ad altra struttura,
  ricordando i molteplici interventi effettuati da tale Avv.
  Crasta, che vantava particolari amicizie con determinati
  magistrati operanti all'interno del Ministero di Grazia e
  Giustizia.
     Nel corso dell'interrogatorio del 05/11/1997 il La Piana
  menziona per la prima volta l'onorevole Marcello Dell'Utri
  come la persona che, dopo l'Avv.  Crasta, era stata interessata
  da Enrico Di Grusa per ottenere il trasferimento ed,
  addirittura, la scarcerazione del suocero Mangano Vittorio.
  Ciò avvenne durante un viaggio verso Milano allorché il Di
  Grusa gli disse che sarebbero "andati da Dell'Utri, che
  dovevano parlare con lui" il quale "si sarebbe interessato
  della cosa (cioè del trasferimento di Mangano)".
     Nel corso di tale interrogatorio il La Piana ricorda che
  il giorno successivo era stato fissato un appuntamento alle
  ore 12.30 in un ristorante vicino a Piazzale Corvetto.
  All'appuntamento si trovavano già due persone che il La Piana
  non conosceva, uno dei quali si faceva chiamare "Nino".
  Entrambi erano "amici" di Mangano mentre il La Piana fu
  presentato come nipote di Gerlando Alberti.
     Dopo qualche tempo arrivò con la sua auto con autista
  l'onorevole Dell'Utri.  Ci furono le presentazioni e, secondo
  il collaboratore, Dell'Utri già conosceva le due persone di
  cui sopra così come Enrico Di Grusa.  Soltanto il La Piana non
  era da lui conosciuto tant'è che l'onorevole Dell'Utri,
  indicandolo, chiese a Di Grusa se fosse stato lui la persona
  di cui gli avevano parlato.  L'onorevole Dell'Utri aveva
  fretta, non si fermò a pranzo e rimase al ristorante circa una
  ventina di minuti.
     Invitato da Di Grusa, il La Piana espose nell'occasione
  all'onorevole Dell'Utri che per il problema di Vittorio
  Mangano si erano già recati dall'Avv.  Crasta, precisandogli
  che quest'ultimo gli aveva detto che "il caso è molto
  difficile (...) si tratta di una cosa politica (...) bisogna
  trovare qualche persona giusta" e che avrebbe comunque provato
  a far ottenere a Mangano il trasferimento da Pianosa al centro
  clinico di Pisa.
     Dell'Utri disse che non conosceva personalmente l'Avv.
  Crasta, ma che ne aveva sentito parlare, aggiungendo però che
  "non era sicuro che fosse la persona giusta per saltare questa
  quaglia", dato che "è di politica opposta" e che "i giornali
  stanno parlando un po' troppo" ma che comunque avrebbe visto
  il da farsi concludendo così: "datemi qualche giorno di tempo,
  ci teniamo in contatto".  Venne poi concordato con l'onorevole
  Dell'Utri un appuntamento che avvenne o la sera dopo o due
  sere dopo al ristorante Luigi di Via Marcona sempre a Milano.
  In occasione di questo secondo incontro furono presenti tutti
  quelli dell'incontro precedente.
     L'onorevole Dell'Utri confermò che si stava interessando
  non solo per ottenere il trasferimento di Vittorio Mangano, ma
  addirittura la scarcerazione, aggiungendo peraltro che c'erano
  dei problemi in quanto "il Cavaliere sta nelle acque sporche e
  brutte e ci dobbiamo tenere abbottonati".  L'onorevole
  Dell'Utri avrebbe altresì aggiunto che si sarebbe fatto
  sentire con il Di Grusa.
     Nel corso dell'interrogatorio del 03/12/1997 il La Piana
  chiarisce alcuni particolari in merito al terzo incontro con
  l'onorevole Marcello Dell'Utri che sarebbe avvenuto in un
  immobile di Rozzano.
     Nell'occasione il collaboratore precisa che il ristorante
 
                              Pag.5
 
  in zona Piazzale Corvetto dove era avvenuto il primo incontro
  conteneva dieci-dodici tavolini al massimo e che serviva anche
  piatti pugliesi.
     Tale primo incontro era avvenuto perché l'Avv.  Crasta gli
  aveva detto che c'era necessità di un "intervento politico".
  Di Grusa andò a parlare con il Mangano ed in seguito gli disse
  che dovevano andare a trovare l'onorevole Dell'Utri.  Il
  Dell'Utri arrivò con una Mercedes ed il collaboratore non vide
  l'autista.  Il secondo incontro avvenne al ristorante Luigi
  specializzato in pesce.  In tale seconda occasione l'onorevole
  Dell'Utri rimase quasi due ore e disse: "è troppo martellato
  il Cavaliere" e questa frase venne poi commentata dal Di Grusa
  (una volta andato via l'onorevole Dell'Utri) dicendo che in
  effetti in quel periodo tutti davano addosso a Berlusconi.
     Il collaboratore aggiunse che gli incontri e i contatti
  tra l'onorevole Dell'Utri e Di Grusa non si erano limitati
  alla situazione carceraria del Mangano ma avevano riguardato
  un progettato traffico di stupefacenti dalla Colombia, alla
  fine non realizzatosi per cause indipendenti dalla volontà
  degli associati.  A tal proposito già nel corso
  dell'interrogatorio del 14/11/1997 il collaborante aveva
  riferito di avere proposto, nella seconda metà del 1995, a
  Cucuzza Salvatore, a quel tempo latitante e reggente del
  mandamento di Porta Nuova, una importazione di cocaina dalla
  Colombia che doveva essere fornita da D'Agostino Saro, persona
  già implicata in precedenti traffici internazionali di
  stupefacenti e residente a Bogotà.  In effetti secondo il La
  Piana il contatto con il Cucuzza trae origine da una richiesta
  di quest'ultimo (preceduta da un'analoga richiesta da parte di
  Mangano Vittorio) di recuperare presso il D'Agostino il denaro
  investito da Brusca Giovanni in un pregresso traffico di
  cocaina dalla Colombia che non era andato a buon fine a causa
  della delazione di un infiltrato.  Tale contatto con il Cucuzza
  offre l'occasione al La Piana per proporre al Cucuzza
  l'importazione di cocaina dalla Colombia tramite il D'Agostino
  che ivi risiede.
     Il racconto del La Piana, peraltro confermato in tutti i
  suoi particolari dalle indagini di P.G. e dalle dichiarazioni
  rese dagli altri collaboratori interessati personalmente alla
  vicenda, prosegue dunque sui ripetuti tentativi di far
  arrivare la cocaina in Italia; progetti non portati a termine
  a causa dell'arresto del D'Agostino, sorpreso all'aeroporto di
  Roma in possesso di cocaina.  Tuttavia il progetto non viene
  abbandonato, come emerge dalle dichiarazioni rese
  nell'interrogatorio del 14/11/1997 dal La Piana, che riferisce
  della disponibilità dell'onorevole Dell'Utri a finanziare
  l'importazione della cocaina.
     Il collaboratore parla di un certo Emanuele di Palermo
  che, tornato da Bogotà, si incontrò con lui e con Enrico Di
  Grusa riferendo loro che c'era la possibilità di importare 100
  kg. di cocaina al prezzo di 25.000.000 al kg. con pagamento
  metà alla consegna e metà a 30 giorni.  Di Grusa andò a
  riferire a Mangano e tornò dicendo che era necessario andare a
  Milano "dall'amico" per trovare i soldi specificando che si
  trattava, cosa non necessaria perché intuibile, dell'onorevole
  Dell'Utri.  Andarono entrambi a Milano per reperire la somma di
  L. 1.200./1.300.000.000=. Il giorno dopo l'arrivo il Di Grusa
  disse al collaborante che avrebbero dovuto attendere alcuni
  giorni poiché l'onorevole Dell'Utri era a Roma.  Dopo un paio
  di giorni venne fissato l'appuntamento con l'onorevole
  Dell'Utri a Rozzano e più precisamente in un capannone in
  cemento di colore chiaro con ai lati altre strutture simili.
  Il collaborante riferisce di essere rimasto qualche tempo di
  sotto "per educazione" mentre il Di Grusa salì e dopo qualche
  tempo gli disse di salire a sua volta.  All'interno del
  capannone vi era un bellissimo ufficio, molto elegante.  Erano
  presenti le due persone incontrate nelle due precedenti
  occasioni al ristorante e che erano i gestori del capannone.
  C'era anche l'onorevole Dell'Utri.
     Parlarono del più e del meno ed anche della posizione di
  Mangano per il quale fu chiesto da Di Grusa se sarebbe stato
  scarcerato e Dell'Utri rispose: "ci stiamo pensando".  Dopo una
  ventina di minuti il collaboratore ed il Di Grusa se ne
  andarono ed in auto quest'ultimo, parlando del finanziamento,
 
                              Pag.6
 
  gli disse che "tutto era a posto" e che avrebbero dovuto solo
  aspettare qualche giorno.  Il collaborante aggiunge che in sua
  presenza il Di Grusa non affrontò l'argomento con l'onorevole
  Dell'Utri.
     Tornati a Palermo, si incontrarono con Emanuele a cui
  dissero che occorreva attendere 4 o 5 giorni ma nel frattempo
  questi fu arrestato per problemi suoi.  A quel punto Di Grusa
  tornò a parlare con Mangano per concordare il da farsi e dopo
  il colloquio gli disse che non se ne faceva più niente dal
  momento che secondo Mangano era meglio lasciare perdere tutto
  perché "il destino ci va contro".  In seguito il collaborante
  riferisce di non avere più svolto attività illegali con Di
  Grusa che nel frattempo si era trasferito a Milano.  Gli ultimi
  rapporti con lui sarebbero risaliti a fine 96 inizio 97.  Il Di
  Grusa viveva a Milano "da latitante" e gli disse che aveva
  paura che arrivassero a lui nell'ambito dell'indagine
  sull'onorevole Dell'Utri aggiungendo che "era responsabile" il
  suo telefono cellulare tanto che gettò il telefonino in una
  tinozza d'acqua poi estrasse la scheda e la stracciò.
  Nell'ultimo periodo Di Grusa aveva una Ditta in Viale Lucania.
  Il collaborante non sa bene quale attività svolgesse.  Presso
  tale ditta si trovavano spesso anche i due personaggi presenti
  agli incontri con l'onorevole Dell'Utri.
     Nell'interrogatorio del 06/02/1998 il collaborante
  riferisce di avere assistito soltanto ad una delle telefonate
  intervenute tra il Di Grusa e l'onorevole Dell'Utri.  Si
  trovavano fermi all'interno dell'autovettura del Di Grusa.
  Rispose direttamente l'onorevole Dell'Utri.  In precedenza
  assistette ad altra telefonata effettuata ad un ufficio
  dell'onorevole Dell'Utri perché il Di Grusa, che
  nell'occasione non chiamò dal cellulare, chiese del medesimo
  onorevole Dell'Utri presentandosi con nome falso.  Il
  collaborante non assistette alla telefonata.
     Nell'interrogatorio del 13/02/1998 il collaborante
  riferisce che informò Gerlando Alberti del previsto incontro
  con l'onorevole Dell'Utri.  Alberti gli disse che non conosceva
  personalmente l'onorevole Dell'Utri aggiungendo peraltro che
  "Vittorio (Mangano) era messo molto bene con Dell'Utri".  La
  Piana fu quindi autorizzato ad andare all'incontro con
  Dell'Utri anche perché, come aggiunse Alberti, questo rapporto
  poteva tornargli utile.  Alberti, che in quel momento era in
  carcere, fu tenuto al corrente dei successivi incontri con
  Dell'Utri e raccomandò a La Piana di tenersi a disposizione
  delle persone alle quali faceva capo il contatto con
  Dell'Utri.
     Il La Piana aggiunse nell'occasione che anche il
  proprietario del secondo ristorante in cui avvenne il nuovo
  incontro con l'onorevole Dell'Utri "è al corrente di questo
  incontro dato che si avvicinò in modo ossequioso allo stesso
  Dell'Utri".
     Nel corso di tale interrogatorio vengono sottoposte al La
  Piana alcune fotografie ritraenti Currò Antonino che il La
  Piana indica come il "Nino" che partecipò agli incontri con
  l'onorevole Dell'Utri.
     Nell'interrogatorio del 13/3/1998 il La Piana specifica
  che negli ambienti mafiosi tutti erano a conoscenza del fatto
  che l'onorevole Dell'Utri era legato a Mangano e che
  quest'ultimo gli aveva detto che i rapporti erano nati
  nell'ambiente ippico milanese.  Nel 1983, essendo codetenuto
  con il Mangano e con Pullarà Giovanni all'Ucciardone, aveva
  avuto modo di assistere ad un diverbio tra i due che
  riguardava proprio Dell'Utri Marcello con il quale entrambi
  vantavano rapporti.  In quell'occasione parteciparono alla
  discussione anche altri mafiosi tra cui Montalto Salvatore e
  Bontate Giovanni detto l'"avvocato".
     Nel 1978-1979, trovandosi insieme al Mangano, era andato
  presso un bar di Via Sila ove uno dei fratelli Fidanzati aveva
  comunicato al Mangano che era passato Dell'Utri e gli aveva
  lasciato detto che lo cercava.
     Nel 1994 Mangano gli aveva detto di aver ricevuto ordine
  da Rima di non avere più rapporti con Berlusconi e che poteva
  però tenere i suoi rapporti personali con Dell'Utri.  In
  particolare ciò era stato detto al Mangano in quanto - a
  seguito degli attentati subiti dalle sedi Standa nella
  provincia di Catania egli aveva cercato di intervenire e gli
 
                              Pag.7
 
  era stato detto di rimanere al di fuori e di "farsi i fatti
  suoi".
     Il Pubblico Ministero, nel corso del predetto ultimo
  interrogatorio di La Piana, gli esibisce le fotografie di
  Currò Antonino Salvatore e di Sartori Natale che il
  collaborante riconosce come le due persone incontrate nel
  magazzino di Rozzano.  Secondo il G.I.P. importanti conferme in
  ordine agli episodi narrati dal La Piana vengono da Cucuzza
  Salvatore e Zerbo Giovanni, rispettivamente ex reggente del
  mandamento di Porta Nuova ed ex  factotum  di Mangano
  Vittorio e dello stesso Cucuzza, entrambi collaboratori di
  giustizia.  In particolare, sia il Cucuzza che lo Zerbo
  confermano i contatti avuti con il La Piana in relazione al
  recupero presso D'Agostino Rosario del denaro investito in un
  vecchio traffico di stupefacenti nonché alla progettata e non
  conclusa importazione di cocaina dalla Colombia.
     Su quest'ultimo punto il G.I.P. evidenzia come entrambi i
  dichiaranti nulla dicano dell'interessamento del Dell'Utri a
  finanziare l'importazione dello stupefacente; circostanza, ad
  avviso del medesimo G.I.P., spiegabile considerato che
  l'incontro tra il La Piana e il Dell'Utri nel capannone di
  Rozzano (e cioè quando quest'ultimo ha fornito la propria
  disponibilità al citato finanziamento) è avvenuto in epoca
  sicuramente successiva all'arresto ed alla collaborazione sia
  del Cucuzza che dello Zerbo.
     Sempre secondo il G.I.P. anche Brusca Giovanni avrebbe
  fornito utili indicazioni sulla figura criminale del Di Grusa
  nonché dei contatti milanesi di Mangano Vittorio.
     In effetti nell'interrogatorio del 15/7/97 il Brusca
  riferisce dei rapporti tra il Mangano ed un imprenditore
  operante a Milano titolare di un'impresa di pulizia,
  anticipando così di alcuni mesi le rivelazioni del La Piana
  sul conto di Sartori Natale.
     Riferisce il Brusca: "in particolare confermo che seppi
  dai giornali delle amicizie che il Mangano aveva al nord e gli
  chiesi se fosse vero.  Il Mangano mi disse che aveva gestito
  l'azienda della villa di Silvio Berlusconi, che "l'amicizia
  era rimasta, ma i fili si erano un po' rotti" sino a quando,
  negli ultimi anni, non aveva cercato di riprenderne le fila.
  In particolare io stesso, per il tramite del Mangano, tentai
  di riprendere questi fili e venni interrotto poi dal mio
  arresto.  Il Mangano mi parlò anche di un suo amico
  imprenditore al nord, titolare di un'impresa di pulizia (come
  il Sartori ed il Currò) che era in rapporti col Berlusconi e
  poteva fare da tramite con quest'ultimo.  Nulla mi disse il
  Mangano su Dell'Utri Marcello".
     Il G.I.P. ricorda in nota che nella rubrica di Dell'Utri è
  stato trovato il nominativo del Sartori con accanto il nome
  della società ECOSEA.
     Dalle attività di P.G. è risultato che il "Nino"
  menzionato dal collaboratore come la persona presente ai tre
  incontri con il Dell'Utri è Currò Antonino Salvatore.
     E' stato altresì individuato il capannone di Rozzano,
  luogo del terzo incontro del collaboratore con il Dell'Utri e
  l'immobile in Via Monte Penice n.  9 risulta essere di
  pertinenza della Soc. Coop. MISTRAL.  In data 22/12/1997 veniva
  individuato il ristorante trattoria di Via Benaco 17 a circa
  300 mt. da Piazzale Corvetto indicato dal collaboratore come
  luogo del primo incontro col Dell'Utri.
     Mangano Vittorio, dopo l'arresto del 03/04/1995, è stato
  più volte trasferito da Pianosa a Pisa e viceversa come
  indicato dal La Piana e durante la detenzione a Pianosa egli
  ha avuto diversi colloqui con il genero Di Grusa Enrico.  Sono
  state individuate due ville di proprietà dell'Avv.  Crasta
  Francesco ed un ristorante con piscina tutti ubicati in
  località Cerenova (Roma) poco distanti dalle ville dei
  personaggi politici (Scalfaro e Ciampi) menzionati dal La
  Piana.
     Sulla vicenda del trasferimento di Mangano Vittorio dal
  carcere di Pianosa il GIP riferisce che l'11/11/1995 il
  deputato Pietro Di Muccio di Forza Italia, in visita a
  Pianosa, colloquiò con il Mangano e che il direttore di
  Pianosa Dott. Pier Paolo D'Andria ha prima negato ("non ha
  avuto colloqui") e poi con altri  fax  precisato che il
  medesimo "ha avuto contatto" con il detenuto.
 
                              Pag.8
 
     Il 02/11/1995 Di Muccio convoca una conferenza stampa e
  viene diramato dispaccio ANSA del seguente tenore: "chiedo a
  Caselli: è vero o no che magistrati della sua Procura vanno in
  giro a domandare a veri o presunti mafiosi se sanno qualcosa
  dell'onorevole Berlusconi?".
     "Il deputato di Forza Italia Pietro Di Muccio ha rivolto
  il quesito a distanza nel corso della conferenza stampa
  indetta dal comitato Italia Giusta per illustrare i risultati
  della visita di ieri al carcere di Pianosa cui ha partecipato
  anche il portavoce del comitato Giorgio Stracquadanio". "Il
  Procuratore capo di Palermo - secondo Di Muccio - smentendo
  nei giorni scorsi che il nome di Berlusconi fosse iscritto nel
  registro degli indagati, si è dato non la zappa sui piedi ma
  un carrarmato, perché non avevamo mai affermato questo.  Ieri
  abbiamo però avuto conferma - ha affermato Stracquadanio - che
  il suo nome è stato inserito nel registro "altre notizie" che,
  senza porre scadenze di termine, permette ai magistrati di
  attingervi per compiere veri e propri atti di indagine".
  Indagini che Di Muccio ha definito, se vere, "oblique,
  strumentali, con l'unico obbiettivo di incastrare
  Berlusconi".
     Stracquadanio ha parlato di un detenuto di Pianosa "unico
  indagato in un processo per associazione mafiosa, arrestato a
  maggio" cui il 28 di quel mese sarebbe stato appunto chiesto
  se aveva qualcosa da dire su Berlusconi.
     Dopo qualche giorno e cioè l'8/11/95 il Mangano viene
  trasferito da Pianosa a Pisa senza che l'ufficio del P.M. ne
  venisse informato per la necessaria autorizzazione.
     Il 24/09/1998 l'agenzia di stampa ANSA diffondeva la
  notizia della collaborazione di La Piana Vincenzo e delle sue
  accuse nel confronti di Dell'Utri con il seguente comunicato:
  "da mesi un nuovo collaboratore di giustizia Vincenzo La Piana
  pregiudicato per traffico di cocaina, che si definisce "amico"
  di Paolo Berlusconi, fratello del leader di Forza Italia,
  avrebbe formulato nuove accuse nei confronti di Marcello
  Dell'Utri, imputato a Palermo in concorso in associazione
  mafiosa, su presunti rapporti tra il deputato ed esponenti
  della criminalità mafiosa".  Tale inopinata fuga di notizie
  riguardanti un'attività investigativa rimasta segreta per
  oltre un anno (e cioè dal maggio 1997, data delle prime
  dichiarazioni del La Piana) determinava una serie di contatti
  telefonici poi culminati in un incontro tra il Sartori ed il
  Dell'Utri svoltosi in data 12/10/1998 nell'ufficio di
  quest'ultimo.
     In una prima telefonata del 25/9/98 da un cellulare in uso
  a Sartori Natale diretta a Formisano Daniele, nipote di
  Mangano Vittorio, si confermava il persistente interessamento
  del Sartori e di Currò Antonino ("Nino") relativamente alla
  situazione carceraria del Mangano con particolare riferimento
  ad una presunta incompatibilità delle condizioni di salute di
  quest'ultimo con lo stato di detenzione.
     In una seconda telefonata del 30/9/98 Sartori Natale
  registrava nella segreteria telefonica di un cellulare in uso
  a Currò Antonino il seguente messaggio: "ciao Nino sono le
  19.00 volevo solo comunicarti che ho telefonato a quel signore
  lì: non c'è a Milano è a Roma.  Dovrebbe rientrare in settimana
  e appena rientra sicuramente mi fanno incontrare".
     In data 08/10/1998 veniva registrata una telefonata nella
  quale Albieri Gabriella, segretaria di Dell'Utri, fissava un
  appuntamento tra lo stesso Dell'Utri ed il Sartori per il
  giorno 12/10 ore 09.30 presso gli uffici di Milano Due.  Il
  luogo e l'orario programmati venivano poi spostati con una
  telefonata del 12/10/1998 dell'Albieri che comunicava al
  Sartori che esso si sarebbe svolto negli uffici di Dell'Utri
  di Via Senato 14, come in effetti documentato dai servizi di
  appostamento e pedinamento effettuati da personale della DIA
  di Milano.
     Che l'incontro tra il Dell'Utri e il Sartori fosse
  determinato dalla preoccupazione di entrambi a seguito della
  diffusione a mezzo stampa della collaborazione del La Piana
  con gli organi inquirenti, emergerebbe "all'evidenza" (secondo
  il GIP) non solo dalla ricostruzione logica e cronologica
  degli eventi ma anche dal contenuto di alcune successive
  conversazioni telefoniche tra il Sartori, il Currò e Formisano
  Daniele intercorse lo stesso giorno dell'incontro.
 
                              Pag.9
 
     Nel corso della telefonata delle ore 10.31 tra Formisano e
  Sartori quest'ultimo raccontava, pur senza riferimenti
  espliciti, dell'incontro appena avuto (precisando che "è stato
  là") e verosimilmente riferendosi alla notizia della
  collaborazione del la Piana spiegava che il Dell'Utri aveva
  espresso incredulità: "mi sembra una cosa assurda (....) sono
  tutte chiacchiere (....) la gente chiacchiera (....) mi sembra
  assurdo però chiedo (....) mi informo (...) vi faccio
  sapere".
     Parimenti "significativa" risulterebbe poi la
  conversazione telefonica intercorsa sempre il 12/10/1998 nel
  corso della quale il Sartori riferisce al Currò l'andamento
  dell'incontro con il Dell'Utri: "ma sembra impossibile però
  verifico e poi le faccio sapere".  Conclusivamente, per quanto
  riguarda il capo  b),  il GIP ritiene che le dichiarazioni
  di La Piana siano pienamente attendibili sia sotto il profilo
  intrinseco che estrinseco.  La collaborazione del La Piana
  sarebbe maturata spontaneamente, quando aveva terminato di
  scontare la pena e non era sottoposto ad indagine.  Le sue
  dichiarazioni presenterebbero il carattere della costanza,
  della reiterazione, della precisione e ricchezza di
  particolari così da avere consentito un'approfondita attività
  di ricerca, di conferma e di riscontri anche di carattere
  oggettivo.
     Per quanto riguarda la posizione dell'onorevole Dell'Utri,
  il GIP rileva che sebbene le indagini non abbiano fatto
  emergere per lui gravi indizi di colpevolezza, ragione per la
  quale non è stata avanzata nei suoi confronti, così come per i
  suoi coindagati, richiesta di custodia cautelare in carcere,
  esse, tuttavia, hanno delineato un assai allarmante quadro di
  rapporti, proseguiti si può dire fino ad oggi - va ricordato
  il suo incontro con il Sartori soltanto nell'ottobre 1998 -,
  con esponenti della consorteria mafiosa Cosa Nostra come
  Mangano Vittorio, del quale non può non essergli nota la
  caratura mafiosa o con soggetti ad esso strettamente
  collegati, quali Di Grusa Enrico, Sartori Natale e Currò
  Antonino: tutti da ritenersi attivi nel lucroso settore del
  traffico di stupefacenti e, tutto ciò nonostante il Dell'Utri
  si trovi in atto imputato nel processo in corso a Palermo per
  il delitto di concorso esterno in quella stessa associazione
  mafiosa.  Ma le indagini avrebbero altresì fatto emergere come
  ai rapporti in questione non sia estraneo l'intento di
  tutelare in ogni modo Mangano Vittorio, vero depositario di
  ogni conoscenza concernente i rapporti tra lo stesso Dell'Utri
  e l'organizzazione mafiosa e, di conseguenza, potenziale
  gravissimo pericolo per lo stesso Dell'Utri.  Secondo il GIP da
  tali rapporti non potrà prescindersi all'atto della
  valutazione delle esigenze cautelari evidenziate dal P.M. con
  riguardo ai due capi di imputazione per i quali il medesimo ha
  avanzato la richiesta di ordinanza di custodia cautelare in
  carcere nei confronti di Dell'Utri.
     In merito al capo "B" l'onorevole dell'Utri con la sua
  memoria pone in evidenza quelli che lui definisce  errores
  in procedendo,  concreti indizi di approccio persecutorio,
  da parte dei magistrati palermitani.
     Il coinvolgimento dell'onorevole Dell'Utri in tale
  definita grottesca vicenda, pur nella inconsistenza degli
  elementi a carico, denota secondo il parlamentare un maldestro
  disegno denigratorio, finalizzato solo a imbrattare il suo
  onore con sinistri sospetti.
     Essi traggono origine dagli interrogatori di La Piana
  Vincenzo, le cui contraddittorie dichiarazioni non sarebbero
  mai state sottoposte a quella elementare attività di verifica,
  obbligatoria per investigatori che si prefiggano
  l'accertamento della verità processuale e non pervicaci
  accanimenti nei confronti di membri delle Istituzioni.
     Come è noto, il La Piana riferisce della presenza
  dell'onorevole Dell'Utri in tre incontri, cui lo stesso La
  Piana avrebbe partecipato unitamente al nipote di Mangano, Di
  Grusa Enrico, a Currò Antonino e Sartori Natale.
     Quanto affermato dal La Piana in ordine ai primi due
  incontri sarebbe totalmente falso, come risulta anche
  attraverso le dichiarazioni acquisite dai difensori
  dell'onorevole Dell'Utri, ex articolo 38 disp. att. c.p.p.,
  del proprietario e gestore - dell'epoca - del ristorante di
  via Benaco n. 17, a nome Luigi Giovannetti e l'intervista del
 
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  giornalista del quotidiano "La Stampa" Paolo Colonnello,
  relativamente a dichiarazioni dei titolari del ristorante "La
  Risacca" di via Marcona riportata nel numero dell'11.3.99 in
  un articolo dal titolo "Milano un giallo a tavola - i
  proprietari di un noto ristorante: "Qui nessun incontro con i
  pentiti".
     Queste le dichiarazioni del Giovannetti:
     "Sono stato gestore e titolare per circa 37 anni, dal
  1961, di un ristorante in via Benaco n. 17 di Milano, di un
  locale di mia proprietà costituito da due stanze per un totale
  di circa 12 tavoli e circa 60 coperti, utilizzati in due
  turni.  Il primo turno era per lo più frequentato da operai, ed
  il secondo che iniziava verso le ore 13,00 frequentato anche
  da professionisti e membri delle forze dell'ordine.  La mia
  cucina era prettamente lombarda ma non pugliese sicuro, salvo
  qualche volta facevo orecchiette con le cime di rapa o
  broccoletti.  Il personale era costituito da me, da mio
  fratello Ruggero da mia sorella Gabriella e da mia nipote
  Sara, deceduta nel 1997".  Mostrata una fotografia
  dell'onorevole Dell'Utri insieme al Maestro Muti, il Signor
  Giovanetti dichiara: "non ho mai visto la persona con gli
  occhiali che mi viene indicata come l'onorevole Marcello
  Dell'Utri nel locale, riconosco invece il Maestro Riccardo
  Muti nella fotografia, avendolo visto in televisione".
  Mostrato quindi di persona l'onorevole Marcello Dell'Utri,
  sopraggiunto per richiesta dell'Avv.  Federico, il Signor
  Giovanetti dichiara: "no, non ho mai vista la persona qui
  davanti a me, indicatami e presentatasi come l'onorevole
  Marcello Dell'Utri".  Il sig.  Giovanetti successivamente ha
  aggiunto quanto segue: in realtà ho visto l'onorevole Marcello
  Dell'Utri in televisione circa 10-8 giorni fa in un programma
  di Santoro".
     Queste le dichiarazioni del Colonnello:
       il giorno 10.3.99 dopo aver appreso che secondo le
  dichiarazioni del collaborante di giustizia Vincenzo La Piana,
  contenute nella ordinanza di arresto trasmessa alla Camera dei
  deputati, in periodo imprecisato, presumibilmente tra il 1995
  e il 1997, vi fu un incontro tra lo stesso La Piana,
  l'onorevole Dell'Utri, Enrico Di Grusa, e altri presso un
  ristorante ubicato in "Via Marcona", in prossimità
  dell'incrocio con via Cellini, che il collaborante La Piana
  indica con il nome "Da Luigi", decisi di recarmi intorno alle
  ore 12 nel suddetto locale.  Ricordandomi che nel luogo
  indicato dalla Piana esisteva effettivamente un ristorante, ma
  noto come "La Risacca" e non con il nome "Da Luigi" indicato
  nei verbali di interrogatorio di La Piana.  Per una prima
  verifica a questa discrasia tra le dichiarazioni del
  collaborante e il nome effettivo del ristorante, entrai quindi
  nella panetteria ubicata in via Marcona angolo via Cellini, a
  fianco del summenzionato ristorante, chiedendo dove si trovava
  il locale "Da Luigi" consapevole che nel luogo indicato dal La
  Piana non poteva esserci altro locale che "La Risacca".  A quel
  punto un cliente della panetteria mi disse che nel quartiere
  non esisteva alcun ristorante "Da Luigi".  Mente la titolare
  del negozio specificò invece che il proprietario o uno dei
  proprietari del ristorante "La Risacca" si chiamava
  effettivamente Luigi.  Decisi perciò di entrare a quel punto
  nel ristorante "La Risacca" chiedendo di poter parlare con
  "Luigi" Mi si presentò un signore dell'età apparente di 60-70
  anni, di media altezza con gli occhiali, capelli grigi, che si
  qualificò come "Luigi".  Dopo avergli spiegato che ero un
  giornalista del quotidiano "La Stampa" e dopo avergli
  brevemente riassunto i motivi per i quali mi trovavo lì in
  quel momento, gli chiesi se aveva mai incontrato o visto nel
  suo locale l'onorevole Marcello Dell'Utri, intendendo così
  verificare se le dichiarazioni del collaborante La Piana
  riportate nell'ordinanza di arresto per l'onorevole Dell'Utri
  corrispondessero al vero.
     Il Signor Luigi mi rispose di non avere mai incontrato o
  visto nel suo locale l'onorevole Dell'Utri.  Chiesi al signor
  Luigi se conosceva o avesse idea di chi fosse l'onorevole
  Dell'Utri, egli mi rispose di aver visto la sua faccia più
  volte in televisione o riportata sui giornali.  Ripetei questa
  domanda più volte ricevendo sempre la stessa risposta.  Chiesi
  ancora al signor Luigi se egli poteva considerarsi il titolare
 
                             Pag.11
 
  di quel ristorante ed egli mi rispose che era soltanto uno dei
  soci, anche se il più anziano e di aver aperto con loro questo
  ristorante intorno al 1981-1982 e perciò di ricordare di non
  aver mai visto da allora l'onorevole Dell'Utri"..  Alla
  richiesta dell'avv.  Federico di precisare tale frase, il
  Colonnello ribadisce "che il sig.  Luigi gli disse che dal
  1981-1982 non aveva mai visto nel suo locale l'onorevole
  Dell'Utri".  Il Colonnello quindi aggiunge: "Chiesi al sig.
  Luigi se il ristorante "La Risacca" era mai stato denominato
  "Da Luigi" e lui rispose "che così non era cioè il locale non
  aveva mai avuto tale denominazione ma non poteva escludere che
  i clienti abituali usassero tra loro riferirsi al suo locale
  utilizzando il suo nome proprio.  Peraltro precisava che prima
  di diventare socio del "La Risacca" aveva effettivamente
  gestito un altro ristorante, se non sbaglio in Viale Premuda,
  chiamato "Da Luigi", fino ai primi anni '80 quando aveva
  chiuso questo ristorante in seguito ad un incendio.
     A quel punto, dato che alla conversazione avevano
  assistito anche altre due o tre persone che lavoravano nel
  ristorante, chiesi prima a loro semmai avessero visto entrare
  nel locale l'onorevole Dell'Utri.  Mi dissero che si chiamavano
  Pippo e Gesualdo, un terzo nome non lo ricordo, credo che
  almeno un paio di questi fossero soci proprietari del locale
  (almeno così mi hanno detto) e mi risposero sostanzialmente
  nello stesso modo in cui mi aveva risposto il sig.  Luigi,
  escludendo cioè che l'onorevole Dell'Utri, almeno negli ultimi
  anni, fosse mai entrato nel loro locale.  Inoltre mi mostrarono
  un documento appeso all'ingresso del locale che attestava la
  proprietà dello stesso a tale Romano Pinocchi, questo per
  fugare i miei dubbi su eventuali proprietà che potessero
  ricollegarsi alle persone inquisite nelle indagini dalla
  Magistratura palermitana e milanese.  Infine mi fecero anche
  vedere una bacheca posta alle spalle della cassa sulla quale
  erano appese le foto di diversi personaggi del mondo dello
  sport e dello spettacolo usi a frequentare il loro ristorante,
  facendomi intendere che pur conoscendo l'immagine ed il volto
  dell'onorevole Dell'Utri potevano escludere di averlo mai
  visto nel ristorante.  Chiesi a questo punto se altri
  giornalisti si fossero presentati per avere le stesse
  informazioni e mi fu risposto negativamente.  Domandai infine
  se nei giorni o nei mesi precedenti si fossero presentati
  degli investigatori, Polizia, Carabinieri o Finanza per
  verificare quanto io stesso andavo chiedendo.  I proprietari
  come ho scritto nel mio articolo risposero: "nessuno, né
  Polizia o Carabinieri, è mai venuto qui a chiedere se
  Dell'Utri era nostro cliente.  Anzi, è la prima volta che
  qualcuno ce lo chiede".
     Alla domanda se avesse o meno richiesto ai soci del "La
  Risacca" se conoscevano La Piana, Di Grusa, Antonio Currò o
  Natale Sartori, il Colonnello così risponde: "mi sembra di
  ricordare che risposero che questi nomi non consentivano loro
  di identificarli come loro clienti" A.d.r "non ho fatto
  ulteriori accessi dopo quello che ho descritto né ho avuto
  ulteriori contatti di qualsiasi natura con i proprietari del
  "La Risacca".  Ho letto attraverso le agenzie di stampa che, in
  una conferenza stampa organizzata dall'onorevole Dell'Utri
  all'incirca una settimana o dieci giorni dopo il mio articolo,
  che il giorno successivo alla pubblicazione dello stesso nel
  ristorante "La Risacca" si erano recati esponenti delle forze
  dell'ordine per svolgere, immagino le stesse verifiche".
  A.d.r. "come ho scritto nell'articolo ho ritenuto inutile
  svolgere identiche verifiche sulla presenza o meno
  dell'onorevole Dell'Utri in un altro ristorante in via Benaco
  o in un capannone di Rozzano perché stando alle dichiarazioni
  del La Piana avrei trovato degli ambienti probabilmente ostili
  e quindi impossibilità di ogni verifica".
     Il Colonnello ha così concluso: "i soci del ristorante
  vollero precisarmi, forse per dimostrare che ben sapevano chi
  era Dell'Utri, che nel loro locale si era recato spesso
  Adriano Galliani, alcuni giocatori del Milan ma, ad esempio,
  non si erano mai visti né Fedele Confalonieri né Silvio
  Berlusconi".
     E' evidente che l'attività di verifica compiuta da un
  giornalista avrebbe dovuto essere immediatamente condotta
 
                             Pag.12
 
  anche e con maggiore approfondimento dai magistrati
  palermitani, fideisticamente (secondo l'onorevole Dell'Utri)
  adagiati sulle popolazioni del collaborante.  Tanto più che
  l'accertamento relativo alla individuazione del cellulare del
  Di Grusa, dal quale sarebbe partita la telefonata per fissare
  l'incontro al ristorante "Da Luigi", aveva già fornito, come
  emerge dalla ordinanza, eloquente esito negativo, che avrebbe
  dovuto provocare diffidenza sulla fonte accusatoria.
     Dunque - secondo l'onorevole Dell'Utri - anche le accuse
  del La Piana sono totalmente false e ad esse si è voluto
  credere ad ogni costo, anche omettendo riscontri che in altre
  occasioni e per altri indagati sarebbero stati effettuati.
     G1i addebiti contestati all'onorevole Dell'Utri (come si è
  visto) si basano esclusivamente sulle rilevazioni del
  collaborante Vincenzo La Piana, che riferisce in via diretta
  solo i due incontri al ristorante in via Benaco 17, in zona
  Piazzale Corvetto, ed al ristorante "Luigi" in via Marcona, in
  prossimità dell'incrocio di Via Cellini nonchè il terzo
  incontro nello stabile di Via Monte Penice 9, a Rozzano.
     La tesi del G.I.P., secondo cui l'onorevole Dell'Utri
  sarebbe organico a "Cosa Nostra", si basa sul processo in
  corso attualmente davanti al Tribunale di Palermo nel contesto
  del quale egli è imputato del delitto di concorso esterno in
  associazione mafiosa e sulle predette rivelazioni del La Piana
  che però parla del diretto coinvolgimento dell'onorevole
  Dell'Utri, come si è detto, unicamente in riferimento ai
  predetti tre episodi.
     I primi due incontri al ristorante sono stati
  categoricamente negati dall'onorevole Dell'Utri e sono stati
  altrettanto categoricamente smentiti dalle dichiarazioni
  testimoniali acquisite ex articolo 38 disp. att. c.p.p.
     Per il terzo incontro con il Sartori presso i propri
  uffici di Via Senato 14, l'onorevole Dell'Utri nel corso della
  sua audizione ha precisato che detto incontro fu fissato a
  richiesta del Sartori che prima non conosceva e nel corso del
  quale non si parlò assolutamente di droga.  Tutto qui.
     Poiché ai primi due incontri al ristorante avrebbero
  partecipato oltre all'onorevole Dell'Utri ed al collaboratore
  La Piana anche Di Grusa, Currò e Sartori, perché questi ultimi
  (nemmeno indagati!) non sono mai stati sentiti?
     Dall'ordinanza del GIP emerge che dagli accertamenti di
  P.G. "non risulta allo stato alcun Emanuele tra i soggetti
  frequentati da Mangano e Di Grusa e non è stato possibile
  accertare se qualcuno a nome Emanuele abbia viaggiato nel
  1995-1996 con D'Agostino in aereo per la Colombia".
     Se questo Emanuele (elemento chiave per il GIP in
  riferimento alla pretesa importazione di cocaina) è davvero
  esistito, conoscendo approssimativamente la data del suo
  arresto, così come individuata dal La Piana, non sarebbe poi
  stato così difficile accertarne le generalità presso gli
  uffici matricola delle varie case circondariali italiane.
     Gli elementi a carico del parlamentare sono quindi, per
  quanto riguarda il capo "B", ancora più labili di quanto
  ritenuto dal P.M. e dallo stesso GIP che non hanno
  rispettivamente chiesto e disposto la custodia cautelare nei
  suoi confronti.
     Non è pertanto assolutamente da condividersi l'opinione
  espressa dal GIP secondo cui tutto quanto correlato al capo
  "B" arricchirebbe comunque e meglio preciserebbe il quadro
  indiziario a carico dell'onorevole Dell'Utri nel processo
  attualmente in corso a Palermo, andando così a supportare gli
  indizi e le esigenze cautelari connesse ai reati di cui ai
  capi "A" e "C", per i quali è stato disposto l'arresto.
     Non essendovi praticamente nulla a carico dell'onorevole
  Dell'Utri sul capo "B" nulla può conseguentemente derivarne
  per il processo di Palermo (che in questa sede non ci
  interessa) sia per quanto riguarda i capi "A" e "C" che
  andiamo ora separatamente ad esaminare.
  Sul capo "A" - Estorsione tentata.
     La contestazione del reato di tentata estorsione aggravata
  in concorso con Buffa Michele e Virga Virginio trae origine da
 
                             Pag.13
 
  dichiarazioni rese dal Dott. Garraffa Vincenzo al sostituto
  procuratore della Repubblica presso il tribunale di Trapani
  Dott. Michele Calvisi in data 28/02/1997 e non verbalizzate in
  seguito al rifiuto in tal senso opposto dal medesimo
  Garraffa.
     Tali dichiarazioni furono rese alla presenza
  dell'ispettore Culcasi Giuseppe in servizio presso la Digos di
  Trapani.
     Il 05/03/1997 perveniva alla Procura della Repubblica di
  Palermo il fascicolo n. 347/97 A.N. della Procura della
  Repubblica di Trapani inviato dal Procuratore Dott. Gian
  Franco Farofalo e contenente due relazioni di servizio
  rispettivamente del Dott. Calvisi e dell'ispettore Culcasi che
  riferivano le dichiarazicni del Garraffa secondo cui allorchè
  egli, nel l990, era presidente della squadra di pallacanestro
  di Trapani militante nel campionato di serie A/2 aveva
  concluso un contratto pubblicitario con il marchio Birra
  Messina per il tramite dell'Agenzia Publitalia di Milano,
  veniva ricevuto personalmente dal Dott. Marcello Dell'Utri il
  quale, quale corrispettivo per tali prestazioni pubblicitarie,
  richiedeva il pagamento in contanti del 5O per cento dell'
  importo convenuto in contratto ed ammontante complessivamente
  a lire 1.500.000.000.
     Al rifiuto del Garraffa di corrispondere un così rilevante
  importo "in nero", in periodo successivo veniva sollecitato al
  predetto pagamento da due individui legati a "Cosa Nostra".
     In particolare, il Garraffa, ottenne tramite Publitalia un
  contratto di sponsorizzazione per la propria squadra di
  pallacanestro: "giunto a Milano e contattato Marcello
  dell'Utri, responsabile della citata società Publitalia,
  questi molto cordialmente gli aveva affidato il marchio Birra
  Messina per un contratto pubblicitario di 1.500.000.000 di
  lire ricordandogli che tutte le società di pallacanestro della
  serie A/1 e A/2 del Nord Italia erano legate a Publitalia e
  che, successivamente, quando sarebbe capitato a Milano,
  avrebbe dovuto pagare i soli diritti di agenzia.  Entusiasta
  del contratto concluso (aveva creduto di aver firmato per
  750.000.000 anziché 1.500.000.000) il Dott. Garraffa era
  ritornato a Trapani ed aveva festeggiato con gli altri
  soci.
     Successivamente era ripartito per Milano per regolarizzare
  il pagamento dei diritti di agenzia.
     Contattato sempre Dell'Utri ("Presidente ha portato la
  provvista?") il Garraffa aveva chiesto a quanto ammontassero
  tali diritti e il Dell'Utri gli rispondeva che la Publitalia
  chiedeva a tutte le società sportive il 50 per cento
  dell'ammontare del contratto in contanti e che i soldi li
  avrebbe dovuti portare direttamente da Trapani.
     Sempre a dire del Garraffa, quest'ultimo avendo compreso
  che si trattava di una vera e propria tangente si era adirato
  in quanto se egli fosse stata prospettata prima la condizione
  di dover pagare una tangente di 750.000.000 in contanti,
  questi non avrebbe accettato.
     Il Dell'Utri a quel punto aveva risposto che dovevano
  pagare e che bisognava stare attenti perché, se non avessero
  fatto ciò non avrebbero avuto in futuro nessuno sponsor atteso
  che Publitalia aveva il monopolio.  (Difatti la stagione
  successiva, malgrado la squadra fosse stata promossa in serie
  A/l, la società non riuscì a trovare alcuna sponsorizzazione,
  tant'è che per destare l'attenzione dei media e dare una
  risposta al sistema aveva assunto la denominazione "L'Altra
  Sicilia" Pallacanestro Trapani").
     Il Garraffa in ogni caso aveva preso tempo, anche perché
  doveva accordarsi con gli altri soci, in quanto gli stessi
  avrebbero potuto pensare che i soldi se li era intascati lui.
  Ritornando a Trapani non aveva più pagato la tangente
  richiesta e per questo era stato più volte contattato dal
  Dell'Utri anche in Senato, ove nel frattempo era stato eletto.
  Il Dell'Utri inoltre non si era limitato a minacciarlo
  verbalmente ricordandogli che se era un uomo d'onore doveva
  pagare, ma lo aveva fatto contattare da esponenti della
  famiglia mafiosa della provincia, probabilmente dei
  Cannata.
     Alla richiesta del Dott. Calvisi di verbalizzare quanto
  dichiarato perché costituente reato, il Garraffa tergiversava
  dichiarando di non poterlo fare perché non aveva le prove di
  quanto affermato.
 
                             Pag.14
 
     Quest'ultimo, dopo aver soggiunto che anche altri
  esponenti della Pallacanestro Trapani erano a conoscenza di
  quanto successo, si allontanava dai locali della Procura".
     Il Garraffa, esaminato a sommarie informazioni in data
  9/10/1997, aveva riferito che una volta raggiunta la serie A/2
  di basket nell'anno 90/91 si era posto il problema di trovare
  un adeguato sponsor e di avere a tal uopo contattato la
  struttura Publitalia su indicazione del Sen. Pietro Pizzo,
  deux ex machina  della Pallacanestro Marsala che, pur
  militando in serie B, aveva già da alcuni anni un ottimo
  sponsor quale la FUJI FILM.
     Fu quindi il Sen. Pizzo a mettere il Garraffa in contatto
  con un funzionario di Publitalia, tale Enzo Piovella.  Il
  Garraffa fu quindi chiamato a Milano ove andò più volte con il
  Piovella e con certo Biraghi, anch'egli di Publitalia.  Si era
  nel 1990, in estate.
     Gli venne proposto come sponsor la Birra Messina che
  faceva parte del gruppo Dreher-Heineken.  Gli fu fatto
  sottoscrivere il relativo contratto ed il Piovella gli disse:
  "ci sono da pagare i diritti di agenzia", senza specificare
  l'ammontare degli stessi.
     Il Garraffa non trattò in alcun modo l'entità economica
  del contratto tanto che, uscendo dalla Publitalia fu
  "piacevolmente sorpreso dal fatto che il contratto stesso
  prevedeva una cifra di 1.500.000.000 di sponsorizzazione al
  netto di IVA".
     Tale somma gli venne accreditata sulla Comit di Trapani in
  due tranches di L. 750.000.000 ciascuna sul conto intestato
  alla Pallacanestro Trapani.
     Dopo il saldo definitivo, il Piovella gli disse: "quando
  vieni a Milano porta l'importo della provvigione", aggiungendo
  che avrebbe dovuto portarlo in contanti.  Il Garraffa si
  informò presso l'Agenzia  Plus  di Taranto ed in
  particolare con il Signor Maurizio Zocco sui diritti di
  agenzia spettanti in tali casi, che gli riferì che le stesse
  si aggiravano sul 5-10 per "arrivare al massimo al 20".
  Recatosi a Milano, il Garraffa portò a Piovella la somma di L.
  100.000.000, quale acconto sul 10 dal medesimo previsto.  Il
  Piovella replicò invece che il dovuto ammontava al 50,
  precisando la cifra prima in L. 800.000.000 poi in
  750.000.000, riducendola "dopo qualche tempo a 700.000.000".
  Tale somma gli venne richiesta sempre "in nero".  Il Garraffa
  replicò "molto scosso" che quella richiesta non era una
  provvigione bensì una tangente.  Il Piovella precisò che la
  Publitalia aveva contratti con dodici società di serie A e B e
  che le stesse avevano il medesimo trattamento.
     Piovella e Biraghi, presente in tale circostanza,
  aggiunsero che "nel campo della motonautica il 75 dell'importo
  della sponsorizzazione andava alla Publitalia".  Si interessò
  poi con un dirigente del Lecce Calcio, di nome Cataldo, su
  quanto loro avessero corrisposto per provvigione e gli venne
  risposto: "cosa vuoi, il mondo oggi cammina in una certa
  maniera".
     Il Garraffa aggiunge che "tornando alle mie difficoltà con
  Publitalia dissi a Piovella e Biraghi e successivamente anche
  a Dell'Utri Marcello che io potevo anche pagare quella somma
  ma avevo bisogno di una fattura di ristorno da potere inserire
  nel bilancio della mia società.  Specifico che il Dell'Utri
  Marcello venne investito della situazione proprio perchè
  Piovella e Biraghi non erano riusciti a convincermi.  Dopo un
  approccio amichevole, di fronte alla persistenza della mia
  opposizione, il Dell'Utri mi disse testualmente: "io le
  consiglio di ripensarci.  Abbiamo uomini e mezzi che la possono
  convincere a cambiare opinione".  Dopo questa discussione,
  passati 3 mesi, in ospedale a Trapani ove io ero primario
  radiologo venne a trovarmi un signore, da me conosciuto un
  paio di anni prima, titolare della ditta di trasporti Drepanum
  di Trapani.  Il signore in questione, che si chiama Virga
  Vincenzo, ed io già lo conoscevo in quanto avevo affittato
  proprio dalla Drepunum come presidente della Pallacanestro
  Trapani, e come organizzatore dei campionati juniores di
  basket pulmann negli anni 89/90.  Il Virga mi disse
  testualmente: "sono stato incaricato da amici di vedere com'è
  possibile risolvere il problema della Publitalia".  Alla mia
  richiesta di specificare chi fossero gli amici, mi disse
 
                             Pag.15
 
  espressamente "Marcello Dell'Utri".  Io allora chiesi anche se
  gli amici ricomprendevano solo il Dell'Utri o anche qualcun
  altro e lui mi disse che gli amici comprendevano anche una
  "persona della provincia di Trapani".  In quella occasione io
  pensai che potesse riferirsi al senatore Pizzo di Marsala.  In
  quell'occasione io dissi al Virga che ero disponibile a pagare
  ove mi avessero fatto una fattura di ristorno, così come avevo
  già detto in Publitalia.  Diedi al Virga, però, anche un'altra
  strada: gli proposi infatti di considerare il contratto di
  1.500.000.000 come un contratto biennale sul quale io avrei
  versato la provvigione di mercato.  Devo precisare, infatti,
  che una sponsorizzazione di 1.500.000.000 era, a quel tempo, a
  livello di serie A/1 di basket e che a me sarebbe ben bastata
  una sponsorizzazione di 750.000.000.  Il Virga a queste mie
  proposte disse testualmente: "riferirò".  Io da quel momento
  non lo vidi più.  Continuò invece a telefonarmi più volte lo
  stesso Marcello Dell'Utri.  In queste occasioni il Dell'Utri mi
  sollecitava il pagamento dei restanti 530.000.000 di lire
  dicendomi: "io sono sempre in attesa, cosa intende fare?
  Ricordi che noi siciliani dobbiamo mantenere sempre la parola
  data".  Il Garraffa ricorda anche di una telefonata del
  dell'Utri al suo studio in Senato e che in tale occasione
  disse al Dell'Utri di non chiamarlo più perché già gli aveva
  dato 170.000.000.  Infatti dopo i primi 100.000.000 "erano
  stati consegnati altri 35.000.000 dal direttore della
  Pallacanestro Trapani Renzi personalmente al Piovella, nonché
  altri 35.000.000 approntati dal Renzi e da me portati al
  Piovella a Milano.  Posso collocare quest'ultima telefonata tra
  la fine del 1992 e l'inizio del 1993.  Il Garraffa riferisce
  poi che alla fine della stagione 90/91, benché la
  Pallacanestro Trapani fosse approdata in serie A/1, non riuscì
  a trovare un nuovo sponsor ed il Dott. Paolini della IMAGE
  BUILDING di Milano, a cui si era rivolto e che in due
  occasioni aveva avviato trattative poi fallite, gli disse che
  la causa di ciò era da ricercarsi nel "veto che era stato
  opposto da Publitalia".  Da qui la decisione
  dell'autosponsorizzazione come "L'ALTRA SICILIA -
  PALLACANESTRO TRAPANI" che fu molto pubblicizzata sui
  giornali, tant'è che il Garraffa medesimo venne anche invitato
  al "Maurizio Costanzo Show", ma 24 ore prima della prevista
  trasmissione ricevette una telefonata in cui gli fu detto che
  "l'invito era stato sospeso a tempo indeterminato".  Il
  Garraffa si rivolse anche al presidente della regione Rino
  Nicolosi che promise un appoggio, ma non se ne fece nulla.  In
  proposito il Garraffa aggiunse: "Publitalia aveva molti
  agganci presso l'assessorato sport turismo e spettacolo della
  regione".  Garraffa ricorda altresì che nel 92/93 fu invitato a
  una trasmissione sportiva di Canale 5 e Italia 1 e che alla
  fine di tale trasmissione qualcuno gli disse che Dell'Utri
  avrebbe avuto il piacere di riceverlo.  Nel corso del colloquio
  il Garraffa gli chiese come mai non aveva impedito la sua
  partecipazione a tale trasmissione alché Dell'Utri replicò:
  "non lo sapevo, altrimenti avrei bloccato la trasmissione,
  come ho fatto con il "Maurizio Costanzo Show".  Il Garraffa gli
  disse delle mancate promesse di Nicolosi alché replicò:
  "abbiamo amici dappertutto".
     Richiese nuovamente il saldo dei 530.000.000.  Il Garraffa
  rifiutò.  Garraffa ricorda che da quel momento non ebbe più
  sponsorizzazioni, che usci dalla Società Pallacanestro Trapani
  nel giugno/luglio 94 e che da qualche mese la stessa società
  era stata dichiarata fallita.
     Sentito nuovamente il 22/12/1997 il Garraffa aggiunge:
  devo precisare, ricordandolo solo ora, che il Virga era
  accompagnato da Michele Buffa.  Ricordo altresì che in
  occasione del campionato di A/1 in una trasferta della squadra
  Giuseppe Vento commissario della società, gli riferì di essere
  stato raggiunto in albergo da Piovella della Publitalia e da
  Starace della Birra Messina che reiterarono la richiesta di
  pagamento "già sollecitata dal Dell'Utri" e che il Vento "li
  mandò a quel paese".
     Sentito nuovamente il 27/12/1997, il Garraffa precisa che
  della visita fattagli da Virga e da Buffa, antecedente alla
  sua elezione a senatore avvenuta il 05/04/1992, parlò con il
  Renzi "pur non nominando mai il Virga in sua presenza" per
 
                             Pag.16
 
  vedere se la società avesse disponibilità di denaro al fine di
  aderire alla predetta richiesta. "Ciò feci anche per evitare
  la completa chiusura delle aperture che il Dell'Utri poteva
  garantirci a livello nazionale in relazione agli sponsor".  Il
  Garraffa aggiunge: "circa il Virga, ero a conoscenza del fatto
  che fosse un mafioso, dopo che me lo disse Pietro Caruso.
  Avevo compreso comunque anche prima che si trattava di persona
  di rispetto.  A seguito dell'incontro con Virga mi resi conto
  dunque che Dell'Utri stava scendendo pesantemente in campo per
  ottenere il pagamento da lui richiesto.  Il Garraffa ricorda
  che della visita del Virga e del Buffa, facendo il loro nome,
  parlò solo con Peppe Vento a cui disse che "se mi fosse
  successo qualcosa" qualcuno doveva sapere chi poteva essere
  responsabile di tali fatti.  (...) Dopo il detto incontro del
  Virga, ebbi modo di sentire altre volte il Dell'Utri
  telefonicamente come ho già detto".  Garraffa poi ricorda di
  avere conosciuto Filippo Alberto Rapisarda a casa di Maria Pia
  Dell'Utri, moglie di Alberto e fratello gemello di Marcello.
  Quest'ultima era a conoscenza dei fatti della Pallacanestro
  Trapani e che, avendone parlato con Marcello, questi le disse
  che riteneva il Garraffa "un mascalzone".
     Il Rapisarda, a cui riferì i fatti relativi alla suddetta
  sponsorizzazione, assicurò che avrebbe fatto qualcosa che non
  portò però ad alcun risultato.  Il Garraffa aggiunge che
  l'architetto Todaro era a conoscenza dei fatti
  Publitalia-Dell'Utri essendo il suo braccio destro all'interno
  della Pallacanestro Trapani.  Lui ed il Renzi erano a
  conoscenza delle richieste di Dell'Utri.  In particolare il
  Todaro fu il più rigido nel rifiutarle dicendo: "corriamo il
  rischio di andare in galera".  Todaro però non era stato posto
  al corrente dell'intervento di Virga e di Buffa.  Il Garraffa
  precisa altresì di non sapere come mai i giornali dell'epoca
  avessero riportato la notizia della sponsorizzazione di L.
  750.000.000 e non di lire 1.500.000.000.
     Il Garraffa conferma di aver conosciuto il Virga molto
  tempo prima della sua visita in ospedale e che dopo
  quest'ultima non lo ebbe più a rivedere.
     Il Renzi, sentito il 23/11/1997, ricorda che il Garraffa
  aveva trovato uno sponsor grazie a tale Piovella e che la
  Publitalia, a dire del Garraffa, pretendeva il 50 di quanto
  sponsorizzato confermando altresì una delle due consegne di
  somme in danaro al Piovella riferita dal Garraffa nonché il
  fatto che quest'ultimo era molto preoccupato per reperire
  urgentemente quanto reclamato da Publitalia perchè qualcuno
  glielo aveva chiesto.
     Il medesimo Renzi il 23/11/1997 confermò il versamento al
  Piovella di 35.000.000 e le telefonate di quest'ultimo per
  sapere "quando sarebbero avvenuti i pagamenti delle
  commissioni".
     Il Renzi aggiunse: "la sponsorizzazione ordinariamente
  approntata per una squadra di A/2 ammontava allora a circa
  700/800.000.000 annui.  (...) Una volta Garraffa mi disse che
  doveva andare a Milano a vedersi con Dell'Utri.  Una volta
  Garraffa mi chiamò nel suo studio professionale di Via
  Fardella a Trapani e mi disse che dovevamo in tutti i modi
  fare un pagamento in relazione alla vertenza con la
  Publitalia.  Gli chiesi perchè dovevamo pagare dopo che avevamo
  preso la decisione di non farlo.  Lui mi disse che era stato
  avvicinato da una persona che gli aveva detto che doveva
  rispettare gli impegni.  In quella occasione lo vidi alquanto
  preoccupato (...).  So che il Garraffa doveva partecipare alla
  trasmissione di Maurizio Costanzo e so anche che ciò non
  avvenne perchè poi l'appuntamento saltò ma non so per quale
  motivo".
     Il G.I.P. precisa che "il fatto che l'associazione mafiosa
  trapanese fosse stata interessata per il recupero della somma
  asseritamente dovuta a Publitalia ed al Dell'Utri risulta
  chiaramente dalle dichiarazioni rese a questo ufficio da due
  collaboratori di giustizia, Sinacori Vincenzo, già reggente
  del mandamento di Mazara del Vallo, e Messina Giuseppe,
  commercialista di Virga Vincenzo, capofamiglia di Trapani".
     Il 28/01/1998 viene sentito Piovella Renzo che secondo di
  G.I.P. "in maniera apparentemente inspiegabile forniva una
  versione dei fatti poco credibile, non rispondente a tutte le
 
                             Pag.17
 
  precedenti risultanze agli atti e, soprattutto, difficilmente
  giustificabile a rigor di logica (il Piovella aveva infatti
  sostenuto di aver personalmente curato la sponsorizzazione in
  proprio, in modo esterno a Publitalia).  Tale impressione
  veniva poi confermata dalla audizione di uno dei soggetti
  chiamati in causa dal Piovella e cioè il Barbera.  Il Barbera,
  in particolare, ha riferito come il Piovella sia intervenuto
  direttamente su di lui al chiaro fine di inquinare le prove
  del presente procedimento.
     Barbera Ferruccio viene sentito il 29/10/1998 precisando
  che il Piovella il 29/01/1998 era venuto a trovarlo in ufficio
  presso la sua società PUBILLA dicendogli di essere stato
  sentito dalla Procura di Palermo in relazione alla
  sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani, dicendogli di
  aver fatto il suo nome anche in relazione a certo Gino
  Capponi, persona che lui nemmeno conosceva.  Il Barbera
  riferisce che a suo tempo il Piovella gli aveva riferito che
  in merito alla sponsorizzazione per la Pallacanestro Trapani
  della Birra Messina era sorto un problema "in quanto il
  Garraffa, presidente della società sportiva, avendo ricevuto
  dalla birra Messina 1.500.000.000 di lire si rifiutava di
  restituire 750.000.000.  (...) Il Piovella mi disse in quella
  occasione che lo Starace della Birra Messina (che io in quel
  momento non conoscevo ancora) era in difficoltà proprio perché
  Garraffa non restituiva i 750.000.000 di lire (...).  Il
  Piovella si faceva portavoce di avere ristornati i detti
  750.000.000 di lire.
     Il Piovella mi disse anche che aveva rassicurato Starace
  dicendogli che io avrei potuto parlare direttamente con
  Marcello Dell'Utri.  (...) Il Piovella disse a Starace di
  cercarmi personalmente.  Ricordo che ciò avvenne nel periodo
  estivo (io mi trovavo infatti a Pantelleria) credo nell'anno
  successivo alla sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani
  da parte della Birra Messina.  Lo Starace mi chiese nell'ambito
  di queste telefonate un incontro con il Dell'Utri.  Presi
  quindi un appuntamento con il Dell'Utri, che io conosco da
  tempo, ma con il quale non ho mai avuto un rapporto di
  amicizia (...).  Dell'Utri accettò di effettuare l'incontro,
  che avvenne a Milano presso la sede Publitalia di Milano Due.
  Partecipammo io stesso, il Dell'Utri e lo Starace.  Se ben
  ricordo, fui io ad introdurre il problema che mi parve il
  Dell'Utri non conoscesse.
     Successivamente, non ricordo chi dei tre propose quale
  soluzione di recuperare i 750.000.000 tramite una concessione
  di spazi pubblicitari da parte di Publitalia alla HEINEKEN.  Da
  quel momento non so più niente di questi fatti.  Non so se
  Dell'Utri non conoscesse queste circostanze o se non facesse
  trasparire la sua conoscenza dei fatti.  Piovella non mi disse
  perché lui si faceva portavoce dello Starace, anche se dal suo
  comportamento e da alcune frasi da lui dette compresi che ne
  aveva curato la sponsorizzazione.  Dell'Utri, dopo che io
  esposi i fatti, non disse nulla contro il Piovella.  Ebbi
  comunque la netta sensazione che il rapporto con la società
  HEINEKEN era certamente importante per la Publitalia dal punto
  di vista pubblicitario".
     Rapisarda Filippo Alberto, sentito il 07/02/1998, conferma
  che il Garraffa gli aveva parlato di un affare con Marcello
  Dell'Utri in conseguenza del quale "erano ai ferri corti" e
  che si trattava in particolare di un affare per un importo
  complessivo di circa 1.500.000.000.  Il Garraffa gli chiese di
  intervenire su Dell'Utri. "Io gliene accennai ma mi rispose
  che il Garraffa non era da trattare in quanto era un
  truffatore".  Il Garraffa gli riferì che il Dell'Utri lo aveva
  minacciato.
     La Malfa Dell'Utri Maria, sentita il 25/06/1998, amica di
  Garraffa per comune fede repubblicana, riferisce che questi le
  raccontò "che per la squadra era essenziale trovare uno
  sponsor e per questo motivo so anche che entrò in contrasto
  prima con Gian Franco Miccichè, allora credo responsabile di
  Publitalia per la Sicilia, e successivamente con mio cognato
  Marcello Dell'Utri (...) Vincenzo Garraffa, tornando
  all'incontro a Milano con Marcello, organizzato da mio marito,
  mi disse che Marcello lo aveva trattato male e che aveva
  creduto alla versione di Miccichè invece che alla sua ...
 
                             Pag.18
 
  Ricordo che si trattava del rinnovo della sponsorizzazione
  della squadra (...).  Questo viaggio di Garraffa a Milano per
  parlare con Dell'Utri avvenne nel 1992 (...).  Ricordo che una
  volta il Garraffa chiese al Rapisarda se poteva metterlo in
  contatto con Marcello Dell'Utri e ciò sempre in relazione alla
  questione della sponsorizzazione della squadra di
  pallacanestro Garraffa mi disse che voleva vendicarsi del
  Dell'Utri ed avrebbe fatto il collaboratore di giustizia con
  il Dott. Di Pietro.  Io rimasi sorpresa e gli dissi di fare
  quello che meglio credeva.  Non gli chiesi il motivo di tanto
  astio.  Il Garraffa non mi parlò mai di minacce".
     Giuseppe Vento, sentito il 19/01/1998, già commissario
  della pallacanestro Trapani, ricorda: "venni a sapere dal
  Garraffa che la Birra Messina aveva sponsorizzato la
  Pallacanestro Trapani per un importo di 1.500.000.000 oltre
  IVA e che da parte della stessa Birra Messina vi era la
  richiesta di ottenere indietro, in nero, circa 800.000.000.
  (...) Siccome avevamo difficoltà a trovare un nuovo sponsor
  per la squadra che era passata in A/1, il Garraffa mi disse
  che stava cercando una strada per recuperare il rapporto con
  la Birra Messina, in particolare facendo emettere una nuova
  fattura di circa 2.000.000.000 e accettando solo 450.000.000
  in contanti a fronte di questa fatturazione.  L'operazione a
  quanto pare falli perché la Birra Messina si rifiutò di
  accettare la proposta.  Ricordo anche che in un momento
  precedente a quello di cui ho parlato il Garraffa mi disse che
  doveva portare 300.000.000 di lire a Milano, dicendo che
  dovevano servire a pagare non meglio precisati intermediari.
  (...) Successivamente mi telefonò Filippo Starace, che mi
  chiese di Vincenzo Garraffa, dicendomi che con il Garraffa
  aveva un conto di dare-avere non rispettato.  (...) Ricordo
  ancora che il Garraffa si faceva negare al telefono e che lo
  Starace mi telefonò nuovamente.  (...) Io avevo già compreso
  che qualcosa non funzionava nel rapporto tra la Birra Messina
  ed il Garraffa in quanto non vi era alcuna plausibile ragione
  perché cessasse la sponsorizzazione.  (...) In occasione della
  prima telefonata di cui ho parlato, ho consigliato lo Starace
  - considerato che non riusciva a contattare il Garraffa - di
  venire lui stesso a Milano in occasione della partita contro
  la PHILIPS.
     Lo Starace venne poi effettivamente alla fine del primo
  tempo della gara, ma il Garraffa inspiegabilmente si eclissò.
  Starace in queste telefonate mi aveva fatto cenno ad un certo
  Piovella, che poi ebbi modo di conoscere personalmente, che a
  suo dire rischiava il licenziamento per il comportamento del
  Garraffa".  Consigliai lo Starace di venire a Torino il
  06/10/1991 in occasione della gara che la Pallacanestro
  Trapani avrebbe dovuto disputare con la Robe di Kappa di
  Torino.  In questo caso, contrariamente alla prima occasione,
  non preannunziai nulla al Garraffa.  Fu così che mentre eravano
  nella hall del Jolly Hotel di Torino arrivò lo Starace insieme
  ad un altro soggetto che allora ancora non conoscevo.
  Quest'ultimo soggetto cominciò a discutere animatamente con il
  Garraffa insultandolo pesantemente e ripetutamente.  Il
  Garraffa, che è solitamente un tipo aggressivo o comunque non
  remissivo, girò sui tacchi e andò via.  Venni a sapere così che
  questo soggetto, che si era così espresso con il Garraffa, era
  il Piovella (...).  Arrivai a rompere completamente con il
  Garraffa quando una volta, con le lacrime agli occhi, lo
  stesso mi disse di essere disperato perché aveva ricevuto
  pesanti pressioni per consegnare gli 800.000.000 di lire.  In
  quella occasione mi fece capire che aveva subito delle vere e
  proprie minacce e che queste provenivano da ambienti
  malavitosi.
     Tornando all'invito al Maurizio Costanzo Show ricordo
  anche che questo venne inspiegabilmente revocato all'ultimo
  momento a mezzo telegramma.  Il Garraffa in quell'occasione mi
  disse che non avevano voluto che lui partecipasse perché
  sapevano che avrebbe sparato a zero sull'allora presidente
  della regione siciliana Nicolosi che defini amico di Costanzo.
  (...).  Il Garraffa non mi parlò di Marcello Dell'Utri.  Debbo
  anzi dire che il Garraffa non mi fece mai il nome di nessuno
 
                             Pag.19
 
  di questi pubblicitari che lo avevano messo in contatto con la
  Birra Messina."
     Il 22/10/1997 viene sentito Todaro Osvaldo, già tesoriere
  della società Pallacanestro Trapani.  Riferisce che in seguito
  alla sponsorizzazione della Birra Messina "nel corso di una
  ulteriore riunione del direttivo il Garraffa ci disse che vi
  era una sensalia da pagare, ma non disse in quella occasione
  l'importo che dovevamo pagare all'intermediatore né disse il
  nome dello stesso (...).  Non sono a conoscenza del pagamento
  di alcuna somma.  Non avendo mai chiesto il nome
  dell'intermediario non posso aver sentito parlare di
  Publitalia e di Marcello Dell'Utri (...).  Nella stagione
  1992/93 trovai io stesso uno  sponsor  alla squadra.  Si
  trattava della Società Tonno Auriga di Trapani che
  sottoscrisse un contratto di sponsorizzazione di circa
  750.000.000.
     Pietro Pizzo sentito il 07/11/1998,  deux ex machina
  della società Pallacanestro Trapani, conferma di avere
  suggerito al Garraffa, interessato ad una sponsorizzazione, di
  rivolgersi al Piovella, che già aveva assicurato la
  sponsorizzazione alla propria società.  Dario Biraghi, sentito
  il 20/11/1998, precisa che "l'iniziativa del Piovella per la
  sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani era a titolo
  privato, senza alcun coinvolgimento di Publitalia (...).
  Escludo che il Dott. Dell'Utri potesse essere informato della
  vicenda della Pallacanestro Trapani in quanto, come ho già
  detto, si trattava di una iniziativa privata del Piovella".
     Starace Filippo, sentito il 26/10/1998, dovendo lanciare
  sul mercato il marchio Birra Messina si mise in contatto con
  il Biraghi di Publitalia che dopo qualche tempo gli presentò
  il Piovella, amico del presidente della Pallacanestro Trapani,
  che cercava per l'appunto uno  sponsor.  Fu quindi
  sottoscritto il contratto per l.500.000.000.  (...).  Il
  campionato della Pallacanestro Trapani andò molto bene tanto
  che la squadra riuscì a passare in serie A/1.  Il risultato
  della sponsorizzazione fu invece modesto.  (...).  Non so nulla
  di eventuali richieste di Biraghi e Piovella al Garraffa ed
  alla Pallacanestro Trapani.
     Per quanto riguarda il capo "A" e cioè la tentata
  estorsione, l'onorevole Dell'Utri con la propria memoria
  sostiene trattarsi di accuse calunniose, così come emergerebbe
  da riscontri peraltro del tutto omessi dai magistrati
  palermitani.
     Secondo il parlamentare il Garraffa venne a trovano a
  Milano per proporre alle reti Finivest diritti di trasmissione
  televisiva del campionato di  basket  della cui Lega
  Nazionale era allora componente.
     L'onorevole Dell'Utri disse al Garraffa che tali diritti
  non gli interessavano e colse l'occasione per riferirgli la
  lamentela del dr. Starace in relazione al mancato rispetto
  dell'impegno assunto nei suoi confronti.
     Ciò al solo fine di contribuire a risolvere un problema
  che riguardava uno tra i più importanti clienti di Publitalia.
  Non fece, né aveva ragione di fare, alcuna minaccia, anche
  perché, come detto, l'operazione non riguardava affatto
  Publitalia.  Sul fatto poi che non conoscesse gli esatti
  termini della vicenda, vi sarebbe conferma nelle dichiarazioni
  di Barbera Ferruccio rese al P.M. il 29.10.98 (... "se ben
  ricordo fui io ad introdurre il problema che mi parve il
  Dell'Utri non conoscesse").  Dopo tale incontro l'onorevole
  Dell'Utri non ebbe più occasione di vedere o sentire il
  Garraffa.
     La falsità delle accuse del Garraffa si trarrebbe, poi,
  sia dalle gravi contraddizioni palesate nell'accusa, sia per
  mezzo di precisi elementi di discolpa, scaturenti da
  dichiarazioni difensive che ben potevano e dovevano trovare
  naturale collocazione nel doveroso lavoro di indagine dei
  PP.MM., a conferma di una attività investigativa unilaterale,
  sintomaticamente persecutoria.
     Una grave omissione, da parte dei magistrati palermitani,
  scaturirebbe dalla mancata considerazione dei reali rapporti
  tra il Garraffa e presunti mafiosi del calibro del Virga, capo
  mandamento di Trapani e del Buffa, emergenti dal procedimento
  n.4495/94 RGNR, richiamato nella richiesta dei PP.MM. di
  custodia cautelare a carico dell'onorevole Dell'Utri.  Si
  legge, infatti, a pag. 179: "sulla attendibilità specifica
  <del Garraffa> non v'è ragione di dubitare, sia in forza della
 
                             Pag.20
 
  coincidenza delle sue dichiarazioni, riguardo soprattutto alla
  sua conoscenza con Buffa Michele e Virga Vincenzo, con quelle
  rese dal Messina, sia dai riscontri evidenziati dalle indagini
  di P.G.".  Dunque patente di attendibilità conferita al
  Garraffa, per la sua profonda conoscenza con i due mafiosi,
  che non poteva non essere conosciuta dal GIP Scaduto, che
  aveva trattato il procedimento penale n. 4495194 citato nella
  richiesta dei PP.MM., in cui risultavano illuminanti le
  dichiarazioni di Messina Giuseppe.  Questi, in sede di
  interrogatorio audioregistrato del 19.11.96 dedicato alla
  individuazione degli "uomini cosiddetti vicini a Cosa Nostra"
  così si esprime in un paragrafo espressamente riservato ai
  rapporti tra senatore Garraffa e Virga Vincenzo".
     "(...) i rapporti tra Garaffa Vincenzo ed il Virga
  Vincenzo sono diretti e personali.  Il Virga Vincenzo conobbe
  il Garraffa perché presentatogli dal Caruso Pietro del quale
  ho già parlato.  Quindi mi risulta che Virga Vincenzo abbia
  sostenuto la campagna elettorale del Garraffa a senatore della
  Repubblica per quanto appresi direttamente dal medesimo Virga
  e per quanto ebbi modo di constatare direttamente nel periodo
  elettorale in questione...
     Più di una volta ho visto insieme il Garraffa Vincenzo ed
  il Virga Vincenzo ed anche il primo in compagnia del Buffa
  Michele, con il quale pure il Garraffa manteneva cordiali
  rapporti...
     Quando Virga Vincenzo decise di farmi terra bruciata
  attorno, nel senso che ho meglio specificato nel corso dei
  miei precedenti esami, anche al Garraffa venne data
  disposizione di non frequentarmi e di togliermi la consulenza
  esterna che io avevo di una sua azienda e cioè lo studio
  radiologico del Garraffa.  A tale disposizione il Garraffa
  senza darmi spiegazioni, diede seguito.  La circostanza che ho
  appena aggiunto l'ho appresa dopo tempo direttamente dal Buffa
  Michele al momento in cui questi cercò di riavvicinarsi a
  me".
     Dunque il Garraffa era un uomo "a disposizione" del Virga,
  con rapporti diretti e personali con lui, cui doveva persino
  il sostegno nella campagna elettorale che lo portò al mandato
  senatoriale, e con altrettanto stretti legami con Buffa
  Michele.
     Risulterebbe allora totalmente inattendibili, alla luce
  della dimostrata familiarità, le dichiarazioni tese ad
  affermare una fantomatica condotta intimidatoria e minacciosa
  da parte di persone, invece, intensamente legate al Garraffa
  da rapporti di amicizia risalenti quantomeno, alla fine degli
  anni '80.
     Ma l'inaffidabilità del Garraffa sarebbe stata agevolmente
  riscontrata ove fosse stata ricostruita nella sua reale
  consistenza la personalità del soggetto.  Di certo, la Procura
  di Palermo, all'atto della richiesta di misura cautelare ai
  danni dell'onorevole Dell'Utri, non doveva non conoscere la
  condanna subita dal Garraffa il 13.2.98 dal Tribunale Penale
  di Catania per il reato di concorso di diffamazione a mezzo
  stampa aggravato ai danni del Dr. Gabriele D'Ali, all'epoca
  candidato alla carica di Sindaco di Trapani e appartenente ad
  uno schieramento politico contrapposto (M.S.I. mentre il
  Garraffa era del PRI).  Dal testo della sentenza emerge che il
  Garraffa, pur di colpire il suo avversario politico D'Ali,
  prima della pubblicazione dell'articolo diffamatorio, non
  aveva esitato a presentare un esposto alla Procura della
  Repubblica di Trapani contro lo stesso e altri dipendenti del
  Banco di Sicilia per il delitto di abuso di ufficio, dando
  origine ad un procedimento penale conclusosi con una sentenza
  in data 25.11.95 di proscioglimento degli imputati, confermata
  dalla Corte d'Appello di Palermo con decisione del 17.7.96,
  entrambe con la formula "perché il fatto non sussiste", che
  ben palesa l'indole del personaggio.
     Né ha alcun fondamento poi una valutazione di credibilità,
  come quella desunta dal GIP, tratta dall'impegno non
  professionale e frutto di  hobby  del Garraffa nella
  Pallacanestro Trapani, come tale del tutto inidonea, sempre
  secondo il GIP a dare origine ad una "disinvolta attività
  calunniatoria".  Infatti, mentre la sentenza del Tribunale di
  Catania fornisce elementi circa il notevole giro di affari
 
                             Pag.21
 
  legato alla Pallacanestro Trapani, se è vero che "tra la fine
  degli anni '80 e l'inizio degli anni '90 risultava a carico
  della Pallacanestro Trapani un'esposizione debitoria nei
  confronti del Banco di Sicilia nella misura di circa due
  miliardi di lire dovuta ai finanziamenti erogati dall'istituto
  di Credito per la costruzione del Palagranata" e che tra il
  28.5.91 e il 25.10.93 pervennero alla società sportiva
  contributi regionali per poco meno di un miliardo.  Tali
  informazioni difensive raccolte dal sig.  Mazzara Salvatore di
  Erice - ex articolo 38 disp. att. - confermano i rilevanti
  interessi economici del Garraffa nell'attività sportiva, tanto
  da farla ritenere del tutto prevalente rispetto alla sua
  attività professionale di medico radiologo.
     Una indagine imparziale e avulsa da intenti persecutori,
  avrebbe (secondo l'onorevole Dell'Utri) dovuto indurre i
  magistrati palermitani a ricostruire i reali interessi e i
  campi di attività del Garraffa, oggi coinvolto in numerose
  controversie con i suoi familiari, anche più stretti, che lo
  accusano di gravi irregolarità nella gestione della Garraffa
  Medicina Nucleare s.r.l. di Trapani di cui si sostiene fosse
  l'amministratore di fatto, fatti sintomatici della
  spregiudicatezza dello stesso.  In sede di ricorso per
  sequestro conservativo proposto dalla Garraffa Medicina
  Nucleare s.r.l. contro Vincenzo Garraffa, quest'ultimo è stato
  accusato di aver effettuato operazioni illecite nella sua
  veste di amministratore di fatto di detta società per lire
  2.618.631.054.  Il relativo provvedimento di sequestro
  conservativo di beni mobili ed immobili sino alla concorrenza
  di lire 1.500.000.000 è stato emesso il 14.1.99 dal Tribunale
  Civile di Trapani.  Si consideri infine un atto di citazione
  per fatti che coprono l'arco che va dal 1980, anno anche di
  fondazione della Pallacanestro Trapani, fino ai nostri
  giorni.
     La gravità del  modus procedendi  della Procura di
  Palermo nell'effettuare le indagini conseguenti alla singolare
  informativa del Sostituto Calvisi del 28.2.97, emergerebbe dal
  fatto che fin dal 23.7.98 era apparso sul periodico
  L'Espresso  un articolo a firma di P. Gomez dal titolo
  "Finché Dell'Utri mi mandò il  Boss  " ove era riportata la
  vicenda della sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani con
  le accuse del Garraffa nei confronti dell'onorevole Dell'Utri.
  Ebbene, nel suddetto articolo il Garraffa faceva riferimento
  all'affidamento ad un'agenzia di Milano per la ricerca di
  sponsorizzazioni a favore della società trapanese per superare
  il "cordone sanitario" che secondo il Garraffa sarebbe stato
  opposto da Publitalia e dall'onorevole Dell'Utri quale
  conseguenza del mancato versamento di 750 milioni derivanti
  dalla sponsorizzazione della Birra Messina.  Nei confronti
  dell'articolista e del periodico l'onorevole Dell'Utri ha
  presentato querela per diffamazione aggravata a mezzo stampa
  tuttora pendente presso la Procura della Repubblica di Trapani
  e di Roma.  In tal modo diveniva di pubblico dominio il
  riferimento alla Image Building di Milano, già noto alla
  Procura di Palermo fin dal 9.10.97.  Riporta infatti il Dr.
  Scaduto le seguenti già richiamate dichiarazioni del Garraffa:
  "...preciso ancora che alla fine della stagione sportiva 90/91
  la Pallacanestro Trapani approdò in serie A1.  Al fine di
  reperire uno sponsor mi affidai al Dott. Paolini della Image
  Building di Milano, il quale, anche in considerazione del
  fatto che eravamo la prima società siciliana ad approdare in
  A1 di basket maschile, riteneva facile ottenere un contratto
  prestigioso.  Per due volte il Paolini mi disse di essere
  arrivato ad un pre-contratto con alcune società (che non mi
  specificò).  In entrambi i casi mi disse che successivamente il
  contratto era andato in fumo per il veto che era stato opposto
  da Publitalia.  Ricordo anche che il Paolini cercò di
  ammorbidire questo veto parlando con un certo Perricone di
  Publitalia o della Fininvest, ma non vi fu nulla da fare".
     Il reato di tentata estorsione contestato sub  a)
  sarebbe dedotto dall'intervento dell'onorevole Dell'Utri
  "sugli operatori del mercato delle sponsorizzazioni (ed in
  specie sulle possibili aziende sponsorizzatrici) per
  convincerle a non sponsorizzare la società Pallacanestro
  Trapani per l'annata sportiva 1991-92, così costringendo la
 
                             Pag.22
 
  detta società ...a partecipare senza alcuno sponsor al
  campionato medesimo, e ciò al chiaro fine di costringere il
  detto Garraffa e la società Pallacanestro Trapani a versare le
  somme illecitamente richieste".
     Premesso che anche V. Renzi nelle sommarie informazioni
  del 23.11.97 aveva fatto riferimento alla Image Building,
  l'onorevole Dell'Utri si sarebbe atteso - in una indagine
  serena - un accertamento in tale direzione, trattandosi di
  necessario riscontro all'ipotesi di reato: sintomatica e grave
  omissione, forse nel timore dei possibili esiti negativi,
  confermati dalle successive acquisizioni ex articolo 38 disp.
  att.
     Da una lettera trasmessa alla difesa dell'onorevole
  Dell'Utri dalla dott.ssa Giuliana Paoletti, co-titolare della
  Image Building di Milano, tramite il suo legale il 16.3.99,
  cui era stata avanzata richiesta dopo un articolo apparso nel
  Corriere della Sera dell'11.3.99, si legge:
     "Egregio Avvocato Federico,
     Le invio la presente in risposta alla sua richiesta di
  riferirle quanto a mia conoscenza in ordine ai fatti che sono
  stati oggetto dell'articolo pubblicato sul Corriere della Sera
  in data 11 marzo 1999.
     In merito non posso che confermare quanto ho già indicato
  al giornalista Paolo Foschini del summenzionato quotidiano.
     In particolare quanto segue: ho letto sull'articolo
  pubblicato sull'Espresso del 23 luglio 1998 a firma di Peter
  Gomez dal titolo "finché Dell'Utri mi mandò il boss": che il
  Garraffa in ordine alla vicenda relativa all'attività
  professionale svolta dalla mia società Image Building avrebbe
  affermato: per questo, malgrado ci fossimo affidati a
  un'agenzia di Milano, e fossimo per ben due volte arrivati al
  precontratto, le grandi aziende che li avevano firmati sono
  state stoppate dagli uomini di Dell'Utri.  Queste ditte infatti
  lavoravano con loro.
     Per quanto mi consta tale affermazione non corrisponde al
  vero.
     Infatti: nessuna fra le grandi e piccole aziende che
  contattammo ebbe mai a firmare contratti o precontratti
  relativi alla sponsorizzazione della stagione 91/92 della
  Pallacanestro Trapani.
     E' vero semplicemente che contattammo diverse aziende che
  però non mostrarono alcun interesse alla sponsorizzazione
  della squadra; la motivazione era che la squadra, pur
  militando nella serie maggiore, non vinceva quasi mai.
     Quanto all'affermazione, pure contenuta nell'intervista
  sull'Espresso, secondo cui "Garraffa afferma: (...) fummo
  invitati al Maurizio Costanzo Show.  Ma poi, per intervento di
  Dell'Utri, saltò tutto".
     (...) Osservo che tutto ciò non mi consta.  Infatti, la
  puntata di cui parla Garraffa risale alll'8 novembre 1991,
  puntata per la quale io stessa concordai la presenza di
  Garraffa, di Vento, e della squadra (come da fax consegnati
  alla Digos).  Il contatto avvenne con telefonate mie a
  Silvestri, e Gambino della redazione del Costanzo.  La sua
  presenza fu annullata per normalissime ragioni redazionali,
  legate al fatto, mi disse la redazione che le precedenti
  puntate sulla mafia avevano destato moltissimo clamore e
  preferivano aspettare.
     A quanto risulta a me, fra l'altro, seppi dallo stesso
  Garraffa che costui protestò con Costanzo a seguito di
  un'altra puntata sulla Mafia a cui lo stesso non era stato
  invitato, in seguito alla quale egli scrisse una lettera al
  Costanzo che mi fece avere in copia, ma tutto ciò avvenne un
  anno dopo (7 settembre 1992).
     Fatte tali precisazioni, per maggior completezza le
  preciso quali sono stati i rapporti tra il Garraffa e la mia
  società.
     Garraffa contattò Image Building nel luglio 1991 tramite
  un consulente aziendale, mi pare fosse il signor Cioffari, che
  arrivò a noi su consiglio di Luca Lindner (un noto
  pubblicitario) per esigenze di immagine e di sponsor.
     Insieme al mio socio di allora, Davide Paolini, spiegammo
  a Garraffa che la squadra aveva bisogno, per trovare un nuovo
  sponsor, di accrescerne l'immagine e che noi ci saremmo
  adoperati a ciò.
     Gli chiedemmo con chi aveva già avuto contatti per uno
  sponsor e lui ci disse che l'ultimo sponsor era stata la Birra
  Messina per la precedente stagione; tramite una persona di sua
 
                             Pag.23
 
  conoscenza in Sicilia, ci disse che era una persona in qualche
  modo legata a Publitalia, era stato messo in contatto con il
  direttore di marketing dell'azienda, Filippo Starace, che gli
  aveva offerto un contratto per una cifra molto alta, non
  specificandone a noi l'entità, ma che metà di questa cifra
  doveva essere restituita alla Birra Messina.  Non ci mostrò mai
  il contratto in questione pur avendolo noi richiesto.
     Qualche tempo dopo parlandoci di un'opportunità legata al
  recupero dell'Iva ci disse che la cifra del contratto era di
  1500 milioni.
     Ci disse anche che non voleva restituire quei soldi, pur
  essendo quello d'accordo con l'azienda, e che avrebbe chiesto
  a Starace di trasformare il contratto da annuale in biennale,
  visto che dai suoi calcoli il contratto totale poteva coprire
  le esigenze della squadra per due anni.
     Disse anche che stava cercando un contatto importante con
  Pubblitalia per raccontare questa storia e per farsi dare una
  mano, perché voleva che qualcuno di importante intervenisse
  con chi aveva intermediato l'incontro con lo sponsor, affinché
  facesse desistere la Birra Messina dal rivolere indietro la
  metà dell'ammontare del contratto.
     Gli chiesi se per caso conosceva Dell'Utri e Perricone.
  Lui disse che a Dell'Utri aveva stretto la mano ma che non si
  poteva parlare di un rapporto.  Gli consigliai quindi di
  parlare con Perricone che, per quanto sapevo io, era
  sicuramente più operativo di Dell'Utri e che comunque io
  conoscevo e con il quale mi sarebbe stato possibile fissare un
  incontro interlocutorio (tutto ciò tra settembre del '91 e
  novembre del '91, quindi già a un anno dalla sponsorizzazione
  della Birra Messina).
     L'incontro fu fissato (non ho più la mia agenda) ma la
  data dovrebbe essere la metà di ottobre e prima della fine di
  novembre.
     L'appuntamento fu fissato, andammo, Garraffa ed io, a
  Milano Due da Antonello Perricone, il quale al racconto di
  Garraffa che gli diceva le sue difficoltà economiche a causa
  di un contratto poco chiaro con la Birra Messina, con cui era
  stato messo in contatto dal Piovella di Publitalia, rimase
  imbarazzato, e a me apparve con certezza che egli non sapesse
  nulla della vicenda; tuttavia fu molto gentile e aggiunse che
  si sarebbe informato e che comunque potevo mandargli il
  progetto di comunicazione così da verificare se ci potessero
  essere possibilità di sponsorizzazioni per le iniziative
  speciali.
     Non ricordo se Garraffa durante l'incontro con Perricone
  fece il nome di Biraghi, Piovella e Starace.  A me sicuramente
  li fece, tuttavia, io stessa prima di leggere le cronache da
  luglio, mi ricordavo solo quello di Starace (è sulla mia
  agenda il giorno 7 novembre 1991).  Garraffa mi chiese di
  chiamare Starace prima del Costanzo per tentare, io, di
  chiarire la situazione.  Non feci la telefonata, pur avendo
  appuntato il numero di Starace, perché non ritenni opportuno
  entrare in una vicenda che non conoscevo bene nei particolari,
  non volendo Garraffa raccontarmi quei particolari con
  chiarezza.
     Procurammo a Garraffa incontri importanti ai nostri fini,
  quali, per esempio, quelli con il direttore della Gazzetta
  dello Sport, Candido Cannavò, al quale regalò un dolce (una
  cassata siciliana), con Gilberto Benetton, a Treviso, e con
  molti giornalisti che erano ovviamente interessati all'evento
  "L'altra Sicilia".
     Mi recai almeno due volte a Trapani, una con Paolini e una
  sola tra il luglio e i primi di ottobre del 1991.  Con la mia
  agenda potrei ricostruire anche quando visitammo il palazzetto
  dello sport, fummo invitati da Garraffa al ristorante,
  conoscemmo la moglie, i figli, Vento, Renzi e tutta la
  squadra.  Ci recammo con lui a Erice e in quell'occasione ci
  disse che lui aveva avuto la fortuna qualche tempo prima di
  salvare la vita a un importante personaggio locale.  Quello era
  il motivo per cui veniva accolto sempre con grande rispetto e
  affetto da tutti.  Noi rimanemmo davvero stupiti da tanta
  notorietà locale.
     Nel frattempo il nostro lavoro procedeva, inviammo
  progetto di comunicazione, contratto, e ipotesi di lettere da
  inviare ad aziende che a nostro parere potevano essere
  interessate.
 
                             Pag.24
 
     Il campionato era già iniziato e la squadra non andava
  bene.
     Ricordo che con Garraffa mi recai ad almeno due partite:
  una a Torino il 6 ottobre, contro la Robe di Kappa, e il 17 a
  Milano dove incontrai Mario Bartoletti (allora capo dello
  sport a cui presentai Garraffa).
     Ricordo che nell'ambito della partita a Milano a un certo
  punto lui tra il primo ed il secondo tempo mi chiese di
  andarsene perché c'era una persona che non voleva incontrare.
  Mi sembrò molto agitato ma non me ne diede spiegazione.  Poi mi
  disse che si trattava del direttore marketing della Birra
  Messina.
     Arriviamo a fine novembre del 1991 e non avendo ancora
  trovato alcuno sponsor interessato, lui disse che la soluzione
  poteva essere quella di incontrare Dell'Utri, che sicuramente
  gli avrebbe dato una mano una volta a conoscenza del suo
  problema con la Birra Messina.  Non mi risulta, finché io ho
  avuto rapporti con Garraffa e cioè fino al settembre del 1992,
  che egli avesse incontrato Dell'Utri per discutere della
  questione.  Ovviamente non ne ho la certezza ma ritengo, tenuto
  conto della frequenza dei nostri contatti, che se lo avesse
  conosciuto me lo avrebbe sicuramente comunicato.
     Visto che già dal gennaio 1992 lui aveva smesso di pagare
  le rate relative alle nostre prestazioni professionali, e
  continuando noi a lavorare, io continuavo a chiamarlo spesso,
  mi raccontò che aveva litigato con Vento e che lo considerava
  un traditore, mi mise insomma al corrente anche di cose
  personali non richiesto da me.
     Per quanto riguarda il nostro rapporto economico (Image
  Building e Pallacanestro Trapani), il contratto prevedeva una
  collaborazione biennale per 100 milioni.  Dato che eravamo
  partiti da una richiesta di 100 milioni annuali, mediammo con
  un contratto biennale con l'accordo che Garraffa ci avrebbe
  versato una percentuale sulla ricerca dello sponsor: il 15 per
  cento sotto i 500 milioni (che era la cifra a cui lui ambiva)
  il 10 per cento sopra i 500 milioni.  Dato che ricercare
  sponsor non era la nostra attività precipua, ci accordammo che
  ci avrebbe versato una percentuale del 5 per cento anche sugli
  sponsor che avesse dovuto trovare da sé medesimo, ma per la
  raggiunta notorietà.  Mai ci pagò né la percentuale, né
  tantomeno il contratto.
     Sul ritardo dei pagamenti, avendo ricevuto i suoi
  complimenti per il nostro lavoro e continuando lui a chiedere
  consulenze su molte sue attività (mi fece anche scrivere un
  progetto che lui sosteneva poteva essere finanziato dai fondi
  europei, per meglio utilizzare l'Università del mare),
  confidai sul fatto che si trattasse di un semplice ritardo.
     Parlai anche con Valentino Renzi il quale, molto
  dispiaciuto, mi disse che Garraffa "si era montato la testa e
  che la politica, che era sempre stato il suo obbiettivo,
  l'aveva allontanato da tutti".
     Comunque i nostri rapporti rimasero buoni tanto che, dopo
  la sua elezione al Senato, mi invitò a fargli visita al
  Parlamento, cosa che avvenne nel settembre 1992, il 4 o il
  10).
     In quell'occasione, al bar del Parlamento, mi fece avere
  un suo scritto sullo sport, chiedendomi di divulgarlo e
  dicendomi che stava pensando ad un mio ruolo per la sua
  comunicazione da parlamentare.  Risposi che non era proprio
  quello il tipo di lavoro che mi sarebbe piaciuto svolgere per
  lui e che avrei preferito prima concludere il contratto già
  firmato per il basket.
     Gli feci notare, in quell'occasione che mi era giunta voce
  che lui avesse usato senza interpellarci, il marchio L'Altra
  Sicilia per la sua campagna elettorale.  Gli dissi che ero
  dispiaciuta, visto che nei nostri accordi il marchio era
  nostro (il deposito l'avevo effettuato io) e che almeno
  avrebbe potuto informarci.  Lui mi rispose (...) siamo uomini
  di mondo, saprò come ripagarti.  Abbozzai, anche perché,
  ricordo, doveva ancora alla società oltre 80 milioni di
  lire.
     Mi chiamò ancora spesso chiedendomi consulenza e aiuto in
  varie situazioni con la stampa; mi raccontò che aveva
  conosciuto tanta gente importante e che stava per arrivare (a
  suo dire finalmente) a risolvere la questione con la Birra
 
                             Pag.25
 
  Messina tramite Dell'Utri che finalmente qualcuno li stava per
  presentare.  Doveva essere ottobre del 1992.
     Insistevo sui pagamenti; lui ci assicurò che l'avrebbe
  effettuati, anche per iscritto, cosa mai avvenuta.
     Dedussi che Garraffa era persona assolutamente
  inaffidabile.  Ricordo che gli scrissi una lettera molto dura,
  di cui purtroppo non ritrovo copia, nella quale gli scrissi
  che da uomo retto quale lui si vantava di essere, mi aspettavo
  almeno il rispetto degli impegni presi e reiterati.
     Non provo tuttavia alcun astio nei suoi confronti, poiché
  purtroppo capita fin troppo spesso nella mia professione di
  trovarsi di fronte ad aziende o imprenditori che non onorano i
  propri impegni.
     Il mio ultimo contatto con Garraffa risale al giugno
  1993.
     Quando lessi l'Espresso del 23 luglio 1998, chiamai il
  vicedirettore, Bruno Manfellotto, dicendogli che stavano
  prendendo un granchio.  Parlai con moltissime persone di queste
  incredibili sviste di Garraffa.  Tramite il mio cliente Gaetano
  Miccichè (Amministratore delegato del Cotonificio Olcese
  Veneziano) chiesi di contattare suo fratello Gianfranco
  Miccichè per poter prendere contatto con Dell'Utri, poiché non
  avevo altra conoscenza che mi consentisse di incontrarlo.
  Incontrai Marcello dell'Utri il 30 luglio alle ore 12,00
  presso la Biblioteca di Via Senato.
     Durante l'incontro spiegai molto brevemente al dottor
  Dell'Utri, che mai avevo incontrato prima, e con il quale non
  ho mai intrattenuto alcun tipo di rapporto né personale né
  lavorativo, quanto fosse a mia conoscenza su Vincenzo
  Garraffa.
     Mi ringraziò e mi disse anche che, se le cose stavano come
  gli stavo raccontando, sicuramente i giudici mi avrebbero
  chiamato a Palermo, visto che l'Espresso parlava di un agenzia
  di Milano che era la mia agenzia.
     Ci salutammo dopo circa 15 minuti di colloquio.  Non ho più
  sentito il dott. Dell'Utri.
     L'esposizione di cui sopra è frutto dei miei ricordi
  personali, e da me resa in totale buona fede.
     Sono pertanto a disposizione dell'autorità giudiziaria se
  e quando verrà ritenuta opportuna la mia testimonianza.
                                Dottoressa Giuliana Paoletti".
     Ecco dunque secondo l'onorevole Dell'Utri la vera storia
  della fantomatica estorsione e la puntuale descrizione del
  personaggio Garraffa.
     Dunque contrariamente a quanto dichiarato dal Garraffa:
       sarebbe falso che siano stati mai firmati contratti o
  precontratti relativi alla sponsorizzazione della stagione
  91-92 della Pallacanestro Trapani tramite la Image
  Building;
       sarebbe falso, quindi, che non siano stati conclusi
  contratti per il veto di Publitalia, essendo invece vero che i
  contratti non furono stipulati perché la squadra, "non vinceva
  quasi mai";
       sarebbe falso che l'invito al "Maurizio Costanzo Show"
  dell'8.11.91 sia saltato per veto dell'onorevole Dell'Utri,
  essendo invece stata annullata la partecipazione della
  Pallacanestro Trapani per "normalissime ragioni redazionali,
  legate al fatto che le precedenti puntate sulla mafia avevano
  destato moltissimo clamore", che aveva indotto la redazione a
  temporeggiare;
       sarebbe falso che esistesse da parte di Publitalia
  alcuna pretesa di acquisizione di una somma qualsiasi di
  denaro da parte del Garraffa;
       sarebbe vero, perché riferito dallo stesso Garraffa alla
  dr.ssa Paoletti e al socio dr. Paolini, che all'atto della
  sponsorizzazione della Birra Messina il Garraffa ebbe a
  pattuire con detta Società la restituzione di metà della somma
  versata per il fine di cui sopra, e che detta restituzione
  doveva avvenire a favore della Birra Messina e non di
  Publitalia, e che nell'ottobre '91 era la Birra Messina
  tramite il dr. Starace a richiedere al Garraffa la
  restituzione di quanto pattuito con la sponsorizzazione;
 
                             Pag.26
 
       sarebbe parimenti riscontrato, perché riferito sempre
  dal Garaffa alla dr.ssa Paoletti ed al dr. Paolini, che il
  Garraffa "non voleva restituire quei soldi, pur essendo quello
  d'accordo con l'azienda, e che avrebbe chiesto a Starace di
  trasformare il contratto da annuale in biennale, visto che dai
  suoi calcoli il contratto totale poteva coprire le esigenze
  della squadra per due anni";
       sarebbe accertato che nei mesi di ottobre-novembre 1991,
  quando avvenne l'incontro con il dr. Perricone di Publitalia,
  del Garraffa e della dr.ssa Paoletti, il predetto dirigente di
  Publitalia nulla sapesse della sponsorizzazione della Birra
  Messina;
       sarebbe falso quanto affermato dal Garraffa in ordine
  alla esistenza di un incontro con l'onorevole dell'Utri a
  Milano, promosso da Piovella e Biraghi, nel quale il medesimo
  avrebbe pronunciato la frase minacciosa "io le consiglio di
  ripensarci, abbiamo uomini e mezzi che la possono convincere a
  cambiare opinione", collocata temporalmente dal Garraffa prima
  della sua elezione al Senato, pacificamente avvenuta il 5
  aprile 1992 (pag. 121 dell'ordinanza), dato che la dr.ssa
  Paoletti esclude - in ragione della frequenza dei loro
  rapporti - qualsiasi incontro del Garraffa con l'onorevole
  Dell'Utri fino al settembre 1992; altresì smentendo contatti
  tra il parlamentare ed il suo accusatore antecedenti
  all'incontro con il dr. Perricone, per risolvere la questione
  della Birra Messina, data l'inesistenza dei rapporti tra
  l'onorevole Dell'Utri ed il Garraffa a quell'epoca;
       sarebbe infine falso che il Garraffa abbia mai ricevuto
  minacce, su supposto mandato dell'onorevole Dell'Utri, dal
  Virga e dal Buffa nel periodo da lui indicato, essendo lo
  stesso, nella descrizione dei fatti, collocato
  antecedentemente alla elezione al Senato.
     Quanto sopra è stato riportato dall'onorevole Dell'Utri
  per evidenziare la manifesta infondatezza dell'accusa e la
  totale inaffidabilità e inattendibilità del Garraffa, anche al
  fine della configurabilità del  fumus persecutionis  in
  capo alla Procura di Palermo, che avrebbe volutamente omesso
  riscontri elementari per qualsiasi P.M. o organo di P.G., e
  che emergevano come necessari dalle stesse dichiarazioni del
  Garraffa, e la altrettanto condotta anomala del GIP che non ha
  minimamente riconosciuto la palese incompletezza delle
  indagini.
     In relazione alla configurabilità astratta del reato di
  tentata estorsione di cui al capo A) della rubrica - e sempre
  ribadendo la sua totale estraneità alla condotta addebitatagli
  - dalla lettura dell'ordinanza in oggetto, l'onorevole
  Dell'Utri rileva un "macroscopico errore di diritto"
  rivelatore dell'intento persecutorio dei magistrati
  palermitani.
     La contestazione concerne un tentativo di reato non
  portato a compimento "per cause indipendenti dalla propria
  volontà".  Senonché, scorrendo le dichiarazioni del Garraffa,
  emerge un complesso di richieste cui l'accusatore non avrebbe
  ceduto.  La mancata realizzazione del profitto - o del danno
  ingiusto - e, quindi, dell'evento, non sono dipesi
  dall'arresto degli autori delle minacce, cessate nel 1993,
  bensì dal fatto - sempre a voler dar credito al Garraffa - che
  l'onorevole Dell'Utri avrebbe spontaneamente receduto
  dall'iniziale suo "disegno" non insistendo nel fantomatico
  programma delittuoso.
     Non emergono dall'ordinanza ulteriori impedimenti alla
  consumazione del reato e, più in particolare, le "cause
  indipendenti dalla volontà" dell'indagato, indispensabili alla
  configurazione del tentativo.
     Dunque il mancato perfezionamento del delitto attribuibile
  ad uno spontaneo recesso di atteggiamento, deborderebbe dal
  modello legale fissato dai primi due commi dell'articolo 56
  c.p., rientrando, invece, nello schema tipico del terzo comma
  della stessa norma che dispone: "Se il colpevole
  volontariamente desiste dall'azione, soggiace soltanto alla
  pena per gli atti compiuti, qualora questi costituiscano per
  sé un reato diverso".
     Sicché, anche se fosse rispondente al vero, e non lo
  sarebbe, l'accusa del Garraffa non risulterebbe configurabile
 
                             Pag.27
 
  neppure in astratto il reato di tentata estorsione.  Sarebbe,
  al massimo, configurabile la diversa fattispecie di minacce
  punite con pena fino a un anno e, dunque, una fattispecie non
  legittimante l'adozione di provvedimenti restrittivi.
     Gli addebiti contestati all'onorevole Dell'Utri si basano
  tutti sulle dichiarazioni rese dal Garraffa a circa sette anni
  (!) di distanza dai fatti da lui lamentati.  Le minacce subite
  sono state dal medesimo riferite a Renzi e Vento e sono state
  solo in minima parte confermate dai collaboranti Sinacori
  Vincenzo e Messina Giuseppe, le cui dichiarazioni meritano un
  minimo di attenzione.
     Sinacori, interrogato il 14 marzo 1997, riferisce un
  episodio avvenuto nel lontano 1990.
     Riproduciamo comunque in questa sede integralmente le sue
  dichiarazioni, accompagnate da alcune nostre annotazioni:
     "Ho sentito parlare di Garraffa Vincenzo, ex senatore e
  radiologo di Trapani, essendo persona molto nota in città.  Del
  Garraffa ricordo che negli anni 90 Messina Denaro Matteo mi
  riferì che dal carcere era arrivata la voce di chiedere dei
  soldi (circa 800.000.000) al Garraffa, che li doveva ad una
  persona di cui non mi venne detto il nome.  Il Messina Denaro
  mi disse di contattare Virga Vincenzo  (e perché proprio
  lui?),  che sicuramente era a conoscenza  (e perché?) 
  del nominativo della persona interessata.  Rivoltomi poi al
  Virga lo stesso mi disse che l'interessato poteva essere
    (?)  Mangano Vittorio e, non ricordo se Dell'Utri
  Marcello.  Non so chi mandò poi Virga, ma mi disse comunque che
  qualcuno aveva mandato dal Garraffa e che questo aveva detto
  che non avrebbe dato nulla perché nulla doveva.  Non so
  null'altro su Dell'Utri Marcello".
     Messina Giuseppe, interrogato il 17.6.97, riferisce: "Di
  tale società (la Pallacanestro Trapani) ho saputo, per bocca
  di Michele Buffa, che Dell'Utri Marcello cercava di entrare in
  possesso di 400 milioni di lire, che il Garraffa gli avrebbe
  dovuto dare (in quanto promessogli) quale ristorno in nero di
  una operazione di sponsorizzazione della Pallacanestro Trapani
  da parte della Birra Messina.  Tale ristorno non venne poi
  fatto ed i rapporti tra Dell'Utri e Garraffa si incrinarono.
  La mia fonte mi disse anche che il Garraffa aveva utilizzato i
  400 milioni non per sé stesso, ma per ripianare debiti della
  società sportiva.  Colloco questi fatti (ma non ne sono certo)
  circa tre o quattro anni fa.  Sempre su questo argomento seppi
  da Buffa Michele che Dell'Utri rivolgeva al Garraffa inviti
  pressanti per entrare in possesso della detta somma di
  denaro.
     Non so se il Buffa abbia saputo tali fatti dal Virga, cui
  era molto vicino, ovvero dallo stesso Garraffa, di cui era
  amico.  Nel caso in cui avesse saputo tali fatti dal Virga, è
  chiaro che il Virga ne era a conoscenza perché aveva avuto
  incarico di recuperare questi soldi.  Non so se il Virga avesse
  ricevuto una richiesta in tal senso da altri associati
  mafiosi.  Il Buffa mi disse, poi, che il Garraffa - da lui
  interpellato - aveva assolutamente negato la circostanza di
  dovere quella somma di denaro al Dell'Utri...  Ho già riferito
  sui rapporti tra il Virga e Cosa Nostra".
     Si tratta di inutilizzabili riferimenti  de relato
  che comunque non confermano affatto il preteso tentativo di
  estorsione.
     Dal contesto degli atti emerge però inequivocabilmente che
  l'unica interessata al recupero dell'importo di lire 750
  milioni era certamente la Birra Messina che aveva sborsato la
  somma di lire un miliardo e 500 milioni e non Pubblitalia che
  direttamente, indirettamente o addirittura a sua insaputa
  tramite il Piovella poteva aver favorito tale
  sponsorizzazione.
     Sono stati infatti compiutamente provati i ripetuti
  interventi di Starace per la Birra Messina finalizzati al
  recupero di tale somma, mentre analoga prova è mancata (al di
  là della sola denuncia di Garraffa) per quanto riguarda un
  corrispondente comportamento tenuto dall'onorevole Dell'Utri
  che, anzi, si sarebbe in seguito addirittura rifiutato di
  ricevere il Garraffa medesimo; circostanza che contrasterebbe
  clamorosamente con la tesi secondo cui l'onorevole Dell'Utri
  sarebbe stato direttamente e personalmente interessato al
  predetto rimborso.
 
                             Pag.28
 
     Altra circostanza che emerge inequivocabilmente è che nel
  1990-1991 una sponsorizzazione quale fu quella intervenuta con
  la Birra Messina avrebbe dovuto comportare un esborso di L.
  750.000.000 pari esattamente alla metà di quella convenuta.
  Perché questo accadde?  E' agevole immaginare che nel rapporto
  Pallacanestro Trapani-Birra Messina fosse stato pattuito che
  la prima restituisse alla seconda, proprio in nero, il 50 per
  cento di quanto ricevuto.
     E' notorio, alla luce anche delle ripetute verifiche
  compiute nel settore dalla Guardia di Finanza che hanno avuto
  e che hanno sempre notevole risalto sulla stampa, come
  purtroppo nel campo delle sponsorizzazioni sportive questa sia
  la regola e non la eccezione.  Ciò premesso, occorre
  considerare che il carico fiscale sulla Birra Messina (Gruppo
  Heineken) era superiore al 50 per cento (36 per cento di IRPEG
  + 16,20 per cento di ILOR), sicché su un utile di L.
  1.500.000.000 la medesima avrebbe dovuto versare di imposte
  annue appunto circa 750.000.000.  Se poi si considera che la
  Pallacanestro Trapani in realtà si attendeva solo una
  sponsorizzazione di L. 750.000.000, la restituzione della
  differenza "in nero" avrebbe determinato un evidentissimo
  vantaggio per lo sponsor, notoriamente non un ente di
  beneficenza quale sarebbe stato se avesse versato il doppio di
  quanto effettivamente dovuto, a prescindere dal ritorno
  pubblicitario dell'operazione, che comunque c'è stato.
     E' più che probabile che le cose siano andate proprio così
  e se sono andate così, perché mai l'onorevole Dell'Utri
  avrebbe dovuto minacciare il Garraffa?  Il Gip si è posto il
  problema del  cui prodest?... 
     Anche in funzione degli elementi di conoscenza portati
  dall'onorevole Dell'Utri, gli indizi a suo carico per il capo
  "A" sono davvero inconsistenti.
  Sul Capo "C": concorso nel reato di calunnia.
     La contestazione del reato di calunnia aggravata in
  concorso con Chiofalo Giuseppe e Cirfeta Cosimo trae origine
  dalle dichiarazioni rese in più sedi dal primo ed aventi per
  oggetto le dichiarazioni di alcuni collaboratori di giustizia
  dissociatisi da Cosa Nostra, accusatorie nei confronti
  dell'onorevole Marcello Dell'Utri imputato, come si è già
  ripetutamente detto, del delitto di concorso esterno in
  associazione mafiosa nel processo che si celebra davanti alla
  seconda sezione del Tribunale di Palermo.
     Secondo il GIP, il collaboratore Cirfeta avrebbe tentato
  di screditare vari collaboratori di giustizia (Di Carlo
  Francesco, Guglielmini Giuseppe e Onorato Francesco) con la
  più grave delle accuse per soggetti legati ad un "contratto"
  con lo Stato che li obbliga a dire la verità, all'evidente
  fine di inserirsi in quella vera e propria campagna di
  delegittimazione dell'intero fenomeno dei collaboratori da
  tempo avviata.  Secondo il GIP "le dichiarazioni di Cirfeta non
  costituiscono soltanto il dissennato tentativo di un
  calunniatore, ex pentito caduto in disgrazia, alla ricerca di
  sponsor  danarosi e politicamente influenti, ma anche il
  frutto di un ben preciso, complesso ed ambizioso disegno
  criminoso finalizzato non solo ad offrire all'imputato
  Dell'Utri Marcello falsi elementi di prova a discarico, ma
  anche a minare l'attendibilità di alcuni dei più importanti
  collaboratori di giustizia degli ultimi anni, sulle
  dichiarazioni dei quali sono fondati numerosi processi per
  gravissimi delitti nei quali sono imputati tutti gli esponenti
  di spicco di Cosa Nostra.
     Le dichiarazioni di Cirfeta, ad avviso sempre del GIP,
  sono finalizzate a destabilizzare l'intero sistema normativo
  in materia di valutazione delle dichiarazioni dei
  collaboranti, tentando di metterlo in crisi dal suo interno...
  si è verificato quanto vari collaboranti avevano preannunciato
  negli anni passati: l'utilizzo di falsi pentiti per smentire i
  veri collaboratori di giustizia al fine di creare un
  polverone, così da determinare le condizioni più idonee per
  una radicale revisione della normativa in materia tale da
  azzerare l'intero fenomeno e neutralizzare quello che, in
  questi anni di duri colpi per l'organizzazione mafiosa, è
 
                             Pag.29
 
  stato uno dei più efficaci ed irrinunciabili strumenti a
  disposizione per il contrasto al potere mafioso, vera e
  propria spina nel fianco di Cosa Nostra.  E ciò può apparire
  efficace agli occhi di Cosa Nostra tanto più in un momento
  come quello attuale in cui si discute di una possibile
  revisione dei canoni di valutazione probatoria delle
  dichiarazioni dei collaboranti mediante una modifica
  legislativa dell'articolo 192 del codice di procedura penale,
  essendo evidente che niente di meglio di un eclatante caso di
  due contrastanti schieramenti di dichiarazioni incrociate di
  collaboratori (di cui uno artificiosamente creato da pentiti
  costruiti o comunque falsi) potrebbe indurre a ritenere
  sufficientemente neutralizzata la validità del principio
  giuridico della convergenza del molteplice".
     Tutto ha inizio quando il 24 agosto 1997 con una lettera
  consegnata da Cirfeta a personale del Servizio Centrale perché
  sia inoltrata ai magistrati della Direzione Distrettuale
  Antimafia di Lecce il Cirfeta chiede di poter conferire con la
  stessa in quanto nel suo ultimo periodo di carcerazione
  protrattosi dal 7 giugno 1997 al 10 luglio 1997 veniva a
  sapere da tale Guglielmini Giuseppe che lo stesso si era messo
  d'accordo con altri due collaboratori di giustizia parimenti
  presenti nel carcere per volgere delle accuse false nei
  confronti dell'onorevole Silvio Berlusconi e dell'onorevole
  Marcello Dell'Utri.
     Il 26 settembre 1997 il Cirfeta invia una missiva al
  dottor Michele Emiliano, magistrato della Direzione
  Distrettuale Antimafia di Bari con cui chiede dl avere un
  colloquio con lui per informarlo del fatto che altri detenuti,
  quando egli si trovava nel carcere di Rebibbia nel giugno del
  1997, volevano costruire false accuse nei confronti di
  Dell'Utri e di Berlusconi.
     Il 27 settembre 1997 personale della polizia penitenziaria
  di Paliano, su delega della D.D.A. di Lecce, sente a verbale
  il Cirfeta che conferma come nel giugno precedente, mentre
  trovavasi recluso a Rebibbia, apprese da Guglielmini Giuseppe
  che Onorato Francesco stava parlando con Di Carlo Francesco in
  quanto doveva essere quella mattina interrogato dai giudici
  che gli avevano chiesto precedentemente se fosse a conoscenza
  di collusione con la mafia da parte dell'onorevole Berlusconi
  e dell'onorevole Dell'Utri in considerazione del fatto che Di
  Carlo doveva essere sentito anche lui dai magistrati.  Il
  Guglielmini riferì al Cirfeta che si stavano mettendo
  d'accordo.  Alcuni giorni dopo Guglielmini riferì al Cirfeta
  che gli accordi presi con Di Carlo erano i seguenti: "questi
  avrebbe accusato Berlusconi di essere stato in contatto con lo
  stesso e con Stefano Bontade e di essersi incontrato con
  l'onorevole Berlusconi medesimo a Milano.  Onorato Francesco il
  giorno in cui furono presi gli accordi di cui sopra fu sentito
  dal magistrati e avrebbe dichiarato di aver avuto contatti con
  l'onorevole Dell'Utri dal quale lo stesso o il suo gruppo
  avrebbero riscosso percentuali inerenti l'installazione dei
  ripetitori televisivi a Palermo ed in Sicilia.  Guglielmini dal
  canto suo avrebbe atteso che il magistrato lo sentisse ed
  avrebbe confermato le tesi del Di Carlo e dell'Onorato, questo
  in virtù del fatto che il Guglielmini era stato molto vicino a
  Inzerillo che a sua volta era alleato di Bontade.
     In tale circostanza il Guglielmini avrebbe chiesto al
  Cirfeta se fosse stato a sua volta disposto a costruire una
  valida accusa nei confronti non di Berlusconi e Dell'Utri in
  quanto a quello ci avrebbero pensato loro, ma contro il
  partito di Forza Italia del quale l'onorevole Berlusconi era
  presidente.  Questo il Guglielmini avrebbe chiesto al Cirfeta
  sapendo che quest'ultimo era uno dei collaboratori più
  importanti della Puglia.  Il Cirfeta gli rispose che la cosa
  non gli interessava perché sarebbe dovuto uscire dal carcere
  dopo pochi giorni.
     Il 10 ottobre 1997 il Cirfeta scrive una lettera al
  Procuratore Nazionale Antimafia ed a vari magistrati delle DDA
  di Lecce e di Bari denunziando la scomparsa avvenuta due
  giorni prima, dalla sua cella, di due block notes contenenti
  appunti relativi ad "un processo dove andrò a deporre in
  favore di Dell'Utri Marcello e dell'onorevole Berlusconi" e
  lamentando un deteriore trattamento carcerario (isolamento,
  minacce e maltrattamenti).
 
                             Pag.30
 
     L'11 ottobre 1997 il Cirfeta scrive un'altra lettera
  indirizzata ad altri magistrati della Procura Nazionale
  Antimafia, delle DDA di Bari e di Roma nonché ad ufficiali
  anche dei carabinieri con cui lamentava che dopo aver saputo
  che egli avrebbe deposto a favore di Berlusconi e di Dell'Utri
  era stato portato in isolamento senza spiegazioni, aggiungendo
  altresì di essere stato minacciato anche di morte per non dire
  più niente in ordine alla vicenda di collaboratori che si
  erano messi d'accordo per accusare Berlusconi e Dell'Utri.
     Analoga lettera il Cirfeta invia il 13 ottobre 1997 a vari
  magistrati.
     Il 18 maggio 1998 il Cirfeta invia una nuova missiva a
  varie autorità istituzionali ribadendo le proprie accuse nei
  confronti di Guglielmini, Onorato e Di Carlo aggiungendo
  altresì che collaboratori di giustizia detenuti nel carcere di
  Paliano (Giuseppe Pulvirenti, Bruno Tano e Cucuzza Salvatore)
  lo avevano insultato quale "infame" perché aveva "rifiutato di
  aderire ad un complotto contro alcuni politici" e di aver
  sparso la voce fra gli altri co-detenuti collaboratori che
  occorreva una dichiarazione di ciascuno di "incompatibilità"
  con il Cirfeta, aggiungendo che l'unico che si era rifiutato e
  che lo aveva difeso era Ciro Vollaro.
     Dopo aver richiesto ed ottenuto un colloquio telefonico
  con il Sostituto Procuratore della DDA di Bari, Michele
  Emiliano, il 19 maggio 1998 lo stesso veniva registrato.
  Risulta che i tre collaboratori già menzionati (Di Carlo,
  Onorato e Guglielmini) avrebbero cercato di convincerlo ad
  inventarsi false accuse nei confronti non solo dell'onorevole
  Berlusconi e dell'onorevole Dell'Utri, ma anche nei confronti
  dell'onorevole Massimo D'Alema.  Cirfeta aggiunge di aver
  conosciuto i tre collaboratori nel carcere di Rebibbia e che i
  medesimi gli avevano assicurato, se avesse accettato la nota
  proposta, che i "loro magistrati" lo avrebbero fatto uscire al
  più presto dal carcere.  Cirfeta precisa che nel novembre del
  1997, durante la co-detenzione nel carcere di Prato, il
  collaboratore Lo Forte Vito lo avrebbe qualificato "infamone"
  perché egli si era sottratto al piano che avrebbe dovuto
  coinvolgere anche il capitano De Donno aggiungendo infine che
  del complotto sarebbe stato partecipe anche il collaborante
  Giuseppe Pulvirenti.  Ad avviso del GIP le dichiarazioni del
  Cirfeta sarebbero totalmente infondate e false dal momento che
  risulterebbe destituito di fondamento il fatto che Onorato
  Francesco sarebbe stato interrogato dai magistrati nel
  giugno-luglio 1997 su Dell'Utri e su Berlusconi.  Onorato
  infatti rese le sue dichiarazioni sul conto del solo Dell'Utri
  e non anche di Berlusconi il 12 febbraio 1997 e cioè ben
  quattro mesi prima degli episodi "inventati" dal Cirfeta.
     Secondo il GIP il Cirfeta avrebbe mentito anche in
  riferimento a Di Carlo che aveva reso le sue dichiarazioni
  sugli incontri con Dell'Utri e Berlusconi il 30 luglio 1996
  cioè ben un anno prima del momento in cui tali dichiarazioni
  sarebbero state costruite a tavolino.
     Il GIP ricorda infine che nessuna dichiarazione è stata
  resa da Di Carlo nel giugno-luglio 1997 sui temi indicati da
  Cirfeta e che il Guglielmini, cioè la principale fonte di
  Cirfeta, non ha mai reso dichiarazioni riguardanti Dell'Utri o
  Berlusconi.
     Di Carlo Francesco, interrogato il 15 ottobre 1997, nega
  di aver mai parlato con Onorato e Guglielmini degli argomenti
  di cui alla sua collaborazione.  Aggiungendo di aver parlato
  "per la prima volta di Silvio Berlusconi il 31 luglio 1996",
  mentre il Guglielmini era arrivato a Rebibbia nel maggio del
  1997.
     Onorato Francesco, interrogato il l7 ottobre l997 ed il 7
  aprile 1998 riferisce di non aver mai reso dichiarazioni in
  ordine a Berlusconi, anche perché non sa nulla del medesimo,
  come già detto ai P.M. Nega la veridicità di quanto riferito
  da Cirfeta, aggiungendo anzi che quest'ultimo lo aveva
  istigato a non collaborare più.
     Guglielmini Giuseppe interrogato il 18 dicembre 1997
  contesta a sua volta la veridicità di quanto riferito dal
  Cirfeta "non avendo mai parlato né con lui né con altri del
  dottor Berlusconi", concludendo che "il Cirfeta è un drogato e
  che ha reso queste dichiarazioni solo perché aveva saputo in
 
                             Pag.31
 
  precedenza dalla stampa che Di Carlo e Onorato avevano parlato
  di Berlusconi".
     Secondo il GIP il Cirfeta è inaffidabile siccome
  tossicodipendente: un collaboratore deluso dalla sua
  esperienza, tanto da prospettare ad Onorato e Guglielmini gli
  svantaggi derivanti dalla collaborazione e a istigarli a
  rinunziarvi.
     Ad avviso del GIP le dichiarazioni di Cirfeta risultano
  smentite anche da altri collaboratori la cui attendibilità
  sarebbe già stata sperimentata in numerosi e rilevanti
  procedimenti penali e comunque del tutto indifferenti rispetto
  alle dichiarazioni rese dal Cirfeta, non solo perché mai
  chiamati in causa dal Cirfeta stesso, ma anche perché mai
  sentiti nel procedimento penale instauratosi a carico di
  Dell'Utri Marcello.  Si tratta altresì di soggetti che hanno
  avuto modo di apprendere dalla viva voce di Cirfeta e del suo
  complice Chiofalo Giuseppe elementi che comprovano in modo
  inequivocabile non solo le dichiarazioni accusatorie di
  Cirfeta, ma anche la piena consapevolezza da parte di questi e
  dei suoi correi della falsità e quindi del contenuto
  calunniatorio delle stesse.
     Il 25 novembre 1997 la Questura di Milano trasmette una
  lettera di Izzo Angelo detenuto a Prato il quale definiva
  "ridicole" le accuse mosse dal Cirfeta ed anticipate dalla
  stampa in quanto l'Onorato ed il Di Carlo "non tenevano in
  alcuna considerazione, confidenza e amicizia Cirfeta".
  Avendolo peraltro reincontrato nel carcere di Prato il Cirfeta
  "messo alle strette", aveva "praticamente ammesso di essersi
  inventato questa storia".
     Izzo Angelo sentito a sommarie informazioni il 17 dicembre
  1997 conferma il contenuto della predetta comunicazione
  aggiungendo testualmente: "il Cirfeta non mi parlò
  esplicitamente dei rapporti che aveva avuto con il Dell'Utri
  ma mi fece capire che da queste sue rivelazioni si aspettava
  dei vantaggi che lo Stato non gli aveva garantito".
     Il 27 novembre 1997 la Procura Distrettuale Antimafia
  inviava la missiva di un altro detenuto del carcere di Prato,
  tale Pagano Giuseppe il quale confermava il contenuto della
  lettera di Angelo Izzo.
     Pagano Giuseppe, sentito il 17 dicembre 1997, aggiunse:
  "Il Cirfeta ammise di avere sbagliato e subito dopo prese a
  parlare delle ingiustizie di cui sarebbe stato vittima da
  parte della magistratura (...) il Cirfeta non disse
  espressamente che si era inventato le accuse nei confronti del
  Di Carlo e dell'Onorato ma quando ammise di avere sbagliato,
  lo fece capire chiaramente".
     Perveniva poi dalla casa di reclusione di Rebibbia una
  lettera 6 dicembre 1997 del collaborante Andriotta Francesco
  che veniva sentito il 18 dicembre 1997.  Egli riferì: "conosco
  molto bene Di Carlo, con il quale sono stato detenuto presso
  il carcere di Rebibbia e posso assicurare che il Di Carlo non
  parlava con nessuno di argomenti oggetto di procedimenti
  penali (...) escludo che Di Carlo mi abbia mai parlato del
  contenuto delle sue dichiarazioni".
     Cariolo Antonio, sentito il 18 dicembre 1998: "Ho
  conosciuto Cirfeta Cosimo e Pino Chiofalo presso il carcere di
  Prato nel novembre del 1997.  Già in quel periodo mi fecero
  cenno alla necessità di avvalorare la tesi portata avanti da
  alcuni esponenti politici di Forza Italia secondo la quale
  alcuni collaboratori di giustizia palermitani avevano
  concordato delle false accuse contro l'onorevole Dell'Utri.
  Ricordo che all'epoca mi fecero i nomi di tre collaboratori di
  giustizia già detenuti presso il carcere di Rebibbia e cioè
  Guglielmini Giuseppe, Onorato Francesco e Di Carlo.  Ricordo
  che il Chiofalo si mostrò con me non del tutto convinto della
  fondatezza di questa tesi ma mi disse che comunque avvalorarla
  sarebbe stata una cosa utile perché ci avrebbe consentito di
  uscire dal carcere.  Il Cirfeta (...) non mi ha mai ribadito
  con convinzione che si trattava di cose vere ma mi ha
  prospettato i vantaggi che potevano derivare anche a me se li
  avessi aiutati ad avvalorare quella tesi.  Tra l'altro mi
  fecero anche cenno alla possibilità di guadagnare somme di
  denaro (...).
     Ci siamo poi rivisti al carcere di Paliano dove ho appreso
  da altri detenuti (i fratelli Sparta Leonardi e Mercurio
  Pasquale) che Chiofalo e Cirfeta hanno fatto analoghi discorsi
 
                             Pag.32
 
  a vari collaboratori all'interno di quel carcere... ho in
  particolare appreso che il Chiofalo e il Cirfeta hanno fatto
  specifico riferimento ad alcuni uomini politici che li
  avrebbero tutelati se avessero proseguito nella loro
  azione".
     Sparta Leonardi, sentito il 18 dicembre 1995: "ho
  conosciuto Cirfeta Cosimo nel 1997 all'interno del carcere di
  Paliano... già in quel periodo ho appreso dallo Strazzullo che
  il Cirfeta aveva scritto una missiva all'onorevole Silvio
  Berlusconi, lettera che lo Strazzullo mi disse di avere
  redatto personalmente lui su incarico di Cirfeta.  Ho rivisto
  Il Cirfeta nel 1998 quando egli si trovava in cella con Pino
  Chiofalo mentre io ero in cella con mio fratello Francesco
  (...) Proposero prima a mio fratello ed in seguito anche a me
  di avvalorare le accuse di Cirfeta contro altri collaboratori
  di giustizia dichiarando di essere anche noi a conoscenza del
  fatto che questi collaboratori si erano messi d'accordo per
  accusare falsamente l'onorevole Dell'Utri e l'onorevole
  Berlusconi (...) il Chiofalo ha ammesso con mio fratello in
  mia presenza che si trattava di una montatura ma per
  convincerci ci ha detto che se avessimo accettato la loro
  proposta ne avremmo ricavati benefìci sia in denaro sia con
  l'intervento di un avvocato e di un senatore di Forza Italia"
  (...) Di tale senatore e di un avvocato che sarebbe venuto a
  fare i colloqui con me mi ha parlato anche il Cirfeta".
     Sparta Leonardi Francesco, sentito il 18 dicembre 1998:
  "...il Chiofalo prima ed il Cirfeta dopo proposero a me e mio
  fratello di avvalorare le accuse fatte dal Cirfeta contro
  altri collaboratori di giustizia...  Che questi fatti non erano
  veri eravamo ben consapevoli tutti (compresi Cirfeta e
  Chiofalo, che è la vera mente mentre Cirfeta é il braccio).  Il
  Chiofalo mi ha detto che se avessimo accettato la loro
  proposta ne avremmo ricavato benefìci sia in denaro sia per
  l'intervento prima di un avvocato e successivamente di un
  altro avvocato, nonché di un senatore di Forza Italia.  (...)
  Infine preciso che il Cirfeta che è stato posto in isolamento
  a seguito di una istanza di molti collaboratori ristretti a
  Paliano per non incontrarlo; da quel momento minaccia
  costantemente tutti, compresi i familiari dei
  collaboratori".
     Veniva poi acquisito dalla Direzione Antimafia di Messina
  verbale di interrogatorio reso il 6 novembre 1998 da Cariolo
  Antonino che precisò che presso il carcere di Prato Cirfeta
  Cosimo e Chiofalo Giuseppe portavano avanti un programma volto
  a destabilizzare i processi e le indagini condotte dalla
  autorità giudiziaria di Palermo nei confronti di Marcello
  Dell'Utri.  I collaboratori avrebbero dovuto dichiarare di
  essere stati avvicinati da Onorato, Ferrante, Cucuzza e
  Guglielmini al fine di concordare false dichiarazioni
  accusatorie a carico di Dell'Utri e Berlusconi.  La ragione di
  ciò, secondo quanto riferitogli da Cirfeta e Chiofalo, stava
  nel fatto che bisognava ingraziarsi gli esponenti di Forza
  Italia, facendo risultare come non veritiere e frutto di
  preventivi accordi calunniosi tra i pentiti e la Procura della
  Repubblica di Palermo, le dichiarazioni che essi avevano e
  avrebbero fatto in ordine alle collusioni mafiose di Dell'Utri
  e Berlusconi.  Secondo il Cirfeta occorreva dare una mano a
  Forza Italia per avere maggiori vantaggi di quanto i pentiti
  stavano ottenendo col Governo di sinistra.  Analogo progetto fu
  poi portato avanti presso il carcere di Paliano dove il
  Cariolo medesimo si ritrovò con Chiofalo e Cirfeta.
     Ad avviso del GIP tutto ciò costituisce definitiva e
  troncante conferma delle accuse di Cirfeta e della piena
  consapevolezza da parte del medesimo Cirfeta e del suo
  complice Chiofalo del contenuto falso delle accuse rivolte nei
  confronti dei collaboratori Di Carlo, Onorato e Guglielmini Il
  GIP riferisce poi di una lettera trasmessa l'8 gennaio 1999
  dalla Direzione Nazionale Antimafia ed inviata a quell'ufficio
  da Mercurio Pasquale collaboratore detenuto a Paliano, in
  ordine ai progetti criminosi di Chiofalo e Cirfeta.
     In data 13 dicembre 1998 egli scriveva che sei mesi prima
  a Paliano erano giunti Cirfeta e Chiofalo che "assieme a dei
  politici che sono venuti in visita, essendo loro dei
 
                             Pag.33
 
  parlamentari tramavano per screditare i pentiti di Cosa Nostra
  per il processo Dell'Utri... i due sopra menzionati mi
  invitavano ad aderire ai loro progetti e mi dicevano pure che
  una volta usciti avremmo avuto un passaporto per fuggire in
  Sudamerica e Chiofalo in particolare diceva che doveva
  vendicare prima un suo figlio ucciso".
     Lo stesso Mercurio viene recentemente sentito il 28
  gennaio 1999 precisando tra l'altro che "il Cirfeta cominciò a
  parlarmi proprio di queste cose, ammettendo esplicitamente la
  falsità delle sue accuse contro quei collaboratori...  Il
  Cirfeta sosteneva di avere importanti contatti con personaggi
  di Forza Italia che lo avrebbero agevolato.  Diceva sempre che
  solo aiutando Dell'Utri e scagionandolo dalle accuse dei
  collaboratori palermitani si poteva riuscire a far tornare al
  potere gli uomini politici a lui vicini, così ottenendo un
  buon trattamento per chi gli aveva dato una mano...  In
  particolare, il Cirfeta, per convincermi a calunniare il
  Cucuzza e il Ferrante mi disse che c'era la possibilità non
  solo di uscire dal carcere, ma dopo, di avere valige di soldi,
  passaporti diplomatici e quindi la possibilità di andare
  all'estero...  Mi disse che avremmo potuto organizzare un
  traffico di cocaina dal Perù (parlò di 500 chilogrammi...); il
  Chiofalo mi precisò che bisognava accusare i collaboratori
  palermitani di essersi inventati le dichiarazioni contro
  Dell'Utri e Berlusconi, sostenendo che questi collaboratori si
  volevano così vendicare del fatto che Berlusconi aveva fatto
  capire che sarebbe stato abolito il 41  bis  e poi non
  aveva mantenuto la promessa...  Anche il Chiofalo era
  perfettamente consapevole che si trattava di inventarsi accuse
  fasulle...  Tra l'altro Chiofalo diceva che prima di fuggire
  all'estero voleva vendicarsi dell'uccisione di un suo figlio
  servendosi di alcune armi che Cirfeta teneva nascoste da
  qualche parte.  Il Mercurio aggiunse che Cirfeta, in più di una
  occasione gli aveva fatto presente la sua intenzione di
  evadere qualora gli fosse stato concesso un permesso per
  motivi familiari.  Da quanto sopra emerge, secondo il GIP, il
  disegno criminoso portato avanti da Cirfeta e da Chiofalo.
     Andando ad esaminare il ruolo rivestito dall'onorevole
  Dell'Utri il GIP ricorda che fu proprio lui a rivelare di
  avere avuto contatti diretti con Cirfeta e Chiofalo
  all'udienza del 22 settembre 1998 nel processo in cui egli è
  imputato davanti al Tribunale di Palermo.
     In particolare, in quella occasione l'onorevole Dell'Utri
  ricordò che fu il Cirfeta a telefonargli l'anno precedente per
  la prima volta raccontandogli della "combine" tra Guglielmini,
  Onorato e Di Carlo.  Dell'Utri lamentava le persecuzioni
  fisiche e morali subite dal Cirfeta dopo che aveva
  verbalizzato le dichiarazioni di cui sopra.  L'onorevole
  Dell'Utri precisò che altro collaboratore, Pino Chiofalo, gli
  aveva chiesto un incontro in occasione del parto della moglie,
  incontro che avvenne ed in occasione del quale il collaborante
  confermò quanto riferito dal Cirfeta.
     La prova della compartecipazione dell'onorevole Dell'Utri
  nel piano criminoso ordito da Cirfeta e da Chiofalo
  emergerebbe dal fatto che sull'utenza cellulare intestata alla
  madre del Cirfeta ed in uso a quest'ultimo risulterebbe il 12
  settembre 1997 una chiamata in entrata proveniente dalla
  Fininvest di Milano.
     Il GIP ricorda altresì che il 18 dicembre 1998 Antonio
  Cariolo aveva riferito: "nei prossimi giorni, il 23 p.v., il
  Chiofalo uscirà per dieci giorni di permesso, durante il quale
  periodo egli, secondo quanto da lui anticipato a Pasquale
  Mercurio, prenderà contatti con personaggi politici a lui
  vicini".  In funzione di ciò, per verificare se quanto riferito
  da Cariolo rispondesse a verità la DIA predisponeva un
  accurato dispositivo investigativo finalizzato a svolgere una
  costante attività di osservazione e di pedinamento del
  Chiofalo nell'ambito della località protetta, nel comune di
  Rimini, ove egli raggiungeva il suo nucleo familiare la sera
  del 23 dicembre 1998.  Veniva inoltre sottoposta ad
  intercettazione telefonica l'utenza cellulare intestata a
  Fedele Pasqualina ed in uso al Chiofalo medesimo.
 
                             Pag.34
 
     Nell'ambito di tale attività venivano intercettate
  numerose telefonate la prima delle quali il 23 dicembre 1998
  alle ore 20.43 tra il medesimo e l'onorevole Marcello
  Dell'Utri.
     Una seconda telefonata è quella del 30 dicembre 1998 ore
  9.30 sempre in uscita, come la prima, dall'utenza in uso al
  Chiofalo verso l'utenza in uso all'onorevole Dell'Utri.
     Vengono poi intercettate altre due telefonate
  rispettivamente delle ore 13.17 in uscita dall'utenza di
  Chiofalo e diretta sempre a quella dell'onorevole Dell'Utri ed
  ancora quella delle 13.49 con cui è l'onorevole Dell'Utri a
  chiamare Chiofalo.
     A questo punto Chiofalo e l'onorevole Dell'Utri si
  incontrano alle ore 13.55 al casello di Rimini Sud, come
  concordato in una telefonata.
     Il Chiofalo scende dalla propria auto si avvicina a quella
  dell'onorevole Dell'Utri, si salutano con una stretta di mano
  e quindi dopo pochi minuti le due auto ripartono.  L'incontro
  viene filmato.  Alle ore 14.00 viene intercettata una
  telefonata dall'onorevole Dell'Utri al Chiofalo.
     La pattuglia della DIA, avvertita del contenuto di
  quest'ultima telefonata intercettata, sospende il pedinamento
  e prosegue l'attività di osservazione intrapresa da altre
  pattuglie davanti alla casa di Chiofalo, ove vengono viste
  sopraggiungere le due auto Lancia K da cui scendono i relativi
  passeggeri.  Il Chiofalo entra in un box di pertinenza del
  proprio appartamento seguito dall'onorevole Dell'Utri, mentre
  il suo autista rimane nel piazzale.
     Dopo una decina di minuti i due escono dal box, si
  ricongiungono all'autista e proseguono la conversazione nel
  piazzale antistante il box e la casa.  Dopo qualche minuto di
  conversazione, l'autista apre il cofano posteriore
  dell'autovettura da lui precedentemente condotta dal quale
  estrae un involucro di colore chiaro, che consegna al Chiofalo
  e due sacchetti muniti di manici, e con il Chiofalo sale le
  scale che dal piazzale del box portano al ballatolo che
  consente l'accesso agli appartamenti ubicati al primo piano,
  dove si trova quello del Chiofalo.  L'onorevole Dell'Utri
  rimane in attesa passeggiando per il cortile e solo in questo
  momento secondo l'ordinanza del GIP, il personale operante
  avrebbe avuto modo di riconoscere l'onorevole Dell'Utri.  Dopo
  qualche minuto, ridiscesi nel piazzale Chiofalo e l'autista, è
  Dell'Utri a salire a casa del Chiofalo, accompagnato da
  quest'ultimo, ove si intrattiene per una decina di minuti.
  Dopo di che verso le ore 14.55 Dell'Utri sale a bordo della
  propria auto e con il suo autista si allontana dalla casa di
  Chiofalo.
     Alle ore 15.15 viene intercettata una nuova telefonata
  fatta da Chiofalo a Dell'Utri.
     Essendo caduta la linea alle ore 15.19 egli richiama
  nuovamente Dell'Utri.
     Tutte queste telefonate vengono registrate ed
  integralmente trascritte nell'ordinanza con cui il GIP ha
  disposto la misura cautelare della custodia in carcere nei
  confronti dell'onorevole Dell'Utri.
     Il Chiofalo fa in seguito altre telefonate (alcune al suo
  avvocato, altre al dottor Mollace della DDA di Reggio
  Calabria) nelle quali racconta l'episodio dell'appuntamento
  con Dell'Utri all'uscita dell'autostrada omettendo del tutto
  (secondo il GIP) ogni riferimento all'incontro avvenuto presso
  la propria abitazione anzi, come riportato dal GIP, riferendo
  una cosa falsa e cioè che egli non ha comunicato a Dell'Utri
  il luogo della sua residenza protetta e che l'incontro si
  sarebbe esaurito sul luogo dell'appuntamento in quanto il
  Chiofalo, non appena resosi conto dell'assenza dell'avvocato,
  avrebbe fatto presente al Dell'Utri stesso di non essere più
  disponibile a rendergli alcun tipo di dichiarazione.
     Secondo il GIP la reale finalità dell'incontro era ben
  diversa dall'assunzione da parte della difesa di Dell'Utri
  delle dichiarazioni a lui favorevoli eventualmente rese da
  Chiofalo in quanto sia l'uno che l'altro erano ben consapevoli
  che per la verbalizzazione difensiva sarebbe stata necessaria
  la presenza del legale la cui presenza non era affatto
  prevista.
     Il GIP segnala infine che dal febbraio 1998 al 13 dicembre
  1998 vi sarebbero stati ben 29 contatti telefonici tra
  Chiofalo e Dell'Utri.
 
                             Pag.35
 
     Secondo il GIP gli incontri tra Chiofalo e Dell'Utri
  sarebbero stati peraltro superiori ai due fino ad oggi noti:
  il primo, rivelato da Dell'Utri nel corso delle sue
  dichiarazioni dibattimentali spontanee del 22 settembre 1998
  ed il secondo il 31 dicembre 1998.  Gli incontri sarebbero
  stati invece almeno tre dal momento che sia il 21 giugno 1998
  sia il 31 agosto 1995 le chiamate in entrata sull'utenza di
  Chiofalo (in permesso), perché provenienti dall'utenza
  cellulare dell'onorevole Dell'Utri, impegnano la stessa
  stazione radio base di quella impegnata dal cellulare in uso
  al Chiofalo.
     Il GIP come elemento giustificativo del provvedimento
  cautelare adottato nei confronti dell'onorevole Dell'Utri cita
  il contenuto dell'intervista rilasciata dal medesimo al
  Corriere della Sera  allorché, in merito all'incontro con
  il Chiofalo, riferisce: "mi ha contattato lui.  Io ero in
  autostrada.  Rispondo al telefonino mi pare a Forlì Sud.  Arrivo
  in 15-20 minuti e trovo un'auto civetta già lì per pedinarci e
  fotografarci in modo tanto maldestro che ce ne siamo accorti.
  In così breve tempo quell'incontro si poteva scoprire solo
  intercettandomi abusivamente...  Io ho cercato subito un
  avvocato per raccogliere le utilissime parole di quel pentito
  nella forma dei verbali difensivi.  Ma era la vigilia di Natale
  e non sono riuscito a trovare nessun legale...  Ne ho
  incontrati tanti di pentiti siciliani e non".
     Secondo il GIP "appare evidente il tentativo del Dell'Utri
  di inquinare le prove: accortosi già il 31 dicembre 1998 che
  qualcuno aveva visto (e lui pensa filmato) il suo incontro con
  il Chiofalo e rendendosi ben conto di una tale prova a suo
  carico, il Dell'Utri, proprio perché non è a conoscenza
  integrale delle investigazioni condotte, cerca di influenzare,
  con i notevoli mezzi che ha a disposizione e quindi anche
  tramite la stampa, eventuali audizioni del Chiofalo o di altri
  soggetti a conoscenza dei fatti.
     Secondo il GIP "va anzitutto ribadito in assoluta adesione
  a precedenti pronunce della stessa Giunta per le
  autorizzazioni a procedere (vedi da ultimo proposta di
  autorizzazione all'arresto dell'onorevole Giudice del 13
  luglio 1999) la piena ed immediata utilizzabilità delle
  intercettazioni nei confronti dei soggetti estranei
  all'istituzione parlamentare, pena la violazione del principio
  di eguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge
  (articolo 3 della Costituzione) e del principio
  dell'obbligatorietà dell'azione penale (articolo 102 della
  Costituzione), princìpi ai quali l'articolo 68 citato pone una
  eccezionale deroga ad esclusiva tutela della funzione
  parlamentare.  Nulla osta, dunque, alla valutazione delle
  conversazioni intercettate quali elementi indiziari nei
  confronti del Chiofalo nonché per gli inevitabili collegamenti
  logici anche nei confronti del Cirfeta.
     Il problema della loro utilizzabilità si pone viceversa,
  con riguardo al Dell'Utri, nei cui confronti è pienamente
  operativa la garanzia costituzionale di cui all'articolo 68
  della Costituzione.
     Ebbene, ritiene questo giudice che vada condiviso il
  rigoroso orientamento già in precedenza espresso dalla Camera
  dei Deputati, secondo cui anche nell'ipotesi di comunicazioni
  indirette, cioè di comunicazioni intercettate su una utenza
  estranea al membro del Parlamento, in cui uno degli
  interlocutori sia, per avventura, un parlamentare, è
  necessaria, ai fini della loro utilizzabilità nei confronti
  del predetto, l'autorizzazione, inevitabilmente postuma della
  Camera di appartenenza.  E' la stessa Camera di appartenenza,
  infatti che dovrà valutare la rilevanza della comunicazione
  intercettata rispetto al tema dell'indagine e l'assenza di
  maliziosità, cioè di modalità elusive della garanzia posta a
  tutela del parlamentare.
     Per tale ragione in attesa della predetta autorizzazione,
  delle comunicazioni intervenute tra il Dell'Utri ed il
  Chiofalo non verrà, allo stato, tenuto alcun conto nella
  valutazione della gravità degli indizi emersi nei confronti
  del primo.
     Diversamente deve, invece, ritenersi con riguardo ai
  tabulati telefonici.  In questo caso, infatti, si tratta di
  documenti disponibili presso i gestori della rete, che
  riportano dati statici, privi di contenuto descrittivo o
  rappresentativo, concernenti l'utenza cui si riferiscono e che
 
                             Pag.36
 
  in alcun modo possono interferire con l'esercizio della
  funzione parlamentare, a cui garanzia è prevista
  l'autorizzazione in materia di intercettazioni telefoniche.
  Peraltro, attesa l'ontologica differenza esistente tra
  l'intercettazione della conversazione telefonica e
  l'acquisizione del tabulato relativo al traffico telefonico di
  una utenza, la circostanza che l'articolo 68 della
  Costituzione, modificato solo nel 1993 nel dettare
  l'eccezionale deroga ai princìpi di cui agli articoli 3 e 102
  della Costituzione non contempli tra i casi di necessaria
  autorizzazione, l'acquisizione dei tabulati, pare impedirne
  l'inclusione per analogia tra le ipotesi garantite.
     Infine non appare irrilevante evidenziare che i tabulati
  acquisiti non riguardano utenze riferibili al Dell'Utri e che
  i dati in questa sede utilizzati non riguardano contatti tra
  dette utenze ed utenze intestate al predetto ma soltanto
  contatti con utenze riferibili alla FININVEST o a società a
  questa collegate".
     L'On.  Dell'Utri nella propria memoria ricorda che poco
  prima dell'inizio del giudizio che si celebra presso il
  Tribunale di Palermo egli veniva contattato da tale Cirfeta
  Cosimo, mai da lui precedentemente conosciuto, il quale
  qualificatosi come collaboratore di giustizia col nome di
  copertura "Delfino", gli rendeva noto di essere a conoscenza
  che taluni collaboratori di giustizia avevano concordato una
  serie di dichiarazioni da rendere nell'ambito del suo processo
  e che di ciò aveva già provveduto ad informare le competenti
  autorità alle quali aveva chiesto di essere sentito.
     L'onorevole Dell'Utri prendeva atto della inquietante
  notizia e ne informava i suoi difensori.
     Successivamente il predetto Cirfeta lo contattava
  nuovamente: questa volta con il suo vero nome.
     Gli confermava le precedenti notizie riferitegli e, da
  parte sua, lo invitò ad ufficializzare all'A.G. quanto a sua
  conoscenza.
     Il Cirfeta gli disse di averlo già fatto, come d'altra
  parte aveva avuto modo di dirgli in occasione della prima
  telefonata, e di attendere di essere sentito.
     A questo punto, poiché il Cirfeta era comunque a
  conoscenza di fatti e circostanze che avevano sicura refluenza
  nell'ambito del procedimento penale che poco dopo sarebbe
  iniziato presso il Tribunale di Palermo, l'onorevole Dell'Utri
  lo indicava nella sua lista testimoniale che, come è noto, va
  depositata sette giorni prima dell'inizio del dibattimento.
     Non deve sfuggire la circostanza che oltre al nome del
  Cirfeta Cosimo la difesa dell'onorevole Dell'Utri specificava
  i capitoli della prova e cioè la circostanza di fatto oggetto
  dell'escussione dibattimentale.
     L'onorevole Dell'Utri si dice convinto che proprio da tale
  momento i PP.MM. di Palermo abbiano scatenato una serie di
  attività volte a delegittimare le dichiarazioni del Cirfeta
  che, attraverso il sopra indicato articolato di prova,
  conoscevano nel dettaglio.
     Ciò facevano i PP.MM. aprendo un processo parallelo e
  segreto e del tutto disgiunto da quello del Tribunale di
  Palermo.
     L'onorevole Dell'Utri ritiene anche che da tale attività
  abnorme ed occulta sia derivato un inquinamento della prova,
  per il quale invece e per un tragico paradosso egli viene
  chiamato a rispondere, solo perché non dispone della forza
  intimidatoria utilizzata dal "temibile ordigno giudiziario che
  ha deciso di colpirlo".
     Quello che intende precisare l'onorevole Dell'Utri è che
  la sua attività si è semplicemente e correttamente
  concretizzata nella indicazione della fonte testimoniale al
  suo giudice naturale (il Tribunale di Palermo) per dar modo a
  questi di apprezzare il significato delle indicazioni del
  Cirfeta e valutarne la attendibilità intrinseca ed esterna.
     L'onorevole Dell'Utri non può sapere se il Cirfeta gli
  abbia riferito notizie vere o fasulle né se il suo
  atteggiamento potesse costituire un tranello nei suoi
  confronti, anche se è intimamente convinto della loro
  veridicità.
     Questa è comunque materia che compete al Giudice.
     All'onorevole Dell'Utri correva solo l'obbligo, una volta
  apprese notizie utili alla sua difesa, di indicare il Cirfeta
 
                             Pag.37
 
  nella sua lista testimoniale, rappresentando al Tribunale le
  circostanze sulle quali avrebbe dovuto riferire.
     E', comunque, certo che proprio attraverso le precise
  indicazioni del Cirfeta si è saputo che alcuni collaboratori,
  indicati dall'accusa nell'ambito del suo processo, si
  incontravano e pranzavano assieme mentre erano sottoposti a
  "programma di protezione" e rendevano le loro sovrapponibili
  dichiarazioni in diversi giudizi.
     In questo senso sono le dichiarazioni dibattimentali rese,
  nell'ambito del processo che lo vede imputato, da Di Carlo F.
  e Onorato F..
     Va anche precisato che successivamente alla indicazione
  del Cirfeta nella sua lista testimoniale, l'onorevole
  Dell'Utri veniva a conoscenza che lo stesso era stato oggetto
  di notevoli maltrattamenti nell'ambito della struttura
  carceraria ove era ristretto e che era stata arrestata anche
  la madre.
     L'onorevole Dell'Utri venne ancora a sapere che il Cirfeta
  era stato minacciato, picchiato ed invitato a ritrattare le
  notizie che aveva già comunicato alle varie autorità
  giudiziarie.
     Proprio a motivo delle vessazioni e delle ulteriori
  pressioni cui era sottoposto il Cirfeta, l'onorevole Dell'Utri
  denunziò nella sede istituzionale più appropriata e quindi
  nell'ambito del suo processo dibattimentale tale preoccupante
  situazione, chiedendo più volte, a mezzo dei suoi difensori,
  la anticipazione dell'audizione del Cirfeta, proprio per
  evitare che lo stesso potesse subire ulteriori coartazioni
  della sua volontà.
     E' sintomatico che i PP.MM. abbiano decisamente negato il
  loro consenso alla anticipazione dell'audizione del
  Cirfeta.
     Il Tribunale rigettava pertanto la richiesta anticipazione
  di prova.
     Il descritto atteggiamento dei PP.MM. era ad avviso
  dell'onorevole Dell'Utri evidentemente nutrito da due ordini
  di motivazione:
       1. la prima costituita dalla esigenza di proseguire in
  un processo parallelo e segreto l'attività di discredito posta
  in essere da altri collaboratori di giustizia nei confronti
  del Cirfeta, per giungere poi alla richiesta di emissione di
  ordinanza custodiale per il reato di calunnia;
       2. la seconda costituita dalla preordinata scelta di
  sottrarre al giudice naturale del dibattimento la valutazione
  di una prova da lui tempestivamente indicata ed affidata alla
  loro cognizione.
     L'intendimento dei PP.MM. sarebbe ulteriormente avvalorato
  dalla circostanza che gli stessi in un primo tempo
  depositarono alcuni atti integrativi di indagine nell'ambito
  del processo dibattimentale, come era giuridicamente logico e
  corretto, per poi invece aprire una inchiesta parallela col
  fine di sottrarre sia alla difesa ma, soprattutto, al
  Tribunale gli ulteriori sviluppi che la vicenda Cirfeta aveva
  determinato.
     Nelle more delle sue pressanti richieste rivolte al
  Tribunale di anticipazione dell'audizione del Cirfeta che
  l'onorevole Dell'Utri non ha mai visto né incontrato, il
  parlamentare veniva contattato da altro collaboratore di
  giustizia, tale Chiofalo Giuseppe.
     Costui lo chiamò all'utenza telefonica del suo ufficio di
  Milano dicendogli che era amico del Cirfeta e che aveva delle
  notizie importanti da riferirgli.
     Lo stesso quindi gli chiese espressamente di incontrarlo,
  giacché in quel periodo si trovava in permesso, dovendo
  rientrare nel carcere di Paliano ove era detenuto assieme al
  Cirfeta.  In assenza dei suoi avvocati per le ferie natalizie,
  l'onorevole Dell'Utri decise di incontrarlo personalmente,
  visto che non sarebbe stato possibile farlo
  successivamente.
     In tale occasione il Chiofalo gli confermò le vessazioni
  subite in carcere dal Cirfeta, violenze che il parlamentare
  ritenne di denunziare mediante dichiarazioni spontanee che
  rese nell'ambito del suo processo dibattimentale.
     Nel gennaio del 1999, sempre nell'ambito del suo processo
  a Palermo, l'onorevole Dell'Utri segnalò al Tribunale la
  circostanza di essere stato pedinato ed intercettato in un
  incontro che nel dicembre 1998 aveva avuto con il predetto
  Chiofalo.
 
                             Pag.38
 
     Chiese altresì in quella occasione al Tribunale di inviare
  copia delle sue dichiarazioni spontanee al Presidente della
  Camera dei Deputati cui appartiene.
     L'onorevole Dell'Utri ha ribadito di aver ritenuto sempre
  assolutamente legittima la sua attività di ricerca della prova
  a discarico che ha posto in essere accettando i contatti
  telefonici col Cirfeta e gli incontri personali con il
  Chiofalo.
     Già all'udienza del 22 settembre 1998 l'onorevole
  Dell'Utri rendeva noto al Tribunale di Palermo sia il suo
  incontro col Chiofalo, sia le vessazioni di ogni tipo cui era
  sottoposto il Cirfeta e ne chiedeva quindi, attraverso i suoi
  difensori, come già detto, la tempestiva audizione.
     E' utile sottolineare che l'onorevole Dell'Utri ed i suoi
  difensori abbiano demandato al Tribunale la verifica della
  veridicità delle affermazioni del Chiofalo e del Cirfeta
  segnalando la necessità di anticiparne l'audizione al fine di
  rendere più genuina l'acquisizione della fonte di prova.
     L'onorevole Dell'Utri deve purtroppo constatare che senza
  il perentorio diniego dei PP.MM. di Palermo a consentire
  all'anticipata audizione di questi suoi due testi a discolpa,
  oggi non dovrebbe difendersi da una grave, pretestuosa e
  gratuita accusa di calunnia.
     Ed è proprio nell'atteggiamento dei PP.MM. di Palermo, che
  hanno indagato, all'insaputa del Tribunale e della difesa, nei
  confronti di un suo teste, che sarebbe ulteriormente
  ravvisabile l'intento persecutorio nei suoi confronti.
     Il disegno dei PP.MM. procedenti sarebbe fin troppo
  chiaro.
     Essi hanno chiesto ed ottenuto l'emissione di un
  provvedimento custodiale nei suoi confronti che scaturiva da
  un'indagine da essi gestita e che andava invece affidata alla
  valutazione del Tribunale e alle sue determinazioni.
     Lo si accusa di avere addirittura concertato, unitamente
  al Cirfeta ed al Chiofalo, un piano per la destabilizzazione
  dei collaboratori di giustizia e di essere stato perfettamente
  consapevole delle presunte mendaci dichiarazioni del Cirfeta e
  del Chiofalo nei confronti di altri collaboranti.
     L'onorevole Dell'Utri non ha mai dichiarato che quanto da
  loro riferitogli corrispondesse a verità; questo è un problema
  che ha demandato alla valutazione del Tribunale, limitandosi
  ad indicare nella sua "lista testi", i nomi delle persone che
  potevano rendere dichiarazioni utili alla sua difesa e
  affidando, alla esclusiva valutazione del Tribunale il
  contenuto delle loro deposizioni.
     L'onorevole Dell'Utri sottolinea anche che le persone che
  lo hanno contattato si erano assolutamente dissociate dalle
  associazioni criminali, che prestavano da tempo la loro
  collaborazione alle varie autorità giudiziarie, che
  rientravano nello speciale programma di protezione previsto
  dalla legislazione premiale sui collaboranti e che avevano
  altresì consentito, attraverso le proprie dichiarazioni
  utilizzate dai vari PP.MM., la pronuncia di pesantissime
  condanne nei confronti di centinaia di criminali.
     E tutto questo nelle indagini che i PP.MM. hanno svolto
  nei suoi confronti non viene assolutamente evidenziato; è
  stato, anzi, dimenticato; il Cirfeta ed il Chiofalo, solo
  perché divenuti testi a sua discolpa, sono divenuti
  improvvisamente i peggiori criminali venendo dipinti come
  drogati, prezzolati e calunniatori; mentre, al contrario, la
  posizione del Di Carlo, del Guglielmini e dell'Onorato viene
  esaltata come se gli stessi fossero depositari del vero.
     Nessuna indagine sarebbe stata svolta per verificare
  l'esistenza di eventuali riscontri alle dichiarazioni del
  Cirfeta, nonostante le molteplici circostanze riferite e
  quindi agevolmente verificabili.  Il Cirfeta nella audizione
  del 21 gennaio 1999, avvenuta presso la Casa di reclusione di
  Paliano da parte della Commissione Parlamentare di Inchiesta
  sulla Mafia, ha riferito della esistenza di un biglietto
  scritto dal collaborante Vito Lo Forte a Francesco Onorato e
  portato su suo incarico a Rebibbia da altro detenuto a nome
  Masecchia Mario, proveniente dal carcere di Prato, dove si
  trovava il Lo Forte, biglietto contenente l'invito a
  concordare accuse ai danni dell'onorevole Dell'Utri.  Tale
 
                             Pag.39
 
  scritto in realtà risulterebbe pervenuto al Comandante degli
  agenti di custodia.  Fino ad oggi non è stata svolta alcuna
  indagine per accertare la veridicità di dichiarazioni
  riscontrabili oggettivamente.
     In realtà la Procura di Palermo ed il GIP Scaduto avrebbe
  ritenuto di dare esclusivo credito alle accuse di collaboranti
  che avrebbero dovuto essere valutati con estremo rigore,
  considerato che il Di Carlo risulta rinviato a giudizio
  proprio dal medesimo Ufficio GIP di Palermo per il delitto di
  calunnia ai danni del dottor Niccolò Nicolosi per un presunto
  sostegno mafioso di Saro Riccobono e Michele Micalizzi nella
  campagna elettorale del 1981, con procedimento fissato per
  l'udienza del 21 ottobre 1999 davanti alla Seconda Sezione
  penale del Tribunale di Palermo.
     Il rinvio a giudizio nei confronti del Di Carlo sarebbe
  avvenuto nonostante una sospetta richiesta di archiviazione
  della Procura di Palermo a firma di Domenico Gozzo, uno degli
  autori della richiesta di arresto a carico dell'onorevole
  Dell'Utri.
     L'Onorato, a sua volta, è stato qualificato come
  inattendibile in un recente procedimento tenutosi in primo
  grado presso la Corte d'Assise di Milano, con sentenza del 2
  settembre 1997, n. 20/97, confermata dalla Corte d'Assise
  d'Appello il 23 luglio 1998 con decisione n. 21/98, relativo
  all'omicidio del gioielliere Mario Malusardi.
     L'ordinanza di custodia di cui si discute rappresenta,
  secondo l'onorevole Dell'Utri, pertanto l'amaro ed
  inaccettabile prezzo da lui pagato per aver avuto la
  presunzione di ritenere un suo preciso diritto, quello di
  difendersi.
     Non interessa più di tanto in questa sede addentrarci
  sulle valutazioni, da taluno ritenute improprie, espresse dal
  G.I.P in ordine alle possibili modifiche legislative
  dell'articolo 192 c.p.p. che vivaci polemiche hanno suscitato
  anche all'interno del Parlamento, in funzione di un possibile
  sconfinamento del GIP medesimo nelle prerogative del potere
  legislativo.
     Ci interessa invece, eccome, evidenziare che il GIP dopo
  avere integralmente trascritto nella propria ordinanza tutte
  le telefonate intercettate tra il Chiofalo e l'onorevole
  Dell'Utri, dopo averle puntualmente commentate e valorizzate
  per evidenziare il comune intento criminoso, ha poi ritenuto
  di non poterle utilizzare ai fini della richiesta cautelare
  mancando l'autorizzazione, seppure postuma, di questa
  Camera.
     Occorre mettere subito in chiaro che le intercettazioni
  non sono avvenute incidentalmente ed in maniera casuale ma in
  funzione di un preciso piano predeterminato in precedenza, con
  il quale si è inteso intercettare l'onorevole Dell'Utri,
  mettendo sotto controllo l'utenza del Chiofalo.  E si è
  continuato dopo la prima, la seconda, la terza fino all'ultima
  telefonata intercorsa tra i medesimi.  Siamo quindi in presenza
  di una evidentissima "maliziosità" con cui si è elusa una
  garanzia costituzionalmente posta a tutela del parlamentare.
  E' a nostro avviso altresì, come già detto, particolarmente
  inquietante che il GIP, ben consapevole della giuridica non
  utilizzabilità delle suddette intercettazioni, le abbia però
  volutamente ed integralmente trascritte nella propria
  ordinanza commentandole ad una ad una per supportare
  surrettiziamente la tesi accusatoria.
     Ben più grave quindi, per quel che ci interessa, appare
  tale comportamento rispetto alla da più parti lamentata
  "invasione di campo" effettuata in riferimento alle possibili
  modifiche dell'articolo 192 c.p.p. da parte del Parlamento.
     La Camera non dovrà tenere in alcun conto le suddette
  trascrizioni ma i deputati le avranno prima lette ed
  inevitabilmente considerate.  Ci sembra questo un fatto
  estremamente lesivo delle prerogative di cui all'articolo 68
  della Costituzione il cui dettato è stato nella specie davvero
  irriso e calpestato.
     Per quanto riguarda poi la utilizzabilità o meno dei
  tabulati telefonici, il diritto alla riservatezza del
  parlamentare è tutelato dall'ultimo comma dell'articolo 68
  della Costituzione, che prevede l'autorizzazione alla
  intercettazione di conversazioni e tale principio vale anche
  per i tabulati riportanti le conversazioni medesime, in quanto
 
                             Pag.40
 
  da essi si possono agevolmente individuare le persone che
  hanno rapporti telefonici con i parlamentari. Né varrebbe la
  considerazione del GIP secondo cui i tabulati non si
  riferirebbero tutti ad utenze proprie dell'onorevole Dell'Utri
  quando, lo stesso GIP, nel dare valenza ad essi, li collega
  espressamente al suddetto parlamentare.  E' quindi il GIP che
  riconosce che con i tabulati in argomento vuole supportare la
  tesi accusatoria in ordine alle intervenute telefonate tra i
  due coindagati nel contesto del noto disegno criminoso tra gli
  stessi da tempo in essere.
     Tale questione è già stata peraltro affrontata nella
  seduta della Camera del 16 luglio 1998 allorché si discuteva
  sulla domanda di autorizzazione all'arresto del deputato
  Giudice.
     In tale occasione l'onorevole La Russa, in merito
  all'acquisizione dei tabulati del telefono del predetto
  parlamentare, disse: "...la questione non attiene più soltanto
  all'onorevole Giudice ma a tutti noi.  Con la stessa forza
  pertanto io dico che dobbiamo respingere questa richiesta
  perché se è vero che quei tabulati potrebbero in teoria - ma
  solo in teoria perché la richiesta è formulata senza quella
  acquisizione - essere in qualche modo forse utili per vedere
  chi telefonasse al parlamentare, è altrettanto vero e pacifico
  che la violazione dello spirito dell'articolo 68 della
  Costituzione, consentendo l'acquisizione del tabulato di un
  parlamentare e facendo venir meno la riservatezza dei rapporti
  politici di un componente del Parlamento, aprirebbe la strada
  ad una interpretazione dell'articolo 68 contraria alle sue
  ragioni di esistere ed al suo spirito.  Per queste ragioni
  concludo dichiarando che voteremo contro (...)
  l'autorizzazione alla acquisizione del tabulato del suo
  telefono personale".
     Da quanto sopra emerge che riguardo ai tabulati
  telefonici, per quanto riguarda il caso dell'onorevole
  Giudice, l'autorità giudiziaria chiese alla Camera
  l'autorizzazione al relativo utilizzo.  Analoga richiesta fu
  effettuata per l'acquisizione dei tabulati telefonici nei
  confronti del deputato Scoca nella sua qualità di persona
  offesa in un procedimento penale.
     Se, quindi, in tali casi fu chiesta l'autorizzazione,
  analogamente si sarebbe dovuto procedere per il caso
  dell'onorevole Dell'Utri.
     A nostro avviso l'onorevole Dell'Utri per quanto concerne
  il capo "C" ha operato per verificare ed acquisire
  legittimamente prove a suo favore.
     Tutto qui e null'altro.  I predetti indizi a suo carico
  sono quindi di solare inconsistenza e frutto di un teorema
  costruito a tavolino ma lontano dalla realtà.
  Fumus persecutionis.
     Secondo la prospettazione dell'onorevole Dell'Utri, la
  nozione di  fumus persecutionis,  che costituirebbe il
  presupposto per la negazione dell'autorizzazione a procedere
  all'esecuzione delle ordinanze di custodia cautelare, non va
  confusa con la vera e propria esistenza di condotte conclamate
  poste in essere dall'autorità giudiziaria nei confronti di un
  parlamentare e dirette a colpirne la funzione.
     Adottando una simile interpretazione restrittiva si
  finirebbe per negare di fatto al Parlamento l'esercizio della
  fondamentale funzione autorizzatoria ex articolo 68 della
  Costituzione.
     Si consideri infatti che:
       a)  il Parlamento non dispone di poteri accertativi
  o istruttori per verificare l'effettiva commissione da parte
  dell'autorità giudiziaria di azioni persecutorie nei confronti
  di un parlamentare;
       b)  il singolo parlamentare colpito dalla misura
  coercitiva, non può comunque disporre in proprio di poteri o
  strumenti idonei a dimostrare il compimento di tali azioni;
       c)  il singolo parlamentare ha esclusivamente la
  facoltà di denunciare una persecuzione giudiziaria
  eventualmente posta in essere nei suoi confronti (circostanza
  che si assume avvenuta nel caso concreto, considerato che lo
  stesso onorevole Dell'Utri ha denunciato nelle sedi
  giudiziarie competenti una serie di abusi commessi ai suoi
 
                             Pag.41
 
  danni attraverso l'uso indiscriminato di "pentiti" e "testi"
  compiacenti), inevitabilmente rimettendo l'accertamento dei
  fatti denunciati alla stessa magistratura e cioè allo stesso
  organismo che ne potrebbe risultare l'autore e in ogni caso
  rinviando molto nel tempo l'accertamento stesso, considerate
  le interminabili scadenze temporali nelle quali solitamente si
  snodano i percorsi giudiziari della magistratura ordinaria;
       d)  il Parlamento non potrebbe comunque diventare
  "giudice dei giudici", impegnandosi nella verifica di fatti
  illeciti eventualmente commessi ai danni di un
  parlamentare;
       e)  l'autorità giudiziaria che avesse
  effettivamente agito a fini persecutori nei confronti di un
  parlamentare, certamente eviterebbe di inserire le prove di
  una simile condotta nel testo dell'ordinanza sottoposta
  all'autorizzazione del Parlamento e negli atti a questo
  inviati.
     In senso giuridico il termine  fumus  indicherebbe la
  mera "possibilità", fondamento del semplice "sospetto", e si
  distinguerebbe nettamente dal concetto di "probabilità",
  fondamento viceversa della prova logica o indiziaria.
     Così, mentre il "sospetto" nasce da un'ipotesi, da una
  ragionevole congettura relativamente al possibile verificarsi
  di un evento, l'"indizio" come prova indiretta, scaturisce da
  uno o più circostanze di fatto accertate e ritenute vere,
  poste a base di un ragionamento dimostrativo di tipo
  induttivo.
     Dalle considerazioni prospettate emergerebbe che in sede
  di valutazione del c.d.  fumus persecutionis  il
  Parlamento non deve "giudicare" i giudici procedenti, né
  quindi deve acquisire e valutare le prove indiziarie
  dell'eventuale persecuzione posta in essere nei confronti del
  parlamentare, ma semplicemente verificare, in base alla
  lettura degli atti, la sussistenza di un "rischio", anche
  minimo, che al parlamentare sottoposto a procedimento sia
  riservato un trattamento giudiziario anomalo, tale cioè da
  indurre a ritenere la possibile volontà di colpirne le
  funzioni e le attività politiche.
     In conclusione, il Parlamento dovrebbe semplicemente
  formulare un giudizio di "possibilità" desunto da "indici"
  significativi circa la possibile strumentalizzazione delle
  funzioni giudiziarie ai danni di un parlamentare.
     Il "caso Dell'Utri", caratterizzato persino dalla
  ostentata "personalizzazione" dell'ufficio da parte del
  giudice che ha disposto la carcerazione cautelare, apparirebbe
  fortemente sintomatico dell'uso anomalo delle funzioni
  giudiziarie ai danni di un parlamentare colpito non solo "in
  proprio" ma anche in quanto esponente di un intero movimento
  politico.
     Violazione del segreto investigativo.  Risulterebbe
  dimostrato da una serie di articoli giornalistici depositati
  dall'onorevole Dell'Utri che la vicenda giudiziaria che lo ha
  coinvolto è stata integralmente divulgata presso le principali
  testate giornalistiche nazionali ad evidenti fini di
  spettacolarizzazione dell'intervento dell'autorità giudiziaria
  palermitana.  Ultimo episodio, aggiungiamo noi, sarebbe quello
  della pubblicazione, da parte di numerosi quotidiani, di
  documenti inviati alla Giunta da parte della Procura di
  Palermo prima che il 6 aprile 1999 i componenti della Giunta
  medesima potessero esaminarli.
     La divulgazione mediatica di atti di indagine coperti dal
  più stretto segreto investigativo e persino del provvedimento
  di arresto (per definizione segreto) che configurerebbe reati
  gravissimi, tra i quali il delitto  ex  articolo 326 c.p.
  (rivelazione di segreti d'ufficio, punita con la pena della
  reclusione da sei mesi a tre anni), risalirebbe non solo
  all'Ufficio della Procura palermitana, ma addirittura allo
  stesso Ufficio GIP, come riferito in un articolo apparso sul
  quotidiano "La Repubblica", nel quale si dà conto che le
  dettagliate informazioni illecitamente propalate sarebbero
  provenute da tale ufficio.
     Si consideri inoltre che il GIP che oggi richiede la
  carcerazione avrebbe respinto l'istanza dei difensori
  dell'onorevole Dell'Utri di avere accesso agli atti che
  ex  articolo 293 c.p.p. hanno costituito il fondamento
 
                             Pag.42
 
  dell'intervenuto provvedimento di carcerazione cautelare.
     Si sarebbe realizzato così un tragico paradosso,
  sintomatico della non imparzialità e dell'intenzione
  extragiudiziaria del giudice procedente, il quale, da un lato,
  ha voluto o consentito colposamente l'illecita propalazione
  mediatica ai danni dell'onorevole Dell'Utri di atti di
  indagine coperti dal segreto investigativo, e poi dall'altro
  ha vietato al medesimo deputato e ai suoi difensori di
  prendere visione di quegli stessi atti, incorrendo nella
  macroscopica negazione del diritto di difesa, riconosciuto
  come inviolabile dall'articolo 24 Cost. in ogni "stato" del
  "procedimento" e dall'articolo 6 della Convenzione europea dei
  diritti dell'uomo che garantisce all'imputato il diritto di
  conoscere tutti gli elementi sulla base dei quali è stata
  formulata l'accusa elevata nei suoi confronti.
     Sintomo preoccupante dell'anomalia giudiziaria che ha
  investito l'onorevole Dell'Utri risulterebbe dunque la
  condotta del giudice Scaduto che ha sottratto alla legittima
  conoscenza del parlamentare gli stessi atti che invece ha
  illegittimamente consegnato (o lasciato per colpevole
  negligenza che venissero consegnati) alla stampa.
     Sotto altro aspetto, si consideri che la campagna
  mediatica avvenuta contro l'onorevole Dell'Utri sarebbe stata
  resa possibile (prima e dopo l'invio alla Camera dei Deputati
  dell'ordinanza custodiale) esclusivamente grazie alle illecite
  propalazioni provenute dagli uffici giudiziari palermitani
  procedenti.
     Ciò significherebbe che i magistrati palermitani
  procedenti, poiché non avrebbero potuto ignorare gli effetti
  devastanti della citata campagna mediatica, evidentemente ne
  hanno voluto la realizzazione; il che automaticamente
  dimostrerebbe che il fine dell'azione giudiziaria inscenata
  nei confronti dell'onorevole Dell'Utri sarebbe quanto meno in
  parte, di natura extragiuridica.
     Una simile "inconfutabile conclusione" sarebbe
  ulteriormente dimostrata dall'inerzia assoluta che la Procura
  palermitana ha mostrato e mostra tuttora in ordine alla
  procedibilità per il già segnalato delitto di rivelazione di
  segreti d'ufficio  ex  articolo 326 c.p.: trattandosi di
  delitto procedibile d'ufficio e stante il principio, di rango
  persino costituzionale, di obbligatorietà dell'azione penale,
  la Procura di Palermo avrebbe dovuto procedere ad indagini
  immediate per accertare gli autori delle illecite
  propalazioni; l'assenza di un simile doveroso intervento
  dimostrerebbe allora, ulteriormente, l'esistenza di un
  concorso nel grave delitto, sia pure per colpevole negligenza,
  nella custodia di atti riservatissimi.
     Il GIP difende il sistema di gestione dei pentiti.
  Con frasi dallo sfondo apocalittico, del tutto inconsuete
  per un giudice, il GIP palermitano accusa l'onorevole
  Dell'Utri di "destabllizzare l'intero sistema normativo in
  materia di valutazione delle dichiarazioni dei collaboranti,
  tentando di metterlo in crisi dal suo interno".
     L'accusa si snoda nei seguenti passaggi:
       a)  l'onorevole Dell'Utri avrebbe concordato con
  due "collaboranti" una serie di dichiarazioni false e
  calunniose per screditare altri "collaboranti" utilizzati
  contro di lui dalla Procura di Palermo legati ad un "obbligo
  di verità" in forza di un "contratto con lo Stato";
       b)  la condotta "eversiva" del sistema repressivo
  fondato sulla gestione dei "pentiti" attribuita all'onorevole
  Dell'Utri sarebbe condivisa anche da altri parlamentari dello
  stesso orientamento politico che avrebbero avuto colloqui in
  carcere con i "collaboranti" da lui contattati e dall'intero
  movimento politico di "Forza Italia", espressione politica
  della mafia che avrebbe cambiato la strategia della lotta allo
  Stato, decidendo di colpire quest'ultimo dall'interno,
  destabilizzandone le leggi;
       c)  in particolare l'onorevole Dell'Utri e il
  movimento politico cui appartiene, solleciterebbero, in
  Parlamento, in perfetta sintonia con i più pericolosi ambienti
  criminali mafiosi, la modifica dell'articolo 192 c.p.p., una
  sorta di architrave della lotta alla mafia, fonte
  dell'indiscutibile principio, presentato come "articolo di
 
                             Pag.43
 
  fede", della "convergenza del molteplice" (espressione
  criptica che allude all'ammissibilità in sede di valutazione
  delle accuse dei pentiti di mafia del pericolosissimo criterio
  dei "riscontro incrociato");
       d)  i recenti interventi parlamentari a sostegno
  della modifica legislativa dell'articolo 192 c.p.p.
  costituirebbero la prova che l'onorevole Dell'Utri e il
  movimento politico agirebbero come complici delle
  organizzazioni criminali mafiose;
       e)  qualsiasi intervento dell'onorevole Dell'Utri
  per sapere se alcuni pentiti di mafia, molti dei quali già
  dichiarati con sentenze irrevocabili calunniatori o
  delinquenti abituali, abbiano concordato false accuse nei suoi
  confronti, compresi i contatti con persone già indicate come
  suoi testimoni nel dibattimento pendente dinanzi al Tribunale
  di Palermo, sarebbe automaticamente un tentativo di
  "inquinamento" della prova poiché ciò che sostengono i pentiti
  utilizzati dalla Procura di Palermo sarebbe per definizione
  vero ed indiscutibile.
     I passaggi dell'inquietante ragionamento del GIP, così
  definito dall'onorevole Dell'Utri, si commenterebbero da soli,
  denotando gravissimi travalicamenti dalla funzione
  giurisdizionale, fino all'aggressione sconsiderata delle
  prerogative dei singoli parlamentari e del Parlamento nel suo
  insieme.
     La stessa descrizione del rapporto tra "pentito" di mafia
  e autorità statale, presentata dal GIP, dimostrerebbe non solo
  una grave ignoranza di concetti giuridici elementari, ma
  l'esistenza di un pregiudizio accusatorio del tutto
  incompatibile con l'esercizio della funzione
  giurisdizionale.
     Citare l'"obbligo di verità" in capo a soggetti che in
  quanto indagati o imputati di reati connessi o collegati,
  ex  articolo 210 c.p.p., per definizione non assumono
  alcun obbligo di dire la verità, ed indicare come fonte di
  tale inesistente obbligo un "contratto con lo Stato" che
  presuppone invece il pagamento da parte di organismi
  controllati dalla Procura palermitana di compensi miliardari o
  di altri benefici rilevantissimi (compresa l'impunità rispetto
  a gravissimi delitti commessi) in cambio di dichiarazioni
  "utili" alle indagini, significherebbe infatti occultare con
  artifici dialettici la realtà delle cose e che cioè i
  "pentiti" utilizzati dalla Procura di Palermo, tutti
  pericolosissimi assassini e smentiti in numerose occasioni
  giudiziarie, potrebbero essere dei perfidi e prezzolati
  calunniatori indotti a mentire per convenienza.
     Sul punto sarebbe sufficiente osservare che l'ipotesi che
  i "pentiti" di mafia utilizzati dalla Procura di Palermo
  abbiano potuto concordare una gigantesca calunnia ai danni
  dell'onorevole Dell'Utri, non solo è prospettabile, ma
  risulterebbe addirittura confermata da una serie di
  indiscutibili dati oggettivi.
     Se dunque l'autorità giudiziaria palermitana ha
  artificiosamente eliminato una simile prospettiva, evitando le
  indagini che potessero smentire i nuovi "oracoli" della
  giustizia palermitana e occultando dati di fatto decisivi,
  come ad esempio alcune sentenze irrevocabili che hanno
  qualificato tali persone come assassini, calunniatori e
  delinquenti abituali, ciò significherebbe che un "sospetto" di
  gravi irregolarità commesse nei confronti dell'onorevole
  Dell'Utri e quindi l'esistenza del  "fumus
  persecutionis",  non potrebbero essere negati da nessuna
  persona di buon senso.
     Per definizione "politici" apparirebbero gli inquietanti
  argomenti del giudice Scaduto diretti a censurare l'attività
  parlamentare dell'onorevole Dell'Utri, di altri parlamentari e
  di un intero movimento politico.
     Nel momento in cui un giudice della Repubblica,
  esorbitando dalle proprie funzioni, si spinge sino al giudizio
  politico, peraltro rozzo e gravemente errato, nei confronti di
  una parte del Parlamento o di alcuni suoi membri,
  espressamente affermando che determinate attività politiche
  siano poste in essere in favore di pericolose organizzazioni
  criminali, si realizzerebbe per l'On.  Dell'Utri un turbamento
  delle funzioni parlamentari che per definizione devono essere
 
                             Pag.44
 
  libere, non potendo soffrire alcun condizionamento da parte di
  altri poteri dello Stato.
     Lette in senso politico le pesanti affermazioni del
  giudice Scaduto suonerebbero come un'intimidazione al
  Parlamento e ai singoli parlamentari da parte di un
  rappresentante di un apparato giudiziario che dispone di
  fortissimi e penetranti poteri coercitivi, come quello appunto
  della privazione della libertà personale, al fine di impedire
  le attività politiche e parlamentari ritenute sgradite.
     Quanto al merito dell'accorata difesa dell'articolo 192
  codice di procedura penale sarebbe sufficiente ricordare che
  l'attuale formulazione normativa, consentendo lo scempio del
  "riscontro incrociato" e che cioè le dichiarazioni concertate
  tra due o più "pentiti" di mafia assurgano  ipso jure  al
  rango di prova, costituirebbe il viatico dei più gravi abusi
  giudiziari degli ultimi anni, come risulta da una qualunque
  rassegna di cronaca giudiziaria.
     Anticipazione del rinvio a giudizio.  Un'ulteriore
  dimostrazione della non imparzialità del giudice Scaduto si
  ricaverebbe da una frase contenuta nell'ordinanza di
  carcerazione cautelare, con la quale si allude al rinvio a
  giudizio dell'onorevole Dell'Utri.
     Saremmo di fronte ad un'anticipazione di giudizio che
  tradisce l'intenzione del giudice di disporre il rinvio a
  giudizio dell'imputato, a prescindere dall'esercizio del
  diritto di difesa, considerato nullo al punto da essere
  omesso.
     Il giudice, infatti, trascurerebbe che prima della
  chiusura delle indagini preliminari potrebbe essere chiamato
  ad emettere un provvedimento di archiviazione e che comunque,
  prima di disporre il rinvio a giudizio, dell'onorevole
  Dell'Utri dovrà valutare in sede di udienza preliminare, nel
  contraddittorio tra le parti, la fondatezza dell'imputazione,
  emettendo, se del caso, sentenza di non luogo a procedere.  La
  decisione sarebbe già presa: sarò rinviato a giudizio e così,
  finalmente, il procedimento attualmente pendente in sede di
  indagini preliminari potrà riunirsi a quello pendente in
  dibattimento dinanzi al Tribunale di Palermo.
     E' indubitabile che la "parzialità" e la mancanza di
  serenità del giudice procedente sarebbero sintomi
  inequivocabili di un insolito accanimento giudiziario.
     L'utilizzo dei tabulati telefonici riportanti il
  traffico anche dell'onorevole Dell'Utri senza la preventiva
  autorizzazione della Camera.
     L'imputato deve essere arrestato.  E' documentato che
  all'indomani della fuga di notizie concernenti l'imminente
  arresto, la difesa dell'onorevole Dell'Utri si attivò
  tempestivamente, comunicando alla Procura di Palermo la sua
  disponibilità per un interrogatorio immediato che poteva
  servire per spiegare i fatti e scongiurare un devastante
  provvedimento.
     Eppure, la Procura di Palermo ha totalmente trascurato la
  citata disponibilità per rendere interrogatorio, procedendo a
  richiedere il suo arresto.
     Un simile spaccato di arroganza giudiziaria dimostrerebbe
  che lo scopo dell'autorità procedente non doveva essere quello
  di accertare i fatti, (essendo a tal fine ben più proficuo
  l'interrogatorio dell'imputato che sa in ogni caso quanto
  basta per risolvere il procedimento), quanto piuttosto il
  compimento di un atto eclatante e dimostrativo, quale appunto
  l'arresto di un parlamentare, compiuto per evidenti finalità
  extragiudiziarie.
     Il fatto è più grave se l'autore è divenuto
  parlamentare dopo averlo commesso.  Nel commentare uno degli
  addebiti all'onorevole Dell'Utri, il giudice Scaduto giunge ad
  affermare che il fatto di reato sarebbe reso grave dalla
  circostanza che egli è divenuto parlamentare.
     Si tratterebbe di una considerazione non solo totalmente
  errata in diritto posto che la gravità del reato non può avere
  nulla a che vedere con la qualifica personale dell'agente
  acquisita successivamente alla data del presunto reato, ma
  rivelatrice dell'intenzione del giudice di colpire l'onorevole
  Dell'Utri in quanto parlamentare: il riferimento alla gravità
  del fatto legata alla qualifica postuma del suo autore serve
  cioè a colpire quest'ultimo in funzione dell'acquisto di tale
  qualifica.  Nel caso di specie l'onorevole Dell'Utri doveva
 
                             Pag.45
 
  essere colpito perché divenuto parlamentare.  Viene così
  direttamente colpita la funzione di parlamentare.  Il "  fumus
  persecutionis  " sarebbe evidente.
     Violazione del principio del giudice naturale:  il
  mostro giudiziario "bicefalo" che si sarebbe scagliato contro
  l'onorevole Dell'Utri costituito dal binomio P.M.-GIP, si
  sarebbe arbitrariamente autoattribuito la competenza
  territoriale-funzionale per fatti spettanti ad altre autorità
  giudiziarie, in base ad un vero e proprio artificio
  processuale.
     In pratica anche se i fatti contestatigli fossero avvenuti
  in luoghi diversi da Palermo, tuttavia la competenza
  spetterebbe al binomio P.M.-GIP di tale luogo per connessione
  con altri fatti in relazione ai quali l'onorevole Dell'Utri è
  attualmente imputato dinanzi al Tribunale di Palermo.
     Dunque il capo di imputazione di un processo già giunto
  alla fase dibattimentale eserciterebbe forza attrattiva
  rispetto ai fatti oggetto del presente procedimento.
     Singolarmente la detta attrazione di competenza è stata
  ritenuta valida soltanto ai fini territoriali e non anche
  funzionali, giacchè competente ad emettere la misura cautelare
  sarebbe stato un organo diverso dal binomio P.M.-GIP e cioè il
  Tribunale di Palermo cui spetterebbe, come "giudice
  procedente", il potere-dovere di applicare una misura
  cautelare in presenza di un rischio di inquinamento della
  prova quale quello contestato con l'accusa di avere cercato di
  concordare versioni di comodo con due "collaboranti" già
  indicati nella lista testimoniale presentata dall'On.
  Dell'Utri per il dibattimento.
     Insomma, attraverso il "sapiente" e "spregiudicato" uso di
  perverse alchimie procedurali P.M. e GIP di Palermo avrebbero
  sottratto al Tribunale il potere di applicazione della
  custodia cautelare realizzando al tempo stesso la violazione
  del principio costituzionale del giudice naturale
  precostituito per legge e l'indebita interferenza in un
  dibattimento già in corso, attraverso una pesantissima
  intimidazione nei confronti di tutti coloro che non sono stati
  ancora chiamati a deporre.
  La competenza territoriale.
     L'onorevole Dell'Utri sviluppa una questione già
  anticipata dall'odierno relatore alla Giunta.
     Il binomio P.M.-GIP, con artificiosi ed acrobatici
  aggiornamenti delle norme processuali, sarebbe riuscito ad
  autoattribuirsi la competenza ad emettere la misura custodiale
  nei confronti dell'onorevole Dell'Utri investendosi
  indebitamente di un'abnorme competenza  "ad hominem". 
     La presunta connessione teleologica del reato di calunnia
  con il delitto di concorso in associazione mafiosa - per cui è
  in corso il processo innanzi al Tribunale di Palermo - posta
  dal Gip a sostegno della propria qiurisdizione, risulterebbe
  destituita di qualsiasi fondamento.
     La disciplina dell'istituto della connessione - ex
  articolo 12 c.p.p. - proprio perché interferente sulla
  competenza territoriale, è stata regolata dal legislatore in
  modo tassativo in ossequio al punto 14 della legge delega del
  nostro codice processuale (1) e al precetto costituzionale
  sancito dall'articolo 25 Cost., per cui "nessuno può essere
  distolto dal giudice naturale precostituito per legge".
     Tra i reati contestati con la richiesta di non ci sarebbe
  alcuna connessione ed anzi la stessa è esclusa
  dall'inderogabile schema fissato dalla legge: è quindi
  assolutamente improponibile un assorbimento della competenza
  territoriale ex articolo 16 c.p.p., con la coseguente esigenza
  di individuare il giudice competente per ciascun singolo
  episodio, cui dovrebbero essere rimessi gli atti.
     La tentata estorsione di cui al capo A), sebbene
  speciosamente contestata come commessa tra Trapani, Palermo e
  Milano tra il 1990 e il 1993, non risulta invece
     (1) Disciplina dell'istituto della connessione con
  espressa previsione dei relativi casi; esclusione di ogni
  discrezionalità nella determinazione del giudice
  competente...".
 
                             Pag.46
 
  supportata da alcuna condotta materiale realizzata a Palermo
  (forse una involontaria ammissione di debolezza tecnica cui si
  è tentato di sopperire con una evidente mistificazione degli
  atti processuali).  La fonte accusatoria ha narrato di
  fantomatiche richieste estorsive avanzate solo tra Trapani e
  Milano.  Certo è che l'A.G. palermitana è incompetente non
  essendosi compiuta in quel territorio neanche una minima
  frazione del contegno a me imputato.
     In ordine alla calunnia, "per la prima volta il Cirfeta
  riferisce quanto a sua conoscenza con una lettera che egli
  consegna il 24 Agosto 1997 a Personale del Servizio Centrale
  di Protezione perché sia inoltrata ai magistrati della
  Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce..." (p. 188
  ordinanza Gip Palermo).  Posto che "la calunnia è reato formale
  e istantaneo che si consuma nel momento in cui viene
  presentata la denuncia all'Autorità giudiziaria ovvero ad
  autorità che a quella abbia l'obbligo di riferire", e che "se
  si tratta di reato permanente, è competente il giudice del
  luogo in cui ha avuto inizio la consumazione..." (articolo 8
  comma 3 c.p.p.), non si comprende da dove tragga origine la
  competenza palermitana, radicandosi la stessa nella
  circoscrizione del giudice avente giurisdizione nel luogo in
  cui Cirfeta consegnò la prima lettera agli uomini del Servizio
  Centrale di Protezione.
     E' scritto a p. 5 dell'ordinanza cautelare:
     "...L'episodio criminoso di cui al capo C) dell'epigrafe,
  per il quale il Pubblico Ministero ha richiesto l'emissione
  del provvedimento cautelare nei confronti del Dell'Utri, del
  Cirfeta e del Chiofalo, è connesso teleologicamente al delitto
  di concorso in associazione mafiosa, reato permanente, per il
  quale il primo è imputato davanti al Tribunale di Palermo,
  essendo stato commesso, in primo luogo, al fine di procurare
  al Dell'Utri l'impunità, attraverso l'inquinamento della
  genuinità delle fonti di prova ed in secondo luogo, al fine di
  agevolare l'organizzazione mafiosa Cosa Nostra ed è proprio in
  forza di tale connessione che le indagini sono state condotte
  dalla Procura Distrettuale Antimafia di Palermo, alla quale le
  iniziali missive di contenuto calunnioso, risultano essere
  state trasmesse dalle altre Autorità Giudiziarie alle quali
  erano state indirizzate.
     Nel nostro ordinamento, peraltro, la connessione si
  atteggia come criterio originario ed autonomo di attribuzione
  della competenza, la cui operatività presuppone soltanto che
  il procedimento per il reato più grave, cui quello per cui si
  procede è connesso, non sia stato ancora definito con sentenza
  passata in giudicato cosicché sia ancora possibile ipotizzarne
  la riunione...
     Ora nel caso in esame, seppure al momento i due
  procedimenti si trovano in fasi diverse, non solo non è
  possibile escludere una loro successiva riunione ma, al
  contrario, proprio per le ineludibili ragioni di connessione,
  tale riunione può essere invece fondatamente prevista...".
     L'errore compiuto dal GIP consiste nell'equiparazione
  dell'istituto della connessione con quello della riunione,
  aventi, invece, disciplina e presupposti contrastanti.  La
  connessione è, come già sottolineato, criterio di attribuzione
  di competenza in ristrettissima deroga rispetto ai canoni
  stabiliti dagli artt. 8 e seguenti c.p.p.; la riunione - così
  come la separazione - è uno strumento attivabile solo a
  seguito dell'esercizio dell'azione penale, e, quindi, al
  rinvio a giudizio, e rispondente solo a ragioni di economia
  processuale o di opportunità probatoria, ma non incidente
  sulla determinazione della competenza.  Anche sul piano
  lessicale, mentre la connessione opera, ex articolo 12, tra
  "procedimenti", la riunione - ex articolo 17 - riguarda
  esclusivamente "processi", potendosi solo in questa fase
  stabilire in concreto il pregiudizio o meno alla rapida
  definizione delle stesse, causa ostativa alla
  concentrazione.
     Ulteriore, e più importante, requisito per accedere alla
  riunione è, sempre secondo l'articolo 17, "la pendenza nello
  stesso stato e grado" dei processi, non potendosi ipotizzare,
  neanche concettualmente, l'accorpamento di un fatto già
  sottoposto al vaglio dibattimentale - con tutte le conseguenze
  in materia "strategica" e probatoria - con altra ancora in
  fase di indagine preliminare dallo sviluppo aleatorio (sia con
 
                             Pag.47
 
  riferimento all'esito, che al rito).  Una siffatta estensione
  dell'ambito applicativo dell'istituto in questione, oltre che
  collidente tecnicamente e logicamente con le norme che
  regolano il nostro processo, sarebbe pure contrastante con la
  tassativa disposizione stabilita dal ricordato punto 14) della
  legge delega per l'emanazione del nuovo codice, consentendo
  mutamenti del giudice competente oltre i rigidi schemi fissati
  dal legislatore, e in palese contrasto con il ricordato
  articolo 25 della Costituzione.
     Logico corollario è che, proprio perché parametro
  originario di fissazione della competenza, la connessione non
  potrà, altresì, operare tra vicende processuali pendenti in
  fasi diverse (dovendosi altrimenti infierire l'aberrante
  possibilità della regressione di un processo in avanzata fase
  dibattimentale al Giudice per le Indagini Preliminari di altro
  Tribunale), allorquando il "processo" abbia ad oggetto reato
  meno grave rispetto ad altro "procedimento" cui si intenda
  "connetterlo", secondo quanto stabilito dall'articolo 16
  c.p.p.
     Ogni diversa interpretazione, oltre che contraria ai
  principi fissati nelle nostre norme procedurali, comporterebbe
  una grave compromissione del sistema, determinando una impasse
  esegetica non facilmente risolvibile.  La stessa Suprema Corte
  si è espressa coerentemente con le evidenziate ragioni di
  ermeneutica processuale, fissando concetti corroboranti la
  presente impostazione:
     "Nell'attuale sistema processuale la connessione, pur
  costituendo un criterio originario ed autonomo di
  determinazione della competenza, postula necessariamente, per
  la sua operatività, che i procedimenti da riunire si trovino
  nella medesima fase cognitiva".  Sez. I, sent. n. 6092 del
  31-01-1996 (ud. del 27-11-1995), Pavan (rv 203555).
     "Il principio, affermato sotto il vigore del codice di
  procedura penale del 1930, secondo il quale le norme sulla
  competenza per connessione sono operanti soltanto tra
  procedimenti pendenti nella medesima fase processuale, è
  valido anche con riferimento alla normativa dettata dagli
  artt. 12 cod. proc. pen. e segg., tanto più che in questo la
  connessione è regolata in modo più restrittivo".  Sez. I, sent.
  n. 4444 del 21-11-1994 (ud. del 11-10-1994), Polverino (rv
  199663).
     "Nel vigente sistema processuale la pendenza di più
  procedimenti nel medesimo grado costituisce presupposto
  indispensabile per l'operatività del criterio di competenza
  fondato sulla connessione.  (Fattispecie relativa ad asserita
  competenza per connessione dell'A.G. ordinaria - procedente
  per il delitto di concussione, ancora nella fase delle
  indagini preliminari - anche in ordine a delitto di truffa
  militare, già pervenuto al giudizio del giudice militare)".
  Sez. I, sent. n. 2794 del 04-03-1998 (ud. del 29-01-1998),
  Presti (rv 210004).
     La sentenza della Sez.  I del 12/6/1997 citata dal Gip di
  Palermo, lungi dal corroborare quanto assunto nell'ordinanza
  restrittiva, regola tutt'altra situazione processuale,
  conformemente a quanto stabilito da Sez.  VI, sent. n. 1318 del
  13-02-1997 (ud. del 30-09-1996), Penna (rv 208177), ove si
  legge:
     "In tema di competenza per connessione, la regola della
  "perpetuatio iurisdictionis" è stata confermata e anzi
  rafforzata dal nuovo codice di procedura penale, stante la
  natura di criterio originario e autonomo di attribuzione della
  competenza riconosciuto al vincolo della connessione.  Ne
  consegue che le vicende relative ai procedimenti connessi, già
  riuniti, come quella della loro separazione per la definizione
  anticipata di alcuni di essi, non interferiscono in alcun modo
  sulla competenza unitariamente determinatasi, con riferimento
  a tutte le regiudicande, al momento della "vocatio in
  iudicium".".
     Nel caso in cui, infatti, per vicende sopravvenute,
  procedimenti originariamente connessi siano stati
  successivamente separati (per accesso a riti alternativi di un
  imputato, per stralcio di una posizione, e così via) per il
  principio della  perpetuatio iurisdictionis  la competenza
  territoriale ormai stabilita in forza dell'articolo 16, non
  può subire variazioni per l'eventuale venir meno della
 
                             Pag.48
 
  iniziale causa di connessione.  Sicché è agevole ritenere che
  la massima riportata dal Gip sia riferita a un caso del tutto
  opposto a quello dell'onorevole Dell'Utri.
     Non si colgono le controindicazioni, per l'accusa,
  all'adesione alla interpretazione qui sostenuta: la
  riverberazione del  thema probandum  scaturente dal reato
  di cui al capo C) sul processo in corso a Palermo -
  asseritamente esigente la concentrazione delle due vicende -,
  non impedirebbe ai PP.MM. di sottoporre alla valutazione del
  Tribunale le acquisite risultanze per confutare
  l'attendibilità del teste di difesa Cirfeta, avendo il
  legislatore previsto - con l'articolo 495 comma 2 c.p.p. -
  specifici strumenti di verifica, azionabili in qualunque
  momento del processo, non pregiudicando, dunque, il corso
  dell'accusa.  Rebus sic stantibus,  la ricerca della
  competenza palermitana di P.M. e Gip costituirebbe per
  l'onorevole Dell'Utri solo l'inequivocabile indizio di un
  ostinato disegno persecutorio.
     Sulla questione relativa alla competenza territoriale non
  possiamo che convenire sulla memoria dell'onorevole Dell'Utri.
  Il reato di associazione di cui al capo "A" sarebbe stato
  commesso a Milano con le minacce di Dell'Utri, cui sarebbero
  seguite quelle di Vigna e di Buffa a Trapani ed infine quelle
  telefoniche di Dell'Utri da Milano, in occasione delle quali
  egli disse: "Io sono sempre in attesa, cosa intende fare?
  Ricordi che noi siciliani dobbiamo sempre mantenere la parola
  data".  Frase riportata in grassetto dal GIP per evidenziarne
  l'intento minaccioso ed intimidatorio (cfr. sommarie
  informazioni di Garraffa del 9/10/1997).  La competenza per
  tale reato appare quindi del capoluogo lombardo ed il
  riferimento a Palermo in calce al capo di imputazione è privo
  di qualsiasi significato.
     Il reato di calunnia aggravata di cui al capo "C" è stato
  commesso a Paliano (Frosinone) luogo in cui il Cirfeta fa le
  varie dichiarazioni trascritte nella ordinanza.  Anche qui il
  riferimento a Palermo non ha davvero senso.
     Anche in presenza della pretesa competenza di Palermo in
  riferimento al reato di cui al capo "B" (reato "commesso in
  Palermo, Milano, Caracas oltre che in altre località del
  territorio nazionale ed estero"), occorre esaminare se lo
  stesso, certamente più grave rispetto a quelli di cui ai capi
  "A" e "C", attragga nella propria competenza anche questi
  ultimi.
     Nella specie l'onorevole Dell'Utri è l'unico anello di
  collegamento tra i tre capi di imputazione, non essendovi
  altri coimputati dei medesimi reati.  Si pone il problema se
  tale condizione sia sufficiente per determinare la competenza
  per connessione del capoluogo siciliano, non ricorrendo alcuno
  dei casi contemplati dall'articolo 12 c.p.p., sicché per quei
  due reati il GIP avrebbe dovuto provvedere ai sensi e per gli
  effetti di cui al 1^ comma dell'articolo 22 c.p.p.,
  restituendo gli atti al Pubblico Ministero.
     Per quanto riguarda i reati di cui ai capi "A" e "C",
  anche invocando il disposto di cui al comma 3-  bis
  dell'articolo 51 c.p.p. secondo cui per determinati delitti le
  indagini preliminari sono attribuite all'ufficio del Pubblico
  Ministero presso il Tribunale del capoluogo del distretto nel
  cui ambito ha sede il giudice competente, la competenza
  rimarrebbe sempre e comunque per il primo di essi su Milano e
  per il secondo su Roma (all'interno del cui distretto si trova
  Paliano) o eventualmente su Lecce o su Bari (capoluoghi dei
  rispettivi distretti) dove il Cirfeta inviò le varie
  missive-denunce.
     Né ci si opponga che la questione della competenza
  territoriale non dovrebbe interessare questa Giunta essendo la
  stessa estranea alla nostra indagine.
     Se la Procura di Palermo non era competente ad avviare le
  indagini ed a richiedere l'arresto dell'onorevole Dell'Utri
  poi disposta dal GIP, si potrebbe ipotizzare che quella
  Procura avrebbe sottratto il suddetto parlamentare al proprio
  giudice naturale, chiedendo e vedendo adottare nei suoi
  confronti un provvedimento restrittivo della libertà personale
  che altra Procura ed altro GIP, quelli sì competenti, non
  avrebbero forse richiesto e adottato.
 
                             Pag.49
 
  Sul dossier integrativo inviato dalla Procura della
  Repubblica presso il Tribunale di Palermo dopo l'ordinanza del
  G.I.P. che disponeva la misura cautelare carceraria nei
  confronti dell'onorevole Dell'Utri.
     Noi dovremmo esaminare la richiesta di autorizzazione
  all'arresto  rebus sic stantibus  all'epoca della
  ordinanza del G.I.P., senza prendere in considerazione atti e
  documenti successivi ed integrativi non passati al vaglio di
  tale magistrato.
     Nondimeno, essendo il tutto stato sottoposto all'esame
  della Giunta, facciamo alcune sintetiche considerazioni sui
  punti ritenuti dalla Procura di maggior interesse.
     Da un lato, si tratta di documenti sequestrati a Starace,
  a Piovella ed alla Padetti che dovrebbero dimostrare, secondo
  la Procura, "ripetuti tentativi di inquinamento probatorio
  provenienti da una pluralità di soggetti legati a Publitalia e
  alla Dreher, ma comunque tutti inequivocabilmente tendenti ad
  alleggerire la posizione processuale di Marcello Dell'Utri o
  ancor di più a negare un suo coinvolgimento nei fatti oggetto
  di indagine".  Attività che si sarebbero concretizzate:
       1) nell'avvicinamento di possibili testi, così come
  emergerebbe dalle dichiarazioni del Barbera;
       2) nell'occultamento di possibili prove del suo
  coinvolgimento, come risulterebbe dai documenti sequestrati
  presso Starace e Piovella;
       3) dalle false dichiarazioni rese da una serie di testi
  o da persone oggi coindagate come Piovella, Starace, Biraghi,
  Paoletti e Pizzo.
     Questi tre punti meritano un breve commento:
       1) per quanto riguarda il Barbera, non risponde
  assolutamente a verità che lo stesso abbia dichiarato di
  essere stato in qualche modo avvicinato dall'on.  Dell'Utri;
       2) per quanto riguarda i documenti che comproverebbero
  il coinvolgimento del Dell'Utri precisiamo, a tutto concedere
  ed aderendo alla prospettazione del P.M., che il
  coinvolgimento sarebbe eventualmente della struttura locale di
  Publitalia e mai dall'on.  Dell'Utri che, come da lui precisato
  in sede di audizione, all'epoca era il responsabile di vertice
  di una azienda che fatturava tremila miliardi all'anno e che
  verosimilmente non seguiva tutte le operazioni effettuate
  dalle strutture territoriali della stessa.  Dato e non concesso
  che queste ultime siano state davvero coinvolte e non invece
  il Piovella in proprio come sostenuto dal medesimo e dallo
  stesso on. Dell'Utri;
       3) per quanto riguarda le pretese false dichiarazioni
  rese da alcuni personaggi, dato e non concesso che le stesse
  siano davvero menzognere, per coinvolgere l'onorevole
  Dell'Utri in una vasta operazione di inquinamento probatorio
  si sarebbe dovuto dimostrare dal P.M., ma non è stato fatto,
  che il predetto parlamentare avesse avuto previamente un
  qualsivoglia contatto con i medesimi per concordare con loro
  le predette false dichiarazioni.
     La Procura prende poi spunto da una sentenza di condanna
  dell'on.  Dell'Utri pronunciata dall'autorità giudiziaria di
  Torino per desumere dalla motivazione della medesima la
  "capacità di inquinamento probatorio del Dell'Utri in presenza
  di una intensa e costante attività volta a rendere più
  difficoltose e problematiche le investigazioni in corso".
     Dato anche qui e non concesso che in quel processo
  l'onorevole Dell'Utri abbia davvero posto in essere attività
  di inquinamento, per giustificare nel nostro caso una misura
  cautelare carceraria sul presupposto di un pericolo di
  inquinamento probatorio sarebbe indispensabile che tale
  pericolo fosse davvero concreto e non presunto, desunto o
  addirittura indotto da altro processo.
     La Procura poi riferisce che tale Leonardo Canino,
  recatosi il giorno di capodanno del 1999 a casa del Chiofalo,
  avrebbe visto costui sventolargli in faccia una quindicina di
  banconote da lire 500.000 ciascuna.  In quell'occasione il
 
                             Pag.50
 
  Canino vide altresì le due ceste di frutta esotica portate il
  giorno precedente dall'on.  Dell'Utri.
     Successivamente presso l'abitazione del Chiofalo fu
  rinvenuta la somma in contanti di lire 80 milioni che la di
  lui moglie giustificò come provento di una vendita immobiliare
  risalente al 1994.  E' poi risultato vero che il pagamento fu
  effettuato in contanti per tale cifra.  In una foto scattata il
  31 dicembre 1998 davanti all'abitazione del Chiofalo
  apparirebbe Gianfranco Piccolo, autista dell'on.  Dell'Utri,
  con una borsa in mano.  Esibita tale foto al Piccolo che
  precedentemente aveva escluso che l'on.  Dell'Utri avesse
  alcuna borsa, ammise poi che probabilmente l'aveva.
     La Procura in funzione di ciò ipotizza che il 31 dicembre
  1998 l'on.  Dell'Utri abbia consegnato al Chiofalo una borsa
  contenente la somma di lire 80 milioni.
     Tale ragionamento rappresenta una mera ipotesi non
  suffragata da alcun riscontro per i seguenti motivi:
       1) Non vi è la prova certa che l'on.  Dell'Utri abbia
  portato e lasciato presso la casa del Chiofalo la famosa borsa
  dal momento che la foto che la riprenderebbe appare ben poco
  chiara.
       2) Il Piccolo soltanto dopo che la Procura gli aveva
  contestato che quella foto lo riprendeva con una borsa
  dichiarò: "prendo atto della fotografia contraddistinta dal n.
  29 che mi ponete in visione, dove effettivamente riconosco di
  mettere in mano una borsa".
       3) L'on.  Dell'Utri si accorse al casello di Rimini sud
  di essere oggetto di pedinamento.  Sarebbe stato in tal caso
  davvero un folle a consegnare una borsa contenente denaro al
  Chiofalo dal momento che la stessa poteva venire
  immediatamente sequestrata.
       4) E' la stessa Procura che manifesta evidenti
  perplessità:
         "questa borsa non è stata rinvenuta nel corso delle
  perquisizioni presso l'abitazione del Chiofalo;  (...)
         che ne ha fatto il Chiofalo?  L'ha forse occultata o se
  ne è disfatto e perché?  Cosa conteneva la borsa?".
  Conclusioni.
     Abbiamo ritenuto di sottoporre all'aula una relazione
  particolarmente lunga nella riportando i passaggi più
  significativi dell'ordinanza del GIP e della memoria
  dell'onorevole dell'Utri per consentire ai Colleghi di farsi
  un'opinione personale ed individuale mettendo a confronto la
  tesi dell'accusa e quella della difesa.
     Confidando di aver svolto questo incarico con obbiettività
  è ora nostro dovere assumere le conclusioni da sottoporre
  all'Assemblea.
     Delle circa trecento pagine dell'ordinanza del GIP
  soltanto quattro sono dedicate alle cosiddette esigenze
  cautelari la cui presenza giustificherebbe l'adozione della
  misura al nostro esame.
     In riferimento al capo "A", il GIP le limita in "gravi,
  concrete esigenze di tutela della genuinità delle fonti di
  prova" soprattutto, se non esclusivamente "in ragione della
  reticenza manifestata da diversi soggetti, nel corso delle
  dichiarazioni rese al Pubblico Ministero e dal palese
  tentativo di inquinamento probatorio condotto dal
  Piovella".
     Come già detto, non può integrare l'ipotesi di "concreto
  ed attuale pericolo per l'acquisizione o la genuinità della
  prova" non un fatto che si assume commesso dall'onorevole
  Dell'Utri, magari contattando previamente i vari testimoni, ma
  la loro eventuale reticenza od il tentativo di inquinamento di
  prove (sarebbe il caso del Piovella), commesso eventualmente
  da uno di essi senza intervento alcuno da parte del deputato
  indagato.
     Ricordiamo altresì che i fatti risalgono a oltre 7 anni fa
  e che la Procura della Repubblica di Palermo ha atteso oltre 2
  anni dalle iniziali dichiarazione del Garaffa per chiedere la
  misura cautelare carceraria per l'onorevole Dell'Utri che il
 
                             Pag.51
 
  GIP ha limitato a 4 mesi.  Si tratta all'evidenza di una misura
  tardivamente disposta e non necessaria.
     Per quanto riguarda la calunnia di cui al capo "C",
  parimenti il GIP adduce la sussistenza di "un concreto
  pericolo per la conservazione della genuinità delle fonti di
  prova" nonché "un concreto pericolo di reiterazione del
  reato".
     Il GIP assume "che il pericolo di reiterazione del reato
  risulta particolarmente grave in ragione anche dello status
  istituzionale del Dell'Utri, deputato della Repubblica, che
  gli fornisce una capacità di manovra certamente superiore a
  quella del comune cittadino e che l'evidenziato pericolo
  risulta particolarmente concreto in ragione della sazi
  personalità, quali emergono dai comportamenti esaminati".
     La Camera dovrà esprimersi sul fatto che un deputato della
  Repubblica, chiunque esso sia, debba, proprio perché tale e
  per precisa specificità soggettiva, presumersi di pericolo per
  l'inquinamento delle prove e per la reiterazione dei reati.
     Per quanto riguarda il pericolo di inquinamento probatorio
  il GIP lo collega ai contatti telefonici intervenuti tra
  l'onorevole Dell'Utri ed il Cirfeta ed agli incontri avuti dal
  deputato con il Chiofalo quando già si era consumata la
  pretesa attività calunniatoria posta in essere da questi due
  collaboranti senza alcuna preliminare intesa con l'onorevole
  Dell'Utri medesimo.
     E' più credibile la tesi accusatoria secondo cui
  l'onorevole Dell'Utri andava a concorrere in un reato di
  calunnia già posto in essere, oppure la tesi difensiva secondo
  cui il parlamentare, contattato dai due predetti pentiti,
  cercava di verificare la loro attendibilità per poterli citare
  come testimoni nel processo a suo carico a Palermo?
     Il vecchio codice di procedura penale prevedeva la
  necessità di "sufficienti" indizi di colpevolezza per
  l'adozione di misure cautelari mentre, per quello attualmente
  in vigore gli indizi non devono essere più sufficienti ma
  "gravi" e cioè indizi di maggior consistenza.
     Un indizio può essere "sufficiente" sostenere l'accusa ma
  non per poter disporre la custodia cautelare.
     Per la Suprema Corte (cfr.  Cass. S.U. 21 aprile 1995,
  Cass. 25 ottobre 1995 e Cass. 15 maggio 1992 n. 1198) gli
  indizi debbono essere tali che consentano di pervenire ad un
  giudizio di alta probabilità di commissione del reato e di
  attribuibilità all'indagato.  Occorre pertanto, cosi come
  insegna la Suprema Corte, un prudente apprezzamento del
  Magistrato.
     Noi non vogliamo credere alla congiura prospettata
  dall'On.  Dell'Utri ed in qualche modo da lui anche
  documentata, ma è certo che da parte della magistratura
  palermitana sia mancato quel "prudente apprezzamento" che da
  più parti si è ritenuto risolversi in un vero e proprio
  accanimento giudiziario nei suoi confronti, con cui si sono
  trasformati semplici indizi in gravi indizi, tali da
  determinare la di lui custodia cautelare.
     Il GIP assume che nella specie le esigenze cautelari
  sarebbero quelle previste dalla lettera  a)  (pericolo di
  inquinamento delle prove) e dalla lettera  c)  (pericolo
  di reiterazione dei reati) dell'articolo 274 c.p.p.
     La Corte di cassazione ha statuito che "in tema di misure
  cautelari il pericolo per l'acquisizione e la genuinità della
  prova deve essere concreto e va identificato in tutte quelle
  situazioni in cui si possa desumere secondo la regola
  dell'  id quod plerunque accidit,  che l'indagato possa
  realmente turbare il processo formativo della prova
  ostacolandone la ricerca o inquinando le relative fonti.  E'
  necessario che il giudice indichi con riferimento all'indagato
  le specifiche circostanze di fatto con le quali è desunto e
  fornisca sul punto adeguata e logica motivazione" (Cass. n.
  1460 del 19 aprile 1995).  Tutto ciò nel caso dell'onorevole
  dell'Utri non è però accaduto.
     Come già detto, si è sostenuto che se non saremmo in
  presenza di una congiura ci troveremmo però di fronte ad un
  effettivo accanimento giudiziario che sulla base di semplici
  indizi e in assenza di esigenze cautelari serie potrebbe anche
  integrare il  fumus persecutionis  in funzione del quale
  la richiesta di arresto non potrebbe che venire respinta.
 
                             Pag.52
 
     Ricordiamo che sono stati peraltro numerosi (oltre
  cinquanta) i casi di richiesta di arresto nei confronti di
  deputati nel corso delle varie legislature.  Di quelli
  sottoposti alla valutazione della Camera dei deputati,
  soltanto quattro hanno visto l'accoglimento della richiesta di
  arresto formulata nei confronti di deputati.  In tutti gli
  altri casi la richiesta non è stata accolta.  Poiché il tema
  prevalente del nostro dibattito riguarderà l'esistenza e la
  necessità di un  fumus persecutionis  per poter giungere
  al diniego dell'arresto, crediamo sia nostro dovere rassegnare
  ai colleghi della Camera un convincimento che nasce
  dall'attenta lettura delle carte.  Solo in due o tre casi,
  rispetto agli oltre cinquanta in cui è stata respinta la
  richiesta di arresto, la motivazione che la Giunta ha portato
  all'Assemblea e che quest'ultima ha poi accolto, faceva
  riferimento al  fumus persecutionis.  Negli altri casi,
  quindi nella stragrande maggioranza, la ragione addotta dalla
  Camera per respingere l'autorizzazione all'arresto del
  parlamentare è stata basata su altre argomentazioni.  Non
  dobbiamo tra l'altro dimenticare che il fumus
  persecutionis,  ha comunque avuto applicazione nei confronti
  delle richieste di autorizzazione a procedere che fino al 1993
  necessariamente si accompagnavano anche alla richiesta di
  arresto.  Accanto alla richiesta di autorizzazione a procedere,
  contestualmente giungeva alla Camera, ove si trattasse di casi
  in cui il mandato di cattura fosse obbligatorio o comunque
  qualora la magistratura lo ritenesse necessario, la richiesta
  di poter procedere nel procedimento penale anche con
  l'arresto.  In assenza del  fumus persecutionis  veniva
  concessa l'autorizzazione a procedere ma nonostante ciò veniva
  respinta la richiesta di arresto non ritenendosi pertanto il
  predetto  fumus  necessario al fine di negare
  l'autorizzazione all'arresto medesimo.  Esaminando i casi ad
  uno ad uno, ci accorgiamo - come dicevamo prima - che tale
  criterio non è praticamente mai stato utilizzato.  Al
  contrario, le ragioni che hanno indotto la Camera a respingere
  in quasi tutti i casi (indicheremo in quali non è stato così)
  la richiesta della magistratura hanno trovato il loro
  fondamento nell'esigenza di salvaguardare l'integrità numerica
  della Camera stessa.  In altri casi si è ritenuto tollerabile
  un sacrificio dell'interesse di giustizia.
     Intendiamo cioè sostenere che la contrapposizione che vede
  da un lato il Parlamento e dall'altro la magistratura, un
  risultato che suona come sconfitta per l'uno o per l'altro, o
  come delegittimazione della magistratura o del Parlamento, non
  ha mai trovato accoglimento in quest'aula.  I soli casi in cui
  l'autorizzazione a procedere è stata accolta avevano di
  particolare (questo è un dato fondamentale che sottoponiamo
  alla vostra attenzione) la eccezionale gravità dei reati
  contestati al Parlamentare.  All'onorevole Moranino venivano
  contestati i reati di omicidio continuato e doppiamente
  aggravato, occultamento continuato e aggravato di cadavere,
  tentato omicidio continuato.  All'onorevole Saccucci venivano
  contestati, tra gli altri i reati di omicidio e tentato
  omicidio.  L'onorevole Antonio Negri doveva rispondere, tra gli
  altri dei reati di insurrezione armata contro i poteri dello
  Stato, formazione e partecipazione a più bande armate,
  promozione, costituzione, organizzazione e direzione di
  associazioni sovversive, sequestro di più persone pluri
  aggravato, devastazione e saccheggio aggravati.  Per
  l'onorevole Abbattangelo si trattò invece di dare esecuzione
  ad una sentenza irrevocabile e fa quindi una decisione
  sostanzialmente dovuta.
     Questi che ho richiamato sono stati gli unici casi in cui
  la Camera ha ritenuto di far prevalere l'interesse di
  giustizia - a che cioè il provvedimento del magistrato potesse
  avere corso - sull'altro interesse, ugualmente
  costituzionalmente protetto, che è quello del mantenimento del
  proprio  plenum. 
     Quindi, il problema non è di porre il voto di ciascuno di
  noi in alternativa all'azione dci magistrati; si può
  rispettarla e si può essere tranquillamente fiduciosi che i
  magistrati facciano la loro opera, si può pensare che essi
  l'abbiano svolta al meglio e contemporaneamente, come quasi
 
                             Pag.53
 
  sempre è avvenuto, negare l'autorizzazione all'arresto.  E
  fonte di confusione sostenere che il nostro operato debba
  essere in contrapposizione a qualcuno.
     Dobbiamo allora valutare in questa sede se gli elementi
  che i magistrati ci hanno rassegnato integrino i requisiti
  previsti dall'articolo 274 c.p.p., se ci indichino indizi ed
  elementi di colpevolezza tali da rendere inderogabile
  l'arresto e se i reati commessi siano di particolare gravità.
  Questo dobbiamo valutare e contrapporlo all'esigenza che,
  salvo casi eccezionali questa Camera deve poter decidere con
  il numero complessivo che gli elettori hanno stabilito in
  ossequio alla Costituzione.
     Riteniamo che nel caso specifico non ci siano stati
  forniti né indirizzi né elementi di colpevolezza così
  evidenti, schiaccianti e chiari - si potrebbe addirittura
  sostenere il contrario -, da far venir meno quell'esigenza di
  mantenimento del plenum e, ancor di più riteniamo che non
  sussistano gli elementi indicati nell'articolo 274 c.p.p. e
  neanche quelli di cui al terzo comma dell'articolo 275
  c.p.p.
     Il caso dell'on.  Dell'Utri è senz'altro simile a quello
  degli oltre 50 parlamentari - semmai, è molto meno grave - per
  i quali questo Parlamento ha rifiutato di concedere
  l'autorizzazione all'arresto richiesta dalla magistratura,
  mentre è assai dissimile dai casi di Moranino, di Toni Negri e
  di Saccucci per i quali, in via del tutto eccezionale, il
  Parlamento concesse tale autorizzazione.
     Anche a prescindere dal complesso degli argomenti sopra
  esposti, come è stato giustamente rilevato in Giunta dall'on.
  Ceremigna, ci troviamo di fronte ad una evidente sproporzione
  tra la misura cautelare adottata nei confronti dell'on.
  Dell'Utri e i reati a lui contestati.
     La Giunta propone quindi all'Assemblea di non concedere
  l'autorizzazione all'arresto nei confronti dell'onorevole
  Dell'Utri.
                                  Filippo BERSELLI,  Relatore
 
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