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Domande di autorizzazioni a procedere della XIII Legislatura

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DOC4T-0003
DOC IV ter n. 3 Legisl. XIII
27-04-95 [ DOC13-4TER-3 DO C134TER0003 13DOC4TER 00003 000400002 DOC4TER 00003 000004T000300000101000411SI1 4 0000 00 00 ]
  RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI INSINDACABILITA',
  AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA COSTITUZIONE,
                         NELL'AMBITO
                  nei confronti del deputato
                            SGARBI
  per il reato di cui agli articoli 595 del codice penale e
  13 della legge 8 febbraio 1948, n. 47 (diffamazione col mezzo
                        della stampa)
              TRASMESSA DAL TRIBUNALE DI PERUGIA
           E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA
                      il 27 aprile 1995
  (mantenuta all'ordine del giorno dalla precedente
                         legislatura)
 
                              Pag.2
 
             TRIBUNALE CIVILE E PENALE DI PERUGIA
       Ufficio del giudice per le indagini preliminari
      Il giudice dottor Sergio Materia,
        visti gli atti del procedimento penale a carico di
  Sgarbi Vittorio per il delitto di diffamazione aggravata
  (articoli 595 del codice penale, 13 e 21 della legge 8
  febbraio 1948, n. 47) commesso il 3 ed il 4 ottobre 1994 ai
  danni di Carlo Ripa di Meana per mezzo della trasmissione
  televisiva Sgarbi quotidiani)
                           Osserva:
      il reato è di competenza del Tribunale di Perugia ai
  sensi della legge 6 agosto 1990, articolo 30, comma 5.
      Carlo Ripa di Meana ha presentato querela nei confronti
  di Vittorio Sgarbi per il contenuto della trasmissione "Sgarbi
  quotidiani" del 3 e del 4 ottobre 1994.
      La cassetta videoregistrata del programma è allegata agli
  atti.
      Nel corso della trasmissione Sgarbi commentò un articolo
  di stampa riguardante l'attività dei Verdi, gruppo del quale
  Ripa di Meana è stato portavoce nazionale e ricordò che
  quest'ultimo si era espresso contro il decreto legge sul
  condono edilizio.
      Poi, leggendo una lettera inviatagli da uno spettatore,
  aggiunse che Ripa di Meana avrebbe fruito della procedura di
  condono per infrazioni e modificazioni senza autorizzazione
  nella sua villa di Montecastello di Vibio.
      Sgarbi, sempre in base a quanto lo spettatore gli
  segnalava, aggiunse che "l'autorizzazione" era stata negata
  dal Comune a Ripa di Meana ma che, nonostante questo, le
  modifiche catastali erano tuttavia avvenute.
      E' evidente che, in tal modo, Sgarbi voleva cogliere e
  sottolineare contraddizioni tra l'azione politica del
  portavoce dei Verdi e la sua condotta privata.
      Carlo Ripa di Meana, in querela, nega che le affermazioni
  di Sgarbi abbiano fondamento, esclude di aver fruito di alcuna
  legge sul condono edilizio (all'epoca non in vigore) e afferma
  che, al contrario, si trattò di opere in totale conformità
  agli strumenti urbanistici per le quali, come variante in
  corso d'opera, fu chiesta una concessione in sanatoria ai
  sensi dell'articolo 13 della legge n. 47 del 1985.
      Il pubblico ministero ha chiesto la sospensione del
  procedimento  ex  articolo 3, comma 2 del decreto-legge 13
  gennaio 1995 n. 7.
      Si è proceduto all'assunzione del parere delle parti ai
  sensi dell'articolo 3, comma 2 del decreto legge 13 marzo 1995
  n. 69, ora in vigore.
      La questione della riferibilità delle espressioni usate
  da Vittorio Sgarbi nella trasmissione "Sgarbi quotidiani" ad
  opinioni espresse nell'esercizio delle sue funzioni
  parlamentari non è manifestamente infondata.
 
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      Naturalmente non è del merito della questione che si deve
  qui trattare.
      Ma è rilevante sottolineare che Carlo Ripa di Meana
  svolge attività politica nel gruppo dei Verdi, su posizioni
  diverse e spesso contrapposte a quelle sostenute da Sgarbi.
      Le affermazioni del conduttore-deputato avevano lo scopo
  di evidenziare l'incoerenza tra condotte pubbliche e private
  di Carlo Ripa di Meana e, in ultima analisi, quello di
  dimostrare la sua inaffidabilità politica?
      L'attacco di tipo personale era strumentale ad un attacco
  politico nei confronti di un avversario?
      Sono questi i dubbi che impongono di sospendere il
  procedimento in attesa che la Camera dei Deputati decida sulla
  questione.
      Naturalmente queste domande ne suggeriscono altre: può
  rientrare nelle funzioni parlamentari coperte da immunità un
  attacco condotto attraverso la televisione, nel corso di un
  programma non dichiaratamente politico ma dedicato ad
  argomenti di costume o di cultura e per il quale il
  parlamentare viene retribuito?
      In altri termini: è possibile far rietrare nelle funzioni
  parlamentari una attività per la quale il deputato riceve un
  compenso?
      E non occorre forse, perché si possa fondatamente parlare
  di funzioni parlamentari o almeno di attività politica, che
  gli elettori-spettatori siano posti in condizioni di capire se
  chi parla sta parlando di politica, così da andare, nella
  comprensione della questione, oltre il caso personale?
      E ancora: è possibile concepire la televisione come un
  prolungamento, una estensione del Parlamento?
      E, se si ritiene che siano compresi nell'attività
  parlamentare non solo gli atti tipici, ma qualunque opinione
  politica espressa anche fuori dalle aule parlamentari
  (tribunale di Roma, 7 novembre 1986, Corte di Appello di
  Napoli, 23 dicembre 1980) quali limiti "territoriali" ha, se
  ne ha, l'attività del parlamentare in quanto tale?
      Più in generale si rimanda alla questione della
  distinzione tra funzioni parlamentari ed attività politica.
      Gli articoli 67 e 68 della Costituzione operano in tal
  senso una netta distinzione che non sembra possa essere del
  tutto trascurata, salvo operare una sostanziale abrogazione
  del concetto di funzioni parlamentari.
      Per ottenere risposte a tali domande, la cui stessa
  proposizione indica che non è evidente l'applicabilità
  dell'articolo 68, comma 1 della Costituzione (articolo 3,
  comma 1 del decreto-legge del 13 marzo 1995, n. 69), gli atti
  devono essere trasmessi alla Camera dei deputati.
 
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                      Per questi motivi
      visto l'articolo 3, comma 2 del decreto-legge 13 marzo
  1995
        dispone trasmettersi gli atti alla Camera dei
  deputati;
        ordina la sospensione del procedimento fino alla
  deliberazione della Camera e, comunque, per un tempo non
  superiore ai 90 giorni;
        manda alla Cancelleria per quanto di competenza.
      Perugia, 5 aprile 1995.
            Il giudice per le indagini preliminari
                        Sergio Materia
 
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