| RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI INSINDACABILITA',
AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA COSTITUZIONE,
NELL'AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE
nei confronti del deputato
CIRINO POMICINO
per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice
penale - nel reato di cui agli articoli 61 n. 2, 81 capoverso,
112 n. 1, 319, 319- bis, 321 del codice penale
(corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio,
continuata e pluriaggravata); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 81 capoverso, 112, n. 1, 323, comma due, dello stesso
codice (abuso d'ufficio continuato e aggravato)
TRASMESSA DAL TRIBUNALE DI NAPOLI
E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA
il 28 novembre 1995
(mantenuta all'ordine del giorno dalla precedente
legislatura)
Pag.2
TRIBUNALE DI NAPOLI
Sezione del giudice per le indagini preliminari
Ufficio XII
IL GIUDICE
Decidendo sulla principale richiesta avanzata dalla
difesa di Paolo Cirino Pomicino con la quale si assume che ci
si troverebbe di fronte ad un classico caso di improcedibilià
dell'azione penale nei confronti dello stesso in ordine ai
reati ascrittigli in quanto la concreta attività contestatagli
nei capi d'imputazione sarebbe coperta dalla prerogativa
dell'insindacabilità di cui all'articolo 68 comma 1^ della
Costituzione
osserva:
Occorre innanzi tutto premettere che, per una chiara
comprensione della vicenda in esame e nel rispetto di quanto
previsto dall'articolo 5 del decreto-legge n. 466 dell'8
novembre 1995, vengono allegati alla presente ordinanza i capi
d'imputazione scritti al Pomicino nonché uno stralcio della
motivazione della richiesta di rinvio a giudizio redatta dal
pubblico Ministero.
Ciò evidenziato, va in primo luogo osservato che la
condotta illecita ascritta al Pomicino al capo D delle
imputazioni (la corruzione) fa espresso riferimento alla sua
qualifica di Presidente della Commissione bilancio della
Camera (il Pomicino rivestì tale incarico dal luglio 1983
all'aprile 1988), alla sua attività diretta a sostenere lo
stanziamento di finanziamenti per la Metropolitana di Napoli
in sede di approvazione della legge finanziaria per l'anno
1986 ed alla ricezione della somma di 4 miliardi di lire in
virtù di un preciso accordo stretto con l'imprenditore Italo
della Morte (accordo avvenuto proprio in occasione
dell'approvazione della citata legge finanziaria e finalizzato
appunto all'approvazione del citato stanziamento).
Anche nel capo E delle imputazioni (l'abuso di ufficio)
si contesta al Pomicino l'abuso della sua qualità/qualifica di
Presidente della Commissione bilancio e la sua attività
diretta a sostenere lo stanziamento di finanziamenti per la
Metropolitana di Napoli in occasione dell'approvazione della
legge finanziaria per il l986.
Analogo riferimento alla sua citata qualifica vi è nel
capo F delle imputazioni a lui ascritte.
Va in secondo luogo rilevato che le imputazioni formali
corrispondono proprio alla reale condotta illecita ascrivibile
al Pomicino, in concreto e di fatto emergente dagli atti
processuali.
Ed invero tutte le persone interessate al (o comunque a
conoscenza del) versamento di somme di denaro al Pomicino
dichiarano concordemente che:
al Pomicino furono versati circa 4 miliardi di lire
nell'arco di 5 anni, dal 1987 al 1991 (così il della Morte
Antonio, il De Lieto, l'Aversa e il Rolandi; anche il Chitis,
che pagò fino al 1990, dichiara però che
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avrebbe dovuto pagare fino al 1991 in virtù di precisi
passati accordi);
tali versamenti furono sì dilazionati nel tempo ma
l'accordo iniziale prevedeva proprio il versamento di 4
miliardi di lire in totale, essendo stata tale somma
predeterminata con precisione dal Pomicino con Italo della
Morte nel 1987 (così in particolare la fonte diretta Antonio
della Morte - che riferisce degli accordi presi dal fratello
-, ma così anche De Lieto, Chitis, e Aversa);
tali versamenti trovavano la loro ragione d'esser "nei
finanziamenti che la legge finanziaria" doveva prevedere per
la Metropolitana di Napoli (così tutti ed in particolare
Aversa) ed erano comunque collegati "alla presenza del
Pomicino nella Commissione bilancio" (così in particolare
Chitis).
Appare cioè più che evidente che il fatto corruttivo
contestato e l'accordo illecito consumatosi ebbe a verificarsi
in epoca temporale in cui il Pomicino era Presidente della
Commissione bilancio della Camera ed anche parlamentare, ed in
relazione ad attività da lui posta in essere proprio in virtù
di tale carica e di tale qualifica ed in funzione
dell'approvazione dei finanziamenti previsti dalla legge
finanziaria per l'anno 1986.
In merito a tali contestazioni si sostiene, da parte
della difesa, che si sarebbe di fronte all'insindacabilità
prevista dall'articolo 68, comma primo, della Costituzione che
prevede appunto che "i membri del Parlamento non possono
essere chiamati a rispondere delle opinioni espresse e dei
voti dati nell'esercizio delle loro funzioni" (anzi meglio,
"non possono essere perseguiti ..." secondo la dizione
dell'articolo 68 della Costituzione in vigore all'epoca dei
fatti: il che comunque non muta la sostanza del problema).
Va sul punto subito osservato che con tale disposizione
si è voluta garantire l'autonomia e l'indipendenza del
Parlamento e dei suoi membri rispetto ad altri poteri dello
Stato e rispetto al rischio di interventi perturbatori e di
condizionamenti esterni derivanti in primo luogo dall'Autorità
giudiziaria.
Proprio perché con tale disposizione si è costituita una
vera e propria immunità per i parlamentari in ordine a
determinati loro comportamenti non vi è chi non veda come sia
estremamente importante definire con precisione ed esattezza i
limiti di tale prerogativa.
Il dibattito (dottrinario e giurisprudenziale) sul punto
è stato (ed è ancora soprattutto oggi) più che vivo e vivace:
è pacifico infatti che l'applicazione dell'immmunità
parlamentare è legittima solo laddove si tratti davvero di
garantire l'autonomia del Parlamento, divenendo invece
palesemente illegittima allorquando la stessa non riguardi
comportamenti strettamente funzionali al libero esecizio delle
funzioni parlamentali.
Un eccessivamente ampio campo di applicazione finirebbe
invero col far divenire tale immunità un ingiustificato
priviliegio dei deputati e dei senatori, con conseguente
compressione della sfera di attribuzioni dell'Autorità
giudiziaria.
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Nella pratica (giurisprudenziale e parlamentare) ci si è
occupati prevalentemente di individuare con esattezza i limiti
di tale immunità con precipuo riferimento a casi in cui
interventi di membri del Parlamento avrebbero potuto essere
considerati reati di diffamazione (anche a mezzo stampa)
piuttosto che "opinioni espresse ... nell'esercizio delle loro
funzioni" e come tali dunque non perseguibili.
In pochissimi casi ci si è occupati di comportamenti di
parlamentari astrattamente riconducibili al reato di
corruzione.
Può qui sinteticamente dirsi che, al di là dell'estrema e
minoritaria (e non condivisibile) posizione che vorrebbe
coperta dall'immunità di cui al primo comma dell'articolo 68
della Costituzione tutta l'attività politica di senatori e
deputati anche se svolta in sede extra-parlamentare, il
dibattito si è incentrato soprattutto su due punti:
è coperta da tale immunità anche la ripetizione in
sede extra-parlamentare di opinioni espresse da parlamentari
in sede prettamente parlametare?;
è coperta da immunità anche l'attività strettamente
connesa con quella parlamentare tipica?
Qui interessa risolvere soprattutto il secondo problema,
posto che il primo riguarda fattispecie (diffamazioni) non
inerenti il presente procedimento.
La posizione che vorrebbe coperta dall'immunità di cui al
comma primo dell'articolo 68 della Costituzione anche le
attività del membro del Parlamento connesse con quella
tipicamente parlamentare presenta, a giudizio di
quest'ufficio, rischi notevoli.
Applicando il principio della connessione (pur anche
ristretto a quelle attività inscidibilmente collegate e
strumentali rispetto alla tipica attività parlamentare) si
finirebbe con l'ancorare una così delicata e rilevante
valutazione a criteri non certi né predeterminati, con
connessi concreti pericoli di interpretazioni arbitrarie o
comunque oscillanti ed incerte.
E tale considerazione trova anche fondamento proprio
nell'analisi di precedenti decisioni in materia di corruzione,
ove appunto si presentano (sul punto "connessione") i più
rilevanti problemi, specie quando ci si riferisce ad ipotesi
di corruzione per indurre il parlamentare a compiere atti
tipici delle sue funzioni.
Quest'ufficio è riuscito ad individuare, in merito, due
sole precedenti decisioni (di segno opposto l'una all'altra)
della Giunta della Camera: la prima è quella segnalata anche
dalla difesa (V legislatura, Camera dei deputati doc. IV, n.
136-B relatore Vassalli) e la seconda è quella intervenuta nel
corso della VI legislatura (Camera dei deputati, doc. IV, n.
75/A relatore Benedetti):
A) nella prima (un deputato avrebbe accettato
denaro per presentare due proposte di legge) la Giunta
(decidendo, si badi, a maggioranza) evidenziava che, pur
essendo oggetto di interesse dell'autorità giudiziaria non
tanto le proposte di legge quanto atti e comportamenti che le
avrebbero precedute, ciò non di meno sussisteva egualmente
l'immunità di cui all'articolo 68, comma primo, della
Costituzione in
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quanto in caso contrario "si affermerebbe la legittimità del
sindacato giurisdizionale sull'attività politica del
parlamentare e precisamente sul processo di formazione della
sua volontà, sulle motivazioni che lo hanno indotto o hanno
concorso ad indurlo ad esercitare in un determinato modo o per
il conseguimento di uno specifico fine le proprie funzioni
tipiche di iniziativa di proposte di legge". Per questi motivi
si affermava che l'immunità citata riguardava "non soltanto
l'attività parlamentare tipica ma anche quella che si ponga
come inscidibilmente collegata e strumentale rispetto alla
prima, tanto da costituirne l'antecedente o un momento di
formazione o addirittura la motivazione".
Affermazione difficilmente condivisibile (si finisce con
l'estendere eccessivamente il significato di funzioni
parlamentari ben oltre l'ambito tipico indicato dall'articolo
68 della Costituzione) e ripensata anche dallo stesso relatore
(onorevole Vassalli) che poi successivamente (in un suo
scritto del 1973 in G. Pen., 73, " Punti
interrogativi... ") finiva con l'ammettere che in tal modo
l'irresponsabilità potrebbe estendersi fino ad "abbracciare
atti che sono individuabili come diversi, nel tempo nella
configurazione e per lo più anche nello spazio, dall'atto
funzionale vero e proprio";
B) nella seconda (un deputato avrebbe accettato
denaro per ritardare l'approvazione di una legge) la Giunta
proponeva di concedere l'autorizzazione in quanto
"l'irresponsabilità copre qualsiasi attività preparatoria che
della funzione parlamentare tipica costituisca motivazione o
premessa, se pur indiretta e lontana, purché sempre
riconducibile al quadro costituzionale, ai contenuti che il
programma politico della Costituzione tende a realizzare (...)
è pertanto evidente che va rifiutata tutela costituzionale
alla accettazione di denaro o altri beni materiali o alla
relativa promessa che intervenga a condizionare il compimento
di un atto parlamentare tipico".
Anche questa decisione, indubbiamente più condivisibile
della prima, appare prestare il fianco a critiche, e però solo
sul punto del riferimento al "programma politico" della
Costituzione.
Tale contraddittorio modo di porsi da parte della Giunta
della Camera rispetto a tale rilevante questione, rende
evidente che l'unico modo per rendere certo il campo
d'applicazione dell'immunità di cui all'articolo 68, comma
primo, della Costituzione appare pertanto essere, a giudizio
dello scrivente ed al di là di riferimenti a criteri incerti
ed ambigui, un'interpretazione che ne limiti la portata ai
soli atti che costituiscono tipico esercizio delle funzioni
parlamentari: allorquando il parlamentare partecipi alla
formazione della volontà della Camera di appartenenza sia le
"opinioni espresse" sia "i voti dati" sono coperti da tale
immunità.
E ciò vale soprattutto quando si verte in tema di reati
contro la Pubblica Amministrazione.
Sul punto non va infatti dimenticato che l'articolo 357
del codice penale indica quali pubblici ufficiali destinatari
delle norme penali poste a tutela della pubblica
Amministrazione anche "coloro i quali
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esercitano una pubblica funzione legislativa" e cioè proprio
anche i parlamentari.
E, sulla scorta delle considerazioni suesposte, è
sembrato legittimo a taluno poter contestare a deputati e
senatori una corruzione "impropria" per avere accettato denaro
o altri beni o la relativa promessa al fine della commissione
di un atto del proprio ufficio (articolo 318 del codice
penale) ed invece illegittimo (perchè precluso dall'immunità
di cui al primo comma dell'articolo 68 della Costituzione)
contestare una corruzione "propria" per avere accettato denaro
o altri beni o la relativa promessa al fine della commissione
di un atto contrario ai propri doveri di ufficio (articolo 319
del codice penale) implicando tale contestazione un sindacato
sulle scelte compiute dal parlamentare (con non consentita
valutazione sulla formazione della sua volontà).
In realtà nemmeno tale soluzione appare immune da rilievi
che potrebbero essere fatti circa la ricorrenza anche nel caso
di specie (corruzione "propria") dell'immunità in esame,
atteso che in ogni caso si contesterebbe, di fatto, al
parlamentare un atto "del suo ufficio" e dunque "tipico"
dell'esercizio delle sue funzioni.
A ben vedere tale questione va risolta dunque solo con
l'esclusivo riferimento al fatto in concreto contestato al
parlamentare e con l'analisi rivolta ad accertare se la
condotta contestata rientri o meno nell'esercizio delle
"funzioni parlamentari", unico dato certo appunto di
riferimento fornito dalla Carta Costituzionale.
E' solo allora sull'esercizio delle funzioni parlamentari
che non può esercitarsi il sindacato giurisdizionale ed è solo
su fatti che implichino valutazioni e giudizi sulla formazione
della volontà parlamentare che non può estendersi il sindacato
dell'Autorità giudiziaria.
Restano pertanto esclusi da tale immunità fatti che
risultano essere non indispensabili all'esercizio di tale
funzione e che presentano connessioni soltanto eventuali o
equivoche con atti parlamentari.
In sostanza l'unico fondamentale limite da non superare
per l'Autorità giudiziaria è il sindacato (illegittimo) sulla
formazione della volontà del singolo parlamentare.
Ebbene nel caso specifico parrebbe risultare che al
Pomicino sia stata contestata una corruzione "propria": lo si
evincerebbe dalle norme richiamate nel capo d'imputazione sub
D (articolo 319 del codice penale) e dal contenuto della
contestazione ("riceveva ... somme di denaro ... affinche
sostenesse ... lo stanziamento di fondi statali in favore
della metropolitana di Napoli, con ciò ... compiendo atti
contrario ai doveri del suo ufficio").
Anche il successivo capo d'imputazione sub E di cui
all'articolo 323 del codice penale rientrerebbe nell'ottica
della contestazione di commissione di atti contrari ai suoi
doveri di ufficio ("abusava del suo ufficio, sostenendo ... un
finanziamento ... per la metropolitana di Napoli").
Sembrerebbe dunque concretizzarsi un sindacato, una
valutazione (illegittima) sulla formazione della sua
volontà.
Sembrerebbe dunque fondato il rilievo difensivo.
In realtà non tutto appare così chiaro.
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Le imputazione ascritte al Pomicino ai capi D ed E
(articoli 319 e 323 del codice penale) in fatto ed in
concreto:
riguardano anche una sua attività di ricerca del
consenso (e di successivo consenso prestato) per lo
stanziamento dei fondi per la metropolitana di Napoli svolta
nella sua qualità di Presidente della Commissione bilancio
alla Camera dei deputati, oltre che di membro del
Parlamento;
sembrano integrare comunque una contestazione che
riguarda un'attività tipica compiuta dal parlamentare: il
sostenere cioè "come effettivamente ha fatto, in sede di
approvazione della legge finanziaria per l'anno 1986, lo
stanziamento di fondi statali in favore della metropolitana di
Napoli", finisce col concretizzarsi ovviamente, oltre che
nella sottoscrizione del cosiddetto emendamento Vignola" con
cui veniva inserito nella legge finanziaria lo stanziamento a
favore della metropolitana di Napoli, anche nel voto
favorevole da lui poi espresso in sede di approvazione di tale
emendamento.
Ed allora, in conclusione (e superando quella non
condivisibile distinzione tra corruzione "propria" e
"impropria"), sembrerebbe dunque che sia ascrivibile al
Pomicino solo una ricezione di somme di denaro non certo da
poter considerare come inscidibilmente collegata e strumentale
rispetto alla sua tipica attività di parlamentare (il consenso
per l'approvazione dello stanziamento di cui sopra, in sede di
discussione della legge finanziaria), tanto da costituirne lo
stretto antecedente o un imprenscindibile momento di
formazione o addirittura la prevalente motivazione.
Sembrerebbe dunque che ci si trovi di fronte solo ad un
caso analogo a quello più sopra citato (e più condivisibile, a
giudizio di quest'ufficio) già esaminato dalla Giunta della
Camera nella VI legislatura (Giunta che in tale occasione
concesse l'autorizzazione, e ciò, si badi, in un caso in cui
era contestata proprio quella corruzione "propria" e cioè
proprio un tipo di corruzione che, secondo quella tesi
giurisprudenziale più sopra citata, sarebbe stata certo
coperta dall'immunità in esame: e ciò conforta lo scrivente
nella conclusione della non condivisibilità di tale tesi).
Sembrerebbe cioè che ci si trovi di fronte "alla
accettazione di denaro o altri beni materiali o alla relativa
promessa che intervenga a condizionare il compimento di un
atto parlamentare tipico", attività come tale non coperta da
"tutela costituzionale" perché, come detto, non
inscidibilmente collegata e strumentale rispetto alla tipica
attività parlamentare, né certo "riconducibile al quadro
costituzionale".
Ripugna in sostanza allo scrivente poter ipotizzare e
dover affermare che sussiste tutela costituzionale allorquando
la libertà di decisione del parlamentare diventi oggetto di un
pactum sceleris in cui essa venga negoziata dietro
corrispettivo: in questo caso si sarebbe lontani anni luce
dalla ratio ispiratrice della norma costituzionale, diretta a
garantire la libertà e la sovranità, nel più alto significato
della sua accezione, delle decisioni prese da un membro del
Parlamento nell'esercizio delle sue funzioni.
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Pertanto, e concludendo, se da un lato non può ritenersi
sic et simpliciter manifestamente infondata la questione
sollevata dalla difesa del Pomicino in riferimento
all'applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della
Costituzione al caso in esame (e ciò perchè sembrerebbe che
nelle imputazioni di cui ai capi D ed E vi sia un "sindacato"
sull'esercizio delle sue funzioni parlamentari), non può
nemmeno concludersi per l'evidente applicabilità di tale
immunità (e ciò perché appare illogico e contra legem
che sia coperto da tutela costituzionale un pactum
sceleris con cui si negozia l'esercizio della funzione
parlamentare, non vertendo il sindacato giurisdizionale in
tale caso sull'atto tipico del membro del Parlamento, bensì su
di una attività non inscidibilmente collegata con tale atto né
in alcun modo "riconducibile al quadro costituzionale").
Per tali motivi, in ossequio al dettato di cui
all'articolo 3, secondo comma, del decreto-legge n. 466 dell'8
novembre 1995 (che detta le "disposizioni urgenti per
l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione"), gli atti
inerenti il Pomicino vanno trasmessi alla Camera dei deputati
affinchè questa deliberi se il fatto per il quale è in corso
il procedimento (e cioè quello riportato ai capi D ed E delle
imputazioni allegate alla presente ordinanza) concerna o meno
opinioni espresse o voti dati nell'esercizio delle sue
funzioni.
Appare evidente invece che l'immunità di cui all'articolo
68, comma primo, della Costituzione non può essere invocata
con riferimento al capo F delle imputazioni (illecito
finanziamento): ed invero in nessun modo (né formale né
informale, né in concreto, né di fatto, né in modo
surrettizio) nell'imputazione in esame si fa riferimento ad
una valutazione o ad un sindacato su di un'attività del
parlamentare Pomicino riconducibile all'esercizio delle sue
funzioni parlamentari.
Il fatto contestato al capo F manifestamente e
palesemente non attiene in alcun modo né ad opinioni espresse
né a voti dati dal Pomicino nell'esercizio delle sue
funzioni.
La questione posta in merito a tale capo d'imputazione
appare dunque manifestamente infondata.
In ossequio al disposto di cui all'ultima parte
dell'articolo 3 del decreto-legge sopra indicato, la presente
ordinanza viene trasmessa alla Camera dei deputati nel
rispetto dell'onere d'informazione ivi previsto.
Di conseguenza il procedimento a carico del Pomicino
resterà sospeso (e la sua posizione verrà stralciata) in
riferimento ai reati di cui ai capi D ed E delle imputazioni
in attesa delle decisioni della Camera dei deputati, mentre
proseguirà in ordine al reato di cui al capo F delle
imputazioni, non essendovi alcuna ragione per sospendere il
procedimento in merito a tali fatti, maturi per una decisione
nel merito.
per questi motivi
A) ritiene non manifestamente infondata la
questione sollevata dalla difesa di Paolo Cirino Pomicino
circa la applicabilità dell'articolo 68, primo comma, della
Costituzione in riferimento ai fatti-reato contestati ai capi
D ed E delle imputazioni e per l'effetto:
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separa la sua posizione, per i soli due reati
suindicati, dal presente procedimento ed ordina formarsi
distinto fascicolo processuale a carico del predetto;
dispone trasmettersi tutti gli atti del citato
procedimento stralciato alla Camera dei deputati affinché, ex
articolo 3 del decreto-legge n. 466 dell'8 novembre 1995,
questa deliberi se il fatto per il quale è in corso il
procedimento (il fatto-reato di cui ai capi D ed E delle
imputazioni) concerna o meno opinioni espresse o voti dati dal
Pomicino nell'esercizio delle sue funzioni;
sospende il citato procedimento stralciato (per i soli
capi D ed E delle imputazioni) nei confronti del solo Pomicino
sino alla deliberazione della Camera dei deputati;
B) ritiene manifestamente infondata la questione
sollevata dalla difesa di Paolo Cirino Pomicino circa
l'applicabilità dell'articolo 68, comma primo, della
Costituzione in riferimento al fatto-reato di cui al capo F
delle imputazioni, e per l'effetto la rigetta, disponendo
comunque che la Camera dei deputati sia informata di tale
decisione attraverso l'invio alla stessa di copia della
presente ordinanza.
Napoli, 13 novembre 1995.
Il giudice per le indagini preliminari
Dott. Domenico Zeuli
| |
| RELAZIONE DELLA GIUNTA
PER LE AUTORIZZAZIONI A PROCEDERE IN GIUDIZIO
(Relatore: VALTER BIELLI)
sulla
RICHIESTA DI DELIBERAZIONE IN MATERIA DI INSINDACABILITA',
AI SENSI DELL'ARTICOLO 68, PRIMO COMMA, DELLA COSTITUZIONE,
NELL'AMBITO DI UN PROCEDIMENTO PENALE
nei confronti del deputato
CIRINO POMICINO
per concorso - ai sensi dell'articolo 110 del codice
penale - nel reato di cui agli articoli 61 n. 2, 81 capoverso,
112 n. 1, 319, 319- bis, 321 del codice penale
(corruzione per un atto contrario ai doveri d'ufficio,
continuata e pluriaggravata); per concorso - ai sensi
dell'articolo 110 del codice penale - nel reato di cui agli
articoli 81 capoverso, 112, n. 1, 323, secondo comma, dello
stesso codice (abuso d'ufficio continuato e aggravato)
TRASMESSA DAL TRIBUNALE DI NAPOLI
E PERVENUTA ALLA PRESIDENZA DELLA CAMERA
il 28 novembre 1995
Presentata alla Presidenza il 6 novembre 1996
Pag.2
Onorevoli Colleghi! - Il giudice per le indagini
preliminari presso il tribunale di Napoli, con ordinanza del
13 novembre 1995, ritenendo non manifestamente infondata la
questione sollevata dalla difesa dell'onorevole Paolo Cirino
Pomicino circa l'applicabilità dell'articolo 68, primo comma,
della Costituzione, in riferimento ai fatti reato allo stesso
contestati, ha trasmesso gli atti alla Camera dei deputati ai
sensi dell'articolo 3 dell'allora vigente decreto-legge 6
settembre 1996, n. 466.
Il procedimento in oggetto trae origine da un'inchiesta
relativa agli stanziamenti erogati per la costruzione della
metropolitana di Napoli dalla legge finanziaria del 1986.
Nella prospettazione accusatoria (basata precipuamente su
dichiarazioni rese da coindagati) l'onorevole Pomicino (al-
l'epoca parlamentare e, in particolare, Presidente della
Commissione bilancio della Camera) avrebbe stretto un accordo
con il costruttore napoletano Italo della Morte (nel frattempo
deceduto) finalizzato all'approvazione di alcuni
stanziamenti.
In particolare, detto accordo avrebbe previsto, da parte
di quest'ultimo, il versamento di tangenti, nel corso del
tempo, per un ammontare complessivo di 4 miliardi a fronte
dell'impegno, da parte del primo, per l'approvazione di detti
stanziamenti.
Di fatto la legge finanziaria del 1986 stabilì degli
stanziamenti per la costruzione della metropolitana di Napoli
in seguito ad un emendamento presentato dall'allora capogruppo
del PCI in Commissione bilancio, onorevole Vignola, approvato
all'unanimità dalla stessa Commissione (il testo dell'articolo
così modificato dalla Commissione fu approvato successivamente
dall'Assemblea con una maggioranza di 444 voti su 552).
In dettaglio, le imputazioni per cui è stato chiesto il
rinvio a giudizio dell'onorevole Pomicino sono le seguenti:
corruzione per atto contrario ai doveri d'ufficio
"perché, nella qualità di presidente della Commissione
bilancio della Camera dei deputati (...) al fine di commettere
il reato (di illecito finanziamento dei partiti) riceveva per
sé e per altri somme di denaro nella misura di lire quattro
miliardi (...) affinché questi sostenesse, come effettivamente
ha fatto, in sede di approvazione della legge finanziaria per
l'anno 1986, lo stanziamento di fondi statali a favore della
metropolitana di Napoli, con ciò perseguendo il preminente
interesse della Metropolitana di Napoli Spa invece
dell'esclusivo interesse pubblico e pertanto compiendo atti
contrari ai doveri del suo ufficio (corsivo nostro);
abuso d'ufficio, "perché in qualità di
presidente della Commissione bilancio alla Camera dei
deputati, abusava del suo ufficio sostenendo in occasione
dell'approvazione della legge finanziaria per l'anno 1986 uno
stanziamento di lire 500 miliardi per la costruzione della
linea 1 della metropolitana di Napoli, al fine di procurare un
ingiusto vantaggio patrimoniale alla Metropolitana di Napoli
Spa (corsivo nostro);
illecito finanziamento dei partiti "perché (...)
corrispondeva e riceveva contributi economici erogati in
violazione della normativa concernente il finanziamento
pubblico dei partiti".
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Come è noto, nell'ambito della serie di decreti-legge che
si sono succeduti sulla materia dell'attuazione dell'articolo
68 della Costituzione, sono state vigenti sostanzialmente due
discipline: una, a partire dal decreto-legge n. 23 del 1995
fino al decreto-legge n. 116 del 1996, prevedeva che il
giudice, ove fosse sollevata la questione dell'applicabilità
dell'articolo 68, avesse dinanzi a sé tre alternative: 1)
applicare direttamente la norma; 2) dichiarare la questione
non manifestamente infondata ed inviare gli atti alla Camera
perché fosse questa a decidere; 3) dichiarare la questione
manifestamente infondata e proseguire nel processo. Dopo il
decreto-legge n. 116 del 1996, le possibilità si sono ridotte
a due: a fronte dell'eccezione il giudice può o applicare
direttamente l'articolo 68, ovvero inviare gli atti alla
Camera perché sia questa a decidere.
Nel caso di specie, nella vigenza del vecchio regime, il
giudice ha dichiarato non manifestamente infondata la
questione dell'applicabilità dell'articolo 68 con riferimento
ai primi due capi di imputazione, laddove l'ha dichiarata
manifestamente infondata con riferimento al terzo. Pertanto
soltanto i primi due capi di imputazione costituiscono
l'oggetto della deliberazione della Camera, mentre per il
terzo il processo sta proseguendo, comunque, indipendentemente
dalla deliberazione di questa.
Le questioni poste dalla ordinanza in esame sono
particolarmente delicate e sono state esaminate con grande
approfondimento tanto dalla Giunta per le autorizzazioni della
scorsa legislatura, che tuttavia non giunse a formulare una
proposta per l'Assemblea, quanto da quella della presente
legislatura.
Preliminarmente va rilevato che tanto la precedente
Giunta, quanto la presente, non hanno potuto fare a meno di
notare alcune contraddizioni logiche nella prospettazione
accusatoria: di esse sarà opportuno dare brevi cenni, sebbene
evidentemente tali valutazioni non rientrano in quelle di
competenza della Camera.
In primo luogo occorre sottolineare che, dalla lettura
degli atti, il presunto accordo che sarebbe intervenuto tra il
Pomicino e il Della Morte risalirebbe al 1987, laddove la
votazione della finanziaria 1986 risalirebbe al febbraio dello
stesso anno (cioè in epoca anteriore all'accordo stesso). Su
questo punto la Giunta della precedente legislatura ritenne di
chiedere espressi chiarimenti al giudice per le indagini
preliminari di Napoli. La risposta fornita dal medesimo, in
data 29 febbraio 1996, non sembra tuttavia fornire elementi
nuovi rispetto a quelli, contraddittori, contenuti
nell'ordinanza di trasmissione degli atti.
In secondo luogo, essendo il pactum sceleris
asseritamente risalente al 1987 ed essendo il medesimo
asseritamente riferito in modo generico agli stanziamenti per
la metropolitana di Napoli, non si comprende perché i giudici
di Napoli non abbiano ritenuto di imputare all'ex deputato
Pomicino anche gli stanziamenti effettuati nella successiva
legge finanziaria del 1987 (all'epoca della quale egli era
ancora Presidente della Commissione bilancio) nonché quelli
delle successive finanziarie del 1990, del 1991 e del 1992
(all'epoca delle quali egli rivestiva la qualità di Ministro
del bilancio), e anzi escludano ogni responsabilità con
riferimento a tali stanziamenti come emerge da una ordinanza,
allegata agli atti, che rigetta l'eccezione di competenza
fondata sulla natura ministeriale del reato (non sembra
astruso ipotizzare che i medesimi abbiano cercato di non
perdere la competenza sul procedimento).
In terzo luogo non si comprende il motivo per il quale
risulti indagato il solo Pomicino, laddove l'emendamento che,
nella prospettazione accusatoria, completerebbe la fattispecie
criminosa, risulta essere stato presentato dall'allora
deputato Vignola, capogruppo comunista in Commissione
bilancio, e successivamente sottoscritto, oltre che dal
Pomicino, anche dai deputati Sinesio, Conti, Orsini, Grippo,
Calamida e Parlato, rappresentanti degli altri gruppi in
Commissione. Peraltro, non è dato di individuare alcun
elemento oggettivo che evidenzi, in relazione all'iter per
l'approvazione degli stanziamenti per la
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metropolitana di Napoli, una condotta in qualsiasi modo
abnorme o sintomatica da parte dell'onorevole Pomicino, atteso
che, come si è detto, l'emendamento venne presentato in
Commissione bilancio da un esponente dell'opposizione e votato
dall'intera Commissione all'unanimità.
Tutti questi elementi avrebbero indotto a parlare, quanto
meno in via ipotetica, qualora si fosse trattato di
un'autorizzazione a procedere, di un certo fumus
persecutionis.
Al di là di queste considerazioni, tuttavia, venendo più
specificamente al tema dell'insindacabilità, va rilevato che,
anche in base ad una lettura sommaria dei capi di imputazione,
l'oggetto della fattispecie accusatoria consiste proprio nel
sindacato sull'attività parlamentare svolta dal Pomicino,
"attraverso la presentazione di un emendamento" e "nella sua
qualità di Presidente della Commissione bilancio". In altre
parole, si contesta al Pomicino proprio quell'attività tipica
del parlamentare che consiste nell'emendare le proposte di
legge e nel dirigere i lavori di una Commissione
parlamentare.
Non solo. Le imputazioni di corruzione per un atto
contrario ai doveri d'ufficio e di abuso d'ufficio implicano
di per sé un sindacato dell'attività parlamentare: non a caso
l'accusa ravvisa la contrarietà ai doveri d'ufficio e l'abuso
d'ufficio nel perseguire "il preminente interesse della
Metropolitana di Napoli S.p.A. invece dell'esclusivo interesse
pubblico e pertanto compiendo atti contrari al dovere del suo
ufficio".
Ora è di tutta evidenza che un'azione giudiziaria la quale
investisse, come nel caso che ci occupa, le motivazioni più o
meno recondite per cui un determinato voto è stato espresso da
un determinato parlamentare si risolverebbe proprio in un
sindacato su quello che costituisce momento essenziale della
funzione predetta.
A nulla rileva, in tal senso, che il magistrato procedente
ravvisi, nella sua ottica e sulla base di elementi bisognevoli
di verifica, un pactum sceleris sotteso alla formazione
della volontà parlamentare manifestatasi con il voto.
Ciò in quanto, ancora una volta, la verifica di tale
assunto implicherebbe un sindacato che la Carta costituzionale
impedisce alla radice.
Non si è dunque dinanzi a un caso di "attività divulgative
connesse all'esercizio delle funzioni", ovvero ad attività che
costituiscano un antecedente logico e strumentale delle
medesime, bensì dinanzi al sindacato sulle funzioni vere e
proprie, che è esattamente ciò che risulta vietato
dall'articolo 68, primo comma, della Costituzione.
Alla luce di quanto detto, l'asserita dazione di denaro
alla quale si fa riferimento nella prospettazione accusatoria
può rilevare soltanto sotto il profilo dell'illecito
finanziamento dei partiti, reato per il quale l'autorità
giudiziaria sta già procedendo e che non costituisce oggetto
della deliberazione della Camera sulla insindacabilità.
Ragionando diversamente si adotterebbe una interpretazione
sostanzialmente abrogativa dell'articolo 68 della Costituzione
le cui conseguenze sarebbero assai gravi, non solo con
riferimento al caso di specie, ma anche e soprattutto per
l'affermazione del principio generale della possibilità di un
sindacato giurisdizionale su una attività parlamentare
tipica.
Inoltre l'interpretazione qui adottata appare pienamente
conforme a quella fatta propria dalla Corte costituzionale.
Va rilevato, da ultimo, per inciso, che l'articolo 2,
comma 1, del decreto-legge recante disposizioni urgenti per
l'attuazione dell'articolo 68 della Costituzione, a partire
dal decreto-legge n. 116 del 1996 (e, nell'identico testo per
i decreti nn. 253, 374, 466 e, da ultimo, 555 del 1996,
attualmente vigente) prescrive espressamente che l'articolo 68
si applica " in ogni caso per la presentazione di disegni
o proposte di legge, emendamenti, ordini del giorno,
mozioni e risoluzioni, per le interpellanze e le
interrogazioni, per gli interventi nelle Assemblee e negli
altri organi delle Camere, per qualsiasi espressione del
voto comunque formulata e per ogni altro atto parlamentare
(corsivo nostro). Risulta del tutto evidente, dunque, che,
alla luce dell'ultima formulazione del decreto-legge,
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l'autorità giudiziaria di Napoli presumibilmente non avrebbe
potuto neppure inviare gli atti, dovendo archiviare
direttamente il procedimento.
Per tutti questi motivi, la Giunta, dopo aver ascoltato
l'ex deputato Cirino Pomicino nella seduta del 24 luglio 1996,
nella successiva seduta del 31 luglio ha deliberato di
proporre all'Assemblea di dichiarare che i fatti per i quali è
in corso il procedimento concernono opinioni espresse e voti
dati da un membro del Parlamento nell'esercizio delle sue
funzioni.
Michele SAPONARA, Relatore.
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